[Il 22 novembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.]
Mannironi ricorda la sua proposta di considerare insieme alle acque pubbliche — la cui inclusione nell'articolo 4 è stata approvata dalla Sottocommissione — anche le acque minerali e termali.
Ricorda che numerosissimi furono i tentativi, dopo il 1870, di unificare le disposizioni riguardanti il regime delle acque minerali e termali, comprese nelle varie legislazioni dei diversi Stati italiani preesistenti all'unificazione del Regno; ma soltanto nel 1927 fu possibile al Governo regolare anche questa materia nel testo unico delle leggi minerarie. Ritiene che nulla osti oggi ad una nuova separazione della legislazione relativa alle acque minerali e termali da quella delle miniere ed alla sua inclusione nell'elenco delle materie da considerare nell'articolo 4, sia in considerazione della limitata importanza economica, sociale e politica che tali acque possono avere, sia per il fatto che lo Stato avrà sempre la possibilità di dettare al riguardo delle norme generali. Fa presente che, del resto, lo Stato si riserva su tali sorgenti soltanto una funzione di controllo generico circa l'apertura di stabilimenti e di vigilanza ai fini del pubblico interesse e dell'igiene, servizi che possono essere senza pericolo od inconvenienti esercitati dalla Regione, come l'ente che ha maggiore interesse a che queste fonti di ricchezza siano gestite nella forma più idonea per il loro più intenso sviluppo e sfruttamento.
Einaudi per ragioni di euritmia legislativa riterrebbe più opportuno assimilare le acque minerali e termali alle miniere — in quanto ha scarsa importanza il fatto che le sostanze minerali siano allo stato solido o disciolte nell'acqua — anziché alle acque pubbliche e all'energia elettrica.
Fabbri concorda con l'onorevole Einaudi e ritiene che tanto le miniere quanto le acque minerali e termali debbano essere considerate nell'articolo 4 bis.
Mannironi insiste sull'opportunità di considerare le acque minerali e termali separatamente dalle miniere e di includerle nell'articolo 4.
Nobile ritiene, invece, che questa materia debba essere assimilata alle miniere. È del parere che lo Stato non debba essere escluso dal controllo e anche dalla gestione di queste sorgenti, perché i futuri sviluppi della tecnica potrebbero far sgorgare dal sottosuolo italiano, ad esempio, una sorgente contenente sostanze tali da farle assumere un'importanza nazionale.
Perassi ritiene che la potestà di rilasciare concessioni per l'esercizio di stabilimenti termali possa essere conferita alla Regione. Osserva d'altra parte che nulla impedirà allo Stato di costituire, per la gestione di una sorgente di particolare importanza, un ente nazionale.
Il Presidente Terracini è anch'egli del parere che una tale potestà legislativa possa essere attribuita, senza alcuna preoccupazione, alla Regione.
Pone ai voti l'inclusione, fra le materie considerate nell'articolo 4, delle
«acque minerali e termali».
(È approvata).
Apre la discussione sulla voce «miniere».
Nobile propone la cancellazione di questa voce dall'elenco in esame, perché ritiene che le miniere siano di interesse esclusivamente nazionale e quindi lo Stato non debba essere posto, in questo campo, in stato di inferiorità rispetto alla Regione, la quale potrebbe anche impedire lo sfruttamento di talune di queste fonti di ricchezza.
Ambrosini, Relatore, ricorda che a base di queste norme è il presupposto della salvaguardia degli interessi nazionali; non vede quindi la ragione di escludere dall'elencazione contenuta nell'articolo 4 le miniere.
Il Presidente Terracini pone in votazione l'inclusione nell'articolo 4 della voce
«miniere».
Nobile domanda che la votazione abbia luogo per appello nominale.
Il Presidente Terracini indice la votazione per appello nominale.
Rispondono Sì: Ambrosini, Bordon, Bulloni, Cappi, Codacci Pisanelli, Conti, Mannironi, Perassi, Tosato, Uberti, Zuccarini.
Rispondono No: Bocconi, Bozzi, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini.
Si astiene: Mortati.
(Con 11 voti favorevoli, 11 contrari ed un'astensione non è approvata).
Il Presidente Terracini apre la discussione sulla voce «riforme economiche e sociali».
Fabbri si dichiara contrario — data anche la genericità dell'espressione — a concedere alla Regione la competenza legislativa in questa materia.
Laconi osserva che tale voce aveva uno scopo, se posta in rapporto con la formulazione dell'articolo proposto dal Comitato di redazione, mentre ora, sostituita a tale formulazione quella proposta dall'onorevole Mortati, non ha più ragion d'essere.
Cappi concorda con l'onorevole Fabbri nel ritenere troppo generica l'espressione.
Mortati è del parere che le materie delle quali la Sottocommissione non approvi l'inclusione nell'articolo 4, possano essere di nuovo prese in considerazione quando si discuterà l'articolo 4-bis.
Ambrosini, Relatore, avverte che tali voci, le quali erano state studiate e vagliate singolarmente dal Comitato in rapporto alla dizione dell'articolo 4 del progetto, possono non risultare più idonee alla formulazione proposta dall'onorevole Mortati.
Zuccarini dichiara che in sede di Comitato manifestò il suo parere sfavorevole alla inclusione di questa voce, perché si andrà molto verosimilmente verso un periodo di grandi riforme sociali, le quali non possono non avere portata ed applicazione nazionale. È favorevole al rinvio dell'esame di questo argomento a quando si discuterà l'articolo 4-bis.
Mannironi concorda sull'opportunità di rinviare la decisione sulle riforme economiche e sociali al momento in cui si discuterà l'articolo 4-bis.
Il Presidente Terracini propone che questo argomento sia rinviato a quando si prenderà in esame l'articolo 4-bis.
(Così rimane stabilito).
Pone ora in discussione la voce
«ordinamento sindacale».
Zuccarini non riesce a pensare l'ordinamento sindacale come materia da essere disciplinata così da parte dello Stato come da parte della Regione. Per pensarlo bisognerebbe presupporre un ritorno al sistema sindacale e corporativo del fascismo. Egli è per il sindacato libero e liberamente organizzato dagli interessati. Del resto, la libertà sindacale è stata contemplata e affermata nelle deliberazioni della prima e della terza Sottocommissione, delle quali si deve tenere conto. Esclude ad ogni modo che questa materia possa essere contemplata in questo come negli altri articoli 4-bis e 4-ter.
Fabbri ritiene che le disposizioni di carattere generale sull'ordinamento sindacale siano di importanza assolutamente nazionale e che non sia il caso di interferire su di esse con provvedimenti emanati da una altra fonte legislativa. Si dichiara perciò contrario alla inclusione, nell'articolo 4, dell'ordinamento sindacale, che, se mai, potrà essere tenuto presente nell'articolo 4-bis.
Il Presidente Terracini premette che l'esame della struttura del sindacato nell'ambito della vita nazionale non rientra nella competenza della Sottocommissione, la quale ora deciderà soltanto se — una volta risolto il problema del riconoscimento giuridico dei sindacati, in relazione alla validità dei contratti collettivi di lavoro — sia opportuno o meno considerare compito esclusivo dello Stato quello di legiferare sui sindacati stessi. Esclude che la potestà legislativa su questa materia possa essere deferita alla Regione, anche in forma di integrazione, perché il problema del rapporto di lavoro non può trovare la sua soluzione nell'ambito regionale. Aggiunge che la registrazione — forma con la quale la terza Sottocommissione ha previsto il riconoscimento giuridico — ha carattere nazionale, così come ha carattere nazionale la Confederazione generale del lavoro.
Zuccarini chiarisce che il sindacato libero non esclude la possibilità dei contratti collettivi a carattere nazionale, ed anche il riconoscimento da parte dello Stato di certi diritti e di certe garanzie che dovrebbero aver vigore in tutta la Nazione. La misura ed i criteri di applicazione non possono però non tener conto delle diversità di economia e di situazione che si riscontrano nelle varie Regioni.
Il Presidente Terracini fa osservare all'onorevole Zuccarini che forse a lui sfugge un elemento: mentre il rapporto di lavoro è eguale per tutti i lavoratori, diversa ne è la regolamentazione; sì che i lavoratori più progrediti sostengono le aspirazioni di quelli più arretrati, e quindi in tanto si può ottenere, per esempio, nella Campania un determinato livello di salari, in quanto nella Lombardia se ne ottiene un altro.
Zuccarini dice che è verissimo che ogni conquista nel campo del lavoro ha le sue benefiche ripercussioni nelle più diverse e distanti Regioni. Ma, mentre vi sono realizzazioni sociali che la legge fa benissimo a consacrare e a rendere obbligatorie, come il massimo delle ore di lavoro settimanale, le norme a tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, l'assistenza sociale, ecc., ciò che è di puro carattere sindacale, come le retribuzioni, le forme d'impiego ecc. rientra nel quadro dell'adattamento locale. Questo per tutte le attività e in special modo per ciò che si riferisce all'agricoltura, le cui situazioni sono diversissime spesso nell'ambito della stessa Regione.
Codacci Pisanelli prospetta la opportunità di includere l'ordinamento sindacale in quest'articolo, perché — tenuto presente che nel comune si ha la riunione, in un unico ente, di tutti coloro che abitano nella stessa zona, mentre nel sindacato si ha la riunione in un unico ente di tutti quelli che esercitano lo stesso mestiere — se si è applicato il principio del decentramento per quanto riguarda i Comuni e la Regione, sarebbe necessario, per coerenza, riconoscere anche al sindacato la possibilità di autogovernarsi.
Mortati pensa che proprio per le ragioni esposte dall'onorevole Codacci Pisanelli si possa giungere alla conclusione opposta. Se, cioè, si ammette l'autonomia per i Comuni, non vi è nessuna ragione per escluderla nei riguardi delle associazioni professionali, alle quali deve essere affidato la decisione su tutti quegli adattamenti locali di cui parlava l'onorevole Zuccarini. Quindi alla Regione non dovrebbe rimanere nessuna ragione di intervento in materia.
Einaudi osserva che si sta parlando dell'argomento, pur nell'incertezza di quello che è stato deliberato dalle altre Sottocommissioni. Ma poiché si deve, in questa sede, decidere intorno alla competenza legislativa dello Stato o della Regione, dichiara di essere d'accordo, ma solo fino a un certo punto, con quello che ha detto il Presidente.
Richiama l'evoluzione storica dei sindacati, dal secolo passato ad oggi, dai sindacati locali di arti e mestieri, ai sindacati prima regionali e poi nazionali, evoluzione che ha permesso alla classe lavoratrice di giungere all'affermazione di quella che si chiama la regola comune, in base alla quale tutti coloro che prestano un determinato servizio debbono essere remunerati su una certa base, che rappresenta il minimo dal quale si deve partire. Dal contrasto fra il sindacato operaio — da cui è partita l'iniziativa — ed il sindacato industriale è risultato un maggiore perfezionamento dei sindacati stessi, che ha portato alla formazione di due grandi Confederazioni, quella del lavoro e quella dell'industria, tra le quali si svolgono le trattative per stabilire la regola comune. Tutto ciò ha lo scopo di spingere in alto, e non mai in basso, sia le industrie che gli operai; e le industrie arretrate, che non riescono a sostenere i salari imposti dalla regola comune, sono fatalmente destinate a scomparire.
Fa presente però un grave pericolo per l'interesse collettivo: quello che le due forze monopolistiche, le quali hanno raggiunto un grado di padronanza completa rispetto ai lavoratori e ai datori di lavoro, si accordino fra loro allo scopo di massimizzare i redditi dell'una e dell'altra parte; fatto, questo, che sarebbe contrario all'interesse collettivo, perché la massimizzazione si ottiene non aumentando la produzione, ma tenendola al di sotto del normale, ciò che porta come conseguenza la disoccupazione. Ora si sta appunto entrando in questa fase, sebbene il pericolo ancora non abbia assunto forma molto imponente; ma è necessario fin da ora contrapporre altre forze, che cerchino di contrastare gli eccessi dei due monopolizzatori.
Non esclude la possibilità che, attraverso la legislazione di integrazione da esaminare all'articolo 4-bis, senza ostacolare il movimento grandioso verso l'unità sindacale, si possa impedire la lesione dell'interesse della collettività; in altre parole, ritiene che gli eccessi delle organizzazioni sindacali debbano trovare qualche correttivo, e questo può essere la legislazione modificatrice affidata alle singole Regioni.
Il pericolo che conduce il mondo moderno alla ossificazione, alla decadenza economica e sociale, può essere controbilanciato da forze spontanee che possono sorgere qua e là, e il cui sviluppo una legislazione nazionale uniforme non potrebbe favorire.
Laconi ha ascoltato con molto interesse l'esposizione dell'onorevole Einaudi; ma gli sembra che essa non risponda alla questione in esame, perché il pericolo da lui prospettato si può concepire soltanto in termini astratti.
Einaudi afferma che il pericolo è viceversa così attuale, che si sta ora verificando in Inghilterra.
Laconi spiega che egli parlava di termini astratti, perché astratta è la generalizzazione. L'onorevole Einaudi, infatti, identifica il pericolo di cui ha parlato non in particolari aggruppamenti, ma nella classe operaia in genere.
Einaudi replica per far presente che dal 1906 al 1914 il pericolo in Italia si è verificato, quando si sono trovate in combutta le organizzazioni operaie e quelle padronali.
Il Presidente Terracini spiega che ciò si è verificato, perché nell'interno dei sindacati operai si sono create delle differenziazioni aristocratiche.
Laconi fa presente che un pericolo del genere di quello segnalato dall'onorevole Einaudi potrà svilupparsi in campo internazionale, ma non nell'interno del nostro Paese, essendo completamente al di fuori della reale situazione storica dell'Italia in questo momento; e comunque ritiene che a queste difficoltà non porterebbe rimedio alcuno una legislazione sindacale diversa da Regione a Regione. D'altra parte pensa che vi sarebbe certamente una reazione da parte delle organizzazioni dei lavoratori se — attraverso una regolamentazione regionale dei problemi sindacali — si tentasse, oggi che il Paese si avvia ad una disciplina democratica, di costringere il movimento operaio entro delle strettoie e di limitare il progresso storico per cui esso va diventando un fenomeno generale nazionale.
Fabbri fa rilevare che si sta confondendo il problema giuridico dell'ordinamento sindacale, del quale ci si deve occupare, con quello della politica sindacale: il contrasto di opinioni tra l'onorevole Einaudi e l'onorevole Laconi ha attinenza al secondo problema e non ha nulla a che vedere con l'ordinamento sindacale.
La Rocca non vede come si possa distaccare l'ordinamento giuridico dalla politica sindacale, perché l'ordinamento giuridico non è altro che il linguaggio della legge su determinati rapporti economici e sociali.
Non crede poi, limitando l'esame al campo nazionale, che possa verificarsi l'eventualità, accennata dall'onorevole Einaudi, della conciliazione dei due termini antitetici, e cioè che la classe lavoratrice si metta d'accordo con la classe padronale ai danni della collettività. D'altra parte pensa che, se si attribuisse alla Regione potestà di legiferare in materia sindacale, si verrebbe a minare alla base quella che è la prospettiva comune di tutti i democratici, perché non è ammissibile che, mentre in una Regione si fa un determinato trattamento ad una categoria di lavoratori, in un'altra Regione se ne faccia un altro. Ritiene all'opposto che, se v'è un gruppo di lavoratori che, interpretando gl'interessi di tutti gli altri, riesce a giungere ad un determinato livello, gli altri debbono avvantaggiarsi dei risultati di questa lotta e non rimanere indietro.
Rossi Paolo ritiene che le considerazioni dell'onorevole Einaudi portino a conclusioni opposte a quelle da lui tratte; e cioè che, quanto più vi sono regolamentazioni locali, tanto più è facile che si crei il pericolo di monopolio ai danni della collettività; donde la conseguenza che bisogna evitare tale regolamentazione locale.
