[Il 21 novembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.]
Ambrosini, Relatore, tiene a dichiarare che per motivo di carattere non personale preventivamente comunicato al Presidente, non poté partecipare alla discussione nel momento in cui furono proposte e votate le modificazioni apportate all'articolo 4 del progetto: se fosse stato presente, avrebbe sostenuto la necessità di approvare l'articolo 4 nel testo proposto dal Comitato di redazione.
Il Presidente Terracini avverte che la discussione odierna verte sulla elencazione delle materie che dovranno formare oggetto di legislazione concorrente da parte della Regione.
Nobile propone di modificare la prima parte dell'articolo 4, già approvata, sostituendo, all'espressione «potestà legislativa nelle seguenti materie», una frase del seguente tenore: «potestà legislativa nelle materie che saranno stabilite con apposita legge dalle due Camere elettive». Con ciò non si farebbe più l'elencazione delle materie per le quali è stabilito di affidare alle Regioni la potestà legislativa cosiddetta concorrente. Spiega che la ragione principale che lo ha indotto a presentare questo emendamento sta nel fatto che è assai difficile e, nello stesso tempo, pericoloso procedere, nel corso di una breve discussione, a una simile elencazione perché vi possono essere ragioni di carattere tecnico non evidenti in un esame sommario, le quali impongano una regolamentazione uniforme per una data materia.
Mortati osserva che la proposta di emendamento dell'onorevole Nobile non può essere accettata, se si tiene presente che nell'affidare alle Regioni la potestà legislativa di cui all'articolo 4, si è voluto dare a quelle una posizione costituzionale che possa consentir loro di avere un potere normativo proprio. Pertanto, se mai un rinvio dovesse farsi per la determinazione dei limiti di tale potere normativo, dovrebbe essere fatto alla legge costituzionale, non già ad una legge speciale, che non potrebbe mai dare quella garanzia di intangibilità che si vuole accordare alla sfera di competenza stabilita per le Regioni dall'articolo 4.
Nobile non si è soffermato, proponendo il suo emendamento, sulle questioni di carattere giuridico accennate dall'onorevole Mortati; ma non le ritiene di tale importanza da rinunciare alla sua proposta, su cui insiste.
Il Presidente Terracini pone ai voti l'emendamento proposto dall'onorevole Nobile.
(Non è approvato).
Perassi fa presente che nella formulazione originaria dell'articolo 4, secondo il testo proposto dal Comitato di redazione, si parlava di potestà legislativa di integrazione delle norme generali da parte della Regione. Poiché però l'onorevole Mortati nella precedente riunione osservò che tale dizione non gli sembrava esatta, essa venne sostituita da un'altra, con la quale si affida alla Regione una potestà legislativa nell'ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dovere emanare per garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione. V'è ora da domandarsi se, in virtù di tale espressione, resti o meno attribuita alla Regione la competenza ad emanare norme integrative di quelle adottate con legge. A tale proposito osserva che spesso, alla fine di alcuni provvedimenti legislativi adottati in periodo di legislazione governativa, si trova un articolo in cui si stabilisce che il Governo è autorizzato ad emanare norme integrative o di attuazione, che sono diverse da quelle regolamentari; e nello stesso codice svizzero si hanno alcuni articoli, i quali attribuiscono al diritto cantonale la competenza ad emanare norme integrative persino in materie di diritto civile.
Prima di passare alla discussione dell'elencazione delle materie di cui all'articolo 4, sarebbe bene, a suo avviso, risolvere questo problema.
Il Presidente Terracini osserva che, se la risposta al quesito dell'onorevole Perassi fosse affermativa, si verrebbero a costituire quattro diverse potestà normative delle Regioni; e richiama sulla necessità che un testo costituzionale sia sempre redatto in maniera semplice e chiara.
Fabbri ritiene che la facoltà di emanare norme di integrazione sia prevista dall'articolo 4. Difatti una potestà legislativa concessa alla Regione nell'ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dover emanare, per garantire con una regolamentazione uniforme gli interessi unitari della Nazione, non può essere che di integrazione di quei principî direttivi, ossia delle norme emanate dallo Stato allo scopo suddetto.
Laconi osserva che, quando fu accolta la proposta fatta dall'onorevole Mortati di modificare la prima parte dell'articolo 4, la Sottocommissione partì dal presupposto di sottrarre alcune materie alla legislazione esclusiva della Regione, prevista nell'articolo 3, per farne oggetto di legislazione concorrente, secondo quanto appunto stabilisce la prima parte modificata dell'articolo 4. Non si discusse quindi sull'esatto significato di «legislazione concorrente». Ora, l'onorevole Fabbri reputa che la facoltà di emanare norme integrative rientri nella potestà legislativa concorrente affidata alla Regione nell'ambito dei principî direttivi che lo Stato ritenga di dovere emanare per garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione, perché considera i principî direttivi come norme generali dello Stato. Ma una simile questione non è stata ancora affrontata e forse l'interpretazione data dall'onorevole Fabbri all'espressione «principî direttivi» non è completamente esatta.
Il Presidente Terracini invita l'onorevole Mortati a dare un'interpretazione autentica sull'esatta portata della potestà legislativa attribuita alle regioni con il disposto della prima parte dell'articolo 4.
Mortati ricorda che si è partiti dal presupposto di non affidare allo Stato il compito legislativo in tutte le materie, per non attribuire alla Regione soltanto un compito esecutivo. Si è perciò stabilito che in talune materie lo Stato possa emanare soltanto norme di orientamento, e la Regione abbia la facoltà di legiferare là dove le norme statali debbano essere adattate alle diverse esigenze delle singole Regioni.
In ogni modo, i principî direttivi sono sempre normativi; sono stabiliti con legge e sono quindi norme caratterizzate dalla genericità della statuizione al pari delle norme costituzionali, le quali pongono dei principî direttivi che vengono poi attuati dalla legge. Ciò gli sembra che non possa dar luogo a dubbi.
Piuttosto è da rilevare che l'esigenza prospettata dall'onorevole Perassi ha bisogno di essere meglio chiarita: occorre cioè precisare se ci si intenda riferire ad una facoltà di emanare norme integrative, garantita con competenza esclusiva o concorrente, oppure semplicemente alla potestà, da parte dello Stato, di delegare volta per volta tali norme di attuazione alle Regioni.
Perassi dichiara che intendeva riferirsi ad ambedue le ipotesi prospettate dall'onorevole Mortati.
Mortati osserva, in ogni modo, che la questione potrebbe essere risolta, consentendo al potere legislativo di delegare volta per volta alle Regioni la facoltà di emanare norme anche più ampie di quelle regolamentari. Non sarebbe necessario però includere un altro articolo nel progetto, per disciplinare il caso anzidetto, che potrebbe essere previsto nell'articolo 4-bis così modificato:
«Spetta alla Regione il potere regolamentare o di integrazione anche nelle materie che potranno essere stabilite dalle leggi».
L'unica questione che resterebbe allora da risolvere sarebbe quella di stabilire se occorre porre o meno dei limiti al legislatore ordinario in ordine a tale potere di delega.
Tosato osserva che la proposta dell'onorevole Perassi, per quanto sia precisa, è praticamente inopportuna perché finirebbe col complicare il sistema previsto in ordine al potere normativo attribuito alle Regioni. Tale sistema infatti è abbastanza semplice: per esso alcune materie sono riservate alla competenza esclusiva delle Regioni; altre alla competenza non esclusiva (e suscettibili quindi di norme integrative o di attuazione); altre infine alla competenza puramente regolamentare. A suo avviso, il caso previsto dall'onorevole Perassi rientra nel disposto della prima parte dell'articolo 4, che stabilisce appunto l'attribuzione alle Regioni di una potestà legislativa non esclusiva. Infatti, quando si dice che in determinate materie il potere legislativo interverrà fissando dei principî direttivi, tali principî evidentemente non potranno essere che di due ordini: di ordine proibitivo, nel senso che lo Stato potrà intervenire stabilendo che su determinate materie le Regioni non potranno emanare alcuna norma; o di ordine positivo, nel qual caso lo Stato fisserà alcuni criteri di carattere generale a cui le Regioni dovranno attenersi nell'esercizio della loro potestà legislativa. In quest'ultimo caso, però, non è detto che i principî direttivi emanati dallo Stato debbano essere limitati a ciò che veramente è essenziale rispetto alla materia che dovrà essere disciplinata dalla legislazione regionale e che quindi essi non consentano un certo svolgimento legislativo, sia pure in linea di principio, di modo che la legislazione della Regione possa assumere un carattere più ampio di integrazione. Resterebbe poi sempre aperta l'ipotesi, prevista nell'articolo 4-bis, della facoltà regolamentare nelle sue varie forme di potestà regolamentare esecutiva, delegata o autonoma, per alcune materie appositamente determinate.
Einaudi domanda come sia possibile stabilire se il legislatore nazionale, emanando principî direttivi allo scopo di garantire, con una regolamentazione uniforme, gli interessi unitari della Nazione, sia andato oppure no oltre i limiti fissati dalla Costituzione. In altri termini, domanda come possa definirsi il principio direttivo.
Mortati dichiara che lo si definisce in senso negativo. In ogni modo, la migliore garanzia, per l'ipotesi prevista dall'onorevole Einaudi, consiste nell'esistenza di una seconda Camera su base regionale, cioè di un organo creato proprio per tutelare gli interessi della Regione. Anche in altri paesi è stata posta la questione relativa alla possibilità di un ricorso contenzioso da parte della Regione per accertare se le norme direttive vadano oppure no al di là di un puro e semplice orientamento. Ma essa è stata decisa in senso negativo, per il carattere d'accertamento di merito che un'indagine in tal senso implica necessariamente.
Fabbri ritiene che ogni questione potrebbe essere risolta, se la prima parte dell'articolo 4 fosse modificata sostituendo, all'espressione «principî direttivi», la parola «norme» e facendo specifica menzione di una potestà legislativa integrativa.
Nell'articolo 4 è previsto il caso di una potestà legislativa concorrente da parte della Regione: ora, non si può concepire una legislazione concorrente con un'altra a un determinato scopo, se la seconda che concorre a quel determinato scopo non è integrativa della prima. In ogni modo, se le norme emanate dallo Stato saranno di carattere generale, ossia dei veri principî direttivi, la potestà legislativa di integrazione da parte delle Regioni sarà di più vasta portata; ma, se le norme emanate dallo Stato saranno molto specifiche, la facoltà integrativa concessa alle Regioni verrà a ridursi e sarà appena eccedente quella regolamentare.
Tosato è contrario alla proposta dell'onorevole Fabbri, perché la potestà legislativa prevista nell'articolo 4 non è concorrente in senso tecnico. Tale potestà legislativa si ha quando su una determinata materia può intervenire, ad esempio, prima la Regione e poi, senza limiti, lo Stato e quando la norma emanata dallo Stato esclude qualsiasi altra norma adottata dalla Regione. Con l'articolo 4, invece, ci si propone di lasciare una potestà legislativa integrativa, ma propria, alla Regione: quindi l'intervento dello Stato dev'essere limitato alla determinazione di quei principî direttivi che lascino una certa possibilità di svolgimento alla legislazione locale. Se così non dovesse essere, lo Stato potrebbe intervenire liberamente nel campo della legislazione regionale e allora tanto varrebbe sopprimere l'articolo 4.
Mannironi concorda con quanto ha affermato l'onorevole Fabbri, nel senso che con la formula dell'articolo 4 si intenda anche il potere d'integrazione accennato dall'onorevole Perassi. In ogni modo, per evitare ogni dubbio in proposito, sarebbe meglio modificare, non già l'articolo 4, bensì l'articolo 4-bis, stabilendo esplicitamente che spetta alle Regioni il potere di integrazione delle leggi generali dello Stato e quello regolamentare esecutivo.
Nobile osserva che occorre determinare in modo assai preciso i limiti di intervento da parte dello Stato nella legislazione regionale perché, a seconda che tali limiti siano più o meno ampi, converrà restringere o allargare l'elenco delle materie che possono formare oggetto di legislazione da parte delle Regioni. Così, se lo Stato potesse emanare disposizioni di legge particolareggiate su questioni di interesse regionale, tanto varrebbe ridurre il numero delle materie o abolire addirittura l'elencazione di esse nell'articolo 4.
Laconi fa presente che nell'articolo 4 i limiti sono posti soltanto a carico dello Stato, mentre nell'articolo 4-bis, cadendo nell'eccesso opposto, l'attività legislativa è affidata interamente allo Stato e si attribuisce alla Regione soltanto un potere regolamentare esecutivo. Pertanto, con la formulazione dell'articolo 4 si concede troppo alla Regione, mentre con quella dell'articolo 4-bis le si concede troppo poco. Ciò considerato, sarebbe opportuno introdurre nel progetto un altro articolo: visto che non è facile addivenire ad un'elencazione di materie che possano formare oggetto separatamente, o del potere regolamentare esecutivo o della potestà di dettare norme integrative, si dovrebbe con un'altra norma prevedere una terza possibilità oltre le due anzidette.
Mortati crede che sarebbe meglio procedere alla discussione dell'articolo 4-bis, prima di esaminare quali materie debbano essere elencate nell'articolo 4.
Uberti rileva che l'osservazione fatta dall'onorevole Perassi, per quanto perfettamente logica, rischia di rendere troppo complesso il sistema previsto nel progetto relativamente alla potestà normativa delle Regioni. Non è pertanto favorevole all'adozione di un altro articolo nel senso indicato dall'onorevole Perassi.
Nobile nota che, secondo la formulazione dell'articolo 4-bis, spetta alla Regione il potere regolamentare anche nelle materie per le quali i precedenti articoli consentono l'attività legislativa. Ora, se dovesse essere approvata l'elencazione delle materie per l'articolo 4 proposta dall'onorevole Mortati, fra le quali è anche quella delle strade ferrate, si arriverebbe a questo assurdo, che lo Stato non potrebbe emanare i regolamenti relativi alla sicurezza dell'esercizio ferroviario.
Laconi propone il seguente emendamento alla prima parte dell'articolo 4-bis:
«La Regione ha potestà di emanare norme di integrazione e di attuazione per adattare alle condizioni locali le norme generali e direttive emanate con leggi dello Stato nelle seguenti materie e nei casi nei quali la legge ne faccia espressa delega».
Mannironi propone all'articolo 4-bis il seguente emendamento:
«Spetta alla Regione il potere di integrazione e regolamentare delle leggi da essa emanate e di quelle dello Stato che ne facciano espressa delega».
Con tale formula non occorrerebbe procedere ad un'elencazione di materie nell'articolo 4-bis.
Uberti propone di sostituire la prima parte dell'articolo 4-bis con la seguente:
«Spetta alla Regione il potere di integrazione e regolamentare anche in materie di competenza legislativa quando la legge dello Stato ne faccia espressa menzione».
Mortati, per semplificare la dizione dell'articolo 4-bis suggerisce di sopprimere in esso l'inciso «oltre che nelle materie per cui è consentita l'attività legislativa di cui al precedente articolo».
Accede poi alla proposta dell'onorevole Mannironi, che in sostanza consiste nell'aggiunta del potere di integrazione alla formula da lui testé suggerita.
Il Presidente Terracini fa presente che nei riguardi delle quattro proposte di emendamento all'articolo 4-bis presentate dagli onorevoli Mortati, Laconi, Mannironi e Uberti, sorge il problema se per l'articolo 4-bis debba essere prevista o pur no un'elencazione di materie. Ad esempio, la formula dell'onorevole Laconi prevede la possibilità di un'elencazione, mentre ciò è escluso dalle formule degli onorevoli Mannironi e Uberti. Altra differenza è costituita dal fatto che nella formula dell'onorevole Laconi si parla di norme di integrazione e di attuazione, mentre in quella dell'onorevole Mortati soltanto di potere regolamentare e in quelle degli onorevoli Uberti e Mannironi di potere di integrazione e regolamentare. La differenza fra queste formule consisterebbe soltanto nei due termini «norme di attuazione e potere regolamentare»; ma in fondo si tratta della stessa cosa. In ogni modo, poiché gli sembra che la discussione abbia assunto un carattere troppo decisamente dottrinario e astratto, ritiene opportuno sospenderla, per iniziare l'esame delle materie da elencare nell'articolo 4.
La discussione verte sulle seguenti materie: agricoltura, foreste e cave, che nel progetto del Comitato figuravano all'articolo 3, da cui sono rimaste escluse in seguito a decisione della riunione precedente.
Nobile è contrario all'inclusione delle voci agricoltura, foreste e cave nell'elencazione di cui all'articolo 4. Troverebbe veramente strano che lo Stato non potesse emanare una legge, ad esempio, sulla protezione del patrimonio boschivo o sulla creazione di un istituto sperimentale di agricoltura.
Ambrosini, Relatore, è favorevole all'inclusione delle materie in esame nell'elencazione dell'articolo 4. Tiene però a dichiarare che, se fosse stato presente nella riunione precedente, avrebbe votato per la formulazione originaria dell'articolo 4 proposto dal Comitato, che, a suo avviso, era assai più semplice.
Laconi non ritiene opportuno dare alle Regioni una facoltà così ampia e indiscriminata, come è quella prevista nell'articolo 4, soprattutto in materia di agricoltura. In tale campo tutt'al più dovrebbe essere concesso alle Regioni il potere di cui all'articolo 4-bis, ossia quello regolamentare esecutivo.
