[Il 14 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Presidente Terracini. Ha facoltà di parlare l'onorevole Rossi Paolo a nome della Commissione.
Rossi Paolo. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io penso che nessuno oserebbe dire — malgrado la chiusura anticipata che è stata votata stamane, al decimo giorno dall'inizio — che questa discussione sia stata trattenuta in vincoli troppo stretti. Mi pare che non vi siano stati argini né dighe all'irrompere di una eloquenza torrentizia. Il collega Leone, il cui eloquio può veramente essere paragonato ad una mitragliatrice, per la precisione con cui raggiunge il bersaglio e per la rapidità martellante e rapinosa con cui si esprime, ha dovuto impiegare qualche cosa come due ore per rispondere almeno una parola alle tante opinioni che si sono manifestate in quest'Aula. Avvocati (e chi non è avvocato in Italia?), magistrati, professori, hanno detto tutti la loro opinione, hanno sviscerato la materia da capo a fondo, mostrandoci il diritto e la fodera dell'argomento.
Un solo punto è rimasto alquanto oscuro; e fu un eminente fisiologo, in mezzo a tanti avvocati, il professor Gaetano Martino, che, nella sua viva sensibilità per i problemi biologici, l'ha individuato e messo in luce.
Questo argomento, del quale non ho sentito parlare per iscorcio altrimenti che da lui, è rimasto immune da critiche. È l'ultima sezione della Costituzione, è quella che si riferisce al congegno previsto dalla legge costituzionale per la sua stessa rinnovazione. Ora, il fatto che una cinquantina, e forse più, di oratori di tutti i Gruppi si siano espressi senza che uno solo si sia occupato di questa fondamentale disposizione che prevede il rinnovarsi della Carta costituzionale può essere per un ottimista, come forse non sono, materia di profonda consolazione, e può apparire per un pessimista, come non vorrei essere, un sintomo di estremo allarme. Delle due l'una, evidentemente: o nessuno di noi pensa oggi a qualsiasi mutamento della Costituzione, e tutti i gruppi ne votano o almeno ne accettano sinceramente le norme, convinti che debbono durare lunghissimo tempo, o, ahimè, regna perfino tra di noi, autori responsabili della legge fondamentale di convivenza politica, un deplorevole scetticismo sull'autorità, sull'efficacia e il rigore delle nostra Carta costituzionale.
Consentitemi di non risolvere questo dilemma pauroso perché ci sarebbe forse una terza ipotesi: quella che la vostra Commissione la quale, onorevole Presidente Ruini, non è riuscita a redigere un solo articolo, uno solo, che non abbia incontrato censure, discussioni e controproposte, l'abbia stavolta, e stavolta solo, indovinata al cento per cento, imbroccando un sistema se non perfetto almeno largamente soddisfacente e comunemente accettato. A questa ipotesi, anche per non risolvere il dilemma, amo e posso senza vanità appellarmi in quanto lo schema proposto dalla Commissione al vostro voto differisce sensibilmente da quello formulato nella mia originaria relazione.
Ci siamo trovati sempre tutti d'accordo nel ritenere che la nuova Costituzione italiana debba essere una Carta costituzionale rigida e per circondarla di questo necessario rigore con efficienti garanzie il relatore, scartando altri congegni, aveva seguito il modello delle Costituzioni belga del 1921 e spagnola nel 1931 mediante questo schema: ogni proposta di modificazione può essere introdotta dal Governo, o anche per iniziativa parlamentare, ma deve ottenere in entrambe le Camere la maggioranza assoluta. La proclamazione stessa del risultato affermativo determina automaticamente lo scioglimento delle Camere. Convocati i comizi, in breve termine, le nuove Camere dovranno porre ai voti, senza emendamenti, il progetto già approvato dal disciolto Parlamento. Ove il progetto risulti confermato, stavolta a maggioranza semplice, esso diventa legge costituzionale ed il Parlamento continua la sua normale attività legislativa.
