[Il 15 settembre 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Lussu. [...] Oggi io desidero solo, senza peraltro pensare di spostare le forze politiche di questa Assemblea, porre in rilievo la irrazionalità e la non modernità di questo istituto parlamentare che, per il fatto stesso che chiamiamo, per forza d'inerzia, Senato, dimostra la sua arcaicità. Intanto, sarà di un certo interesse far notare che nessuno finora ha parlato a sostegno dello schema ufficiale sulla seconda Camera, così come è uscito dai lunghi e laboriosi sforzi della seconda Sottocommissione e come è arrivato in quest'Aula. Cioè, quella paziente costruzione di compromesso, che tendeva a mettere d'accordo e quelli che sostenevano la soppressione radicale della seconda Camera, e quelli che ne sostenevano la radicale composizione a tipo corporativistico; quella sapiente e laboriosa opera di compromesso, che è costata la fatica di circa due mesi, non è servita a gran che. Io sono dell'opinione che, se questa Assemblea si permettesse il lusso accademico di discutere ancora per due mesi il problema della seconda Camera, non arriverebbe ad una soluzione migliore e maggiormente accettabile. Perché, mi sono chiesto, questa impossibilità o impotenza ad elaborare un tipo di seconda Camera accettabile, mediamente accettabile? Non certo perché all'Assemblea manchino uomini di lunga esperienza politica e parlamentare, o uomini preparati, tecnicamente preparati, sul diritto pubblico comparato, vecchi o giovani che potrebbero essere maestri qui e altrove; e tanto meno perché facciamo difetto a questa Assemblea uomini di buona volontà, ma semplicemente perché la seconda Camera non va. Questa è la ragione. Non va, né come è uscita dai lavori della seconda Sottocommissione, né in altro modo. Non va. Cioè non trova posto razionale in una democrazia come la nostra, che, malgrado i suoi difetti e i suoi equivoci, aspira a diventare una democrazia moderna; democrazia che risponda in termini pratici alle esigenze della vita collettiva, così come le impongono il dinamismo e la diffidenza verso i pletorici organismi burocratici, compresi quelli politici, e, non ultimo per noi italiani, che abbiamo perduto tanto tempo, il desiderio di non perderne ancora di più.

Nel discorso, fra i più notevoli pronunciati in questa Assemblea, del collega della democrazia cristiana onorevole Clerici, così ricco di motivi vivi e moderni, è emerso, più o meno chiaramente, il concetto dell'inutilità della seconda Camera.

La seconda Camera, infatti, è inutile. Se mi si permette la similitudine, paragonando le due Camere ai due occhi, dei quali l'occhio destro rappresenti la seconda Camera e l'occhio sinistro la prima Camera, ebbene, la seconda Camera è l'occhio destro con sulla pupilla una o più cateratte; dato che questo male non indifferente si comunica da un occhio all'altro, non solo si rischia che non veda il secondo occhio, ma che non veda neppure il primo.

In conclusione, senza offendere la suscettibilità di alcuno in quest'Aula, la seconda Camera è l'occhio destro, con qualche cateratta, della vita parlamentare.

Vi è, contro questa tesi — che non è solo mia né del mio Gruppo, ma di molti altri in quest'Aula — l'opinione, nettamente contraria, di uno dei massimi e, giustamente, più autorevoli uomini politici che siedano in quest'aula: l'onorevole Presidente Nitti. Ma la sua — mi sia permesso — più che una tesi costituzionale politica, è un atto di fede, un puro atto di fede. Egli, che pur passa per scettico, ultimamente, prima che noi prendessimo le vacanze, in un suo breve intervento, ha parlato della seconda Camera, del Senato, con accenti che si potrebbero chiamare romantici. Come, egli ha domandato, come sopprimere il Senato, che fu la grandezza del nostro passato?

E quale passato, di grazia? Il Senato, qui a Roma, ha avuto due passati: uno recente e uno remoto, molto remoto. Il recente provoca scarsamente i nostri rimpianti e le nostre nostalgie; e neppure quelle dell'onorevole Nitti stesso. Il Senato recente è quello regio, anzi quello regio-fascista. Quel Senato, onorevoli colleghi (lo si può dire perché è un giudizio politico), quel Senato era diventato una stalla. In quel Senato sono entrati i cavalli, gli asini e i muli di Caracalla. Quel Senato chiede una cosa sola del legislatore costituente: d'essere seppellito e dimenticato. Ed aggiungerei — credo senza irriverenza — che vi si potrebbe anche porre una lapide con sopra scritto quello che io ho letto su una tomba di un cimitero di cani inglese: «Qui giace Boby, il delizioso animale che suonava il piano con la coda».

Vi è l'altro Senato, quello remoto, molto remoto, di Roma antica. Credo che siamo tutti d'accordo qui dentro, compreso l'onorevole Presidente Nitti, nel ritenere (qualche nostalgico del passato remoto ed anche recente probabilmente non la pensa nello stesso modo) utile e salutare che di Roma antica oggi parli solo l'archeologo e non il politico. Quando in Italia oggi i politici parlano di Roma antica, si rischia di ritornare indietro, certamente indietro, ma non si fa un passo avanti. Questo non ha inteso certo neppure l'onorevole Nitti. Egli ha inteso solo rievocare in modo parlamentare-costituzionale la austera assemblea romana che rappresentò nel passato una grande civiltà nel mondo.

Ma quella non era una seconda Camera nel senso che questa istituzione ha nella civiltà democratica moderna; quella era una Camera unica, che non ne aveva di contrappeso un'altra. Era l'unica Camera, la sola assemblea legislativa ed esecutiva di quei tempi remoti. Sicché, in conclusione, lo stesso onorevole Nitti, con la sua nostalgia del Senato romano, porta anch'egli un contributo alla tesi per l'istituzione di una Camera unica, per la soppressione della seconda Camera, per l'unico Parlamento, per la Camera dei Deputati.

Non è poi esatto quanto ha affermato l'altro giorno un nostro vecchio ed autorevole collega al quale l'Assemblea ha prestato la più grande attenzione, l'onorevole Rubilli, che cioè, il buonsenso stesso ci indica la seconda Camera come necessaria, poiché la seconda Camera esisterebbe dappertutto, in tutti gli Stati democratici del mondo.

Ebbene, il buonsenso non ci può affatto consigliare la seconda Camera, poiché la seconda Camera non esiste dappertutto. Esiste dappertutto solo negli Stati ad organizzazione federale. Là obbedisce ad una necessità di coesione nazionale e serve a riportare al centro quanto l'organizzazione periferica allontana e disgiunge. È la rappresentanza paritetica al centro, ed in forma unitaria, dei molteplici particolarismi differenziatori: è la sintesi degli interessi locali.

Ma negli altri Stati, no, onorevole Rubilli.

Non è di nessuna utilità pratica, ai nostri fini, esaminare le varie Costituzioni unitarie degli Stati moderni, che conosciamo tutti più o meno bene, fra le quali ne esiste perfino una la quale stabilisce che la seconda Camera è eletta dalla prima. A noi interessano principalmente quei grandi paesi a civiltà affine alla nostra, diciamo a civiltà occidentale, come l'Inghilterra e la Francia, da cui derivano, essenzialmente le nostre tradizioni e i nostri costumi parlamentari.

L'Inghilterra ha una seconda Camera? Sì, ha la seconda Camera, ma la seconda Camera in questo Paese trae la sua origine e fonda la propria natura nella monarchia, tanto che, detronizzato Carlo I, Oliviero Cromwell non riuscì mai a far funzionare la Camera dei Lords nel modo tradizionale, e durante il suo governo nessun lord mise mai piede nella Camera alta. Con suo figlio le cose mutarono; ma suo figlio, è risaputo, preparò la restaurazione monarchica.

Esiste oggi la Camera dei Lords come seconda Camera, cioè con uguaglianza di poteri così come sostengono debba essere da noi i fautori della seconda Camera? Non esiste affatto.