Zuccarini rileva che le varie preoccupazioni manifestatesi nel corso della discussione sulla portata dell'articolo 4 non hanno ragione d'essere, visto che il progetto dell'ordinamento regionale, proposto dal Comitato di redazione, in sostanza non prevede la concessione alle Regioni di un'autonomia molto ampia e non mira a togliere allo Stato le sue prerogative per ciò che si riferisce alle leggi generali. Il potere centrale potrà sempre emanare una legge di carattere nazionale per il rimboschimento o la tutela dell'agricoltura. Pertanto i timori manifestati dall'onorevole Nobile non sono affatto giustificati. Quando si parla di legislazione regionale, ci si intende riferire ai problemi particolari e propri alla regione sulle particolari materie, e nessuna materia come l'agricoltura offre aspetti e problemi diversi da Regione a Regione e persino nell'ambito di una stessa Regione. Si tenga conto di quello che il progetto è veramente e delle limitazioni che esso pone all'autonomia regionale. Se la competenza delle Regioni dovesse essere ancora maggiormente ristretta, non si potrebbe parlare più di autonomia e alle Regioni non rimarrebbero che le funzioni che oggi sono attribuite alle Province.
Il Presidente Terracini mette in votazione l'inclusione della voce
«agricoltura»
nell'elencazione dell'articolo 4.
(È approvata).
Mette in votazione l'inclusione della voce
«foreste»
nella stessa elencazione.
(È approvata).
Einaudi ritiene che la materia delle cave non possa essere considerata separatamente da quella delle miniere e ricorda che esse sono strettamente unite nella legislazione vigente. A questa si è giunti dopo un lungo periodo di elaborazione della materia. Sulle prime la legislazione in tale campo era molto differente da Regione a Regione: in alcune Regioni si avevano leggi che si ispiravano alle più vecchie tradizioni medioevali, ossia al principio della libera ricerca del cavatore di marmo. In seguito si ebbe la legge francese del 1810, per la quale soltanto lo Stato poteva accordare la concessione del sottosuolo, pure ammettendosi qualche deroga a questo principio, inteso a rispettare il diritto di superficie. Esisteva anche la legislazione siciliana, che riconosceva l'identità della proprietà della superficie con la proprietà delle cave; ma l'esperienza dimostrò che tale principio era contrario all'interesse dello sfruttamento. Così si giunse ad unificare la legislazione.
Non crede che in questo campo sia più possibile tornare indietro: ne deriverebbe un notevole regresso economico nello sfruttamento delle miniere e delle cave. Non si tratta, in questa materia, soltanto di impartire alcuni principî direttivi; occorrono invece norme assai precise, senza le quali non è possibile conseguire il successo nell'esercizio delle miniere e delle cave. Si tratta infatti di stabilire se le miniere appartengono al proprietario della superficie o allo Stato, se lo Stato le possa esercitare direttamente o per mezzo di concessioni, se tali concessioni debbano essere perpetue o temporanee; e ciascuna di tali questioni deve essere regolata con norme precise di legge, emanate non solo in vista dell'interesse privato, ma anche e soprattutto dell'interesse collettivo. Si tratta, insomma, di una legislazione che dev'essere uniforme per tutte le Regioni. La Regione, in questo campo, può avere soltanto un certo potere di integrazione, onde la materia delle cave e delle miniere dovrebbe essere compresa nell'elencazione dell'articolo 4-bis e non in quella dell'articolo 4.
Nobile si associa alle considerazioni svolte dall'onorevole Einaudi. La materia in esame riguarda soltanto le cave, ma essa, come giustamente ha osservato l'onorevole Einaudi, non può essere dissociata da quella delle miniere. Ora, è un assurdo pensare che in questo campo possa essere attribuita una potestà legislativa alle Regioni. Cita un esempio: oggi tutti i paesi vanno in cerca di minerali contenenti uranio. Se tali minerali dovessero essere scoperti in una nostra Regione, lo Stato, secondo il principio fissato dall'articolo in esame, non avrebbe diritto di intervenire, eppure si tratterebbe di una scoperta che potrebbe avere enormi conseguenze da un punto di vista economico, politico e militare per il nostro Paese.
Finocchiaro Aprile contesta le affermazioni dell'onorevole Einaudi e tiene a dichiarare che in Sicilia si desidera vivamente ripristinare la vecchia legislazione, per cui la proprietà delle miniere spettava al proprietario della superficie. Afferma che i siciliani non possono essere favorevoli alla legislazione italiana che, per quanto riguarda l'industria zolfifera, ha arrecato notevoli danni alla Sicilia.
Einaudi fa osservare, per amore di precisione, che il principio informatore originario nella legislazione siciliana non era affatto quello della unione della proprietà della superficie e di quella del sottosuolo. La proprietà del sottosuolo era riservata allo Stato, che ne concedeva l'uso ai privati dietro un determinato pagamento in natura, a tempi stabiliti. Col mutare dell'unità monetaria quest'obbligo dei privati cadde in desuetudine ed essi finirono così col diventare proprietari delle miniere e delle cave che originariamente erano dello Stato.
Ambrosini, Relatore, ritiene che la materia delle cave possa essere inclusa nell'elencazione dell'articolo 4, giacché così resta sempre allo Stato il diritto di emanare norme direttive in tale campo per la salvaguardia dell'interesse generale.
Piccioni è favorevole all'inclusione della materia delle cave nell'elencazione dell'articolo 4, perché ritiene che tale materia debba essere affidata alla competenza delle Regioni, non escluse tra queste la Sicilia, la Sardegna e la Valle d'Aosta.
Il Presidente Terracini mette in votazione l'inclusione della voce
«cave»
nell'elencazione dell'articolo 4.
(È approvata).
Fa presente che è ora in questione l'inclusione della voce
«antichità e belle arti»
nell'elencazione dell'articolo 4.
La mette in votazione.
Nobile dichiara che voterà contro.
(È approvata).
Mette poi in votazione l'inclusione della voce
«turismo»
nella stessa elencazione.
Nobile dichiara di votare contro.
(È approvata).
Mannironi propone di aggiungere, dopo la voce «turismo», la voce «spettacoli».
Il Presidente Terracini osserva che questa parola è troppo generica e chiede all'onorevole Mannironi di spiegare in quale senso egli la intenda.
Mannironi intende riferirsi alla disciplina delle sale di pubblico spettacolo.
Lussu è favorevole alla proposta fatta dall'onorevole Mannironi, perché trova opportuno sottrarre la materia dei pubblici spettacoli allo Stato cui è oggi affidata in base a una legge fascista ancora in vigore.
Conti crede che la questione si potrebbe risolvere includendo i pubblici spettacoli nell'elenco delle materie che possono formare oggetto del potere di integrazione da parte delle Regioni.
Cappi propone la dizione: «concessione e disciplina delle manifestazioni artistiche».
Lami Starnuti suggerisce la seguente espressione: «concessione amministrativa per l'apertura delle sale di pubblico spettacolo».
Lussu rileva che la formulazione proposta dall'onorevole Lami Starnuti ha un carattere troppo particolareggiato e quindi non può formare oggetto di una norma costituzionale.
Il Presidente Terracini condivide l'opinione dell'onorevole Lussu e pertanto ritiene che sia meglio prendere in considerazione la dizione generica proposta dall'onorevole Mannironi. Tiene però a dichiarare che con essa ci si può riferire a tutta una serie di iniziative legislative nel campo dei pubblici spettacoli, come, ad esempio, ai controlli di carattere artistico, a leggi di polizia e in materia fiscale, alla disciplina in genere dell'attività teatrale, cinematografica, sportiva e così via. In altri termini, accogliendo la proposta dell'onorevole Mannironi, si corre il rischio di affidare alla Regione la potestà legislativa su un settore molto largo della vita moderna e non sa quanto ciò possa essere opportuno.
Nobile è contrario alla proposta dell'onorevole Mannironi, perché, se fosse accolta, lo Stato non avrebbe più possibilità di emanare, ad esempio, leggi speciali per indire manifestazioni artistiche di carattere internazionale, che potrebbero essere utili per richiamare nel nostro Paese turisti dalle varie parti del mondo.
Il Presidente Terracini mette in votazione l'inclusione della voce
«spettacoli»
nell'elencazione delle materie dell'articolo 4.
(Non è approvata).
Avverte che ora è in questione l'inclusione della voce
«caccia»
nell'elenco delle materie di cui all'articolo 4.
La mette in votazione.
(È approvata).
Fa presente che si dove ora discutere dell'inclusione del termine «industria».
Nobile comunica di avere constatato che su 68 leggi da lui esaminate, in materia industriale, soltanto 5 si riferiscono ad esigenze di carattere regionale; tutte le altre contengono norme di interesse nazionale e non già quei principî direttivi di cui fa parola l'articolo in discussione. Vi sono leggi che riguardano gli infortuni sul lavoro, i censimenti industriali, l'Ispettorato del lavoro, l'istituzione di enti a carattere nazionale come l'Ente nazionale serico e l'Ente per la produzione e l'utilizzazione della canapa, le autorizzazioni per nuovi impianti industriali, gli orari di lavoro nelle aziende industriali e così via. Si domanda come sia possibile eliminare la potestà legislativa dello Stato in queste materie: ciò andrebbe a detrimento della produzione nazionale e della ripresa del processo produttivo del Paese. Per tali considerazioni si dichiara contrario all'inclusione della voce «industria» nell'elencazione dell'articolo 4.
Zuccarini ritiene, contrariamente a quanto ha affermato l'onorevole Nobile, che soltanto limitando il diritto di intervento dello Stato nel campo dell'industria, potrà essere affrettata la ripresa produttiva ed economica del Paese. Crede che proprio nel campo dell'industria l'intervenzionismo statale si sia spinto di più e sia risultato più particolarmente dannoso, appunto in virtù di alcune di quelle leggi che l'onorevole Nobile ha citato per sostenere il diritto dello Stato ad essere legislatore unico su tale importante materia.
Laconi osserva che, approvando l'inclusione della voce in esame nell'elenco di materie dell'articolo 4, si impedirebbe allo Stato la creazione di enti di carattere nazionale e in genere qualsiasi iniziativa in un ramo di così vitale importanza per il Paese com'è quello industriale. Ciò potrebbe avere dannose ripercussioni sull'attività produttiva e per conseguenza sull'economia del Paese.
Il Presidente Terracini fa presente che, con l'inclusione della voce «industria» nell'elenco delle materie dell'articolo in esame, si escluderebbe a priori la possibilità di procedere a nazionalizzazioni; tanto è vero che in altra occasione ha sentito parlare l'onorevole Lussu di regionalizzazione e non di nazionalizzazione delle industrie.
Lussu precisa che quando parlò di regionalizzazione dell'industria si riferì soltanto alla Sardegna, dove effettivamente alcune industrie possono essere regionalizzate. Ciò non significa per altro che egli abbia mai pensato ad una regionalizzazione dell'industria in Italia. Al contrario, ha sempre rivendicato allo Stato il diritto di procedere a socializzazioni e a nazionalizzazioni nel campo industriale.
Mortati precisa che, attribuendo allo Stato un potere di intervento negli orientamenti generali di politica economica, non si vuole intendere altro che attribuire allo stesso Stato una facoltà legislativa che si estrinsechi in norme direttive e basilari a carattere nazionale. Pertanto l'inclusione della voce «industria» nell'elenco di materie dell'articolo in esame non escluderebbe la possibilità di socializzazioni e nazionalizzazioni.
Il Presidente Terracini prospetta l'ipotesi della nazionalizzazione di una singola industria.
Mortati osserva che anche in tale ipotesi occorrerebbe una legge generale in deroga alle norme comuni e potrebbe manifestarsi l'opportunità di lasciare alla Regione in cui l'industria sorge la possibilità di adattare la deroga apportata al diritto comune ad esigenze locali.
Il Presidente Terracini mette in votazione l'inclusione della voce
«industria»
nell'elenco dell'articolo 4.
Nobile chiede che la votazione su questo punto si faccia per appello nominale.
Il Presidente Terracini indice la votazione per appello nominale.
Lussu dichiara di astenersi dalla votazione e che lo stesso farà per le prossime votazioni riguardanti l'inclusione delle altre materie nell'elenco dell'articolo in esame, perché ritiene che con le varie ripartizioni proposte le idee si siano piuttosto confuse anziché chiarite.
Rispondono sì: Ambrosini, Bulloni, Cappi, De Michele, Mannironi, Mortati, Piccioni, Tosato, Uberti e Zuccarini.
Rispondono no: Bocconi, Bordon, Bozzi, Conti, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo e Terracini.
Si astiene: Lussu.
(Con 10 voti favorevoli, 15 contrari e un'astensione, non è approvata).
[Il Presidente Terracini] Fa presente che è ora in discussione l'inclusione della voce «commercio» nell'elencazione dell'articolo 4.
Nobile ritiene che anche la materia del commercio debba essere riservata alla competenza dello Stato, specie ove si consideri l'assoluta necessità di una disciplina uniforme per il commercio con l'estero.
Einaudi osserva che la materia in discussione non può formare oggetto di una legislazione regionale, perché ciò influirebbe dannosamente sui rapporti tra una Regione e l'altra e quindi su quella libertà di movimento senza cui non è possibile svolgere l'attività commerciale. Alla Regione può competere soltanto la facoltà di regolare alcuni rapporti di carattere strettamente locale, limitatamente cioè all'esercizio delle botteghe e delle aziende; ma una potestà legislativa in questa materia darebbe luogo inevitabilmente in ogni sorta di vincoli e di intralci.
Uberti fa osservare che con l'attribuzione della potestà legislativa alle Regioni nel campo commerciale verrebbero a cessare gli interventi dello Stato nell'ambito delle esigenze locali relativamente alla materia in discussione. Basti ricordare che oggi, accanto alle Camere di commercio, esistono gli uffici provinciali del commercio, i quali sono alle dipendenze del potere centrale. Si tratta di una situazione assurda, che potrà cessare soltanto quando sia attribuita alle Regioni, in materia commerciale, la potestà legislativa di cui all'articolo 4.
Laconi rileva che, se vi è una materia che non deve essere attribuita alla competenza delle Regioni, è proprio quella commerciale. Si potrebbe obiettare che con l'articolo 8 del progetto proposto dal Comitato di redazione si provvede a vietare alle Regioni l'adozione di provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale. Ma è facile rispondere che in materia commerciale si può, con svariati modi, raggiungere determinati intenti per via indiretta.
Einaudi riconosce esatte le considerazioni dell'onorevole Uberti in merito alla coesistenza degli Uffici provinciali di commercio e delle Camere di commercio; ma osserva che ciò non toglie che alle Regioni debba essere attribuita una competenza assai limitata in materia commerciale.
Zuccarini dichiara che, con l'inclusione della voce «commercio» nell'elencazione delle materie di cui all'articolo in esame, sarebbe veramente riconosciuta l'importanza che agli effetti locali hanno le Camere di commercio e sarebbero, così, eliminati quegli uffici provinciali di commercio a cui ha fatto cenno l'onorevole Uberti. In ogni modo tiene a ricordare che con l'articolo 4 si riconosce allo Stato il diritto di emanare norme direttive generali su tutte le materie che si troveranno elencate in quell'articolo. Quindi se la voce «commercio» verrà ad essere inclusa in tale elencazione delle materie, alla Regione sarà attribuito soltanto un compito di legislazione complementare in materia commerciale, a meno che, escludendo tale voce, non si pensi di sopprimere addirittura quelle Camere di commercio che persino nella vecchia legislazione pre-fascista e poi, con altro nome, in quella fascista si riconobbero, più che utili, necessarie.
Mannironi concorda con le osservazioni degli onorevoli Zuccarini e Uberti e fa presente che le stesse ragioni che hanno consigliato di affidare alla competenza regionale la materia dell'agricoltura, valgono anche per una potestà legislativa in materia di commercio. Le preoccupazioni di coloro i quali temono che questa possa ostacolare la libera circolazione delle merci non hanno, a suo avviso, ragione di essere. Osserva in proposito che le Camere di commercio oggi tendono a raggrupparsi non solo nell'ambito nazionale, ma anche in quello internazionale. In ogni modo, non si tratta di attribuire alle Regioni un potere di regolamentazione generale del commercio — compito, questo, che è riservato allo Stato — ma di riconoscere alle Regioni stesse una competenza più specifica, di carattere locale, che può andare dal rilascio delle licenze sino all'anagrafe dei commercianti, questioni che non possono né devono interessare gli organi centrali dello Stato.
Laconi osserva che, ove sia attribuita alle Regioni una potestà legislativa nel campo del commercio, non è detto che esse la esercitino nel senso desiderato di favorire il commercio, indipendentemente dagli interessi locali. Ciò potrebbe anche non accadere; ed è inutile fare affidamento su una determinata linea di condotta da parte delle Regioni, quale vagheggiano gli onorevoli Zuccarini e Mannironi. Importante è decidere se si debba o pur no dare al commercio una regolamentazione regionale.
Il Presidente Terracini ricorda che nel corso della discussione generale più volte è stata fatta presente la necessità di attribuire ai Consigli regionali una potestà legislativa in molte delle materie che attualmente rientrano nella competenza del potere legislativo, per rendere più spedito il funzionamento del Parlamento, che oggi è chiamato a legiferare anche su questioni di minima importanza. Se si considera però l'elenco delle varie materie che finora la Sottocommissione ha deciso di affidare alla competenza delle Regioni, non si riesce facilmente ad immaginare in qual modo i Consigli regionali potranno assolvere il compito che sarà loro demandato, tanto numerose sono le materie su cui saranno chiamati ad esercitare la loro potestà legislativa.
Ciò considerato, crede opportuno non allargare oltre una certa misura questi compiti.
Osserva poi che taluni colleghi sono favorevoli ad includere la voce «commercio» in questa elencazione, forse perché si lasciano suggestionare dal cattivo funzionamento del potere centrale nel momento presente. In verità lo Stato italiano è oggi ancora disorganizzato; ma ciò col tempo dovrà cessare e allora molti degli esempi addotti a dimostrare una presunta incapacità del potere centrale a provvedere alle esigenze locali e, per contro, un'eguale presunta capacità della Regione a risolvere tutti i problemi, perderanno la loro importanza. È bene che ciò non sia dimenticato, se veramente si ha in animo di dare una effettiva efficienza alle Regioni, nel quadro di una vita nazionale ricondotta alla normalità.
Circa le Camere di commercio osserva che esse, pur avendo un largo ambito di iniziative prima del fascismo, non potevano però andare al di là di certi compiti, in quanto erano sottoposte alla legge dello Stato. Oggi, invece, le Camere di commercio vogliono arrogarsi compiti sempre più vasti: si è richiesta per loro addirittura la potestà legislativa nel campo commerciale. Che una domanda simile sia stata avanzata si può facilmente comprendere perché, quando si va oltre un certo limite relativamente al principio della unitarietà delle norme attinenti a determinati aspetti della vita nazionale, facilmente si può arrivare alle conseguenze più estreme.
Certe facoltà non possono essere attribuite alle Regioni. Una prova di ciò, ad esempio, si ha nell'adozione dei calmieri, a cui spesso sono costretti a far ricorso anche gli Stati più liberisti. Difatti, quando circa un mese fa, di fronte a una congiuntura particolarmente acuta della situazione alimentare, si cercò di adottare il sistema dei calmieri in una data Regione, per giustificarne l'abolizione si sostenne, e non a torto, che i calmieri debbono essere applicati non in una singola Regione, ma in tutto il territorio nazionale, perché altrimenti perdono di efficacia. Lo stesso si può dire per il tesseramento, che in Italia con ogni probabilità dovrà ancora durare per un certo periodo, relativamente almeno ad alcuni prodotti. Se si vuole vedere in pratica ciò che in potenza si avrebbe, attribuendo alle Regioni una potestà legislativa nel campo commerciale, basta considerare il grave inconveniente che oggi si verifica nell'ambito di una stessa Regione con i divieti di scambio delle merci, impartiti dai Prefetti, fra provincia e provincia. Se non si vuole tornare a un tipo di economia ormai superata, di carattere quasi medievale, occorre assolutamente evitare che alle Regioni sia concessa una potestà legislativa in materia di commercio.
Pone in votazione l'inclusione della voce
«commercio»
nell'elenco dell'articolo 4.
Nobile chiede che la votazione si faccia per appello nominale.
Il Presidente Terracini indice la votazione per appello nominale.
Conti voterà a favore dell'inclusione della voce «commercio» nell'elenco di materie dell'articolo 4, perché ritiene che la disciplina dell'attività commerciale, a differenza di quella per l'industria, possa essere attribuita alle Regioni.
Ambrosini, Relatore, voterà per l'attribuzione alle Regioni della potestà legislativa in materia di commercio, perché in virtù dell'articolo 4 lo Stato ha sempre il diritto di emanare norme direttive nelle varie materie affidate alla competenza regionale.
Perassi si asterrà dal votare, perché ritiene che con la parola «commercio» sia attribuita alle Regioni una competenza troppo ampia.
Rispondono Sì: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Conti, De Michele, Mannironi, Mortati, Piccioni, Tosato, Uberti, e Zuccarini.
Rispondono No: Bocconi, Bordon, Bozzi, Einaudi, Fabbri, Finocchiaro Aprile, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo e Terracini.
Si astengono: Lussu e Perassi.
(Con 11 voti favorevoli, 13 contrari e 2 astensioni, non è approvata).
Il Presidente Terracini apre la discussione sull'inclusione della voce «acque pubbliche ed energia elettrica» nell'elencazione di materie dell'articolo 4.
Nobile trova che, attribuendo alle Regioni la potestà legislativa in materia di energia elettrica, si andrebbe contro la realtà dei fatti, visto che l'energia elettrica prodotta in un posto può essere trasportata anche nelle località più lontane. Non si può ritenere, quindi, che la produzione dell'energia elettrica sia di interesse regionale.
Conti riconosce che non vi possono essere dubbi sul carattere nazionale che ha la produzione dell'energia elettrica. Ciò però non si può dire per le acque pubbliche che possono essere adibite a vari usi; ad esempio a scopo di irrigazione. Bisognerebbe quindi distinguere le grandi forze idrauliche di interesse nazionale, da quelle di portata più modesta che possono essere di interesse locale.
Uberti è favorevole all'inclusione della voce in esame nell'elenco di materie dell'articolo 4. A suo avviso lo Stato non può essere l'unico regolatore della materia in discussione, perché spesso può accadere che esso, con il pretesto dell'utilità generale, ma in realtà sotto la spinta di inconfessati interessi particolaristici, si faccia promotore di iniziative e di opere che poi arrecano gravissimi danni all'economia locale. A riprova di questa sua affermazione può citare l'esempio della diversione del fiume Adige nel lago di Garda, voluta sotto il fascismo contro la decisa opposizione di un'intera provincia.
Il Presidente Terracini fa osservare all'onorevole Uberti che gli inconvenienti da lui lamentati potrebbero verificarsi assai più facilmente ove fosse attribuito alle Regioni, che sono organismi più deboli dello Stato, una potestà legislativa sulla materia in esame. A certe forti pressioni di interessi particolaristici, infatti, può meglio reagire lo Stato che non la Regione.
In ogni modo, se è vero che la costruzione di una grande opera, quale ad esempio quella di un bacino idrico, può a volte causare turbamenti agli immediati interessi di alcune persone e persino sconvolgere la natura dei luoghi in cui dev'essere eseguita, non per questo essa non dovrà essere attuata, se possa riuscire utile a tutto il Paese.
Lussu ha già dichiarato che si asterrà dal votare sull'inclusione delle varie materie nell'elenco dell'articolo 4. In ogni modo, se dovesse votare, voterebbe contro la proposta di attribuire alle Regioni la potestà legislativa sulla materia in discussione. Il problema idraulico in Italia, infatti, non può essere risolto che da un punto di vista unitario. A tale regola si può forse fare un'eccezione soltanto per la Sicilia e la Sardegna.
Lami Starnuti fa osservare all'onorevole Lussu che anche per la Sicilia e la Sardegna si impone una soluzione unitaria del problema dell'energia elettrica, almeno per quel che riguarda il costo di essa. Difatti è stato proprio per l'alto prezzo di tale energia che non si è giunti a una efficiente industrializzazione del Mezzogiorno. A suo avviso, sarebbe meglio includere la voce «acque pubbliche», non già nell'elencazione delle materie dell'articolo 4, bensì in quella delle materie dell'articolo 4-bis, secondo quanto ha proposto l'onorevole Mortati.
Bordon ritiene che la questione in esame sia molto complessa e che pertanto sarebbe meglio trattare separatamente il problema delle acque pubbliche e quello dell'energia elettrica.
Per le acque pubbliche è da tener presente che esse, ad esempio, nello statuto speciale della Sicilia sono dichiarate di proprietà della Regione. Da ciò che ha udito nel corso della discussione però, gli sembra che alcuni intendano per acque pubbliche anche certe che, a suo avviso, sono acque private. Bisognerebbe quindi evitare ogni dubbio in proposito. Lo stesso si può dire per la voce «energia elettrica», con la quale non si sa se, ad esempio, si possa fare riferimento a una centrale elettrica nazionalizzata.
Ciò considerato, reputa opportuno astenersi dal votare.
Mannironi dichiara di essere favorevole all'inclusione della voce «acque pubbliche ed energia elettrica» nell'elenco di materie dell'articolo 4 perché, se una Regione ha la fortuna di avere acque in abbondanza e quindi la possibilità di costruirsi una centrale idroelettrica, ritiene giusto che essa abbia il vantaggio di poter distribuire la energia elettrica ai propri abitanti a un prezzo minore di quello a cui tale energia è distribuita agli abitanti di altre Regioni.
D'altra parte, poiché occorre che i bilanci regionali non siano troppo scarsamente dotati, se veramente si vuole assicurare una certa autonomia alle Regioni, sarebbe opportuno che una percentuale dell'imposta sull'energia elettrica andasse a vantaggio della Regione.
Per queste considerazioni è favorevole ad attribuire alle Regioni la potestà legislativa in materia di acque pubbliche e di energia elettrica.
Einaudi fa osservare all'onorevole Conti che gli sviluppi della moderna tecnica richiedono un coordinamento fra lo sfruttamento delle acque a scopo d'irrigazione e quello ai fini della produzione dell'energia elettrica.
Circa poi l'attribuzione alle Regioni della potestà legislativa di cui all'articolo 4 in materia di energia elettrica, deve dire che soltanto a sentir enunciare una tale proposta gli sembra di vivere in un mondo completamente irreale. Le esigenze e la tecnica del mondo moderno impongono e facilitano il collegamento di tutti gli impianti di energia elettrica; onde uno sfruttamento soltanto locale delle acque sarebbe un assurdo.
Qualcuno ha anche accennato ai prezzi dell'energia elettrica. Ora, la loro riduzione non si potrà conseguire se non con il migliore sfruttamento delle acque, ossia con uno sfruttamento che sia possibilmente il più razionale e il più coordinato in tutta l'estensione del territorio nazionale. Chi si preoccupa, e giustamente, che siano salvaguardati gli interessi regionali non dovrebbe dimenticare che nel progetto proposto dal Comitato esiste l'articolo 5, per cui si assicura alla Regione la facoltà di proporre disegni di legge al Parlamento nazionale. Ciò potrà permettere alle Regioni di tutelare i propri interessi.
In ogni modo, soltanto con una disciplina unitaria della materia in esame potranno essere garantiti non solo gli interessi generali, ma anche quelli di carattere locale.
Per queste considerazioni si oppone all'inclusione della voce «acque pubbliche ed energia elettrica» nell'elenco di materie dell'articolo 4.
Il Presidente Terracini ritiene che sarebbe assai pericoloso attribuire alle Regioni una potestà legislativa sulla materia in esame. A tale proposito basta ricordare che in Umbria, da parte di alcuni interessati, s'insiste fortemente perché tale Regione non solo sia autonoma, ma possa anche unirsi ad altri territori circonvicini sì da formare un tutto unico come centro di produzione idroelettrica, con il fine dichiarato di dominare economicamente l'Italia centrale.
Ambrosini, Relatore, propone di aggiungere alla voce «acque pubbliche ed energia elettrica», le seguenti parole: «in quanto il loro regolamento non incida sull'interesse dello Stato o di altre regioni», secondo quella che era, relativamente alla materia suddetta, la formulazione originaria della disposizione in esame.
Conti si associa alla proposta dell'onorevole Ambrosini.
Il Presidente Terracini mette in votazione l'inclusione della voce
«acque pubbliche ed energia elettrica»
nell'articolo 4, seguita dalle parole:
«in quanto il loro regolamento non incida sull'interesse dello Stato o di altre Regioni».
Piccioni domanda che la votazione avvenga per appello nominale.
Fabbri voterà contro, perché gli allacciamenti delle linee dell'energia elettrica sono oggi di un'urgenza di carattere nazionale.
Nobile voterà contro per le stesse ragioni esposte dall'onorevole Fabbri.
Rispondono Sì: Ambrosini, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, De Michele, Mannironi, Mortati, Perassi, Piccioni, Tosato, Uberti, Zuccarini.
Rispondono No: Bocconi, Bozzi, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini.
Si astengono: Bordon, Finocchiaro Aprile, Lussu.
(Con 13 voti favorevoli, 11 contrari e 3 astensioni, è approvata).
A cura di Fabrizio Calzaretti