[Il 19 settembre 1946, la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue nella discussione dell'articolo 5 della proposta dei relatori La Pira e Basso.]
Il Presidente Tupini [...] pone in discussione l'ultimo capoverso dell'articolo:
«Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del reo. La pena di morte non è ammessa se non nei Codici penali militari di guerra. Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».
Propone che si esamini anzitutto la prima proposizione che dice: «Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del reo».
Marchesi osserva che i due Relatori hanno preferito la parola «colpevole», che era stata adoperata nella prima proposta del Relatore Basso, il termine «reo», che è quello proposto dal Relatore La Pira. Forse è stato preferito tale termine per indicare il colpito da una condanna penale e nello stesso tempo per lasciar posto ad una possibilità di innocenza che la parola «colpevole» rimuoverebbe interamente.
È d'accordo nel concetto, perché essere inchiodato alla croce di una condanna ed essere inchiodato alla croce di una colpa sono cose diverse. Però, se nel diritto penale moderno reato significa l'infrazione di una norma giuridica, se reato significa la violazione di una norma sanzionata con una condanna, ne consegue che «reo» è il violatore di questa norma e quindi «reo» è il colpevole. Ma la parola reus ha una storia e un'evoluzione, ed egli preferisce le parole che non hanno una storia. Infatti la parola reus ha avuto un'evoluzione in tutto il diritto romano antico.
Senza alcuna eccezione letterale e tardiva, la parola reus significa «il giudicabile», cioè colui che è sottoposto a giudizio e non vi è alcuna eccezione fino al diritto costantinianeo. Più tardi, nel diritto moderno, reus significa «giudicato». Ora una parola che non ha storia e che egli preferirebbe, è quella di condemnatus cioè di «condannato», che dalla legge delle Dodici Tavole, al Codice decemvirale fino ad oggi, mantiene lo stesso significato. D'altra parte la figura del condemnatus innocente è limpida, chiara ed immediata, mentre la figura del «reo» innocente non è ugualmente immediata e limpida.
Propone quindi che alla parola «reo», che si può prestare a delle eccezioni, sia sostituita la parola «condannato» che non si presta a nessuna ambiguità di significato.
Moro fa osservare che il termine tecnico giuridico è quello di «reo». Questa parola viene sempre usata nel linguaggio giuridico e dei codici, e se si mettesse una parola diversa, si potrebbero creare degli equivoci. La parola «condannato» è un termine che si potrebbe anche accettare, ma può essere fonte di preoccupazioni l'usare una parola che non è mai adoperata se non forse nel linguaggio processuale.
Marchesi propone allora di ritornare al termine di «colpevole». Questa parola è più chiara, specialmente quando si parla di rieducazione del colpevole, perché il termine di rieducazione presuppone una colpa.
Grassi ricorda che nell'articolo 4 è stato usato il termine «colpevole» quando si è detto che l'imputato è presunto innocente finché non sia stato dichiarato colpevole.
Moro dichiara di non poter disconoscere che la parola colpevole sia appropriata, ma la terminologia giuridica fa differenza tra «colpevole» e «reo». Colpevole s'intende colui che è riconosciuto come tale e che ha partecipato personalmente al reato (la partecipazione spirituale in senso tecnico si chiama anche colpevolezza). Questo sarebbe il lato soggettivo del reati. Quando si dice «reo» invece si ha riguardo sia al lato soggettivo che a quello oggettivo. Adoperando una parola diversa, cioè per esempio «colpevole», si adopera una terminologia poco comune.
Il Presidente Tupini insiste sulla parola «colpevole» la quale, oltre a rispondere alla preoccupazione dell'onorevole Marchesi, si richiama ad un termine che la Commissione ha già adoperato.
Marchesi domanda all'onorevole Moro quali difficoltà di carattere tecnico e giuridico possano sorgere se si adopera il termine «condannato» che è un termine giuridico.