È inutile che io tenti di dirvi i pregi di questo sistema. È più opportuno sottolineare i difetti che hanno determinato la Commissione a respingere questo congegno probabilmente troppo macchinoso. Si è detto: non conviene che per modificazioni costituzionali eventualmente di piccola, o piccolissima, mole si debba far ricorso a metodi così laboriosi da paralizzare l'iniziativa, né si può pensare ad una gerarchia di norme, escogitando per le norme di secondo grado un metodo di revisione diverso e più agile. Si è aggiunto: è pericoloso costringere il Parlamento a sciogliersi prima del tempo, se vuole operare una riforma costituzionale. Con ciò si potrebbero impedire e ritardare all'infinito riforme necessarie ed urgenti, data la legge biologica di conservazione che è comune alle razze animali e alle razze parlamentari. Si è osservato che non apparisce nemmeno legittimo che un'Assemblea politica che sta per disciogliersi condizioni al sì e al no, puramente e semplicemente, l'attività ed i poteri di una nuova Assemblea, di un'Assemblea successiva, espressione anch'essa della sovrana volontà popolare. Sì è, infine, rilevato che può nascere, talora, una così stringente, una così premente urgenza di ritoccare la Costituzione da non consentire, senza grave pericolo, senza gravissimo danno, la mora della doppia legislazione.
Convenne volgere il pensiero ad altri metodi. Un sistema fu scartato di comune accordo, quello della maggioranza qualificata di due terzi o di tre quinti. Niente di più contrario, infatti, all'essenza stessa del principio maggioritario e niente di più politicamente pericoloso ed ingiusto del caso in cui il 25 o il 33 per cento degli eletti e quindi degli elettori possa insistentemente e caparbiamente opporsi ad una riforma che è voluta dal 75 o dal 60 per cento degli eletti, e quindi degli elettori. Questo vuol dire aprire la strada alla rivolta e alla violenza. Fu scartato il più logico sistema del referendum, per quelle ragioni che furono svolte ampiamente in quest'Aula e che io non ripeterò, quando venne in discussione l'istituto del referendum in generale.
Fu scartato, ancora, per ovvie ragioni il ricorso all'Assemblea Nazionale che si era prospettato in un primo tempo. Per le stesse ragioni per cui parve inopportuno creare questo terzo istituto politico, questa terza Camera, si dovette necessariamente rinunciare all'idea di deferire all'Assemblea Nazionale le modifiche della Costituzione.
Da queste successive esclusioni e dalla riconosciuta necessità d'assicurare una notevole fermezza della Costituzione è nato quello schema che abbiamo l'onore di presentarvi: schema che riesce a conciliare — noi ci illudiamo — le istanze opposte di certezza e costanza della legge costituzionale e di adattabilità al tempo che preme con le sue continue mutevoli esigenze. La Costituzione non deve essere un masso di granito che non si può plasmare e che si scheggia; e non deve essere nemmeno un giunco flessibile che si piega ad ogni alito di vento. Deve essere, dovrebbe essere, vorrebbe essere una specie di duttile acciaio che si riesce a riplasmare faticosamente sotto l'azione del fuoco e sotto l'azione del martello di un operaio forte e consapevole!
Vediamo se le progettate disposizioni si possono avvicinare a questo ideale. Abbiamo voluto, anzitutto, che l'iniziativa della revisione competesse tanto al Governo quanto ad ogni singolo deputato. Con ciò sembra superata l'incertezza circa l'opportunità di consentire l'iniziativa anche a gruppi popolari. In una democrazia rappresentativa come la nostra, che è retta, tra l'altro, dal sistema elettorale della proporzionale, non c'è nessun gruppo politico di qualche ragionevole entità nel Paese che non abbia almeno una voce nel Parlamento. Abbiamo voluto il procedimento delle due letture, con un intervallo di tre mesi fra l'una e l'altra, perché una cosa tanto seria come la riforma costituzionale non sia il prodotto d'impulsi momentanei e demagogici o, comunque, non ben confermati e meditati. Abbiamo richiesto l'esigenza della maggioranza assoluta (metà più uno dei membri che compongono le due Camere), per evitare colpi di mano minoritari, sempre deplorevoli, pericolosi, deplorevolissimi e pericolosissimi nella suprema materia costituzionale. Vorrei dire a questo proposito che scientificamente si parla di maggioranza qualificata anche quando si parla di maggioranza assoluta. Mi pare che sarebbe più rispondente a verità parlare di maggioranza reale o maggioranza garantita. La metà più uno non è maggioranza qualificata. È maggioranza sicura, garantita, e nulla più.
Oltre a queste garanzie che ci paiono molto serie e sostanziali, ne abbiamo introdotto un'altra che può tutti tranquillizzare: il ricorso alla fonte stessa della sovranità: il referendum popolare, quando un quinto dei membri di una Camera, o 500 mila elettori, o sette Consigli Regionali ne facciano domanda. Con ciò anche i diritti della minoranza — di una modesta minoranza — sono tutelati efficacemente, restando aperto l'appello al popolo, anche ad opera di una parte comparativamente piccola della pubblica opinione. Restava la necessità di tutelare la certezza della legge; e a ciò si è provveduto fissando un termine entro il quale l'impugnativa può essere promossa: tre mesi. Tre mesi paiono sufficientemente lunghi perché l'opinione pubblica si metta in moto se è necessario, e paiono sufficientemente brevi per non lasciar troppo nell'indefinito le norme costituzionali.
