[Il 13 maggio 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 42 per il testo completo della discussione.]
Presidente Terracini. [...] L'onorevole Bruni ha già svolto il seguente emendamento:
Sostituire gli articoli 38, 39, 40, 41, 42 e 43 coi tre seguenti:
I.
«Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale.
«Lo Stato e gli altri Enti pubblici rientrano in questo esercizio limitatamente alla loro funzione di difesa e di coordinamento del bene comune».
II.
«I lavoratori di un determinato ciclo produttivo acquistano il diritto di gestire la loro azienda. A seconda dei settori economici esso viene esercitato col concorso, più o meno diretto, dello Stato, delle Regioni, dei Municipi, dei Sindacati o di altri Enti più direttamente interessati.
«Nell'ambito del bene comune le piccole gestioni a tipo individuale e familiare potranno assumere carattere vitalizio con diritto di successione».
III.
«La proprietà dei beni d'uso è assicurata dalla Repubblica a tutti i lavoratori, proporzionalmente alla quantità e qualità del lavoro di ciascuno, e con riguardo delle persone a carico».
[...]
L'onorevole Bibolotti ha facoltà di svolgere il suo emendamento, che è del seguente tenore:
«La proprietà è pubblica, cooperativa e privata. I beni economici possono appartenere allo Stato e agli Enti pubblici, alle cooperative, ai privati individualmente o collettivamente».
Bibolotti. Onorevoli colleghi, noi stiamo prendendo in esame in sede costituzionale il problema dei vari tipi di proprietà.
Permettete che io mi soffermi un po' e che richiami la vostra attenzione su un tipo di proprietà che nella situazione di fatto già da vari decenni è una realtà che nessuno contesta. Tuttavia è nei nostri occhi ancora, è nelle nostre menti il ricordo dell'accanimento col quale le prime azioni dello squadrismo fascista si abbatterono contro la proprietà cooperativa. Noi ricordiamo che le prime azioni di violenza, di saccheggio contro le istituzioni dei lavoratori presero come bersaglio precisamente le cooperative dei lavoratori, vale a dire un tipo di proprietà che era il frutto del risparmio, dell'iniziativa e dello spirito solidaristico dei mutualisti italiani, di quei mutualisti e cooperatori, che inseguendo un loro sogno ideale avevano creduto che nell'Italia dei primi decenni di questo secolo fosse possibile avviarci verso una forma superiore di convivenza civile creando spontaneamente e con il loro sacrificio le istituzioni cooperative. Quella proprietà trovava la sua consacrazione giuridica in una legislazione ancora imprecisa ed imperfetta. Ma nessuno pensava allora di contrastare ai lavoratori italiani, operai, contadini, impiegati ed artigiani, questa magnifica realizzazione che faceva, ad esempio, di Torino, la culla della mutualità italiana, la culla dell'Alleanza Cooperativa Torinese, un fortilizio di emancipazione dei lavoratori. Vi erano grandi edifici, stabilimenti destinati alla produzione dei generi di consumo, dai medicinali al pastificio, al panificio, al laboratorio enologico. E poi ancora le cooperative della Venezia Giulia, le grandi cooperative operaie di Trieste e del Friuli, le grandi realizzazioni del molinellese, le grandi realizzazioni del reggiano! Tutta l'Italia al lavoro sulla via della cooperazione aveva quindi creato una realtà, la realtà di un tipo nuovo di proprietà, di una proprietà collettiva sui generis ma di una proprietà indivisibile, di una proprietà che i cooperatori classici affermavano essere ormai un patrimonio indivisibile di tutti i lavoratori ed artigiani. Era la consacrazione di un principio cooperativistico che anche in quest'Aula aveva avuto i suoi pionieri e i suoi assertori di grande valore: cito fra tutti il nome di Luigi Luzzatti. I cooperatori italiani videro allora abbattersi sui loro fortilizi e sulle loro istituzioni la furia fascista. Il fascismo divenuto Governo non lasciò la preda. Distrusse la cooperativa trasformandola in società anonima, in associazione puramente commerciale, dedita soltanto a fini di speculazione. Ora noi assistiamo al pullulare di molte iniziative nel campo della cooperazione. Purtroppo in questo campo — come da altri è stato posto in rilievo — si fa del nome cooperativa e cooperazione un uso indebito ed oggi possiamo affermare esservi una cattiva stampa sul nome della cooperazione e dei cooperatori, ma i veri cooperatori, quelli che videro appunto distrutte le loro organizzazioni nel 1920 e nel 1921, affermano la loro volontà di ridar vita a quelle libere istituzioni che segnano un notevole apprezzabile progresso nella via del lavoro sociale e nella via del lavoro cooperativo. È quindi, onorevoli colleghi, direi quasi una giustizia che noi rendiamo ai lavoratori italiani consacrando in un articolo della Costituzione come tipo di proprietà la proprietà cooperativa. Quando si discuterà l'articolo sulle funzioni delle cooperative, noi troveremo modo, onorevoli colleghi, e speriamo con largo consenso, di ben definire e precisare le funzioni della cooperativa e le sue attribuzioni. Ma intanto io invoco da parte dei colleghi di accettare questa nostra formulazione che vuole essere appunto la codificazione e la consacrazione in un articolo costituzionale di una realtà incontestabile e su scala nazionale e su scala internazionale. Questa proprietà cooperativistica che oggi risorge, che oggi deve avere restituiti i beni che le vennero violentemente e fraudolentemente sottratti dal fascismo, è una realtà che deve trovare la sua consacrazione in questo articolo e nell'emendamento che io presento alla vostra approvazione.
Io non mi diffondo di più perché so che in questa Aula vi sono molti amici della cooperazione in quanto il problema va al di là dei diversi settori e dei diversi partiti e penso quindi che questo emendamento, anche se patrocinato da questi banchi e da un deputato comunista, debba essere accolto come espressione di una volontà e di una aspirazione di tutti i lavoratori italiani che vedono nella cooperazione uno strumento della loro emancipazione e che vedono nella proprietà cooperativa una forma più avanzata della proprietà così come l'abbiamo conosciuta fino ad oggi. (Applausi).
Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Dominedò e Moro:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«I beni economici appartengono allo Stato, ad istituzioni, a privati».
L'onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.
Dominedò. Onorevoli colleghi, il mio emendamento concerne il primo comma dell'articolo, a proposito del quale ha già parlato l'onorevole Bibolotti, sottolineando l'opportunità che tra la proprietà privata e pubblica sia fatta menzione della proprietà cooperativa.
Ed in realtà, io ricordo dai lavori della terza Sottocommissione che nella stesura originale del progetto si contemplava appunto questo trinomio: proprietà privata, proprietà cooperativa, proprietà pubblica. In tal caso l'articolo avrebbe avuto un senso specifico, poiché la mera menzione «proprietà privata e pubblica» non pare la più confacente ad un testo costituzionale. Dice poco concretamente, quando rivanghi una distinzione secolare che ci viene dal diritto civile e romano; dice troppo genericamente, quando pretenda esprimere qualche cosa di nuovo.
Tuttavia, secondo me, oggi la proprietà cooperativa non è ancora raffigurabile giuridicamente come un vero e proprio «tertium genus», rispetto alle figure tradizionali di proprietà. Io penserei che la sede più opportuna per venire incontro a tali esigenze, giuridiche, sociali e politiche, sia quella dell'apposita disciplina del fenomeno della cooperazione: mi pare l'articolo 43. Se là si credesse di inserire un inciso, nel quale si parlasse dei caratteri e della struttura della proprietà cooperativa, domani raffigurabile come nuova figura di proprietà collettiva, la norma sarebbe costituzionalmente più appropriata e più aderente alle esigenze così della realtà speciale come della sistematica generale.
[...]
Presidente Terracini. Prego l'onorevole Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione, di esprimere il parere della Commissione per la Costituzione sugli emendamenti presentati all'articolo 38.
Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. [...] Vi è poi un emendamento che per verità precede ma che avevo dimenticato. È l'emendamento sostitutivo degli articoli 38, 39, 40, 41, 42 e 43, presentato dall'onorevole Bruni.
Sono tre articoli costituenti un unico emendamento. Mi limito a leggere solamente il primo:
«Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale».
Ci troviamo di fronte alla proposta di una rivoluzione completa dell'ordinamento economico del nostro Paese. Non è il comunismo statale, che vi si propone, ma il comunismo delle associazioni, il comunismo delle collettività.
Io non voglio dire che il pensiero dell'onorevole Bruni non sia un pensiero elevato e non possa in un domani, più o meno prossimo, diventare una realtà, ma devo dire che noi non abbiamo inteso col progetto di Costituzione di mutare essenzialmente il sistema economico vigente.