Moro torna ad osservare che questa parola è usata soltanto in un senso processuale. Condannato è colui al quale è stata irrogata una pena. Guardando il complesso della persona, sia sotto il profilo sostantivo che processuale, si dice sempre «reo».
Marchesi osserva che, con il termine «colpevole», si verrebbe ad escludere la violazione, la lesione del diritto, e quindi non ritiene di poter accettare questo termine, che sostituirebbe con «condannato».
Il Presidente Tupini, anche per armonizzare la terminologia che è stata fin qui adoperata userebbe il termine «colpevole».
Moro osserva che la parola «colpevole» si adopera, per esempio, quando si dice «è stato riconosciuto colpevole». In questo caso la parola è giusta dal punto di vista tecnico giuridico.
Dichiara di accedere piuttosto alla parola «condannato».
Il Presidente Tupini accetta il termine «condannato».
Mastrojanni osserva che la sanzione penale può essere irrogata senza che venga fatta scontare, come nei casi di concessione dei benefici di legge.
In tali casi come si può parlare di rieducazione del condannato se questi non sconta la pena? La rieducazione in concreto deve esercitarsi nei confronti di chi subisce la condanna.
Il Presidente Tupini rileva che l'onorevole Mastrojanni, nel fare questa osservazione, non tiene conto dello spirito di questo articolo, il quale può prevedere anche il caso da lui accennato. Infatti la concessione dei benefici di legge, anzi gli stessi benefici di legge hanno per presupposto e per fine la rieducazione del reo.
Moro spiega che la presunzione della pena c'è; soltanto non è eseguita.
Mastrojanni ritiene che sia necessario e indispensabile aver anche riguardo alla forma, poiché si deve poter presumere che il colpevole in avvenire si asterrà dal commettere reati.
Poiché l'onorevole Moro faceva distinzione tra «reo» e «condannato», conferma che è più opportuno usare il termine «reo» per le considerazioni che ha sopra esposte, che cioè il condannato può anche non scontare la pena, e allora non si può parlare di rieducazione.
Il Presidente Tupini mette ai voti la prima proposizione dell'articolo con l'emendamento proposto dall'onorevole Marchesi:
«Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato».
(La proposta è approvata all'unanimità meno uno).
Pone in discussione la seconda proposizione dell'articolo 5:
«La pena di morte non è ammessa (se non nei Codici penali militari di guerra)».
Mancini sostiene la necessità di affermare che la pena di morte debba essere soppressa senza eccezione, anche nei Codici militari.
Il Presidente della Sottocommissione gli è buon testimone che quando si portò al Consiglio dei Ministri il decreto-legge per la soppressione della pena di morte, egli fu incondizionatamente favorevole al decreto stesso e, pertanto, si dichiara contrario alla pena di morte senza eccezioni di sorta: lo Stato non ha il diritto di commettere un delitto più grave di quello commesso dal delinquente.
Basso, Relatore, fa presente che, nel testo da lui presentato d'accordo con l'onorevole La Pira, la frase che stabilisce un'eccezione al principio della non ammissibilità della pena di morte e che riguarda i Codici penali militari di guerra, è stata messa tra parentesi poiché l'onorevole La Pira non era d'accordo nell'introdurre questa eccezione, ed anche l'oratore consentiva sul principio di abolire la pena di morte. Ma poi considerò la difficoltà pratica di sopprimere, specialmente in tempo di guerra, la condanna a morte. Se si ritiene di doverla mantenere nei Codici militari di guerra, si deve nella Costituzione introdurre questa eccezione, perché altrimenti, quando si farà il Codice penale militare di guerra, si sarà costretti a introdurre una modifica alla Costituzione.
Pertanto insiste per il mantenimento della formula proposta.
Lombardi Giovanni dichiara che avrebbe desiderato che all'affermazione generica «la rieducazione del reo» si fosse aggiunto qualche cosa che ricollegasse la rieducazione ad un fatto concreto.
Il Presidente Tupini fa osservare all'onorevole Lombardi che la parte dell'articolo che riguarda la rieducazione del reo è stata già votata.
Lombardi Giovanni presenta alla Sottocommissione una sua proposta di legge del 1920, dove la rieducazione del reo era studiata, e chiede che tale proposta faccia parte dei lavori preparatori della Costituzione.
Il Presidente Tupini dà atto all'onorevole Lombardi della presentazione della sua proposta di legge e della richiesta che essa faccia parte dei lavori preparatori della Costituzione.
Lombardi Giovanni, per quanto riguarda la pena di morte, ricorda che, quando questa fu stabilita nel Codice fascista, egli immediatamente scrisse un libro contro la pena di morte. Riallacciandosi a quelle conclusioni, si dichiara d'accordo con la proposta dell'onorevole Mancini che si abolisca la pena di morte, soprattutto nei codici penali militari, dove ogni aberrazione è possibile.
Dichiara altresì che la pena di morte dovrebbe essere riconfermata solo per quei delinquenti tipici, non costituzionali ma atavici, la cui esistenza è un'offesa al genere umano.
Il Presidente Tupini chiede all'onorevole Lombardi di mettere a disposizione della Commissione il libro accennato.
Mancini insiste nella richiesta che la pena di morte sia soppressa senza alcuna eccezione, e chiede la votazione su questa proposta.
Cevolotto dichiara di non essere personalmente contrario al concetto espresso dall'onorevole Mancini. Fa osservare però che difficilmente un simile principio potrebbe essere approvato dalla Commissione centrale dell'Assemblea. Infatti nel Codice militare non si può fare a meno, specialmente in tempo di guerra, di prevedere il caso in cui si deve applicare la pena di morte. Si tratta di una necessità assoluta.
Pertanto è del parere che sia necessario mantenere l'eccezione.
Il Presidente Tupini dichiara di essere dell'opinione dei correlatori e favorevole alla proposta da essi presentata.
Dà atto all'onorevole Mancini dell'aver egli sostenuto, anche in sede di Consiglio dei Ministri, l'abolizione pura e semplice e per ogni caso della pena di morte, mentre l'oratore fece salvi i casi previsti dai Codici militari di guerra.
Mette ai voti la prima parte della proposizione che dice:
«La pena di morte non è ammessa».
(È approvata all'unanimità).
Pone in discussione la seconda parte, che stabilisce l'eccezione per i Codici penali militari di guerra. Fa osservare a coloro che sostengono la soppressione di questa eccezione che il legislatore, nell'ipotesi che debba sanzionare un'eccezione, si troverebbe nella condizione di dover modificare la Costituzione. D'altra parte la formula adoperata dai Relatori dà senz'altro per ammesso che i Codici penali militari di guerra potranno stabilire la pena di morte.
Propone invece una formula diversa, che potrebbe essere del seguente tenore: «Possono farvi eccezione i Codici penali militari di guerra».
In tal modo, non si approva fin dal principio l'eccezione; ma si mette il legislatore nella condizione di poter adottare una simile soluzione senza essere costretto a modificare la Costituzione.
Mancini insiste per una formula secondo la quale la pena di morte sia abolita senza alcuna eccezione.
La Pira, Relatore, osserva che, quando esiste lo stato di guerra, vi è anche uno stato di emergenza giuridica in cui vengono soppresse anche le garanzie costituzionali. Pertanto è forse meglio affermare decisamente che la pena di morte non è ammessa.
Il Presidente Tupini avverte che porrà ai voti la proposta dell'onorevole Mancini, diretta ad abolire, senza alcuna eccezione, la pena di morte.
Basso, Relatore, dichiara di essere d'accordo sul principio che la pena di morte non è ammessa. Se la coscienza giuridica del paese è matura per il principio della non applicabilità della pena di morte, voterebbe anche egli per la soppressione della pena di morte senza eccezioni, purché questo non dia luogo a discussioni ed a difficoltà.
De Vita dichiara che voterà a favore della proposta Mancini.
Togliatti dichiara di votare contro la proposta Mancini, perché vi possono essere delle guerre giuste che si devono combattere, ed allora, in caso di una guerra, è necessario che la pena di morte sia prevista.
Il Presidente Tupini pone ai voti la proposta Mancini di soppressione pura e semplice delle parole:
«se non nei Codici penali militari di guerra».
(La proposta non è approvata — Voti favorevoli: 6, contrari: 9).
Mette ai voti la formula proposta dai Relatori con la modifica da lui suggerita, che è la seguente:
«Possono farvi eccezione i Codici penali militari di guerra».
(La proposta è approvata con 10 voti favorevoli e 5 contrari).
Il Presidente Tupini pone in discussione il comma:
«Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».
Coerentemente a quanto disse nella seduta precedente circa la responsabilità personale, propone che vengano soppresse le parole: «né irrogarsi sanzioni collettive».
Togliatti domanda se, invece di «pene crudeli», non sia meglio dire «pene corporali».
Mastrojanni osserva che una delle pene veramente crudeli da sopprimere è quella della segregazione cellulare continua. Desidera se ne faccia cenno nel verbale come suo suggerimento.
Basso, Relatore, dichiara che appunto in tale spirito aveva detto «pene crudeli». Non sono crudeli solo le pene corporali.
Mastrojanni suggerisce anche la soppressione di quell'altra affermazione del diritto penale fascista per la quale gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono la imputabilità.
De Vita desidera sapere se questo divieto di sanzioni collettive debba intendersi esteso anche ai Codici penali militari di guerra.
Il Presidente Tupini risponde affermativamente. L'unica eccezione consentita è quella della pena di morte nei casi previsti dal Codice penale militare di guerra e con esclusione assoluta anche da parte di questo di ogni sanzione collettiva.
Lombardi Giovanni ritiene che il dire «non possono istituirsi pene crudeli» costituisca una formula ingenua. La pena è per se stessa un male necessario e crudele, dal carcere alla segregazione, dalla reclusione alla morte. Gli sembra che più crudele della morte non ci sia alcunché. Domanda poi che cosa si intenda per «pene crudeli».
Marchesi risponde che sono pene crudeli quelle che infieriscono sul vivo, non quelle che uccidono.
Lombardi Giovanni osserva che tutte le pene infieriscono sul vivo. Propone perciò la soppressione pura e semplice delle parole «non possono istituirsi pene crudeli».
Merlin Umberto si dichiara favorevole alla soppressione.
Basso, Relatore, spiega che il concetto espresso nel comma in discussione rientra in quello generale già affermato, che cioè la sanzione penale deve tendere alla rieducazione del reo. Unica eccezione quella della pena di morte che può essere introdotta nel Codice penale militare. Però chi ha esperienza di vita carceraria, fatta come carcerato, sa che occorrerà del tempo prima di riuscire ad infondere nei nostri ordinamenti carcerari questo spirito di rieducazione. Pensa perciò che non sia male ribadire questo concetto. Ciò che si può ottenere subito è che in nessun caso la sanzione arrivi alla crudeltà. Negli attuali ordinamenti carcerari ci sono le pene corporali, la segregazione cellulare, il vitto ridotto a pane e acqua ed altre forme del genere. Non si perde nulla se si afferma questo principio.
La Pira, Relatore, concorda pienamente con quanto ha detto l'onorevole Basso. Nella sua relazione aveva proposto: «Le pene corporali sono vietate». Ma si è scelta la formula proposta dal Relatore Basso proprio per informare di questo spirito umano tutta la materia carceraria.
Mancini si dichiara d'accordo con l'onorevole Basso e con l'onorevole La Pira, ma vorrebbe che questi concetti venissero espressi con un'altra formula.
Moro osserva che è stato già votato un articolo nel quale si garantiva un trattamento umano alla persona arrestata o comunque detenuta. Qui è configurata un'altra ipotesi, quella dell'istituzione di pene crudeli; viene posto un vincolo al legislatore, non all'agente carcerario.
In questo senso gli sembra che «pene crudeli» possa andare come ipotesi, cioè per il legislatore. Il trattamento carcerario è previsto già nell'articolo 3 [i].
Merlin Umberto è del parere di sopprimere questa parte del comma.
Il Presidente Tupini ritiene che la parte del comma riguardante le sanzioni collettive possa essere soppressa, inquantochè questo concetto è implicitamente contenuto nella disposizione circa la responsabilità penale personale. Non sa, dopo quello che ha detto l'onorevole Moro, se anche per quanto riguarda le pene crudeli, si possa fare riferimento a quella parte dell'articolo 3, ultimo capoverso, in cui si dice che durante lo stato di privazione della libertà personale è garantito un trattamento umano.
Quando si è fissato in sede di Costituzione che il trattamento di chiunque è privato della libertà personale deve essere umano, si è già detto che la pena deve essere umana. Con questa spiegazione il concetto risulta chiaro e preciso e ribadisce la formula già approvata in precedenza.
Basso, Relatore, dichiara di non essere d'accordo con il Presidente proprio per le ragioni esposte dall'onorevole Moro. Tutta la struttura dell'articolo 3, dove si dice che è vietata ogni violenza fisica e morale è, in sostanza, una norma rivolta essenzialmente ai funzionari della forza pubblica, onde impedire un abuso da parte dei funzionari stessi, i quali possono compiere violenze o infliggere trattamenti inumani arbitrariamente.
Il concetto che si è inteso affermare in questo articolo 5 non è il divieto di un trattamento arbitrario inumano, ma quello che neanche il legislatore può istituire delle pene che abbiano carattere di crudeltà, come la segregazione cellulare che è durata come pena nel nostro Codice troppi anni. Sono due concezioni diverse quelle che si vogliono distintamente affermare nei due articoli.
Moro concorda con il Relatore Basso, e per venire incontro all'onorevole Mancini che desidera una maggiore chiarezza, propone di spostare le parole al principio del capoverso nel modo seguente:
«Non possono istituirsi pene crudeli e le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato».
Si stabilisce così che solo nei limiti della necessità la pena può essere afflittiva e si segnano i limiti della necessità dell'afflizione.
Mastrojanni ritiene che si debba distinguere tra sanzioni penali e sanzioni disciplinari. All'inconveniente temuto dal Relatore Basso, relativo alla sanzione disciplinare, ossia al trattamento carcerario, si potrebbe ovviare aggiungendo dopo le parole: «le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato», le altre: «le sanzioni disciplinari devono essere contenute in limiti umani».
Il Presidente Tupini ricorda che vi sono due proposte: una per il mantenimento della formula da trasferire ed anteporre alla prima parte dell'ultimo capoverso dell'articolo 5; un'altra per la soppressione pura e semplice della formula stessa.
Mette ai voti la proposta soppressiva.
Cevolotto dichiara che voterà favorevolmente la proposta soppressione perché ritiene che non vi sia alcun pericolo che possano essere istituite pene crudeli.
Togliatti dichiara di approvare la soppressione proposta.
Basso, Relatore, insiste perché sia mantenuta la dizione come era stata da lui proposta. Il concetto di rieducazione può comprendere quello di divieto di pene crudeli, ma può anche non comprenderlo.
Il Presidente Tupini osserva che nello spirito sono tutti d'accordo e discordano soltanto nella forma.
Mette ai voti la soppressione pura e semplice dell'ultima parte dell'ultimo capoverso dell'articolo 5 che dice «Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive».
(La soppressione è approvata con 9 voti favorevoli e 6 contrari).
Pone ai voti l'intero articolo 5 nel testo definitivamente approvato:
«Nessuno può essere sottoposto a processo, né punito, se non in virtù di una legge entrata in vigore anteriormente al fatto commesso e con la pena da essa prevista.
La responsabilità penale è personale.
Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato. La pena di morte non è ammessa. Possono fare eccezione i Codici penali militari di guerra».
(È approvato).
A cura di Fabrizio Calzaretti