Perassi, riallacciandosi alle osservazioni dell'onorevole Fabbri, precisa che il problema da risolvere è il seguente: se le norme giuridiche relative all'ordinamento sindacale siano o meno da comprendersi tra quelle che si possono regolare con leggi regionali, o se in questa materia si debba lasciare soltanto allo Stato il compito di legiferare. Personalmente ritiene che la potestà di emanare norme che regolino l'azione sindacale, lo sciopero, la serrata, i conflitti di lavoro, debba essere riservata allo Stato, in quanto in esse è previsto, ad esempio, l'intervento degli organi giudiziari; onde questa materia non può far parte dell'articolo 4; se mai, si potrà vedere se sia possibile includerla nell'articolo 4-bis.
Ravagnan, poiché la materia in discussione è di competenza della terza Sottocommissione, propone di sopprimere dall'articolo 4 le due voci dell'ordinamento sindacale e dei rapporti di lavoro, per evitare contrasti con le decisioni della terza Sottocommissione. Comunque, questi argomenti potranno, se mai, essere nuovamente considerati in occasione dell'esame dell'articolo 4-bis.
Conti concorda con l'onorevole Ravagnan sull'opportunità che queste due voci vengano soppresse nell'articolo 4, in quanto ritiene che lo Stato debba entrare il meno possibile nel merito di tali materie. Rivendica però l'autonomia della Sottocommissione per quanto riguarda gli argomenti in discussione: gli eventuali contrasti potranno essere risolti in sede di Commissione plenaria.
Il Presidente Terracini pone il problema nei seguenti termini: quale dovrà essere l'atteggiamento della Regione, se si avrà una legislazione nazionale di carattere sindacale? Rileva, quindi, a proposito dell'affermazione dell'onorevole Ravagnan, che nella terza Sottocommissione si è discusso di un riconoscimento giuridico dei sindacati; onde, se il principio verrà accettato anche dall'Assemblea Costituente, è evidente che si avrà una legislazione nazionale in materia.
Fa presente che l'inserimento nell'articolo 4 di una disposizione concernente l'ordinamento sindacale può essere uno strumento atto a spezzare l'unità del movimento sindacale su scala nazionale, strumento di cui si potranno servire coloro ai quali può interessare la polverizzazione delle organizzazioni sindacali. Per tali motivi, e convinto com'è della necessità di una sempre più larga saldatura del movimento operaio, si dichiara contrario all'inclusione dell'ordinamento sindacale fra le materie elencate nell'articolo 4.
Comunque, pone ai voti questa proposta.
Laconi chiede che la votazione si faccia per appello nominale.
Il Presidente Terracini indice la votazione per appello nominale.
Codacci Pisanelli voterà a favore del mantenimento nell'articolo 4 della voce relativa all'ordinamento sindacale, perché ritiene che i pericoli prospettati siano insussistenti, tenuto presente anche che la potestà legislativa in questo campo non potrà essere spiegata in contrasto con i principî fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato e con gli interessi nazionali.
Fabbri dichiara che voterà contro per i motivi già accennati.
Zuccarini voterà sia contro l'inclusione di tale materia nell'articolo 4, che per un suo trasferimento nell'articolo 4-bis.
Mannironi dichiara di aderire alla proposta dell'onorevole Ravagnan di trasferire tale materia nell'articolo 4-bis.
Ambrosini, Relatore, dichiara di astenersi dalla votazione, in considerazione del nuovo significato assunto dall'articolo 4.
Risponde Sì: Codacci Pisanelli.
Rispondono No: Bocconi, Bordon, Bozzi, Bulloni, Cappi, Conti, Einaudi, Fabbri, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Mannironi, Mortati, Nobile, Perassi, Piccioni, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Tosato, Zuccarini.
Si astengono: Ambrosini, Finocchiaro Aprile.
(Con 1 voto favorevole, 21 contrari e 2 astensioni non è approvata).
Il Presidente Terracini pone in discussione la voce «rapporti di lavoro».
Piccioni propone che dell'argomento si tratti a proposito dell'articolo 4-bis.
Il Presidente Terracini concorda.
(Così rimane stabilito).
Pone in discussione la voce
«disciplina del credito, dell'assicurazione e del risparmio».
Einaudi si dichiara contrario all'inclusione di questa materia nell'articolo 4. Ricorda di avere già manifestato altra volta la sua opinione in proposito, rilevando che la legislazione esistente in materia merita di essere conservata, pur migliorandola progressivamente. La legge vigente in materia di credito, del 1936, la quale è il risultato di un'antica esperienza e di lunghe evoluzioni che hanno portato tecnicamente a quella conclusione — salvo alcune modifiche necessarie — può essere infatti accettata anche per l'avvenire. Poiché la politica del credito non può essere fatta se non secondo determinati criteri generali, ritiene che non sia possibile stabilire una legislazione di carattere regionale su tale materia: così, la politica del tasso dello sconto, quella delle restrizioni e delle agevolazioni in materia creditizia debbono essere la logica conseguenza di direttive centrali determinate dalla situazione economica generale del paese. Non sarebbe pensabile la coesistenza di diversi tassi di sconto nelle varie Regioni.
Fa presente la sola critica mossa a questa politica unitaria, e cioè che alcune Regioni si sarebbero in passato — e continuerebbero ad esserlo oggi — locupletate a danno dei depositi di altre Regioni; cioè che i depositi delle Regioni più povere sarebbero investiti nelle Regioni più ricche. Dà a questo proposito notizia alla Sottocommissione del risultato di alcune ricerche compiute dagli uffici della Banca d'Italia sull'impiego dei depositi nelle varie Regioni. Premesso che i dati raccolti vanno dal 1938 al 1945 e che la percentuale degli impieghi ai depositi in tutto lo Stato alla fine del 1945 era del 41 per cento (e cioè su 100 lire di depositi ne erano impiegate solo 41 in sconti, anticipazioni, riporti, cioè in tutte le operazioni di carattere commerciale); che le operazioni di carattere commerciale non fanno capo alle sedi centrali degli istituti di credito, ma vengono decise ed eseguite dalle singole sedi locali (alle sedi centrali affluiscono solo le operazioni di carattere statale: acquisti di buoni del tesoro, depositi presso il tesoro e presso la Banca d'Italia); dà lettura delle percentuali degli impieghi, dalle quali si rileva come non vi sia alcuna Regione italiana nella quale i depositi locali siano utilizzati localmente per intero, ad eccezione della Lucania; e come in genere si riscontri una maggiore utilizzazione locale nelle regioni meridionali nei confronti delle settentrionali, le quali forniscono materia più abbondante ai depositi non utilizzati localmente, che, come tutti sanno, sono trasferiti al centro, cioè allo Stato.
Perassi domanda se in questi dati sono compresi tutti i depositi, o soltanto i depositi presso gli istituti nazionali.
Einaudi risponde che sono compresi tutti i depositi, incluse le banche locali. Si tratta di 411 milioni. La sola eccezione è data dalle Casse postali di risparmio, i cui fondi affluiscono alla Cassa depositi e prestiti.
Mortati domanda all'onorevole Einaudi di chiarire le ragioni del fenomeno da lui denunciato nei riguardi della Lucania, la quale è forse la Regione più povera d'Italia.
Einaudi fa presente che la Lucania ha pochi depositi di risparmio locale e quindi ha bisogno di ricevere, per soddisfare alle sue esigenze di credito, somme provenienti da altre Regioni; il che dimostra che non è necessaria una coattiva distribuzione regionale del credito. La distribuzione avviene spontaneamente, a seconda delle esigenze dell'industria.
Fa presente un altro pericolo che può derivare dal fatto di voler disciplinare tale materia con una legislazione di carattere locale, e cioè che la legislazione locale possa, ad un certo momento, essere dannosa agli interessi nazionali. Cita, ad esempio, quanto si verifica negli Stati Uniti — dove malgrado la tendenza a rendere federale la legislazione su questa materia, esistono ancora larghi residui di legislazione statale — in cui una disposizione statale vigente in numerosi Stati, — come ad esempio, quelli di New York, Massachusetts, Chicago, New Jersey, Pennsylvania, che sono i principali centri bancari — vieta l'emissione di titoli da parte di enti internazionali, impedendo così alla Banca per la ricostruzione internazionale — finché tale divieto non sarà tolto dalle rispettive legislazioni — l'emissione di titoli, che sul mercato americano costituisce la fonte principale da cui si possono ricavare i mezzi per fare prestiti. Poiché l'Italia dovrà chiedere prestiti alla Banca della ricostruzione, è bene prendere nota dei limiti che la legislazione regionale può porre ai movimenti di capitale fra Stato e Stato e cercare noi di non porre per conto nostro impedimenti consimili.
Conclude dichiarando di non avere tuttavia difficoltà a trasferire questa materia all'articolo 4-bis.
Fabbri dichiara di essere contrario all'inclusione della disciplina del credito, dell'assicurazione e del risparmio nell'articolo 4, per le considerazioni svolte dall'onorevole Einaudi e per quelle precedentemente fatte dall'onorevole Vanoni.
Il Presidente Terracini, a sostegno della tesi favorevole alla esclusione di tale materia dall'articolo 4, fa presente che, come condizione essenziale per lo sviluppo dell'economia basata sull'iniziativa di carattere privato è la massima mobilità del credito e del denaro, così per lo sviluppo dell'economia sottoposta a norme di carattere nazionale è necessario che lo Stato possa disporre delle possibilità finanziarie di tutto il Paese e quindi, essenzialmente, del credito e del risparmio.
Quanto all'assicurazione, rileva che, se vi fosse stata una legislazione di carattere regionale, non sarebbe stato possibile nel 1912 attuare la nazionalizzazione delle assicurazioni, che nel quadro della politica finanziaria e sociale d'Italia rappresenta ancora oggi un progresso così notevole: sarebbe stata sufficiente l'opposizione da parte di una Regione per ostacolare l'attuazione del progetto.
Einaudi attira l'attenzione della Sottocommissione anche sulla riassicurazione, che oggi non è possibile fare con la semplice organizzazione di un singolo paese, in quanto essa ha luogo fra uno Stato e l'altro.
Il Presidente Terracini pone ai voti l'inclusione nell'articolo 4 della disciplina del credito, del risparmio e dell'assicurazione.
(Non è approvata).
Apre ora la discussione sulla voce:
«istruzione elementare».
Ricorda che su questo argomento è stata presentata dall'onorevole Mannironi la proposta di considerare nell'articolo 4 anche l'istruzione media e superiore.
Nobile ritiene che lo Stato abbia il dovere di dare le direttive generali e i mezzi per l'istruzione elementare, pur riconoscendo che ciò espone all'inconveniente di una certa uniformità nell'insegnamento; ma rileva che questo inconveniente — che potrebbe anche non essere tale — è infinitamente minore dell'altro di attribuire alle Regioni la potestà legislativa su questa materia, per cui alcune farebbero dei progressi ed altre dei regressi. Il problema dell'analfabetismo in molte Regioni del Mezzogiorno e nelle Isole è tuttora assai grave. Esso è un problema nazionale. Non si può lasciare all'arbitrio di una singola Regione se e come affrontarlo. Vi sono contadini nel Mezzogiorno che si trovano nella impossibilità di mandare a scuola i loro bambini. È anche da notare che una scuola elementare moderna richiede mezzi finanziari notevoli, che è dovere dello Stato provvedere per assicurare a tutti i fanciulli l'educazione necessaria e la possibilità di sviluppare le loro capacità.
Conclude esprimendo l'avviso che si debba cancellare questa voce dall'articolo 4 e considerarla invece nell'articolo 4-bis.
Perassi, dichiarandosi contrario alla inclusione dell'istruzione elementare nell'articolo 4, ricorda l'opinione di uno dei più strenui federalisti italiani, Alberto Mario, il quale sosteneva la necessità di affidare allo Stato la potestà legislativa su tale materia.
Einaudi è favorevole all'inclusione nell'articolo 4 dell'istruzione elementare non solo, ma anche di quella media e superiore, poiché non vede quali pericoli potrebbero derivare dal togliere l'ingerenza in questa materia allo Stato, che finora non ha fatto altro che male.
Ambrosini, Relatore, è anche egli favorevole ad includere l'istruzione nell'articolo in esame, perché si tratta di materia che i regionalisti hanno sempre ritenuta di competenza della Regione.
Cappi è favorevole all'inclusione della istruzione elementare e media, sia perché vede in tale inclusione una garanzia di libertà di fronte ai pericoli di uno strapotere e di un monopolio da parte dello Stato nell'istruzione, e cioè nella formazione spirituale e politica del popolo, sia perché ritiene che lo spirito di iniziativa e l'amor proprio delle Regioni possano favorire l'incremento dell'insegnamento, tanto elementare che medio.
Laconi osserva all'onorevole Einaudi che, se non vi fosse stata in Italia una scuola statale, ci si troverebbe in condizioni ancor meno felici di quelle in cui si è oggi.
Fa poi presente all'onorevole Cappi che le intromissioni da parte dello Stato, verificatesi nel passato, non sono una ragione sufficiente per giustificarne oggi l'esclusione, sia perché ora si sta creando uno Stato diverso da quello passato, sia perché può darsi il caso di dover deplorare in futuro l'operato delle Regioni, così come oggi si deplora quello che ha fatto lo Stato.
Dopo aver ricordato che il disposto dell'articolo 4 non pone alcun limite alle Regioni, ma solo allo Stato, il quale non può emanare, nei riguardi delle considerate materie, che principî direttivi, fa presente che, se si includesse questa voce nell'articolo 4, si andrebbe incontro a vere assurdità, e conclude affermando la necessità di escludere qualsiasi facoltà legislativa da parte della Regione sia nel campo dell'istruzione elementare, che in quello dell'istruzione media e universitaria.
Conti dichiara che i repubblicani sono favorevoli all'attribuzione allo Stato della facoltà legislativa circa l'istruzione elementare, per ragioni di diverso ordine: la prima, di carattere morale e nazionale, per cui — seguendo il pensiero di Mazzini — si ritiene opportuno dare ai fanciulli una educazione uniforme dalle Alpi al Lilibeo; la seconda, di carattere quasi materiale, perché, ritenendo gli italiani poco portati alle opere educative, si riscontra la necessità che lo Stato provveda direttamente, specie là dove le Regioni sono inerti; la terza, d'ordine politico, che vede nella scuola statale uno degli anelli di congiunzione tra le varie Regioni organizzate autonomamente.
Quanto all'istruzione superiore, concorda con l'onorevole Einaudi sull'opportunità di lasciare libere le Università, perché solo nella libertà gli atenei potranno riacquistare lo sviluppo e il prestigio che hanno avuto nei secoli scorsi.
Einaudi, considerando particolarmente l'istruzione elementare, pur riconoscendo di notevole importanza le osservazioni dell'onorevole Conti, dichiara di non ritenere l'istruzione elementare uno dei maggiori coefficienti per l'unificazione del Paese, e di credere che l'articolo 4 rispecchi bene le esigenze dello Stato, lasciando a questo la possibilità di fissare i principî direttivi in materia.
Fa presente che il passaggio dei maestri dai Comuni allo Stato è stato dannoso, perché ha finito per trasformarli in impiegati, preoccupati di gradi, di categorie e di sedi, per far tramontare la figura tradizionale del maestro, radicato sul luogo per decine e decine di anni, vero apostolo dell'educazione del popolo.
Riconosce l'opportunità che lo Stato fissi dei principî generali in base ai quali l'istruzione elementare deve essere impartita, ma è contrario a che questa dipenda interamente dallo Stato ed è perciò favorevole all'inclusione di questa materia nell'articolo 4.
Fabbri è anch'egli del parere che l'istruzione elementare obbligatoria sia inconfondibilmente una funzione specifica dei Comuni, che essi devono esplicare nell'ambito dei principî generali fissati, per esigenze di uniformità, dallo Stato.
Si dichiara quindi favorevole all'inclusione dell'istruzione elementare fra quelle elencate nell'articolo 4.
Mannironi, all'onorevole Perassi, che ha citato l'opinione del federalista Alberto Mario, contraria al passaggio dell'istruzione elementare ai Comuni, ricorda quella di Marco Minghetti, che nel 1860, nel suo progetto concernente le autonomie regionali, prevedeva il passaggio alla Regione dell'istruzione elementare.
Ritiene poi erroneo il presupposto da cui parte l'onorevole Conti che le Regioni possano fare peggio di quanto non abbia fatto lo Stato, perché l'idea che anima i regionalisti è quella di creare un'amministrazione più vicina alle popolazioni, alla loro anima ed ai loro interessi.
Gli sembra poi incoerente quanto sostiene l'onorevole Conti quando, dopo aver affermato la necessità di affidare allo Stato la scuola elementare, vorrebbe rendere liberi gli studi universitari. Non vede la ragione di tale diversità di trattamento; perché, se si ritiene la Regione in grado di assolvere al compito dell'istruzione per ciò che riguarda le Università, a maggior ragione la si dovrebbe ritenere idonea a regolare l'insegnamento elementare.
Lami Starnuti rileva un equivoco in cui sono caduti gli onorevoli Einaudi, Fabbri e Mannironi, ai quali è sfuggito che l'articolo 4 conferisce potestà di legiferare alla Regione, ma non affida alla Regione l'amministrazione di una materia. L'articolo 6 conferisce alla Regione l'amministrazione nelle materie di competenza legislativa dello Stato, che lo Stato affida ad essa per l'esecuzione, in conformità ad un largo principio di decentramento; sicché in tale sede sarebbe possibile affidare alla Regione l'amministrazione delle scuole elementari, nella presunzione che, a sua volta, questa l'affidi ai Comuni.
Ad ogni modo, per le ragioni esposte dagli onorevoli Laconi e Conti, dichiara di essere contrario all'introduzione di questa materia nell'articolo 4.
Il Presidente Terracini rileva che l'osservazione dell'onorevole Einaudi, il quale ha parlato in senso favorevole all'attribuzione dell'istruzione elementare ai Comuni — a parte il fatto che la situazione dei maestri elementari alle dipendenze dell'amministrazione comunale non è sempre così rosea come l'onorevole Einaudi mostra di ritenere — cade, in quanto, ove si affidasse questa branca dell'educazione alla Regione, non vi sarebbe gran differenza tra il maestro impiegato dello Stato e il maestro impiegato della Regione. Anzi, il ritorno delle scuole ai Comuni — che troverebbe fra i maestri elementari una quasi unanime opposizione — se in qualche zona potrebbe significare dar nuovo impulso alla scuola, in tutte le altre vorrebbe dire il ritorno ad una situazione poco desiderabile.
Così, mentre per l'insegnamento elementare e medio ritiene non sia il caso di attribuire facoltà legislativa alle Regioni, per l'insegnamento superiore può accedere ai criteri esposti dall'onorevole Conti.
Bordon è favorevole alla formulazione del testo del progetto, alla concessione cioè della potestà legislativa concernente la scuola elementare alla Regione; ma è assolutamente contrario all'estensione di tale principio alla scuola media ed a quella superiore.
Nobile può riconoscere fondate le osservazioni fatte dall'onorevole Einaudi, ma ritiene che agli inconvenienti da lui rilevati si potrà rimediare con una riforma.
Ricorda che oggi si deve tendere ad unire gli italiani, mentre il passaggio dell'istruzione elementare alla Regione ne accentuerebbe la divisione.
Il Presidente Terracini pone ai voti l'inclusione fra le materie da inserire nell'articolo 4 dell'istruzione elementare.
Bulloni domanda che si proceda alla votazione per appello nominale.
Il Presidente Terracini indice la votazione per appello nominale.
Rispondono Sì: Ambrosini, Bordon, Bulloni, Cappi, Einaudi, Fabbri, Mannironi, Mortati, Piccioni, Tosato, Uberti.
Rispondono No: Bocconi, Bozzi, Conti, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Nobile, Perassi, Ravagnan, Rossi Paolo, Terracini, Zuccarini.
(Con 11 voti favorevoli e 12 contrari, non è approvata).
Ricorda che la Sottocommissione deve decidere circa la proposta, fatta dall'onorevole Mannironi, di inserire nell'articolo 4 anche l'istruzione media e superiore.
Mortati prospetta l'opportunità di distinguere, per quanto riguarda la scuola media, tra la scuola classica umanistica e quella tecnico-professionale.
Il Presidente Terracini concorda con l'onorevole Mortati.
Pone ai voti l'inclusione nell'articolo 4 dell'istruzione media (non tecnico-professionale).
Nobile dichiara di astenersi dalla votazione.
(Non è approvata).
Il Presidente Terracini mette quindi in votazione la proposta di comprendere nell'articolo 4 l'istruzione media tecnico-professionale.
(È approvata).
Nobile quanto all'istruzione superiore, ritiene che essa debba lasciarsi alla cura dello Stato, non solo perché questo non può rimanere estraneo a tutto ciò che concerne l'alta cultura, ma anche perché — specialmente per ciò che riguarda l'istruzione tecnica — deve adeguarsi ai bisogni economici e sociali del momento.
Einaudi pensa che, anche introducendo l'istruzione superiore nell'elenco inserito nell'articolo 4, non si escluda la possibilità da parte dello Stato di avere propri istituti universitari; ritiene anzi possibile la coesistenza di Università statali, Università regionali ed Università semplici enti morali che vivano con propri mezzi.
Gli sembra che non esista una ragione nazionale per la quale le Università debbano essere o tutte dello Stato o tutte delle Regioni.
Il Presidente Terracini fa presente che l'Università fondata dallo Stato in una determinata Regione dovrà essere subordinata alla legislazione della Regione nella quale sorga.
Einaudi non lo ritiene necessario.
Mortati richiama l'attenzione sul fatto che ora si tratta del problema di concedere alla Regione la potestà di legiferare sulla istruzione superiore, e non di quella di istituire o meno delle Università.
Perassi ritiene che sia più opportuno conferire la potestà legislativa su questa materia, anziché alle Regioni, allo Stato, il quale potrà favorire nella più larga misura l'autonomia universitaria; quindi, non sostituzione della legislazione regionale a quella statale, ma integrazione delle leggi statali con regolamenti e statuti universitari. Per tali ragioni si dichiara contrario all'inclusione dell'istruzione universitaria nell'articolo 4.
Tosato concorda con l'onorevole Perassi, aggiungendo che il problema universitario non va risolto in funzione dell'autonomia regionale, ma in funzione dell'autonomia universitaria.
Fabbri concorda con l'onorevole Perassi.
Ambrosini, Relatore, prospetta l'opportunità di sospendere l'esame di questo articolo per decidere se non sia il caso di stabilire una disposizione specifica concernente l'istruzione universitaria.
Il Presidente Terracini ritiene che il problema accennato dall'onorevole Ambrosini — già esaminato dalla Prima Sottocommissione — sarà affrontato in Commissione plenaria. Pensa quindi che la Sottocommissione possa ora decidere circa la questione specifica in esame.
Mette ai voti l'inclusione, tra le materie indicate nell'articolo 4, dell'istruzione universitaria.
(Non è approvata).
Ricorda la proposta fatta in una passata seduta dall'onorevole Bulloni — la quale trova corrispondenza in una formulata dall'onorevole Mannironi — di considerare nell'articolo 4 anche l'assistenza ospitaliera.
Pone ai voti tale proposta.
(È approvata).
Apre ora la discussione sulla voce «organizzazione sanitaria», che l'onorevole Mannironi propone di aggiungere all'elencazione dell'articolo 4.
Fabbri ritiene assurdo pensare ad un ordinamento legislativo regionale in questa materia, che deve invece essere regolata dallo Stato, sia per la considerazione che il ritardo da parte di una Regione nell'adottare determinate provvidenze può causare il diffondersi di un'epidemia, sia perché soltanto sul piano nazionale possono essere concepite quelle prescrizioni obbligatorie (vaccinazioni, iniezioni preventive, ecc.) a cui tutti devono sottomettersi.
Nobile, alle considerazioni dell'onorevole Fabbri aggiunge che un provvedimento del genere sarebbe inconcepibile in un paese come l'Italia, dove la lotta contro la malaria è un problema d'importanza nazionale.
Mannironi ritira l'emendamento.
Il Presidente Terracini ricorda ora la proposta contenuta nella formula dell'onorevole Mortati di aggiungere all'articolo 4 le «strade ordinarie o ferrate, linee di navigazione o automobilistiche in quanto non interessino la difesa nazionale o le esigenze del traffico nazionale».
Mannironi ricorda di avere fatto analoga proposta, ma con la formula «trasporti e comunicazioni regionali», che gli sembra più comprensiva.
Conti propone la seguente formula: «ferrovie secondarie e vicinali, tramvie e linee regionali automobilistiche».
Fabbri è contrario all'inclusione nell'articolo 4 di una norma del genere, perché pensa che, una volta deciso di affidare allo Stato il servizio ferroviario, questi non debba trovare concorrenti nei servizi locali.
Nobile osserva che sarebbe un errore affidare alle Regioni la potestà legislativa sulle ferrovie, le quali, anche se soltanto secondarie, costituiscono uno dei servizi più delicati ed importanti della Nazione, ed enuncia le difficoltà, di indole tecnica e pratica, relative alla preparazione dei progetti e alla costruzione delle linee; di indole burocratica e legislativa, relative alle norme concernenti l'incolumità dei viaggiatori, ecc., difficoltà che, a suo avviso, non consentono l'attribuzione della legislazione su tale materia alle Regioni.
Conti fa rilevare che si tratta di stabilire se il Consiglio regionale — indipendentemente dalla parte tecnica che sarà affidata ai competenti — il quale è al corrente delle necessità locali, possa deliberare la costruzione di una ferrovia.
Perassi è del parere che la materia riguardante le ferrovie non possa essere frazionata e quindi non debba comprendersi nell'articolo 4.
Il Presidente Terracini ritiene opportuno che la Sottocommissione si pronunci separatamente sulle singole voci contenute nell'emendamento Conti.
Pone ai voti l'inclusione nell'articolo 4 delle ferrovie secondarie.
(Non è approvata).
Mette ai voti l'inclusione delle tramvie.
(È approvata).
Apre la discussione sulla voce: «linee regionali automobilistiche».
Einaudi rileva che le ferrovie, alle quali fino a poco tempo fa veniva riconosciuto da tutti i trattati di economia e finanza un carattere monopolistico, sono oggi diventate industrie in concorrenza con i servizi automobilistici. Si tratta ora di decidere quale trattamento debba essere fatto alle linee automobilistiche, nel senso cioè di stabilire se esse possano continuare o meno a fare liberamente la concorrenza alle ferrovie. Fa presente la gravità di questo problema che non ha carattere locale, bensì nazionale, e quindi non può essere risolto Regione per Regione, ma in modo generale.
Il Presidente Terracini ritiene, data la gravità dell'argomento, opportuno rinviarne la discussione alla prossima seduta.
A cura di Fabrizio Calzaretti