[Il 14 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici». — Presidenza del Vicepresidente Tupini.]
Presidente Tupini. L'ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Dobbiamo esaminare l'articolo 42:
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione; ne favorisce l'incremento e la sottopone alla vigilanza, stabilita con legge, per assicurarne i caratteri e le finalità».
A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti:
Il primo è quello dell'onorevole Colitto, che lo ha già svolto:
«Sostituirlo col seguente:
«È promossa ed agevolata l'impresa cooperativa di lavoratori o consumatori, che si associano, su basi di mutualità, per provvedere alla tutela dei propri interessi o per scopi di utilità generale».
Gli onorevoli Cimenti, Dominedò, Montini, Belotti, Cappugi, Gortani, Carratelli, hanno presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione, ne favorisce l'incremento e ne assicura il carattere mutualistico con apposite norme di legge».
L'onorevole Cimenti ha facoltà di svolgerlo.
Cimenti. Affrontare il problema della cooperazione in sede di Carta costituzionale significa, onorevoli colleghi, concedere finalmente, ciò che non era mai stato fatto, un riconoscimento essenziale all'importanza di un fenomeno economico e sociale, che investe quasi tutti i rami dell'attività umana, che costituisce un sostanziale elemento di fraternità, che non può essere frutto di una semplice formula economica — in cui si sommano aritmeticamente gli egoismi individuali — ma di una superiore ispirazione in cui l'uomo si sente vicino all'altro uomo nell'impresa comune, in cui si risolvono i problemi del lavoro, in cui si attua la difesa del consumatore attraverso l'aiuto solidale e la reciproca collaborazione.
Intervenendo, come membro di questa Assemblea, nella discussione di questo articolo, non posso naturalmente dimenticare di essere l'esponente del movimento cooperativo che si ispira ai principî ed al metodo della scuola sociale-cristiana.
Questo movimento, che non riconosce soltanto la cooperazione proletaria ed operaia, che non vuole tendere alla statizzazione dei mezzi di distribuzione, alle grandi cooperative monopolizzatrici, alla cooperazione di categoria, in cui il socio naufraga e perde la propria personalità, vuole invece affermare l'utilità delle piccole e delle medie cooperative, largamente e territorialmente distribuite, in cui il socio sia sempre presente, cosciente e partecipe, e le quali possono a loro volta essere collegate nelle imprese di grado superiore.
La cooperazione così intesa rende corresponsabile il lavoratore e ne eleva la personalità, emancipandolo dalla condizione proletaria.
La cooperazione così intesa non può che essere sottratta all'ingerenza diretta dello Stato, seppure abbisogna di una accurata vigilanza, attraverso la periodica obbligatoria revisione, eseguita dalle stesse associazioni che inquadrano e assistono le cooperative, a ciò abilitate dallo Stato.
La cooperazione così intesa si presenta come una forma dignitosamente autonoma, che non si sottomette ad essere strumento politico, e non vuole essere divoratrice del pubblico denaro.
La risoluzione del problema del latifondo, l'affermazione della solidarietà cooperativa fra i piccoli agricoltori per mezzo delle Casse rurali, il ritorno dei consorzi agrari alla forma cooperativa, la protezione della piccola pesca artigianale, ordinata in aziende cooperative, il contributo al calmieramento dei prezzi, il contributo alla ricostruzione del paese dilaniato dalla guerra, sono tanti aspetti dell'importante problema che oggi nella Carta costituzionale trova la consacrazione della sua importanza e della sua funzione, che è funzione di solidarietà squisitamente democratica.
Ora, analizzando l'articolo 42 del progetto di Costituzione, noi troviamo esser contenute in esso le seguenti tre dichiarazioni:
1°) La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione.
2°) Ne favorisce l'incremento con i mezzi più idonei.
3°) La sottopone alla vigilanza stabilita per legge, al fine di assicurarne i caratteri e le finalità.
Sulla opportunità di inserire nella Carta costituzionale un riconoscimento della funzione sociale della cooperazione dobbiamo dunque essere concordi. Posto questo riconoscimento e riaffermato che lo Stato deve «favorire» l'incremento del movimento cooperativo, non si comprende chiaramente perché si senta il bisogno di parlare nella Costituzione del servizio di vigilanza sulle imprese cooperative.
Il riconoscimento della necessità di una vigilanza sulle società cooperative, espresso solennemente nella Carta costituzionale, o è suggerito da una sfiducia nella maturità e nella serietà del movimento cooperativo italiano — così profonda da non potersi tacere nel momento stesso in cui si riconosce la funzione sociale della cooperazione — o è suggerito dal desiderio di affermare il principio della ingerenza del potere esecutivo nella vita e nella gestione amministrativa delle cooperative.
Nell'una e nell'altra ipotesi questo accenno alla vigilanza governativa è inopportuno e — secondo me — da respingersi.
Parlare nella Costituzione della vigilanza sulle cooperative solo per riaffermare che i limiti e le forme di questa saranno stabiliti dalla legge, mi sembra perfettamente superfluo. Questo accenno alla vigilanza governativa sulle imprese cooperative deve avere evidentemente un significato più sostanziale, per quanto oscuro ed equivoco.
Si vuol suggerire, attraverso la Costituzione, al futuro legislatore la necessità di provvedimenti di polizia diretti a cautelare il pubblico interesse dal danno che potrebbe essergli arrecato dal cattivo funzionamento delle cooperative?
Questo monito non potrebbe trovare sede opportuna nella Costituzione ed inserito subito dopo una valorizzazione della cooperazione, rappresenta una stonatura.
L'articolo 42 potrebbe essere interpretato come l'affermazione di un principio, secondo il quale la gestione delle società cooperative è sottoposta ad un organico controllo dello Stato, per cui l'iniziativa privata cooperativa s'innesta a quella statale.
Ritengo che i compilatori del progetto non volessero andare così lontano e dare questo significato all'articolo 42; però l'equivoco c'è ed occorre eliminarlo.
O nella Costituzione non si parla affatto della vigilanza sulle cooperative, oppure, se se ne volesse parlare, occorrerebbe definirne più esattamente i limiti e le forme.
Si può ammettere che lo Stato, in quanto favorisca l'incremento di talune cooperative, possa sentire il bisogno di esercitare su di queste una certa vigilanza; ma nella Carta costituzionale occorre affermare la regola generale, cioè la libertà dell'associazione cooperativa, e non l'eccezione rappresentata da una vigilanza posta come condizione alla concessione di determinati privilegi.
Vi è nel testo della Costituzione, che si discute, una evidente contrapposizione: mentre l'articolo 40 stabilisce che l'iniziativa economica privata è libera, purché non si svolga in contrasto con l'utilità sociale ed in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, l'articolo 42 stabilisce invece che l'iniziativa cooperativa, che è collettiva ma sempre privata, è sottoposta ad una speciale vigilanza.
I cooperatori non possono ammettere che nel campo economico l'iniziativa privata debba essere più libera che non quella cooperativa.
Nessuno contesta allo Stato il diritto di condizionare come crederà più opportuno i favori ed i privilegi che esso vorrà concedere alle cooperative; ma i cooperatori non sono disposti ad abdicare alla libertà delle loro società per assicurarsi qualche agevolazione fiscale in materia di tasse di bollo e di registro.
Non è il caso di discutere qui se certi favori e certi privilegi concessi dallo Stato alle cooperative siano utili o dannosi all'incremento della sana cooperazione, ma devo osservare che troppo caro costerebbe al movimento cooperativo il favore statale, se questo, che è causa prima del sorgere di false cooperative, dovesse portare anche un'ingerenza ed un controllo diretto dello Stato sulla gestione delle cooperative.
I cooperatori non si rifiutano ad una revisione periodica, che sia esercitata da organismi collegiali, che potrebbero essere espressi direttamente dal loro seno: è interesse degli stessi cooperatori stroncare le speculazioni troppo frequenti fatte nel nome della cooperazione: ma essi non desiderano che le loro libere società diventino istituti parastatali. L'ingerenza ed il controllo governativo, spinti oltre un certo limite, snaturerebbero le cooperative.
È per queste considerazioni che ho proposto di togliere ogni accenno alla vigilanza governativa sulle cooperative dal progetto di Costituzione, sostituendo all'articolo 42 la seguente dichiarazione: «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione, ne favorisce l'incremento e ne assicura il carattere mutualistico, con apposite norme di legge».
Questi concetti sono stati in fondo accolti anche nell'emendamento proposto dagli onorevoli Barbareschi, Carmagnola, Mariani, Vischioni, Costantini, De Michelis, Merlin Lina e Merighi; debbo rilevare però che quando si dice: «la legge stabilisce le norme per assicurarne i caratteri e le finalità» è bene definire che questi caratteri debbono essere mutualistici, mentre trovo superfluo che si parli di finalità, le quali infatti non possono che essere quelle proprie dell'attività cooperativa; ché — se così non fosse — si tratterebbe allora di qualche altra cosa, ma non di cooperazione.
È evidente che, date le premesse da me esposte, io non possa concordare con l'emendamento proposto dagli onorevoli Canevari, Cairo, Zanardi e Filippini: non mi pare il caso di parlare di speculazione privata in una Carta costituzionale: la speculazione privata non è più cooperazione. Così come non mi pare, per i motivi già addotti, che siano da includere gli «opportuni controlli» contenuti nell'emendamento.
