[Il 18 settembre 1946, la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione discute l'articolo 5 della proposta dei relatori La Pira e Basso che è così formulato:

«Nessuno può essere sottoposto a processo né punito se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso.

«Non possono essere irrogate che le pene tassativamente fissate dalla legge. La responsabilità è personale.

«Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del reo. La pena di morte non è ammessa se non nei codici penali militari di guerra. Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».

In questa sede viene trattata solo la discussione relativa alla seconda proposizione del secondo comma e al terzo comma. Il resto dell'articolo è stato trattato a commento dell'articolo 25.]

Il Presidente Tupini [...] pone in discussione la seconda parte del primo capoverso dell'articolo 5, che resterebbe sola a comporre il capoverso essendo stata la prima parte incorporata nel comma precedente: «La responsabilità è personale».

Cevolotto ritiene che il concetto espresso in questa formula si potrebbe tralasciare, perché non vede la ragione per cui si debba esprimerlo nella Costituzione. Si tratta di un principio che interpreta esattamente la famosa questione della responsabilità penale per fatto altrui, che però in materia contravvenzionale ed in certe particolari circostanze comincia a farsi strada. Vi sono dei casi in cui è discutibile se si tratti di responsabilità personale, o se non si tratti di responsabilità penale anche per fatto altrui. Si andrebbe poi incontro alle altre questioni dell'incriminabilità della persona giuridica. È d'accordo che questa incriminabilità non è accettabile in questo momento; però essa è oggetto di discussione e se ne parla sempre e si risolve molte volte in una responsabilità personale. Pertanto ritiene superfluo affermare un principio che è soggetto a discussione, dato che vi sono anche dei casi di responsabilità penale personale.

Lombardi Giovanni si dichiara d'accordo con l'onorevole Cevolotto, per non creare una quantità d'equivoci anche avuto riguardo agli articolo 1151, 1152 e 1153 del vecchio Codice civile, articoli che non trovano la loro corrispondenza nel codice fascista. Per non creare dunque equivoci, e data la molteplicità delle posizioni giuridiche a cui si può andare incontro, ritiene sia da togliere questa affermazione della responsabilità personale.

Moro si dichiara favorevole al mantenimento della formula, con un'aggiunta chiarificatrice. Si dovrebbe dire cioè: «La responsabilità penale è personale» onde togliere qualsiasi equivoco per quanto riguarda la materia civile.

Ritiene che questo principio debba essere mantenuto, perché esso è un'affermazione di libertà e di civiltà. Si risponde per fatto proprio e si risponde attraverso ogni partecipazione personale al fatto proprio. Questo è il principio del diritto moderno, che trova la sua espressione nel principio della consapevolezza che deve accompagnare quello che si chiama il fatto materiale. Parlare di responsabilità personale significa richiamarsi ad un principio che domina nell'odierno pensiero della scienza giuridica.

Mastrojanni chiede un chiarimento all'onorevole Moro nei riguardi dei fatti penali commessi per ordine altrui. La responsabilità penale personale dovrebbe riflettersi sulla persona che teoricamente è responsabile. Ma se questa ha agito per fatto altrui, per esempio per l'esecuzione di un ordine, la responsabilità non è più dell'esecutore dell'ordine, il quale ha consumato il reato, ma la responsabilità è di chi ha dato l'ordine (articolo 51 del Codice penale). Però non è responsabile chi ha eseguito un ordine legittimo dell'autorità. Qui si verifica un conflitto, nel senso che l'individuo dovrebbe censurare l'ordine e stabilire se vi è legittimità nell'ordine impartito.

Si è discusso e si discute se si debba considerare l'ordine legittimo o l'ordine dell'autorità legittima, talché nei Codici penali militari a differenza dei Codici penali comuni si faceva una distinzione. Nel Codice penale militare si parlava di ordine dell'autorità legittima, ma non si parlava di legittimità dell'ordine, e ciò in coerenza ai criteri disciplinari e di obbedienza. Il subordinato, contestando che l'ordine promana da un'autorità legittima, non dovrebbe censurare la legittimità dell'ordine. Il Codice del 1932 ha chiarito questo concetto nel senso che più non si parla di ordine dell'autorità legittima ma si parla di ordine legittimo dell'autorità, per significare che l'agente ha il dovere di sindacare la legittimità dell'ordine trascurando la legittimità dell'autorità.

Prega la Commissione di volere più ponderatamente considerare la questione, per stabilire se sia il caso di fare una affermazione di principio; in subordine chiede al relatore di dare qualche chiarimento in proposito.

Moro non vede la difficoltà in materia. Colui che ha commesso un atto delittuoso risponde di persona propria se si trovava nella condizione di poter disobbedire, altrimenti risponderà colui che ha dato l'ordine e risponderà in persona propria per aver prodotto il fatto delittuoso stesso.

Mastrojanni dichiara che dal punto di vista teorico potrebbe consentire; ma in materia di imputabilità e di responsabilità penale le considerazioni di ordine oggettivo non possono avere peso perché, quando non vi è nesso di causalità efficiente tra l'agente attivo ed i fatti verificatisi, qualsiasi circostanza esteriore non può esimere da responsabilità e, anche se esime dalla responsabilità, non può esimere dalla imputabilità. E allora come si giustifica questo dissenso di indole teorica nel ritenere non responsabile l'individuo che è causa volontaria ed efficiente della consumazione del reato? Si ricorre a una fictio juris per la quale si esime dalla responsabilità penale l'individuo il quale ha consumato il reato e lo ha consumato volontariamente; però egli dovrebbe personalmente rispondere del reato.

Moro non vede la connessione tra questo principio della Costituzione e l'ipotesi dell'ordine dell'autorità di cui parla l'onorevole Mastrojanni. In questo caso si ha una discriminante del reato che può avere due giustificazioni: una di carattere obiettivo, quando l'autorità è legittima; una di carattere soggettivo, quando l'ordine è legittimo. In queste ipotesi sussiste il caso di necessità per cui il soggetto non risponde penalmente, perché da lui non si poteva pretendere che agisse differentemente.

Si tratta perciò di discriminanti del reato.

Cevolotto si dichiara d'accordo con l'onorevole Moro nel dire che la responsabilità dovrebbe essere condotta anche penalmente ad un concetto di responsabilità personale. Ricorda però che, di fronte alle ipotesi di contravvenzioni, ai casi dell'impossibilità o difficoltà estrema di impedire il fatto altrui, ecc., vi è una tendenza abbastanza notevole a considerare come responsabilità obiettiva quella per fatto altrui.

In altri termini si tratta di una questione giuridica. Per suo conto la risolverebbe nel senso indicato dall'onorevole Moro, ma si domanda se sia proprio questa la sede per risolverla.

Non trattandosi di un principio così essenziale da dover essere affermato dalla Costituzione, crede sarebbe meglio ometterlo.

Lombardi Giovanni osserva che la formulazione è superflua in quanto la responsabilità personale non è un principio moderno o modernissimo: è un principio del diritto canonico del 1500 o 1600, quando appunto il diritto canonico, riportando il diritto ad un peccato dell'anima, lo rese per sé stesso di natura personale. C'è bisogno di ritornare su questo principio, che poi porterebbe nelle altre leggi una grande confusione? Osserva che ci può essere una colpa per cui si debba risalire alla causa causarum, e ci sono tali anelli intermedi i quali possono essere dichiarati complici, correi o autori della negligenza, imprevidenza, ecc. Ora, si domanda come sia possibile, di fronte a tutta questa legislazione che appunto adesso comincia a sfociare, a misura che l'interesse pubblico prende un sopravvento sull'interesse dell'individuo, fare un'affermazione del genere. Essa non potrebbe che essere in contrasto con questo movimento che appunto estende l'indagine della colpa, non solo alle persone direttamente colpevoli, ma a tutti coloro che sono nell'orbita delle cause che hanno prodotto l'evento dannoso.

Il Presidente Tupini prima di procedere nella discussione fa presente una sua opinione.

La Commissione non deve dimenticare il momento politico in cui viene questa affermazione: non deve dimenticare episodi tristissimi. Tutti ricordano che in occasione di attentati alla vita di Mussolini si arriva a perseguitare i famigliari dell'attentatore o i componenti dei circoli politici a cui era affiliata la persona che consumava l'attentato.

Tenendo conto anche il momento politico speciale, nel quale si vogliono affermare certi principî, è opportuno trarre tesoro dall'esperienza del passato.

Se si afferma qui la responsabilità penale personale, ci si potrebbe anche dispensare dal prendere in considerazione e votare l'altra parte dell'ultimo capoverso dell'articolo 5, dove si dispone che non possono irrogarsi sanzioni collettive. Perciò ritiene che questa affermazione della responsabilità penale personale debba farsi sia per sé stessa, sia in considerazione dell'armonia dell'articolo, perché affermandola qui si potrà poi eliminare l'ultima parte del capoverso dell'articolo stesso.

Ritiene perciò che il capoverso debba essere approvato con questa dizione: «La responsabilità penale è personale».

Avverte che l'onorevole Lombardi propone che sia chiusa la discussione generale, riservando la parola a coloro che l'anno già chiesta.

(La Commissione approva la chiusura della discussione).

Corsanego osserva che i Relatori, evidentemente, hanno proposto la formula che la responsabilità deve essere personale, non perché ignorassero che il principio è ormai affermato da tanti secoli, ma perché purtroppo durante l'ultimo ventennio si è assistito ad una involuzione del diritto e si deve tornare alla sana tradizione. Proprio in questi ultimissimi tempi si sono viste delle persone pagare con la vita colpe che non avevano assolutamente commesso. Si deve impedire che domani un legislatore possa arrivare agli eccessi che si sono verificati in Germania e anche in Italia.

Ancora altre ipotesi si possono considerare. Sotto il fascismo e sotto il nazismo sono state applicate punizioni collettive ad interi gruppi: da villaggi dove erano stati commessi taluni delitti furono sloggiati tutti gli abitanti e trasferiti altrove.

Perciò insiste sull'approvazione della proposta dei Relatori.

Mastrojanni domanda se non sia il caso di precisare che in tema di responsabilità si distingue tra correità, concorso principale e secondario, e di tornare all'antica tradizione del diritto penale per distinguere forme varie di partecipazione al reato.

Desidera pertanto che sia fatto risultare dal verbale la necessità che il nuovo legislatore, in tema di diritto penale, tenga conto che l'attuale concetto di concorso nel reato venga portato all'antica tradizione del nostro Codice penale, nel senso che la formula di partecipazione al reato deve essere distinta nella sua effettiva partecipazione, complicità, correità necessaria o no, e che in tema di tentativo si ritorni all'antica nostra tradizione per distinguere il reato tentato dal reato mancato.

Lombardi Giovanni dichiara di consentire, affinché si abolisca il tecnicismo giuridico.

Mancini ricorda che, nella discussione dell'articolo del nostro Codice penale che contempla il dolo, in seno alla Commissione per la riforma dei Codici, si svolsero gli stessi concetti e si impostarono gli stessi problemi agitati in questa discussione. Il problema base fu risolto allora — e non poteva essere altrimenti — in senso contrario, onde oggi egli aderisce pienamente alle osservazioni dell'onorevole Moro. Ritiene assolutamente necessario che nella nuova Costituzione si affermi il principio della responsabilità penale personale.

Il Presidente Tupini rileva che, nel contrasto che ha animato la discussione di questa precisa formula, nessuno ha dichiarato di essere contrario allo spirito che la informa. Se taluno ha proposto che venisse soppressa era soltanto per rafforzare il concetto proposto dai Relatori.

Comunque, poiché la discussione si è svolta soltanto in questi termini, di approvare cioè la formulazione proposta dai Relatori, con l'emendamento aggiuntivo dell'onorevole Moro o non approvarla e sopprimerla in quanto non ce ne fosse bisogno, domanda se ci sia qualcuno che faccia sua la proposta di soppressione.

Poiché non c'è nessuno che presenta questa proposta di soppressione mette ai voti la formula proposta dai Relatori con l'emendamento aggiuntivo dell'onorevole Moro:

«La responsabilità penale è personale».

(È approvata).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti