[Il 10 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Orlando Vittorio Emanuele. [...] la Assemblea Nazionale [...] mette in istato di accusa il Presidente della Repubblica e, forse, anche i Ministri.

Diciamo di passaggio che questo punto non è chiaro. Secondo me, credo che si voglia fare riferimento all'Assemblea Nazionale, perché nell'articolo 90 è detto: «Il Primo Ministro ed i Ministri possono essere messi in stato di accusa dalle due Camere». Ora, che cosa vuol qui significare: «le due Camere?». Con due deliberazioni distinte e separate? Questi Ministri dovrebbero perciò passare attraverso due stadi di giudizio; e non potrebbe allora verificarsi che una Camera li accusi e l'altra Camera li esalti? Quale potrà essere la soluzione giuridica fra due atti formalmente contraddittori? Evidentemente, quando si dice due Camere, si deve voler significare che esse agiscono insieme. Poi sono inviati innanzi alla Corte costituzionale. Per fortuna, io non tornerò più a fare il Ministro; ma vi dico la verità che in tal caso mi sentirei molto indifeso.

Il Ministro ha bisogno di un giudice politico, se il suo reato è ministeriale. Che cos'è questa Corte composta per metà di magistrati, che saranno uomini insospettabili, colti ed esperti giuristi, ma appunto per ciò di una pericolosa incompetenza per giudicare politicamente un reato ministeriale? Io non so quanti reati abbia commessi; e non soltanto durante la guerra, quando dovevo rilasciare passaporti falsi e giunsi allora perfino ad organizzare il furto di una cassaforte! (Ilarità); ma anche prima. Ne serbo tuttora il ricordo. Allorché ero Ministro dell'istruzione, mi piombò addosso, un giorno, il sovrintendente alle arti e ai monumenti napoletani per informarmi che l'Arco Angioino, il famoso arco, prodigio di arte e di bellezza, stava per crollare per lesioni dovute alla gloriosa vetustà.

«Ebbene, puntellatelo! Mi pare che il provvedimento sia semplice!». Mi risponde: «Ci vogliono 10.000 lire, e non le abbiamo». Chiamo il ragioniere capo, il quale mi conferma: «Non le abbiamo; il capitolo non ha disponibile quella somma di 10.000 lire». Allora, mi precipito dal Ministro del tesoro — era un personaggio illustre, degno di ogni rispetto — e gli dico: «Sta per crollare l'Arco Angioino ed ho bisogno di 10.000 lire». «Tu non pensi che alla tua gloria» fu la risposta «ed io debbo pensare alla conversione della rendita». Riuscii a trovare le 10.000 lire fuori il capitolo del bilancio. Commisi un reato? È probabile, ma vi domando: «Mi avreste condannato, se fossi stato mandato dinanzi a voi?».

[...] E vengo alla Corte costituzionale. È inutile farsi delle illusioni. L'autorità ad un istituto non viene da una definizione, da un conferimento astratto di poteri: deve avere radice nella istituzione stessa, o per la forza politica che rappresenta o per la tradizione che si è venuta formando. Or, tali condizioni mancano totalmente in questa futura Corte, che avrà la formidabile competenza di giudicare della validità delle leggi, con questo po' po' di proclamazioni di principî generali che fate e che rappresentano un pericolo anche maggiore per il fatto che la Costituzione è rigida. Quindi, allorché verranno le leggi, con tutto il loro sistema di disposizioni particolari, e si troveranno di fronte ad un principio generale proclamato dalla Costituzione, potrà sempre esserci una parte, che andrà dinanzi alla Corte costituzionale per sostenere che è stato violato questo o quel principio.

[...]

Nenni. [...] Né spenderò altre parole dopo quelle che sono state dette, per mettere alla berlina la Corte costituzionale. Sulla costituzionalità delle leggi non può deliberare che l'Assemblea nazionale, il Parlamento, non potendo accettarsi altro controllo che quello del popolo. La progettata Corte potrà essere formata degli uomini i più illustri, i più ferrati in materia di diritto costituzionale, ma per non essere essi gli eletti del popolo, non hanno diritto di giudicare gli atti del Parlamento.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti