[Il 16 settembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo».
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Ambrosini. [...] Passiamo a parlare in modo specifico del potere legislativo. Lo spirito animatore del principio della separazione dei poteri influisce anche nella questione relativa alla divisione o meno dell'organo legislativo in due Camere? In sostanza, affermato il principio dell'unicità della sovranità, si vorrebbe che unico fosse l'organo che ne eserciti le funzioni.
Si può in proposito citare per tutti quanto nel secolo scorso argomentò Armand Marrast sostenendo la necessità di una Camera unica:
«La sovranità è una, la Nazione è una, la volontà nazionale è una» diceva l'assertore della unicità dell'Assemblea.
«Come dunque si vorrebbe che la delegazione della sovranità non fosse unica?».
Riguardando dal punto di vista concreto il gioco delle forze politiche, aggiungeva: «Se voi mettete una Camera accanto all'altra, voi arriverete ad uno di questi due risultati: o le Camere sono d'accordo ed allora una doppia discussione, un doppio voto non servono a nulla, e possono nuocere ritardando la legge; oppure sono in disaccordo, come avverrà più spesso, ed allora avrete stabilito una lotta negli alti poteri dello Stato.
«Le due Camere sono, dunque, un principio di disordine. Da questa lotta una delle Camere uscirà necessariamente indebolita».
Ora, è evidente che una qualche ragione c'è in questa argomentazione. Ma dobbiamo domandarci se essa è tale da portare fatalmente alla conseguenza della necessità di una sola Camera.
Gli inconvenienti lamentati indubbiamente esistono — sarebbe da ciechi negarli — ma sono proprio tali da distoglierci dal seguire quel sistema bicamerale, che ci è tramandato dalla tradizione, che continua ad essere sostenuto da scrittori e da uomini politici, sia pure per motivi diversi? Il più illustre dei nostri colleghi, l'onorevole Orlando, nella prefazione ad un libro apprezzabile sul Senato di un giovane, Giorgio Tupini, dopo di avere esposto i motivi di dubbio, ha finito per professarsi favorevole all'istituzione di una seconda Camera.
Passando ad esaminare più concretamente la questione, vediamo quali sono le ragioni che hanno sempre indotto pensatori ed uomini politici a propugnare la necessità di una seconda Camera e che hanno spinto i costituenti ad adottarla.
Sono varie. Si è qui parlato della funzione specifica del Senato come corpo tecnico sperimentato e tecnicamente più preparato per la migliore redazione delle leggi. Non occorre insistervi.
Dirò appresso, parlando della composizione del Senato, di un altro scopo specifico a cui esso dovrebbe assolvere come corpo composto, anche solo parzialmente, da rappresentanti diretti delle varie categorie della produzione, da una rappresentanza cioè che andrebbe ad integrare quella che si trova nella Camera dei deputati, per rispecchiare e dar voce e peso specifico a tutte le forze che compongono la struttura della società.
Ma anzitutto il Senato è stato sempre riguardato come un'Assemblea destinata alla maggiore ponderazione, come un corpo chiamato a frenare le generose impazienze che eventualmente si manifestino in modo precipitato nella prima Camera.
L'onorevole La Rocca l'altro ieri si riferiva a Cavour per rammentare la sua non adesione al sistema albertino di costituzione del Senato. Ma è necessario completare l'accenno al pensiero di Cavour: «vogliamo costituire (egli diceva) la gran macchina politica in modo che l'impulso acceleratore sia combinato con la forza moderatrice; vogliamo, accanto la molla che spinge, il pendolo che regola e rende il moto uniforme».
Forse questa proporzione può sembrare di maniera, ma il concetto è ben chiaro e si riattacca al principio della necessità del freno, del contrappeso che è opportuno che ci sia in uno stesso potere, nel legislativo, dividendolo in due branche, in due Camere, che assicurino l'equilibrio ed evitino eventuali dannose intemperanze. Può considerarsi ancora oggi di attualità quanto, in proposito, scrisse nel 1788 uno degli uomini illuminati e democratici del nuovo mondo, rivolgendosi ai suoi concittadini di New York per chiedere l'approvazione della Costituzione di Filadelfia anche riguardo all'istituzione del Senato. Egli diceva: «Ad un popolo così poco accecato dai pregiudizi e non corrotto da lusinghe quale quello a cui mi rivolgo, io non esiterò ad aggiungere che una tale istituzione può essere talvolta necessaria allo stesso popolo contro i suoi temporanei errori e delusioni. Come il freddo e deliberato giudizio della comunità deve in tutti i regimi liberi prevalere in definitiva sulle vedute dei suoi dirigenti, così vi sono particolari momenti nei pubblici affari nei quali il popolo, stimolato da qualche irregolare passione e da qualche illecito vantaggio, o ingannato dall'artificiosa opera di uomini interessati, può chiedere misure che esso stesso dovrebbe dopo lamentare o condannare.
«In tali momenti critici come sarà salutare l'interferenza di qualche temperato e rispettabile corpo di cittadini, che sospenda il lancio della freccia che colpirebbe il popolo, fino a quando la ragione, la giustizia e la verità possano riguadagnare la loro autorità sopra lo sviato spirito pubblico!».
L'insegnamento e l'ammonimento possono servire anche a noi.
Mi diranno alcuni colleghi: «ma se è ormai stabilito che una seconda Camera verrà istituita, perché attardarsi a parlarne ancora per sostenerla?»
Rispondo subito: perché è bene che venga istituita con una votazione senza sottintesi, non tiepidamente e con rassegnazione come se si trattasse di un errore che non si può evitare e di accettare o subire il Senato come un male inevitabile, ma volenterosamente, con convinzione e con la sicurezza che l'istituzione della seconda Camera sarà utile al Paese. Il Senato nascerà così con maggiore prestigio e potrà nel modo più adeguato assolvere al compito che gli è assegnato dalla Costituzione.
[...]
Nitti. [...] Cominciamo dalle Camere legislative. È venuta, prima di tutto, la grande disputa: una Camera o due Camere. Non so perché si diceva che le democrazie volevano una Camera, che molta parte della democrazia non ammetteva la seconda Camera. Io non conoscevo questa legge della democrazia, e non mi so spiegare perché l'invenzione delle due Camere non è stato un fatto di volontà conservatrice, è stato un fatto determinato da lunghe vicende della storia e voluta dalla democrazia. Una cosa però sappiamo ed è che i paesi che hanno avuto una sola Camera sono sempre precipitati nel caos o nelle tirannie. E questo è accaduto dovunque: non vi è nessun Paese che abbia potuto reggere al disastro di una sola Camera...
Lussu. Roma per duemila anni;
Nitti. La ringrazio. Roma durò solo mille anni. La vera Roma fino all'ultimo degli imperatori aveva speciali ordinamenti, per cui i poteri del Senato e delle Magistrature si compensavano e si completavano. Roma aveva un ordinamento del tutto diverso. Il Senato aveva un grande potere, ma che era limitato dal potere delle alte Magistrature e dal potere dei tribuni della plebe. E il Senato era limitato nel suo funzionamento dalla stessa sua formazione. Il Senato era un'Assemblea conservatrice, che aveva un suo speciale ordinamento e che doveva assoggettarsi ad esso con rigida disciplina. Roma non è materia di confronto con nessuno dei paesi moderni. Aveva la provvida istituzione della dittatura. Vicino alle grandi Magistrature, quando le cose andavano male, era il Senato stesso che decideva di andar via e che conferiva tutti i poteri ad un dittatore, che, in generale, durava solo qualche settimana, al massimo eccezionalmente fino a sei mesi. La istituzione della dittatura dette buona prova, finché non venne un uomo senza scrupoli, che fu Mario (che non so perché le democrazie trattano con tanto rispetto) che deformò la dittatura. Prima di Mario nessuno aveva prorogato la dittatura oltre il breve termine di qualche mese. La dittatura era la grande istituzione democratica ed il grande correttivo degli errori dell'Assemblea parlamentare. Ma noi non conosciamo nessun paese moderno che abbia fatto la prova di un Governo che sia durato a lungo con una sola Camera, soprattutto se si tratti di un paese latino, e non dico di razza latina, come si dice sempre a sproposito, perché non esistono razze latine, ma paesi di razze diverse e che sono di lingua e di civiltà latina, e però hanno una fusione in certe tendenze generali dello spirito.
Ora, Roma antica aveva per disposizione naturale del popolo attitudini politiche eccezionali. Non aveva la nostra impulsività e quando arrivava al correttivo o alla dittatura era perché le lotte, che il Senato non poteva eliminare, richiedevano eccezionale rimedio.
I Romani avevano il concetto e il sentimento dello Stato e della sua continuità: non facevano niente in maniera impulsiva. Davano gli onori del trionfo anche al generale vinto se credevano che egli avesse agito con coraggio e con competenza. Roma sapeva vincere e durare: nella guerra di Spagna durò 198 anni e non si stancò mai. La continuità era nel carattere del popolo: noi quando siamo andati in Libia, abbiamo preteso lo stesso anno di arrivare nell'interno; i romani per arrivare nell'interno hanno atteso oltre un secolo.
I Romani, come tutti i veri popoli conquistatori, avevano il senso della continuità. Ora, non si farà mai un paese ordinato con una unica Camera: si possono avere costituzionalmente le forme più diverse; ma mai si potrà stabilire che vi sia una Camera unica. Badate che la caduta recente della Repubblica di Spagna, cui è seguita la dittatura, è dipesa proprio dall'aver adottato una unica Camera.
Io ho molto conosciuto (veniva spesso da me a Parigi) il Presidente di quell'Assemblea, Santiago Alba. Veniva con lui qualche volta il capo dei conservatori Sanchez Guerra, uomo austero e nemico della dittatura. Ho scritto la prefazione al libro di Santiago Alba sulle dittature. Alba mi diceva: la Repubblica spagnuola era destinata a perire, perché aveva una sola Camera e non poteva avere ordine. E aveva una sola Camera perché i conservatori, volendo fare opposizione e ostruzionismo al movimento democratico, si allontanarono e non votarono quando si dovette decidere della seconda Camera.
Tutto andò male, e allora non fu possibile avere un'Assemblea seria, e sopra tutto moderata. Si ebbe un'Assemblea unica, che passò di errore in errore, dopo di che a causa o con il pretesto dell'assassinio di un deputato che non fu punito, vi fu una violenta reazione che finì nella dittatura militare.
Non bisogna considerare la seconda Camera come un ornamento costituzionale. La seconda Camera è una necessità. Nel progetto di Costituzione è ammessa. Abbiamo cominciato però con offenderla, perché nel nostro progetto che esaminiamo, il nostro Senato ha avuto un nome sconcio: è chiamato «Camera del Senato». E chi ha pensato a un simile orrore, non dirò errore? Ma come! «Senato» è un nome glorioso. In tutte le strade di Roma troviamo ancora scritto Senatus Populusque Romanus. Nell'America stessa la seconda Camera si chiama Senato; tutti i grandi popoli che hanno voluto costituire un'Assemblea hanno cercato di chiamarla Senato. Il più grande tragico, Shakespeare, ammiratore di Roma e incurante delle precisazioni della storia, attribuisce a tutti i grandi popoli, a cominciare da Atene, un Senato.
Perché poi questo errore? Forse perché qualcuno di quelli che hanno preparato il progetto di Costituzione ha letto che in Inghilterra c'è una Camera dei Comuni e una Camera di Lords. Ma lì è tutt'altra cosa! Quelle non sono due Assemblee create dal popolo: sono due Assemblee che vivono da tanti secoli, l'una in origine rappresentativa della nobiltà terriera e della ricchezza fondiaria, l'altra rappresentativa del commercio delle città e dei traffici. E l'una è sempre vissuta indipendente dall'altra; e ciascuna ha avuto una sua formazione storica e giuridica: spesso in lotta con il sovrano.
Con mia sorpresa, mi trovo di fronte a un fatto nuovo, a una proposta che mi ha vivamente sbalordito: noi abbiamo o siamo minacciati di avere un organismo senza storia e senza serietà che si chiama «Assemblea Nazionale». Non mi sarei aspettato mai una simile sorpresa. Che cosa è e che cosa può essere l'Assemblea nazionale? Nei tempi normali, noi chiamiamo «Assemblea nazionale» in Francia come in Italia la riunione per un sol giorno o per due quando le due Camere si riuniscono nella sala di una di esse per un argomento che richiede l'intervento di entrambe. In Italia si riunivano a Montecitorio perché l'Aula del Senato era troppo piccola.
Ma quando si riunivano? Si riunivano in Italia all'inizio della nuova legislatura, quando il sovrano, pronunziato il discorso della Corona, assisteva al giuramento dei deputati. Io stesso ho presieduto la prima riunione della XIX legislatura. Era cosa di un giorno, anzi di poche ore. Si riunivano senatori e deputati e poi non si riunivano più mai, se non per speciale evento come l'apertura di una nuova sessione. Chi avesse creduto cristallizzare la riunione, che doveva avere la durata di un giorno, in un'Assemblea permanente con funzioni proprie e sede propria sarebbe stato considerato pazzo.
Ora, e questo è sbalorditivo ed è unico al mondo, si vuol creare un'Assemblea Nazionale permanente, enorme e assurda, che non esiste in nessun paese del mondo, perché non ha ragione di esistere; perché, o sopprime una delle due Camere, o le sopprime tutte e due. Che cos'è quest'Assemblea Nazionale che, come dicevo, è unica ed è contemplata dagli articoli 60, 61, 74 e 75 del progetto di Costituzione e che, siccome non affrontano la questione, ma la presentano in tante forme, non danno l'idea che si tratta di una nuova Camera, che è del tutto diversa, che ha funzioni diverse e che si sovrappone alle altre ed ha poteri permanenti.
Non è qui il caso di avere dubbiezza, perché l'onorevole Ruini stesso, il Relatore, ci toglie ogni dubbio. Egli non ha esitato a dirlo anche lealmente: si tratta di una nuova Camera che, naturalmente, dovrà avere i suoi uffici, la sua sede, i suoi mezzi di vita. Noi faremo una terza Camera, la quale sarà una riunione delle due Camere che esistono, ma non avrà un suo scopo e quindi è ridicolo che abbia la sua funzione. È vero che il disegno di legge le attribuisce funzioni ipotetiche. Sarà, si dice, come un Consiglio superiore della Nazione. E che cos'è questo Consiglio superiore? L'onorevole Ruini ha avuto forse qualche dubbiezza, e l'ha risoluta senza scrupolo. Questa Camera diventa, egli ha detto, in un certo senso: «un istituto nuovo che la nostra Carta introduce: l'Assemblea Nazionale, e cioè il Parlamento che funziona a Camere riunite per atti di singolare importanza, come l'elezione del Presidente della Repubblica, l'espressione di fiducia e sfiducia al Governo, le deliberazioni della mobilitazione generale e dell'entrata in guerra — tutte cose che si fanno in un giorno — e così — fatto nuovo e strano — dell'amnistia e dell'indulto (la cui attribuzione al Parlamento costituisce un novum della Costituzione), infine la designazione di chi deve far parte di organi rilevanti nell'ordinamento dello Stato, quali il Consiglio Superiore della Magistratura e la Corte costituzionale. Pur serbando la bicameralità, si pongono le basi di una trattazione unitaria dei problemi fondamentali».
Ma la trattazione unitaria si è sempre fatta: Montecitorio e Palazzo Madama, sede del Senato, sono a qualche centinaio di metri di distanza. Bastava un usciere per fare arrivare gli atti dall'una all'altra Camera, senza inutile solennità. Non vi è ragione, quindi, di fare nientemeno che un'Assemblea Nazionale! E poi, sul serio, vogliamo far discutere alla Assemblea Nazionale — la quale è più che una sola Camera: sono due Camere — provvedimenti come l'indulto e l'amnistia? È prudente, è saggio, è utile? E che cosa deve fare questa Assemblea? Se non ha lavoro, deve crearselo.
Potete ben immaginare quale numero di uffici, quale folla di funzionari! E questa cosiddetta Assemblea Nazionale, con la Camera e il Senato riuniti, sarebbe composta di circa mille persone. Dovendo avere sede propria, dovrebbe avere assai più di mille partecipanti. Nessun palazzo di Roma può contenere una così enorme accolta di legislatori in forma duplicata. Occorrerebbe, se l'Assemblea avesse carattere permanente e non finisse nel giorno stesso in cui è convocata, tutta una situazione nuova.
Questa Camera non ha scopo di esistere, non ha modo di esistere, non deve esistere! E la solennità sua stessa sarebbe inutile spesa in questo momento in cui tutte le spese devono essere ridotte. Sarebbe dissipazione enorme per la cosa più inutile.
Abbiamo noi veramente necessità di creare questa nuova Camera? E perché tanti legislatori e anche in funzione duplice?
Sapete ciò che sorprende quando si esaminano i nostri ordinamenti? Noi vogliamo avere più uomini che devono fare le leggi che non ne abbiano tutti gli altri paesi del mondo. Vogliamo, creando adesso una Camera enorme, un Senato enorme, riunirli e vogliamo fare dell'unione di tutte e due le Assemblee un'Assemblea enorme, un'Assemblea Superiore, che è senza precedenti in qualunque paese del mondo e che si presta solo al ridicolo.
A cura di Fabrizio Calzaretti