Diamo atto che l'attuale è una situazione di transizione, ma non è tale da consentire una rivoluzione così profonda, come questa che egli ha suggerito nel suo emendamento.
È per questa ragione di acronisticità che la Commissione non ritiene di potere accogliere l'emendamento dell'onorevole Bruni.
[...]
Segue l'emendamento dell'onorevole Bibolotti che dice: «La proprietà è pubblica, collettiva e privata».
Nel testo abbiamo detto che la proprietà è pubblica o privata, non «collettiva», perché la parola, dal punto di vista giuridico, ci sembra impropria. Con l'espressione «collettiva» si coglie l'aspetto economico dell'istituto della proprietà, piuttosto che l'aspetto giuridico. E poiché noi facciamo un testo giuridico ci sembra più esatto il dire soltanto che la proprietà è «pubblica o privata».
Dice ancora l'onorevole Bibolotti che «I beni economici possono appartenere allo Stato e agli Enti pubblici, alle cooperative, ai privati individualmente o collettivamente». La dizione proposta non ci sembra tecnicamente esatta. Come giustamente osservava l'onorevole Dominedò, non si può ancora dire che la cooperativa rappresenti un tertium genus nel campo del diritto di proprietà. È bensì un qualche cosa di intermedio fra la proprietà pubblica e quella privata sotto il profilo economico, ma non sotto il profilo giuridico. Indiscutibilmente la cooperativa è di diritto privato. Ad ogni modo, siccome la cooperazione ha una funzione importantissima, tanto importante che noi abbiamo dettato per essa un apposito articolo, vuol dire che potremo tornare allora sull'argomento. Non credo che l'onorevole Bibolotti possa avere ragioni per non aderire a questa proposta. Quindi, la Commissione si riserva di prendere in esame la proposta dell'onorevole Bibolotti, per quanto attiene al diritto di proprietà nei riguardi delle cooperative, quando si discuterà dell'articolo 42.
[...]
Presidente Terracini. Chiederò ai presentatori di emendamenti se, dopo le dichiarazioni della Commissione, intendano mantenerli. L'onorevole Bruni ha presentato un nuovo testo integrale che dovrebbe sostituire sei articoli del testo. Intende mantenere, onorevole Bruni, la sua proposta?
Bruni. La mantengo.
[...]
Presidente Terracini. Onorevole Bibolotti, mantiene il suo emendamento?
Bibolotti. Lo ritiro.
[...]
Presidente Terracini. Pongo in votazione l'emendamento dell'onorevole Bruni:
«Sostituire gli articoli 38, 39, 40, 41, 42, e 43 coi tre seguenti:
I.
Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale.
Lo Stato e gli altri Enti pubblici rientrano in questo esercizio limitatamente alla loro funzione di difesa e di coordinamento del bene comune.
II.
I lavoratori di un determinato ciclo produttivo acquistano il diritto di gestire la loro azienda. A seconda dei settori economici esso viene esercitato col concorso, più o meno diretto, dello Stato, delle Regioni, dei Municipi, dei Sindacati o di altri Enti più direttamente interessati.
Nell'ambito del bene comune le piccole gestioni a tipo individuale e familiare potranno assumere carattere vitalizio con diritto di successione.
III.
La proprietà dei beni d'uso è assicurata dalla Repubblica a tutti i lavoratori, proporzionalmente alla quantità e qualità del lavoro di ciascuno, e con riguardo delle persone a carico».
Questi articoli rappresentano un complesso che non è possibile suddividere in parti corrispondenti alle disposizioni dell'articolo 38.
Occorre perciò che io chieda all'Assemblea se accetta di assumere i tre articoli proposti dall'onorevole Bruni come eventuale base di una discussione sui problemi che abbiamo esaminato in quest'ultima ora e su quelli che dovremo esaminare prima di concludere l'esame del Titolo III. Pongo pertanto ai voti questa questione generale di principio.
Nel caso che la proposta fosse accettata dall'Assemblea, dovremmo esaminare nel loro complesso tutte le disposizioni dei sei articoli considerati dall'onorevole Bruni; altrimenti riprenderemo la strada che abbiamo percorsa fino ad ora.
(Non è approvata).
A cura di Fabrizio Calzaretti