Il ricorso al referendum viene escluso in un caso soltanto: quando la legge sia stata approvata in entrambe le Camere (con 4 votazioni giacché si prevede il sistema della doppia lettura), con la maggioranza di due terzi dei componenti, una maggioranza davvero largamente qualificata.
È opportuna questa norma? A me pare di sì, avuto riguardo alla concreta realtà politica, al concreto panorama politico del nostro Paese. Noi facciamo la Costituzione della Repubblica italiana, non la Costituzione d'Utopia o della Città del sole di Campanella. In un paese dove vigesse il sistema del collegio uninominale, o dove le correnti politiche si polarizzassero intorno a due soli partiti, una maggioranza qualificata di due terzi potrebbe eventualmente, non rispondere alla maggioranza reale del Paese; potrebbe accadere, come è accaduto talora in Inghilterra, che un partito che pure ha vinto in quasi tutti i collegi, cinque anni prima, sia in netta minoranza, poco dopo le elezioni nel paese, mentre conserva, in Parlamento, la quasi totalità dei mandati. Ma in Italia, dove abbiamo il sistema della proporzionale e dove i partiti purtroppo, me ne rammarico, sono anche soverchiamente frammentati, una maggioranza che raccolga in Parlamento i due terzi raccoglierà certamente nel Paese una proporzione anche maggiore di consensi. Quindi è parso giusto, per evitare inutili agitazioni e tentativi faziosi di minoranze infime, impedire il ricorso al referendum, quando la legge sia stata approvata dalle due Camere con la maggioranza di due terzi. Ma supponiamo che anche questa garanzia sia fallace. Supponiamo, in estrema ipotesi, che un Parlamento, che duri tutti i cinque anni, si discosti completamente dalla pubblica opinione, talché la maggioranza parlamentare dei due terzi non risponda più alla maggioranza reale del Paese, ebbene, una estrema valvola di sicurezza resta aperta: ci saranno le elezioni generali; quella maggioranza, quel Governo, quel Parlamento saranno rovesciati dal suffragio universale e con relativa facilità, come primo atto del nuovo Parlamento, quella determinata riforma impopolare sarà facilmente revocata.
Col sistema che vi proponiamo, io non so veramente se si possa parlare, in termini costituzionalistici, di una Costituzione rigida. Io vorrei che gli illustri maestri che sono qui me lo dicessero. Personalmente temo alquanto che non si possa più parlare di Costituzione rigida; si potrebbe forse parlare di una Costituzione semi-rigida o piuttosto di una Costituzione garantita da un serio e severo congegno di revisione Costituzionale.
Ma queste sono questioni teoriche, che interessano relativamente. Nella Commissione siamo tutti d'accordo. Abbiamo la tranquilla coscienza di avere escogitato un metodo che concilii, in composita armonia, le esigenze in conflitto, che si presentano ugualmente imperiose.
Finisco con l'esprimere un'opinione ed un augurio. Abbiamo il più profondo rispetto della legalità, ma non abbiamo alcun feticismo per il contenuto intrinseco d'ogni singola legge, d'ogni singola norma, sia pure costituzionale.
Ci siamo sforzati, nel costruire la nostra Costituzione, di raggiungere il meglio, ma sapevamo tutti di non poter conseguire un optimum assoluto, immutabile nel tempo. Il tempo, in verità, corre veloce e crea bisogni sempre nuovi e sempre diversi. Se in un futuro non molto lontano il congegno della revisione costituzionale dovrà essere messo in moto, nessuno scandalo, anche se dovrà essere messo in moto con qualche frequenza. Ciò che è davvero essenziale è un'altra cosa, è che le norme costituzionali siano mutate quando occorra, senza ancoraggi conservatoristici e senza facilonerie avveniristiche, ma siano formalmente, sostanzialmente ed intrinsecamente rispettate finché sono in vita. Abbiamo visto molte Costituzioni rimanere in vita per lungo tempo ed essere cinicamente violate o — il che è peggio — ipocritamente escluse. Auspichiamo, per le fortune della nostra Repubblica, l'aprirsi di un periodo in cui la legge si possa mutare e si muti solo con la legge, ed in cui la legge, finché è legge, sia religiosamente osservata. (Applausi — Congratulazioni).
A cura di Fabrizio Calzaretti