L'onorevole Marina concorda con l'emendamento da me proposto nella prima parte: ho ragione di ritenere che egli non abbia motivi così sostanziali da non accogliere anche la seconda.
L'emendamento Bibolotti ha pure notevoli punti di contatto con la formula da me suggerita: non credo di poter concordare con l'onorevole collega quando egli suggerisce che la Repubblica debba «promuovere» l'incremento della cooperazione.
Non è lo Stato che deve fare le cooperative, sono i cooperatori: lo Stato deve favorire il più possibile la costituzione ed il funzionamento delle cooperative, ma la loro costituzione è un atto di volontà spontaneamente associato, e tale è opportuno rimanga.
Non posso naturalmente trovarmi d'accordo con l'emendamento proposto dai colleghi Corbino, Quintieri Quinto, Colonna e Bonino: in esso la cooperazione non è neppure nominata, e vi si affronta un argomento che, seppure importante, riguarda un solo settore dell'attività economica e nulla ha a che fare col problema cooperativo.
Presidente Tupini. Mi sembra, onorevole Cimenti, che lei stia assolvendo il compito riservato all'onorevole Ghidini: sta discutendo infatti gli emendamenti presentati.
Cimenti. Onorevoli colleghi, nell'additare alla vostra attenzione l'emendamento che con me i colleghi Dominedò, Montini, Belotti, Cappugi, Gortani e Carratelli hanno voluto sottoscrivere, richiamo la vostra benevola comprensione sui motivi ideali che lo hanno ispirato. Essi trovano il loro riscontro nella speranza comune a tutti i sinceri cooperatori, i quali sanno che la loro fatica non aspetta il suo premio da capovolgimenti improvvisi, ma se lo conquista giorno per giorno: la cooperazione, forza viva e operante, in cui si assommano desiderio di rinascita, fede nell'avvenire, dignità del lavoro, deve essere riconosciuta dal popolo e dallo Stato come elemento di vita democratica, di progresso sociale.
La vostra approvazione non tradirà questa speranza, che è segno di fiducia nel futuro della Patria. (Applausi).
Presidente Tupini. Gli onorevoli Barbareschi, Carmagnola, Mariani, Vischioni, Costantini, De Michelis, Merlin Lina e Merighi hanno presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione e ne favorisce l'incremento.
«La legge stabilisce le norme per assicurarne i caratteri e le finalità».
Poiché non è presente l'onorevole Barbareschi, ha facoltà di svolgerlo l'onorevole Carmagnola.
Carmagnola. Noi socialisti siamo veramente soddisfatti che la Commissione abbia incluso nella Carta costituzionale questo articolo che si riferisce alla cooperazione.
Questa attività è stata attentamente seguita e sviluppata per decenni dal nostro movimento, in quanto ha fatto parte delle tre attività: il sindacato, la mutualità e la cooperazione ed ha concorso a elevare le condizioni di vita della classe lavoratrice. E noi siamo, ripeto, lieti che finalmente la cooperazione trovi posto nella nuova Carta costituzionale della Repubblica italiana.
Questo movimento, sorto per iniziativa dei lavoratori sin dal 1857 — ricordo la Cooperativa dei vetrai di Altare — si è sviluppato di anno in anno, raggiungendo una posizione notevole non solo per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori, ma anche per il suo sensibile benefico apporto alla economia del Paese. Esso venne stroncato, come voi conoscete, dal regime tramontato e noi ci dedichiamo ora all'intento di farlo risorgere più forte e più potente di prima. Naturalmente desideriamo che questo movimento cooperativistico risponda ai veri concetti della cooperazione; e noi socialisti siamo d'accordo nel ritenere che la cooperazione debba sottostare a certe garanzie perché possa ottenere quegli aiuti che lo Stato deve dare.
Queste garanzie potranno arrivare anche alla vigilanza, come reca appunto il testo proposto dalla Commissione. Ma riteniamo che questo termine «vigilanza» sia piuttosto un compito che entri nelle attribuzioni del legislatore e non già nella Costituzione. La Commissione che ha formulato questo articolo è già quindi entrata, a nostro avviso, nel campo del legislatore, mentre invece la Costituzione deve unicamente affermare dei principî, lasciando poi al legislatore di svilupparli con le dovute leggi e con i dovuti regolamenti.
L'oratore che mi ha preceduto ha già messo in evidenza l'altra preoccupazione, che è stata anche la nostra, nel proporre la cancellazione della parola «vigilanza»; cioè di evitare che il potere esecutivo entri nella vita della cooperazione e infirmi anche il suo carattere, per delle ragioni che potrebbero contrastare con quelle dei cooperatori.
Faccio osservare agli onorevoli colleghi che il movimento cooperativistico, quando sorge dalla libera spontaneità e dalla libera volontà dei cooperatori, è sempre un movimento sano, come è stato sano il vecchio movimento cooperativistico: basti riferirsi a quel grande esempio che abbiamo avuto nel Ravennate, creato dalla mente fervida ed operosa di Nullo Baldini.
Siamo d'accordo che in questi due anni sono sorte cooperative che hanno soltanto il nome senza averne il contenuto, in quanto sotto tale appellativo nascondono degli interessi di speculazione privata. E noi stiamo svolgendo appunto un'attività attenta per iscoprire queste false cooperative e farle scomparire.
Se vogliono svolgere dell'attività che appartiene alla speculazione privata, prendano il loro vero nome, prendano la loro giusta qualifica, e non usurpino quella che a loro non spetta, offendendo un movimento così nobile e così elevato.
Ma noi desideriamo che la vera cooperazione venga effettivamente aiutata. Già nel mio intervento in questa Assemblea, a nome del Gruppo del quale faccio parte, il 19 settembre dello scorso anno, segnalai al Governo le tristi condizioni nelle quali si trova la cooperazione.
Abbiamo infatti delle cooperative formate da giovani ed intelligenti operai, i quali desiderano di emanciparsi e di portare, con le loro attività, un contributo alla ripresa economica della Nazione, cooperative che vivono una vita impossibile perché non trovano le finanze adeguate, tanto da essere costrette a cadere nelle mani della speculazione privata.
E vi sono uomini i quali vanno per settimane e settimane a casa senza denaro, perché vogliono condurre a buon porto il loro esperimento; ed è veramente doloroso che lo Stato sia ancora indifferente di fronte a ciò. Non possiamo abbandonare queste cooperative, costrette a vivere degli aiuti della speculazione privata, alla quale debbono corrispondere il 10 o il 12 per cento sui denari avuti in prestito.
Bisogna quindi crearlo e aiutarlo questo movimento; e noi ci compiacciamo dell'articolo 44, che verrà poi in discussione, il quale dice che la Repubblica tutela il risparmio; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. In questo «disciplina, coordina e controlla» noi speriamo che si intenda dire anche di usare quei provvedimenti che possono veramente aiutare la ripresa del movimento cooperativo italiano.
Egregi colleghi, non ho altro da dire. Noi vogliamo che il movimento cooperativo risponda a dei principî sociali; intendiamo per cooperazione quella associazione libera di lavoratori, che si uniscono per difendere e per elevare le condizioni dei soci, ma che abbiano una visione più ampia, più vasta: di portare la loro attività a beneficio di tutta la Nazione. Questo è il movimento cooperativo, e negli statuti nuovi delle cooperative che sorgono si introducono appunto tali norme, perché i soci abbiano come meta questa finalità superiore.
Io quindi confido che l'Assemblea Costituente vorrà ratificare questo articolo proposto dalla Commissione, con l'emendamento che noi abbiamo presentato, per togliere ogni dubbio di ingerenze inutili nella vita delle cooperative. E sono certo, come siamo certi tutti noi socialisti, che il movimento cooperativo, se verrà aiutato e sviluppato, porterà un notevole vantaggio all'intelligente operosità, alla feconda iniziativa dei lavoratori, e sarà di notevole vantaggio alla nostra ricostruzione e alla ripresa economica della Nazione. (Applausi).
Presidente Tupini. Segue l'emendamento degli onorevoli Canevari, Cairo, Zanardi e Filippini:
«Sostituirlo col seguente:
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere mutualistico e senza fini di speculazione privata. La legge ne favorisce l'incremento con i mezzi più idonei, facilita lo svolgimento della sua funzione e ne assicura il carattere e le finalità attraverso gli opportuni controlli».
L'onorevole Canevari ha facoltà di svolgerlo.
Canevari. Onorevoli colleghi, sulla cooperazione esistono ancora molte incertezze e si hanno idee poco precise e poco chiare. Alcuni considerano la cooperazione come un mezzo per risolvere alla meno peggio i problemi più assillanti della vita quotidiana; altri vedono nella cooperazione la soluzione di tutte le ingiustizie umane. Molti sono gli amici della cooperazione; ma forse essi sono molti, appunto perché molte sono le incertezze e poco chiare le idee che si hanno in proposito. Vi è chi pensa la cooperazione come una forma di organizzazione a carattere di conservazione sociale. Se l'iniziativa riesce, essi pensano, la cooperativa finisce presto col tramutarsi in una organizzazione di artigiani; se l'iniziativa fallisce, la cooperativa si scioglie e gli aderenti ritornano presto alla loro servitù economica. Vi sono altri invece che vedono la cooperazione come un mezzo di lotta contro le ingiustizie sociali e una possibilità di trasformazione della società contemporanea in un nuovo ordinamento basato sulla solidarietà umana.
Non è facile definire la cooperazione. A noi preme non di darne definizione, ma di affermare in modo chiaro i caratteri, gli scopi e le finalità della cooperazione. È più facile intenderci quando noi abbiamo chiarito che cosa intendiamo per cooperazione e ci siamo intesi sulle sue finalità e sui suoi compiti.
La cooperazione non è un'associazione politica, come sono i partiti; non è un'associazione professionale, come sono i sindacati: è un'associazione economica a fini sociali.
Dal punto di vista economico essa si propone di realizzare ogni impresa senza scopo di lucro. In essa ogni utile è appropriabile collettivamente. La cooperativa si propone la subordinazione del capitale al lavoro, la soppressione dell'imprenditore come individuo. Dal punto di vista sociale la cooperativa è una organizzazione volontaria di attività associate su base mutualistica e solidaristica. Possiamo riassumere i caratteri della cooperazione e le sue finalità quali devono essere considerate nella Costituzione, nel modo seguente.
La cooperazione deve essere basata sui principî della mutualità e deve essere ispirata ad alte finalità di libertà umana. In tal modo essa costituisce un efficace mezzo di difesa dei produttori e dei consumatori dalla speculazione privata, e di elevazione morale e materiale delle classi lavoratrici. Perciò essa deve essere considerata dallo Stato e dagli enti pubblici:
1°) nella produzione e nel lavoro, come mezzo di controllo nei confronti delle imprese capitalistiche interessate nella esecuzione dei lavori pubblici; onde la possibilità di moralizzare gli appalti pubblici;
2°) nell'agricoltura, come la forza del lavoro impegnata nelle trasformazioni culturali che stanno alla base della auspicata riforma agraria;
3°) nel consumo, come lo strumento più efficace per la distribuzione delle merci di più largo consumo popolare e di difesa contro l'usura;
4°) nella edilizia, per facilitare alle classi lavoratrici, e particolarmente alle classi impiegatizie, il modo di procurarsi una abitazione igienica e confortevole;
5°) nelle industrie dei pubblici servizi, come preparazione dei lavoratori ad assumere la responsabilità diretta della produzione e delle gestioni più complesse nell'interesse generale;
6°) nella pesca, come il mezzo più idoneo per la utilizzazione razionale delle acque demaniali e per la gestione dei centri di raccolta del pesce, nell'interesse del consumo popolare;
7°) nel credito e nell'assicurazione, per risuscitare attorno alle banche popolari, alle casse rurali e alle mutue assicuratrici la fiducia e l'attaccamento dei piccoli risparmiatori;
8°) infine nella emigrazione, per valorizzare l'opera degli emigranti italiani all'estero.
Ciò premesso, lo Stato deve aiutare con i mezzi più efficaci il sorgere, il rinnovarsi e lo svilupparsi di un sano movimento cooperativo basato sui principî e sulle finalità sopra esposte. Da qui il controllo da esercitarsi, direttamente o per mandato, da parte dello Stato sul movimento cooperativo. Non si può chiedere l'intervento dello Stato, se contemporaneamente allo Stato non è consentito di esercitare il dovuto controllo. Nessuna preoccupazione per il controllo e la vigilanza da esercitarsi sulla cooperazione che voglia essere tutelata, difesa e sorretta dallo Stato per i suoi fini sociali. Tale controllo e tale vigilanza non possono essere esercitati che dallo Stato direttamente o per delega. Vediamo quello che avviene nelle altre Nazioni. Brevemente vi dirò che l'Italia, quando noi respingessimo dalla Carta costituzionale il principio del controllo sulla cooperazione, fra tutte le Nazioni civili sarebbe l'unica eccezione.
La Germania, col testo unico 20 maggio 1898, stabilì le ispezioni, almeno ogni due anni, di tutte le operazioni sociali nei rami delle amministrazioni delle cooperative, da effettuarsi da un revisore esperto non appartenente alla società. Si ammetteva che le cooperative potessero unirsi in consorzio, che avessero il compito di eseguire direttamente il controllo sulle cooperative consorziate. Ma questi consorzi a loro volta erano soggetti al controllo da parte dello Stato.
Il conferimento di tale facoltà era fatto dallo Stato federale e dal Consiglio federale e tale facoltà poteva essere revocata dalla stessa autorità che l'aveva concessa.
Per le cooperative non consorziate la stessa legge tedesca ammetteva che il controllo dovesse essere esercitato direttamente dal tribunale.
L'Austria vi provvedeva con la legge 1° giugno 1903, fondata sugli stessi principî della legge germanica.
Così per la Jugoslavia.
In Gran Bretagna, la madre della cooperazione (perché noi abbiamo, dal punto di vista non teorico, ma pratico, appreso molte cose dal movimento cooperativistico di quella Nazione), in Gran Bretagna, che ha molto da insegnare anche oggi, la revisione delle cooperative è obbligatoria ed è affidata all'Ufficio di Revisione statale. Tutte le società cooperative hanno i seguenti obblighi: registrazione; verifica annuale delle entrate, dei fondi e degli effetti sociali; inoltre, più ancora, un resoconto triennale dell'avere nella società di ogni socio, in titoli e mutui.
I revisori sono nominati dal Tesoro. E vi faccio presente, onorevoli colleghi, che la cooperazione in Gran Bretagna accetta questo rigido controllo cui è sottoposta, non perché abbia bisogno o richieda aiuti, sovvenzioni, protezione da parte dello Stato, di cui non ha e non ebbe mai bisogno, ma perché vede che soltanto attraverso questo controllo la cooperazione può dare la dimostrazione costante al pubblico, ai propri soci, a se stessa della sua funzione sociale, e che non viene mai meno al suo compito.
Nella Spagna, la revisione è affidata al Servizio della cooperazione presso il Ministero del lavoro e al Servizio di ispezione tecnica della previdenza sociale, nonché alla «Obra de corporación», che è una istituzione parastatale autonoma.
In Francia, la vigilanza è esercitata in modo permanente dagli Uffici Dipartimentali dell'Agricoltura.
In Portogallo, le leggi in vigore stabiliscono una vigilanza rigorosa per le cooperative che ottengono prestiti dalle banche di credito agricolo.
In Romania, la revisione è obbligatoria ed è esercitata dall'Istituto Nazionale della Cooperazione con pieni poteri di controllo sulle cooperative.
Le cooperative devono essere ispezionate almeno due volte all'anno se sono di primo grado, ed almeno 4 volte all'anno se sono di secondo grado.
In Italia, del resto, il principio della vigilanza sulla cooperazione (come principio, perché purtroppo non è stato messo in atto; magari lo fosse stato! Non avremmo portato in questa Aula la nota del nostro rammarico su quello che è avvenuto nel campo della cooperazione, come ha ricordato l'onorevole Carmagnola)...
Scoccimarro. Se ci fosse stato il controllo le cooperative nostre sarebbero state in condizione migliore.
Canevari. Sono perfettamente d'accordo con l'onorevole Scoccimarro, che potrebbe aggiungere qualcosa in proposito.
Dicevo dunque che in Italia il principio della vigilanza sulla cooperazione è ammesso da oltre 40 anni, ma purtroppo non è stato sufficientemente applicato.
Basti ricordare, prescindendo dal 1926, (quando il fascismo al governo creò l'Ente nazionale fascista della cooperazione, ente che dipendeva dallo Stato), la legge del 30 dicembre 1909 sulle cooperative pescatori; la legge 25 giugno 1909 sulla cooperazione di lavoro; il testo unico del 1919 sull'edilizia popolare; la legge 7 febbraio 1923 sugli istituti di credito; ed infine il Codice civile. Come disegni di legge che prevedono il controllo obbligatorio per le cooperative devo qui ricordare quello Vivante del 1896, che non ha avuto attuazione; il progetto Luzzatti del 1° ottobre 1905 (entrambi sulle orme della legislazione tedesca ed austriaca, con l'aggiunta prevista dal Ministro Luzzatti di deferimento al tribunale per tutte le cooperative che non ottemperassero all'obbligo della revisione); il progetto Labriola presentato alla Camera dei deputati il 22 novembre 1920, simile in questo al progetto del nostro presidente della Commissione onorevole Ruini; per i quali le revisioni ed ispezioni erano da esercitarsi o dal Ministero del lavoro, o dalle Federazioni di cooperative all'uopo riconosciute, e a loro volta controllate dallo stesso Ministero.
Dal che si desume:
1°) che la revisione obbligatoria, affidata allo Stato, è praticata anche all'estero ed in Paesi che sono classici per la libertà e per lo sviluppo della cooperazione;
2°) che anche nei Paesi nei quali essa è demandata ad organizzazioni cooperative, l'intervento dello Stato è sempre sancito, perché spetta allo Stato di concedere o di revocare tale facoltà, di dettarne le norme e di provvedere per le eventuali sanzioni.
A tutto questo dovrà quindi provvedere la legge. Siamo perfettamente d'accordo che non la Carta costituzionale ma la legge deve dettare tali norme; però, se la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione, la stessa Carta costituzionale deve di conseguenza riconoscere allo Stato il diritto al relativo controllo.
È da tener presente che su questo articolo era già avvenuto un completo accordo fra tutti i partiti; e mi sono meravigliato che all'ultimo momento gli amici della democrazia cristiana siano stati presi da tanti scrupoli e da tanta preoccupazione per le parole «vigilanza» o «controllo». Nella Commissione plenaria abbiamo presentato questo articolo, quale appare nel testo della Commissione, ottenendo l'unanimità. Nessuno ha parlato contro.
Ora, nell'articolo sostitutivo da noi proposto si afferma il riconoscimento da parte della Repubblica della funzione sociale della cooperazione a carattere mutualistico e senza fini di speculazione privata. Bisogna fare questa affermazione, perché non è possibile il riconoscimento della cooperazione nella sua funzione sociale, se non ci troviamo d'accordo su questi due principî, sui quali poggia tutta la struttura e l'architettura della cooperazione: la mutualità da una parte, e l'assenza assoluta di ogni speculazione privata dall'altra. Ho detto speculazione privata; ma con questo non si esclude, anzi si ammette, che la cooperazione possa fare le sue speculazioni, se legittime e controllate. Cessa la cooperazione di essere un'organizzazione a carattere mutualistico e sociale, quando vi si infiltrino elementi che possano esercitarvi speculazioni personali. La Costituzione deve limitarsi a queste affermazioni e a queste direttive, lasciando alla legge di provvedere alla disciplina del movimento cooperativo, in relazione agli sviluppi che la cooperazione assumerà nel tempo, ed in relazione alle particolari situazioni dalle quali emergeranno le necessità dei provvedimenti da adottarsi. (Applausi).
Presidente Tupini. L'onorevole Marina ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione e ne favorisce l'incremento».
Ha facoltà di svolgerlo.
Marina. Rinuncio al mio emendamento, e mi associo a quello proposto dall'onorevole Bibolotti, perché mi sembra letteralmente più chiaro del mio.
Presidente Tupini. L'onorevole Bibolotti ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione, ne promuove l'incremento e la tutela, allo scopo di assicurarne i caratteri e le finalità sociali».
Ha facoltà di svolgerlo.
Bibolotti. Onorevoli colleghi, su questo problema della cooperazione non è male che la nostra Assemblea si intrattenga un po' perché lo sviluppo di una sana cooperazione è garanzia, non solo di democrazia politica, ma di democrazia economica. Noi abbiamo bisogno, nel nostro Paese, non soltanto di veder sorgere delle cooperative, ma anche di potenziare la nostra economia con un vero e sano movimento cooperativistico. Quando ci troviamo di fronte alla iniziativa di lavoratori che si associano al fine di esercitare una attività produttiva, noi vediamo in questo un atto di coraggio e di fede. Lo Stato democratico e repubblicano di fronte alle iniziative cooperativistiche non può rimanere indifferente e non può considerare le cooperative come associazioni qualsiasi, né dal punto di vista economico, né da quello morale e giuridico.
La finalità sociale della cooperazione in che cosa consiste? Quando siamo d'accordo nel riconoscere questa finalità sociale, cosa intendiamo dire? Intendiamo dire che, nello sviluppo incessante della società, la cooperazione rappresenta un ponte di passaggio tra una economia interamente privatistica ed un'economia associata, che per noi è il socialismo. Ma la cooperativa non è il socialismo; è quel tanto di realizzazione di socialismo possibile nella società capitalistica, è quel qualche cosa che permette ai lavoratori di mettere in comune le loro energie, le loro intelligenze, i loro risparmi, le loro capacità di produzione.
Qui, noi comunisti, non abbiamo mai avuto indulgenza per una concezione della cooperazione direi avveniristica. Noi non ci siamo mai fatte illusioni, né ce ne facciamo, che, attraverso la cooperazione, si possa operare una profonda e radicale trasformazione della società e del suo sistema di produzione; ma non vi è dubbio che, specie in fase di transizione e di trapasso, tutte le iniziative dei lavoratori tendenti ad associarsi contro la speculazione nel campo del consumo sono un qualche cosa che deve essere guardato non soltanto con generica simpatia da parte di quanti amano il progresso e lo sviluppo sociale, ma, nella nuova Repubblica democratica, queste iniziative e questi sforzi devono considerarsi come una delle forze, come una delle vie che conducono veramente al progresso sociale.
Già nel passato il movimento cooperativo ha trovato dei legislatori che l'hanno considerato con una certa simpatia; ci voleva il ciclone del fascismo a farci ripiombare indietro anche in questo campo, ma è anche vero — come ho avuto occasione di dire ieri — che il fascismo non ha soltanto distrutto le cooperative, non le ha soltanto incendiate, saccheggiate e soppresse, ma ha corrotto lo stesso concetto della cooperazione. Nel Codice civile fascista c'è un capitolo che riguarda la cooperazione; nelle leggi fasciste si parla di cooperazione, e noi abbiamo ereditato l'ente fascista della cooperazione che non ha nulla a che fare con i principî della cooperazione, vale a dire coi principî mutualistici, coi principî solidaristici della cooperazione.
Ora, noi abbiamo bisogno di questo movimento ed abbiamo bisogno che questo movimento trovi in se stesso il risanamento necessario. Se malauguratamente in Italia non ci fosse la divisione nel campo delle organizzazioni cooperative, se il movimento della cooperazione, come il movimento sindacale, avesse trovato uguale unità associativa, l'autocontrollo, l'autovigilanza, avrebbero già notevolmente risolto l'assillante problema della necessaria distinzione fra la vera e la falsa cooperazione.
Oggi nuoce alla cooperazione l'esistenza di tutto un assai vasto settore di cooperative di speculazione, di cooperative improvvisate, di cooperative che, sotto il manto e l'etichetta della cooperazione, perseguono fini antimutualistici, antisolidaristici e di pretta marca speculativa. Ora, noi dobbiamo essere contro questa cooperazione spuria; ho fatto dei tentativi con gli amici degli altri settori per venire ad una formulazione comune. Io potevo anche accedere all'idea che della vigilanza e del controllo non si parlasse nel testo della Costituzione, per rimandarli alla legge. Ma, dal momento che la questione è posta, non si può più escludere il controllo, perché votare contro l'emendamento Canevari significherebbe respingere il controllo. Ora, io devo dichiarare che il controllo è il pensiero assillante di ogni buon cooperatore. Ogni uomo che ha responsabilità nel campo delle cooperative desidera, invoca, esige, il controllo. Quindi, io debbo ritirare il mio emendamento, debbo ritirarlo per dire che, sebbene il testo della Commissione sia per me il più soddisfacente, di fronte alle richieste del collega e compagno Canevari intendo associarmi al suo emendamento.
Così ritiro anche la mia firma all'altro emendamento formulato dagli onorevoli Dominedò e Cimenti.
Noi tutti oggi sentiamo la necessità del controllo, ed io domando agli amici della corrente democratico-cristiana...
Cimenti. Qui nessuno nega il controllo.
Bibolotti. Noi siamo alla ricerca della soluzione migliore. Sto svolgendo il mio pensiero e lo sto precisando. Dicevo che io potevo accedere all'idea che del controllo non si parlasse nel testo della Costituzione, perché appunto è la legge che deve regolare la forma, i limiti, i mezzi del controllo; ma, essendosi posto il problema se si debba o no introdurre il controllo, è necessario affermare che esso rappresenta una esigenza fondamentale per la sanità del lavoro cooperativo e di tutta la cooperazione.
Scoccimarro. Effettivamente le cooperative sane lo vogliono, le cooperative non sane non lo vogliono.
Cimenti. Io ho già affermato che vi sono già quattro controlli per la cooperazione.
Scoccimarro. La verità è che ci sono di quelli che non lo vogliono né nella Costituzione, né nella legge.
Cimenti. Non siamo certo noi che non lo vogliamo.
Bibolotti. Per quale ragione noi dovremmo insistere per dire che non si parli di controllo? Io non vedo questa necessità.
È vero che in Italia ci sono molte false cooperative? È vero o non è vero che quando si va nei Ministeri per chiedere qualche cosa di giusto per le cooperative ci si sente dire: Oh, la cooperazione, noi sappiamo che cosa è la cooperazione! C'è effettivamente una burocrazia anticooperativistica che si avvale appunto della esistenza delle cooperative non sane per mettersi contro le cooperative sane; e noi vogliamo togliere a questa burocrazia un'arma insidiosa che ci colpisce ingiustamente.
Noi dobbiamo auspicare che nella Costituzione, così come nella legge (c'è già un decreto in corso di esame che prevede ed organizza appunto il controllo), vi sia questa affermazione di un controllo che è stato concepito in seguito a nostre ripetute richieste, sia presso il Ministero delle finanze, sia presso il Ministero del lavoro. Io insisto dunque su questo: dal momento che se ne parla, credo che nessuno potrà votare contro il controllo. Io rendo omaggio alla tenacia del collega Canevari che è stato sordo alle nostre considerazioni di opportunità ed ha mantenuto il suo emendamento; comunque io mi associo all'emendamento più preciso, che meglio formula questa esigenza del controllo, perché votandolo non resta alcun dubbio.
Detto questo, io vorrei (poiché ad un certo momento si è ritenuto non fosse più il caso di parlare della proprietà cooperativa) che nella formulazione dell'articolo, ove si parla di questa esigenza di controllo e di vigilanza da parte dello Stato, si desse anche il significato del riconoscimento alla cooperazione della sua funzione sociale, non nel senso astratto e generale, ma nel senso di un tipo di proprietà che avvii il lavoratore all'autoproprietà, cioè alla creazione della proprietà per la via del risparmio associato; concetto questo che dovrebbe essere caro anche agli amici democristiani. Perché, l'idea che la proprietà sia basata sul concetto del risparmio, non è nostra, ma vostra. La proprietà cooperativa che si può creare attraverso il risparmio, ossia attraverso il concorso volontario di masse di cooperatori, specialmente nel campo del consumo, dovrebbe essere una idea cara anche a voi. Ora, se tutti noi, per una ragione o per un'altra, amiamo la cooperazione ed amiamo che sia garantita ed agevolata quando è sana, se vogliamo tutelare ed incoraggiare la creazione del risparmio cooperativistico e quindi della proprietà cooperativistica, io penso che dobbiamo trovare un accordo perché il concetto del controllo statale non venga oggi messo in dubbio, attraverso una votazione pro o contro. È un tentativo ingenuo che io faccio, ma io penso che ormai, posto il problema, come noi comunisti abbiamo accettato la formulazione dell'onorevole Canevari, chiedo che anche gli amici della democrazia cristiana, i quali hanno dichiarato di non esservi contrari, prendano insieme con noi, unanimi, questa risoluzione, in modo che si possa essere tutti d'accordo contro le false cooperative, contro la cooperazione spuria, e risulti che tutti insieme vogliamo che lo Stato incoraggi e promuova la cooperazione.
E ciò non vuol dire che lo Stato debba creare le cooperative: promuovere la cooperazione non significa infatti questo, ma significa che lo Stato non deve se non creare le condizioni che permettano ai cooperatori di non urtare contro un'ostilità preconcetta, come quella che c'è ancora in molta parte della burocrazia statale, sia al centro che alla periferia.
Si tratta insomma di creare un clima, di creare un'atmosfera di simpatia (che è certamente nelle nostre intenzioni di legislatori, ma che deve anche diventare patrimonio ideale) nei ministeri, nell'animo di chi deve decidere della vita o della morte di una cooperativa.
Molte volte, infatti, la sentenza di morte di una cooperativa si ha non già per mancanza in essa di spirito mutualistico, ma unicamente perché delle muraglie burocratiche si frappongono, nei ministeri e nei servizi delle opere pubbliche, fra le cooperative e la volontà progressiva del legislatore e del ministro. In generale, oggi si è piuttosto ostili alle buone cooperative e indulgenti con le false: ma più frequentemente ostili verso tutte le cooperative dei lavoratori.
Ora, l'idea della cooperazione deve trovare nello Stato democratico e repubblicano la piena comprensione. È per questa ragione che mi associo all'emendamento presentato dall'onorevole Canevari e ritiro il mio. (Applausi).
Presidente Tupini. Gli onorevoli Macrelli, Spallicci, Martino Enrico, Bernabei, Magrini, Paolucci, Azzi, Della Seta, Conti e Perassi, hanno presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione, basata sui principî della mutualità, e ne favorisce l'incremento, conformemente alla legge».
L'onorevole Macrelli ha facoltà di svolgerlo.
Macrelli. Onorevoli colleghi, la Lega Nazionale delle cooperative, fino dal gennaio dell'anno scorso, aveva chiesto, in forma solenne, che nel progetto di Costituzione da discutersi in questa Assemblea fosse riconosciuto il principio della cooperazione. E giustamente ha fatto la Commissione dei settantacinque ad accogliere tale principio.
Io penso che l'Assemblea Costituente darà, in quelle forme che crederà più opportune, il consenso all'affermazione di un principio importantissimo per la vita sociale, politica e morale del nostro Paese. Ben a ragione ha voluto qualcuno ricordare quelle figure che hanno lasciato una traccia nella storia della cooperazione. L'amico Carmagnola ha ricordato Nullo Baldini, pioniere della cooperazione nella mia terra di Romagna, ed io mi associo al doveroso omaggio per quest'uomo che ha combattuto, ha lottato, ha sofferto per la redenzione della terra e dei lavoratori attraverso la cooperazione. Accanto a lui però voglio mettere anche le figure di umili, modesti operai, che in Romagna, attorno alle cooperative create, potenziate, animate dal partito repubblicano, hanno redento, bonificandole, terre su cui dominava la morte. Noi li ricordiamo tutti e il loro ricordo è sempre presente in noi, specialmente in quest'ora.
D'altro canto, io non so dimenticare, parlando di questo problema, quella che è la tradizione nostra. Il movimento cooperativistico ha sentito l'anima, la fede del Partito repubblicano. E poiché l'amico Canevari ricordava — soprattutto ad esempio e a monito nostro — quello che si è fatto nella lontana, democratica Inghilterra, io vorrei rammentare all'Assemblea che ad un certo momento nella vita del popolo inglese ha influito il pensiero di Giuseppe Mazzini per il movimento cooperativistico. Basta ricordare quello che in proposito ha scritto Boltonn King. Consentitemi questo legittimo sfogo, che spero voi comprenderete e apprezzerete. E andiamo oltre.
La Commissione ha proposto l'articolo 42, formulato come voi sapete. Sul principio siamo tutti d'accordo: nessuno può venire qui a contrastare, sotto qualsiasi pretesto di fede, di idea, di tradizione, il principio della cooperazione. Il dissidio, se così si può chiamare, sorge invece sul modo del riconoscimento della cooperazione, basato sulla «vigilanza», ossia sul controllo da parte dello Stato.
L'onorevole Canevari, che è un valoroso cooperatore, accetta la formula della Commissione, salvo alcune varianti che voi avete sentito spiegare e illustrare. Mi consenta però di dirgli che io non so se il suo atteggiamento si identifichi in pieno con quello dei cooperatori che sono nella Lega nazionale delle cooperative, da lui presieduta. Comunque, io non metto in dubbio soprattutto le premesse da cui egli parte, tanto più che non posso dimenticare che in fondo il suo orientamento risponde a quello che egli ed i suoi compagni si sono fatti e si fanno dello Stato; in contrasto è l'onorevole Cimenti, il quale — se non erro — è Presidente della Confederazione delle cooperative italiane, che si ispira ai principî della dottrina sociale cristiana, la quale dice: «Niente controlli da parte dello Stato; via i controlli e, per il resto, riportiamoci alle disposizioni di legge».
Cimenti. Noi vogliamo i controlli!
Macrelli. Ora, noi conosciamo i termini della questione, onorevoli colleghi. Se da una parte gli amici che fanno capo all'onorevole Cimenti si turbano di fronte all'idea dell'intervento dello Stato, gli altri non se ne preoccupano. E allora vediamo se ci può essere una forma intermedia che concili l'aspirazione degli uni con quella degli altri.
L'articolo 42 è un po' anodino; mi permetterete di dirlo: risente un po' dello stile delle Costituzioni superate. Prendete un articolo dello Statuto albertino, per esempio, e vi troverete: «La stampa è libera». Questa è l'affermazione di principio; ma subito dopo ecco il correttivo: «la legge però ne reprime gli abusi».
E allora non bisogna esagerare né da una parte né dall'altra. Io ho presentato un emendamento firmato da parecchi colleghi del mio Gruppo. Non crediate che io ne voglia rivendicare in pieno la paternità. Non è germinato dal mio cervello... cooperativista. Io mi sono riferito — e stavo per dire che l'ho tradotto alla lettera — ad un articolo della Costituzione recentissima della Confederazione elvetica. La formula adoperata dalla Costituzione svizzera dice: «La Confederazione garantisce gli sviluppi delle organizzazioni economiche fondate sul principio della mutualità». Qui, in fondo, si dice tutto. La cooperazione non è tale se non è fondata sulla mutualità; e siamo perfettamente d'accordo con l'amico Canevari: è un'affermazione precisa e categorica che bisogna comprendere nel testo della nostra Costituzione.
S'intende che, fissato il principio, il resto sarà materia della legge e non può essere materia della nostra Magna Charta. Dirà la legge se e quando e in quali condizioni e che cosa lo Stato farà per garantire, sviluppare e controllare le cooperative. Questo io dico perché, fra l'accettazione incondizionata del controllo dello Stato — cui si riferisce un poco l'onorevole Canevari — ed il ripudio quasi assoluto dell'onorevole Cimenti, vi è la terza formula alla quale io mi riferivo, cioè quella per la quale l'ispezione, che potremmo definire ordinaria, sia fatta dagli organi centrali cooperativi e quella eccezionale sia fatta dallo Stato.
In conclusione, onorevoli colleghi, io ho cercato di riassumere questi miei principî nella formulazione di quell'emendamento di cui avete sentito dar lettura: «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione, basata sui principî della mutualità, e ne favorisce l'incremento, conformemente alla legge».
Perché non sorga alcun dubbio su questo mio emendamento, e soprattutto sulle ragioni e sul principio che l'hanno ispirato, vi dirò che io — e credo di non dire una cosa nuova, germinata solo dalla mia convinzione particolare e personale — sono favorevole a che anche in Italia si istituisca il Ministero della cooperazione.
E badate, onorevoli colleghi, non è la prima volta che in Italia si parla di questo Ministero. È un voto, starei per dire, unanime — espresso ai congressi della cooperazione — di tutti i partiti, di tutte le idee e di tutte le correnti. Quest'affermazione ha trovato una concreta estrinsecazione in altri Stati: per esempio, in Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, Ungheria e in molte Repubbliche Sudamericane.
Quando voi pensate che la materia relativa alla cooperazione è divisa in Italia fra sei Ministeri, molto spesso in contrasto fra di loro — anzi, sempre in contrasto fra di loro — voi comprendete forse che questa necessità s'impone alla nostra attenzione.
Ho finito, onorevole Presidente. Ma prima di finire mi consenta l'Assemblea che io approfitti di questa occasione per aggiungere alcune considerazioni.
Stiamo affrontando un tema importante e delicato, ed è bene che approvato il principio della cooperazione, sorga da noi, da questa libera Assemblea di rappresentanti del popolo, qualche altra affermazione. I futuri legislatori dovranno, ed anche noi dovremo pure, nella possibilità del tempo messo a nostra disposizione, affrontare questi problemi.
L'onorevole Bibolotti ha accennato al credito per le cooperative. C'è una Banca Nazionale del Lavoro, che avrebbe dovuto avere questa funzione; forse non ha potuto esplicarla. Bisognerà che tale funzione si esplichi veramente nei confronti e nell'interesse delle cooperative, non solo, ma occorrono disposizioni mitigative per quanto riguarda l'imposta generale sulla entrata che esenti dal pagamento della imposta il passaggio di merci e prodotti successivi a quelli di primo acquisto; è una necessità assoluta, richiesta dalle nostre cooperative.
E poi in ultimo — lo abbiamo invocato a piena voce qui in Assemblea, io, l'amico Canevari, e tanti altri colleghi che conoscono la vita di dolore delle nostre cooperative — noi abbiamo chiesto che finalmente il Governo provveda a far restituire alle cooperative i beni rapinati dal fascismo. Abbiamo parlato, non solo delle cooperative, ma anche dei comuni, degli enti pubblici, dei partiti politici. Vi è stata una vera razzia: la violenza morale e materiale si è abbattuta sulle nostre case e sulle nostre cose. È bene, è sopratutto dovere morale che il Governo provveda per una ragione elementare di giustizia. (Applausi).
Presidente Tupini. Gli onorevoli Cimenti e Dominedò hanno presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione. La legge ne favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura il carattere e le finalità».
L'onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.
Dominedò. Mantengo l'emendamento e lo illustrerò brevemente.
Mi associo allo spirito delle proposte già svolte da alcuni colleghi, e particolarmente dagli onorevoli Carmagnola e Macrelli, salvo qualche rilievo che sottoporrò subito all'Assemblea.
La cooperazione dev'essere riconosciuta nella sua funzione sociale, in forza della quale, per dirla con Mazzini, capitale e lavoro si riuniscono nelle stesse mani: tutti possiamo in ciò convenire. La funzione sociale della cooperazione, come tale, risulterà garantita, in quanto sia assicurato il carattere mutualistico che ne sta alla base: pure qui d'accordo. Infine, è conveniente che la legge favorisca l'incremento del fenomeno con i mezzi più idonei, acciocché si abbia una sana cooperazione, bastevole a se stessa: anche su questo aspetto possiamo trovarci perfettamente d'intesa.
A tali scopi e in vista di tali presupposti, la legge dovrà assicurare i caratteri e le finalità proprie della cooperazione. Questa ci sembrerebbe una disposizione costituzionalmente appropriata alla materia. Il divario sorge solamente in relazione all'ulteriore sviluppo del concetto, poiché anche noi conveniamo che allo scopo di assicurare i caratteri e le finalità di una sana cooperazione, non spuria né parassitaria, domani debbano operare idonei controlli.
In concreto, questi controlli potranno più o meno allontanarsi dagli schemi attualmente vigenti. La legge stabilirà, per quanto riguarda i controlli di legalità, eventuali ritocchi o innovazioni al sistema oggi affidato dal Codice civile al Tribunale.
Per quanto concerne invece i controlli di merito nella vita dell'azienda, dal punto di vista intrinseco dell'attività cooperativa, sorge un delicato problema che la legge potrà e dovrà risolvere in aderenza alle reali esigenze della materia, per assicurare vitalità al fenomeno e per apprestare alla cooperazione l'incremento che essa effettivamente meriti. Ma, se si vorrà definire il complesso tema, allo scopo che la cooperazione cammini per il naturale binario, secondo i propri caratteri e per il raggiungimento delle proprie finalità, noi pensiamo che non si possa oggi, in sede costituzionale, ipotecare il domani raffigurando fin da oggi il controllo come una funzione di Stato. Questo è il nostro dissenso; ma poste chiaramente le idee, le formule si trovano.
Noi prospettiamo, ad esempio, una soluzione la quale ha già dalla sua l'esperienza e la storia. Per quanto riguarda i controlli di merito, mi limito a prospettare un'ipotesi: se domani si potesse andare verso forme di autocontrollo, le quali rispondessero allo stesso principio di autogoverno della categoria, che abbiamo già affermato nel settore sindacale e che intendiamo rivendicare anche nel settore cooperativo, noi faremmo opera di vera democrazia. All'associazione rappresentativa della cooperazione potrebbe la legge affidare la vigilanza sugli organismi rappresentati: ciò sarebbe razionale e vantaggioso insieme.
Sotto questo aspetto io proporrei, riprendendo l'emendamento che aveva anche l'originaria firma dell'onorevole Bibolotti, una formula, in forza della quale la necessità del controllo risulta già affermata e prospettata costituzionalmente, sia pure come esigenza generica. Non si spiegherebbe altrimenti la formula proposta, secondo la quale la legge dovrà assicurare e «il carattere e le finalità» della cooperazione. Ammessa infatti questa necessità d'ordine economico e sociale, evidentemente essa deve essere realizzata attraverso strumenti idonei al fine: ed i mezzi rispondenti allo scopo saranno appunto i controlli da istituire democraticamente secondo la stessa volontà delle categorie e in aderenza all'interesse della collettività.
Ecco così risolto il problema in linea di principio. Di qui una formulazione generica, ma rispondente alla tecnica costituzionale: «la legge ne favorisce l'incremento e ne assicura con i mezzi più idonei il carattere e le finalità». Di qui il riconoscimento dell'interesse pubblico legato alla gestione cooperativa; ma insieme la garanzia per la libertà delle iniziative, contro il pericolo dello statalismo.
Peraltro le formule proposte dai colleghi Macrelli e Carmagnola finiscono per rispondere al nostro concetto, in quanto le prospettive del controllo sono aperte, ma ad un tempo non ne compromettono le modalità ed i caratteri entro schemi obbligati in partenza.
Ricordando Maxwell, vorremmo evitare che la politica entri nella cooperazione, auspicando invece che la cooperazione inspiri la politica.
Sotto questi aspetti, noi crediamo umilmente di offrire un contributo per la rinascita viva e feconda della cooperazione italiana. (Applausi).
Presidente Tupini. Segue l'emendamento dell'onorevole Cassiani, già svolto:
«Sostituire la parola: riconosce, con la parola: afferma».
Caroleo. Chiedo di parlare.
Presidente Tupini. Ne ha facoltà.
Caroleo. Domando all'onorevole Canevari se abbia difficoltà di aggiungere dopo la parola «controlli» la parola «giudiziari» per determinare la natura della vigilanza. Questa deve sussistere, è indubbio, ma è bene precisare fin da ora ch'essa va sottratta al potere esecutivo, se vogliamo liberare le cooperative dal pericolo permanente della gestione commissariale. Indubbiamente, aggiungendo questa qualifica, si potrà anche arrivare a quella considerazione di autonomia di controllo a cui accennava poco fa l'onorevole Dominedò; perché il controllo giudiziale si potrebbe estendere in sede di esame degli statuti delle cooperative, stabilendo che questi enti debbano avere determinati controlli autonomi per conseguire il riconoscimento legale.
Presidente Tupini. Accetta, onorevole Canevari, la proposta dell'onorevole Caroleo?
Canevari. Mi dispiace di non potere accettare: se aggiungessimo quella parola, verremmo a rendere impossibile il controllo autonomo, che la legge potrebbe conferire alle organizzazioni sindacali.
Dominedò. D'accordo.
Presidente Tupini. Onorevole Caroleo, ella ha facoltà di presentare un emendamento, se intende insistere nella sua proposta.
Prego l'onorevole Relatore di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti presentati.
Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. Comincio dall'ultimo emendamento, quello dell'onorevole Cassiani, il quale propone di sostituire alla parola «riconosce» la parola «afferma».
È un mutamento di forma, che la Commissione non ritiene di accettare.
L'onorevole Colitto propone:
«È promossa ed agevolata l'impresa cooperativa di lavoratori o consumatori, che si associano, su basi di mutualità, per provvedere alla tutela dei propri interessi o per scopi di utilità generale».
Io non so se questa disgiuntiva «o» sia un errore del proto o se rappresenti il pensiero del proponente. In questo caso, la Commissione è recisamente contraria.
Secondo l'emendamento, lo Stato dovrebbe concedere agevolazioni anche alle cooperative che non abbiano altro scopo che quello della tutela e dell'incremento dei propri interessi; mentre, invece, in tanto lo Stato agevola e favorisce, in quanto le cooperative abbiano scopi di utilità generale.
E vengo agli altri emendamenti.
A parte qualche mutamento di forma, che ha valore molto relativo, ciò che è sostanziale in tutti questi emendamenti e che li differenzia dal testo è che gli emendatori propongono la soppressione del «controllo» o della «vigilanza». L'onorevole Cimenti, che ha aperto il fuoco, è stato il più reciso nell'affermazione del proprio pensiero; pensiero che poi si è attenuato durante la discussione, fino ad arrivare alle ultime concessioni dell'onorevole Dominedò, che, mentre tace della vigilanza da esercitarsi dallo Stato, parla invece di autovigilanza da parte degli stessi cooperatori.
Con questo l'onorevole Dominedò ammette pur sempre la necessità d'una vigilanza.
In questa sua affermazione, egli era stato preceduto dall'onorevole Carmagnola, il quale aveva detto che il movimento dei cooperatori italiani è movimento sano e che essi stessi avrebbero vigilato, affinché la cooperazione non degenerasse in forme speculative.
Dunque, in sostanza, non si nega che vi sia la necessità di vigilare, di controllare.
Il dubbio che assillava lo spirito dell'onorevole Cimenti, mi pare si debba considerare svanito. Egli poneva questa domanda: perché la vigilanza? È forse suggerita da un senso di sfiducia nella cooperazione? Evidentemente no, rispondiamo, tanto vero che nella sua prima parte l'articolo 42 «riconosce» senz'altro «la funzione sociale della cooperazione» e si propone di favorirne «l'incremento».
Dice ancora l'onorevole Cimenti: si vogliono con questa vigilanza suggerire provvedimenti di polizia? Nemmeno per sogno. Si vuole solamente ovviare al pericolo che delle cooperative che hanno soltanto la veste di cooperative e sono invece società di speculatori, possano godere di vantaggi e favori che a loro non spettano e quindi frodarli. Questo è lo scopo che ci proponiamo.
L'onorevole Cimenti dice che c'è una contraddizione in termini fra un articolo e l'altro, perché mentre qui sottoponiamo a vigilanza l'impresa cooperativa, che è una espressione della iniziativa privata, proclamiamo invece all'articolo 39 che «l'iniziativa privata è libera». Gli rispondo che è in errore. L'articolo 38 tratta precisamente il tema della «proprietà privata» dichiarando che «la legge ne determini i modi e i limiti»; il che vuol dire che la legge interviene allo scopo di impedire che l'iniziativa privata, degenerando, venga meno alla sua «funzione sociale».
Insisto quindi nel nostro concetto: perché lo Stato favorisca la cooperazione è giusto che eserciti su di essa la necessaria vigilanza e che tale vigilanza sia stabilita con legge.
Dominedò. Mi permetta, anche l'autocontrollo di categoria sarà stabilito per legge ed emanerà dalla volontà dello Stato.
Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. Devo aggiungere, a chiarimento, che nell'articolo 42 abbiamo di proposito usato la parola «vigilanza». L'emendamento dell'onorevole Bibolotti originariamente invece parlava di «tutela».
Le due espressioni non sono equivalenti. La «tutela» è più che la «vigilanza», perché mentre la prima si estrinseca in un'attività positiva, l'altra invece si manifesta piuttosto in un'attività negativa. Nel caso della prima è più facile un intervento dello Stato che limiti la libertà dell'impresa, mentre nel caso della seconda lo Stato si limiterà alla difesa del suo diritto impedendo che le agevolazioni e i favori destinati alla vera cooperazione vadano a beneficio di coloro che non li meritano.
Per queste ragioni la Commissione insiste nel concetto di «vigilanza» e mantiene integralmente l'articolo 42, così come nel testo. Con questo non intendo, io personalmente, negare la mia simpatia per l'emendamento Canevari, che forse meglio precisa i caratteri della nostra cooperazione. Ad ogni modo, siccome tutto ciò che è necessario e sufficiente è già racchiuso nel testo, la Commissione, nella sua maggioranza, vi insiste.
Presidente Tupini. Come l'Assemblea ha udito, l'onorevole Ghidini ha dichiarato che la Commissione mantiene il testo dell'articolo 42.
Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?
Colitto. Non lo mantengo ed aderisco all'emendamento, che è stato testé svolto dall'onorevole Dominedò.
Vorrei pregare, però, l'onorevole Dominedò di aggiungere, se lo crede opportuno, dopo le parole «e ne assicura», le altre: «con opportuni controlli», di modo che la chiusa dell'articolo suonerebbe così: «La legge ne favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con opportuni controlli, il carattere e le finalità». Infatti, come ha detto dianzi l'onorevole Ghidini, lo Stato dà del proprio alle cooperative e fa loro delle agevolazioni. Per questa ragione a me sembra che, dato che esiste sempre un pericolo di danno per lo Stato, sarebbe opportuno mantenere i controlli.
Presidente Tupini. Onorevole Cimenti, mantiene il suo emendamento?
Cimenti. Vi rinuncio e mi associo a quello proposto dal collega Dominedò, e subordinatamente a quello dell'onorevole Macrelli, qualora questi vi insista.
Presidente Tupini. Onorevole Carmagnola, mantiene il suo emendamento?
Carmagnola. Non ho difficoltà, dopo le spiegazioni che ho dato sulle ragioni che mi consigliavano di chiedere la soppressione della parola «vigilanza» — per cui ero favorevole al «controllo» —, ad associarmi all'emendamento Canevari, e ritiro senz'altro il mio.
Presidente Tupini. Onorevole Canevari, lei mantiene il suo emendamento?
Canevari. Lo mantengo accogliendo l'invito fattomi di togliere le parole: «facilita lo svolgimento della sua funzione». Vorrei fare però una dichiarazione, rivolta direttamente alla osservazione fatta dall'onorevole Macrelli, e già svolta in questo emendamento, anche a nome e secondo le deliberazioni unanimemente assunte dal Consiglio direttivo della Lega nazionale delle cooperative. Faccio presente all'onorevole Macrelli che la relazione che ho presentata alla terza Sottocommissione era stata precedentemente approvata dal Consiglio direttivo della Lega, nella forma seguente: «Lo Stato favorisce con i mezzi più idonei lo sviluppo delle cooperative fondate sul principio della mutualità, e ne vigila il funzionamento».
Presidente Tupini. Onorevole Macrelli, mantiene il suo emendamento?
Macrelli. Lo mantengo, ma non vorrei che attorno ad esso si creasse un'atmosfera di leggenda. (Rumori). Rispondo subito all'amico Canevari, che non metto in dubbio quanto egli ha dichiarato in questo momento. Ci sono state voci di dissenso, di cui si è avuto eco oggi in quest'Assemblea, ma il testo della Lega nazionale delle cooperative non è perfettamente uguale all'emendamento presentato dall'onorevole Canevari, e su quella formulazione forse avremmo potuto metterci tutti d'accordo. Per queste ragioni mantengo il mio emendamento.
Presidente Tupini. Onorevole Dominedò, lei mantiene il suo emendamento?»
Dominedò. Lo mantengo.
Presidente Tupini. Poiché l'onorevole Cassiani non è presente, il suo emendamento si intende decaduto.
Procediamo ora alla votazione dell'articolo e degli emendamenti.
Pongo in votazione la prima parte dell'articolo 42, comune anche a tutti gli emendamenti mantenuti:
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione».
(È approvata).
L'emendamento Canevari, introducendo due concetti nuovi, si discosta maggiormente dal testo della Commissione, e pertanto procediamo alla votazione nelle sue varie parti.
Pongo in votazione l'espressione:
«a carattere mutualistico e senza fini di speculazione privata».
Dominedò. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Tupini. Ne ha facoltà.
Dominedò. In base ai concetti già esposti, e per quelle ragioni, voteremo contro, essendo il concetto della mutualità compreso anche nel nostro emendamento.
(Segue la votazione per alzata e seduta).
Presidente Tupini. Dato l'esito incerto della votazione per alzata e seduta, procediamo, alla votazione per divisione.
(L'Assemblea approva — Applausi a sinistra).
Passiamo alla votazione della seconda parte dell'emendamento Canevari, così formulato dopo la soppressione, chiesta dallo stesso onorevole Canevari, delle parole: «facilita lo svolgimento della sua funzione»:
«La legge ne favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura il carattere e le finalità attraverso gli opportuni controlli».
Einaudi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Tupini. Ne ha facoltà.
Einaudi. Se ho votato la parte precedente dell'emendamento presentato dall'onorevole Canevari, ciò non accadde perché fossi persuaso della bontà del contenuto intrinseco di quell'inciso. Non posso dimenticare per dovere professionale un celeberrimo articolo di tanti anni fa scritto da Maffeo Pantaleoni, in cui era dimostrato essere logicamente impossibile trovare un significato tecnico-economico al concetto della cooperazione. Fino ad oggi, che io sappia, nessuno è stato in grado di confutare quello studio del Pantaleoni. (Commenti). Ma ho votato quella prima parte dell'emendamento dell'onorevole Canevari perché vi era aggiunto quest'altro concetto che afferma il principio del controllo sulla natura delle cooperative e perché mi auguravo e mi auguro che il concetto sia interpretato nel senso che il controllo sia compiuto dai medesimi cooperatori (Commenti) al fine di poter accertare che nella cooperazione esiste sul serio la vera e sola caratteristica che la costituisce.
La caratteristica speciale della cooperazione è invece esclusivamente il senso di apostolato e di eroismo dei cooperatori. (Approvazioni). Tutti noi ricordiamo, ripensando all'epoca passata, il nome di Nullo Baldini, il quale apparteneva alle schiere socialiste. Non so a quali schiere appartenesse il Bizzozzero, il fondatore delle cooperative agrarie nel Parmense, del quale un altro cooperatore, il Guerci, narrò l'opera in un volume memorando; non so a quali schiere appartenesse il Buffoli, fondatore ed animatore dell'unione cooperativa di Milano. So che, finché questi uomini sono vissuti, la cooperazione si è ingrandita ed ha adempiuto ai suoi uffici, perché questi uomini erano uomini probi, perché erano uomini che non badavano al lucro, erano uomini che tutti gli imprenditori sarebbero stati felici di assumere ai loro stipendi, pagandoli molto più di quello che essi lucravano adempiendo ad un ufficio di apostolato.
Io mi auguro che coloro i quali dovranno esercitare questo controllo lo eserciteranno nel senso di escludere dal novero delle cooperative quelle nelle quali non esista il senso di sacrificio e di apostolato, che è la sola e vera anima, la sola caratteristica non misurabile e non calcolabile della cooperazione. (Applausi).
Presidente Tupini. Pongo in votazione la seconda parte dell'emendamento Canevari:
«La legge ne favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura il carattere e le finalità attraverso gli opportuni controlli».
(È approvata).
Restano così assorbiti gli emendamenti degli onorevoli Dominedò e Macrelli.
L'articolo 42 risulta, nel suo complesso, così approvato:
«La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione, a carattere mutualistico e senza fini di speculazione privata. La legge ne favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura il carattere e le finalità attraverso gli opportuni controlli».
Presidenza del Presidente Terracini
[Per la parte seguente, vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 46 per il testo completo della discussione.]
[...]
Presidente Terracini. Gli onorevoli Gortani, Franceschini, Di Fausto e Andreotti, hanno presentato il seguente emendamento:
«Aggiungere il seguente comma:
«Apposite provvidenze legislative assicurano la tutela e lo sviluppo dell'artigianato».
L'onorevole Gortani ha facoltà di svolgerlo.
Gortani. Onorevoli colleghi, perdonate se con le brevi parole che dirò per svolgere il mio emendamento, io apro una specie di parentesi nella importante discussione in corso. Tuttavia non credo sia inutile che in sede di discussione riguardante le aziende maggiori, si aggiungano alcune parole intorno a quei minori organismi che sono le piccole aziende.
L'artigianato, antica gloria d'Italia, è insidiato dal prepotere della macchina e dalla invadente e prepotente organizzazione industriale moderna. Il suo campo di azione si è venuto man mano restringendo, soffocato dalla concorrenza delle lavorazioni meccaniche in serie, allo stesso modo — se mi è lecito un paragone — allo stesso modo in cui le tradizioni, gli usi, i costumi, i dialetti si sono venuti mano mano contraendo o attenuando sotto il dilagare della modernità livellatrice. Ma l'artigianato italiano ha una sua vitale ragione di persistere e di riaffermarsi, per ragioni essenziali della nostra stirpe; perché è troppo legato alla nostra storia, alla nostra possibilità di lavoro e di produzione, alla nostra economia individuale e nazionale. E deve anche continuare a persistere e prosperare (l'artigianato nostro) per ragioni etiche, onorevoli colleghi: perché l'artigianato consente all'operaio, più che ogni altra forma di lavoro industriale, di conservare e sviluppare la propria personalità; personalità che nelle grandi officine è necessariamente soffocata dallo strapotere della macchina e dalla monotonia del lavoro ultrasuddiviso, che richiede all'operaio un'attività quasi automatica, comprimendone l'iniziativa individuale, e trasformando l'uomo nell'elemento di una macchina gigantesca. Per continuare a vivere e per riaffermarsi e consolidarsi, l'artigianato ha bisogno di essere aiutato: 1°) nella produzione; 2°) nella organizzazione economica e commerciale; 3°) nella libera espansione.
Cominciamo dalla produzione. Nella produzione l'artigianato ha bisogno di essere aiutato sotto un duplice aspetto: dell'insegnamento tecnico-professionale, e delle direttive tecnico-artistiche intese a conservargli la sua originalità, ad assicurarne e migliorarne i pregi tradizionali, e a indirizzarne la produzione verso le esigenze del mercato interno, del mercato estero e dell'industria del forestiero.
Quest'ultimo fine rientra già nel secondo tema: quello della organizzazione economica e commerciale, che deve essere diretta a coordinare le iniziative singole, a stimolare e favorire la cooperazione, ad organizzare le vendite all'interno ed all'estero ed a facilitare il credito artigiano, ridotto oggi a termini addirittura irrisori.
Infine l'artigianato deve essere aiutato per ciò che riguarda la sua libera espansione; sottraendolo agli eccessi del fisco che oggi è sempre pronto a piombargli addosso come una piovra soffocatrice; e facilitando, specialmente nelle zone montane, la concessione di energia a basso prezzo.
Soltanto così l'artigianato potrà risorgere e dare equilibrato sviluppo alle attitudini geniali dei nostri artieri ed efficace apporto alla rinascita del Paese.
Pertanto, proponiamo che l'Assemblea, riconoscendo la funzione sociale ed economica dell'artigianato e venendo incontro alle richieste formulate dagli artigiani di tutta Italia, sancisca nella Carta costituzionale della Repubblica una norma che ne assicuri la tutela; norma che abbiamo concretata nel seguente comma aggiuntivo:
«Apposite provvidenze legislative assicurano la tutela e lo sviluppo dell'artigianato».
[...]
Presidente Terracini. Chiedo all'onorevole Ghidini di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.
Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. [...] Rimane da ultimo l'emendamento proposto dall'onorevole Gortani, nei confronti del quale non posso che ripetere ciò che ho detto in altre occasioni consimili. Che l'onorevole Gortani abbia posto a sussidio del suo emendamento argomentazioni serie ed apprezzabili non lo contesto, ma debbo avvertire che l'artigianato è una figura tipica di piccola impresa individualistica la quale sopravvive o perisce, fiorisce oppure decade, in virtù di fattori che generalmente sono al di fuori delle provvidenze legislative. Ed io non so se sia possibile, ed anche raccomandabile, reagire alle leggi dell'economia.
Ma non è tanto per questa ragione che la Commissione respinge l'emendamento dell'onorevole Gortani, quanto in considerazione che si tratta di una particolare forma o specie dell'economia, e questo scendere ai particolari non ci sembra giustificato, perché dovremmo, allo stesso titolo, occuparci anche del piccolo commercio e così via: ed è evidente che allora non finiremmo più.
Noi diciamo invece che tutto è compreso nel testo dell'articolo 43 che proponiamo all'approvazione dell'Assemblea, per questo insistiamo nel raccomandarne l'approvazione nel suo testo integrale.
Presidente Terracini. Chiederò ai presentatori di emendamenti se intendano mantenerli.
[...]
Presidente Terracini. Onorevole Gortani?
Gortani. Lo mantengo.
[...]
Presidente Terracini. Passiamo alla votazione.
[...]
Passiamo all'emendamento Gortani:
Aggiungere il seguente comma:
«Apposite provvidenze legislative assicurano la tutela e lo sviluppo dell'artigianato».
Di Vittorio. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Di Vittorio. Il Gruppo comunista vota a favore.
D'Aragona. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
D'Aragona. Dichiaro che il mio Gruppo vota a favore.
Carmagnola. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Carmagnola. Dichiaro a nome del Gruppo parlamentare socialista che voteremo a favore dell'emendamento aggiuntivo.
Corbino. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Corbino. Anche il nostro Gruppo voterà a favore.
Selvaggi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Selvaggi. Dichiaro che voteremo a favore dell'emendamento aggiuntivo.
Angelini. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Angelini. È superfluo dire che il Gruppo democristiano voterà a favore.
Presidente Terracini. Pongo in votazione l'emendamento Gortani.
(È approvato).
L'articolo 43 risulta, nel suo complesso, approvato nel seguente testo:
«Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro ed in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori di collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
«Apposite provvidenze legislative assicurano la tutela e lo sviluppo dell'artigianato».
A cura di Fabrizio Calzaretti