Dopo la grande campagna politica, condotta in modo solenne prima dell'altra guerra da Asquith e Lloyd George, e che si concluse con la vittoria di questi ultimi, la Camera dei Lords in Inghilterra politicamente ha cessato di esistere. Non è certo essa che può far cadere un Ministero. Questo potere ormai non esiste neppure in teoria, neppure in linea di diritto, poiché in linea di diritto esiste solo la facoltà del Governo — se lo ritenga opportuno — di nominare tanti Lords quanti ne vuole, finché la maggioranza della Camera dei Lords abbia raggiunto la maggioranza della Camera dei Comuni. La Camera dei Lords è oggi in Inghilterra, a un dipresso, quello che era il Senato in Italia prima del fascismo, vale a dire un istituto pleonastico di mera coreografia che non poteva mai, in nessun modo, opporsi alla volontà decisa della Camera dei Deputati. Dopo De Pretis, che pure era maestro di compromessi e sempre conciliante, non ci si è mai azzardati di discutere, neppure in teoria, se il Senato potesse mettere in minoranza il Governo. «Il Senato non fa crisi», diceva carezzandosi la lunga e bianca barba l'infermo De Pretis. Il Senato non fa crisi. Cioè, politicamente, non esiste.

In Francia poi la questione è stata risolta e in linea di diritto e in linea di fatto. Il Senato è stato soppresso, ed al suo posto è stato creato il Consiglio della Repubblica: compromesso tra quelli che negavano e quelli che sostenevano il Senato. Il Consiglio della Repubblica, come dice la sua stessa denominazione, è una Consulta che funziona egregiamente. Tutti ne sono soddisfatti, compreso il M.R.P., che sostenne fino all'ultimo il Senato. Chi abbia seguito regolarmente il quotidiano del M.R.P. L'Aube, avrà visto con quale compiacimento questo partito apprezza la costituzione di questo nuovo organismo parlamentare dello Stato moderno francese. Io credo che faremo opera saggia se, abbandonando l'orgoglio di non copiare nulla da un altro paese e abbandonando tutti i nostri astrusi progetti, introducessimo anche noi in Italia questo eccellente istituto che, mentre dà la possibilità di far rendere dei grandi servizi al Paese, per l'attiva loro presenza e collaborazione, a uomini che non sono dei politici di prima linea — come direbbe l'onorevole Rubilli —, nel medesimo tempo non intralcia l'azione politico-legislativa del vero Parlamento.

L'opinione di quanti credono che si possa oggi, nel secolo delle forze politiche tecnicamente organizzate, dei grandi partiti politici, creare una seconda Camera con poteri eguali a quelli della Camera dei deputati, senza farne un duplicato, è pura illusione.

Comunque si costruisse una seconda Camera — con elezione a suffragio universale o con elezione di secondo grado — essa sarebbe sempre la risultante delle stesse identiche forze politiche, che hanno composto la prima Camera; sarebbe pertanto un duplicato e un duplicato vano. E sarebbe, per giunta, un istituto, che apparirebbe sempre subordinato, politicamente, alla volontà della prima Camera. Poiché, — non facciamoci illusioni! — se alla prima Camera siederanno i massimi leaders dei partiti politici — oggi Nenni, Togliatti, De Gasperi, Giannini, ecc., e domani i loro successori — alla seconda Camera non dico che andranno gli scarti, ma non più quelli che i partiti politici a coscienza politica matura e l'opinione pubblica considerano come i grandi capi politici, verso cui va la fiducia non solo dei partiti organizzati, ma di quelle masse non inquadrate, che formano l'opinione e che danno il loro giudizio alla vita del Paese. Per cui la prima Camera apparirebbe come la sola grande Camera, quella che guida politicamente la Nazione; e la seconda Camera apparirebbe una specie di dama di compagnia, assai dispendiosa, ma inutile, malgrado le denominazioni letterarie magniloquenti. Sarebbe una cosa meschina.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti