[Il 16 gennaio 1947 la prima Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulla revisione della Costituzione.]
Il Presidente Terracini riassume la discussione avvenuta nella seduta precedente, in cui si è stabilito che la revisione della Costituzione possa aver luogo ad iniziativa del Governo o del Parlamento, che nel procedimento di revisione debbano farsi intervenire le due Camere separatamente e non l'Assemblea Nazionale e che inoltre debba farsi ricorso anche alla espressione della volontà popolare.
Rammenta poi come sia stato ammesso il principio che, dopo la prima decisione, si debba procedere allo scioglimento delle Camere e come sia sorta la questione se debbano aversi due decisioni — una per la presa in considerazione e una seconda nel merito — ovvero se la decisione debba essere una sola e se questa debba avere il carattere di una presa in considerazione o investire il merito; in quest'ultima ipotesi non vi sarebbe possibilità per gli elettori di intervenire, provocando qualche modificazione alla decisione già presa.
Poiché rileva una certa contraddizione fra l'appello agli elettori e il divieto di una qualsiasi modifica della decisione già presa, si domanda se vi sia un modo per mettere d'accordo questi due aspetti del problema.
Nobile non ritiene che abbia ragione di essere lo scioglimento delle Camere in caso di risultato del referendum favorevole alla proposta di revisione da esse approvata; sarebbe invece opportuno, se il referendum desse un risultato in contrasto col loro voto favorevole alla revisione.
Perassi teme che la decisione presa ieri dalla Sottocommissione non sia stata sufficientemente meditata e sarebbe lieto se si convenisse di riesaminarla, sembrandogli strano che si possa ammettere il referendum per le leggi ordinarie e si debba invece escluderlo per la revisione della Costituzione. A suo avviso i due criteri si potrebbero conciliare, attribuendo un peso notevole alla deliberazione delle Camere: prevedendo, cioè, che la revisione costituzionale sia fatta dalle Camere col sistema della doppia lettura, a notevole intervallo di tempo l'una dall'altra e che il referendum sia escluso, se la proposta di revisione è votata da una maggioranza qualificata che si potrà determinare, ed ammesso, se questa maggioranza non sia raggiunta, su richiesta di un certo numero di cittadini.
Il Presidente Terracini domanda come ci si regolerebbe se il risultato del referendum fosse contrario alla volontà manifestata dalle Camere.
Perassi fa osservare che questo è un problema diverso. Effettivamente in molti casi i risultati dei referendum sono contrari al voto delle Camere. Tenendo però presente l'esempio della Svizzera, non avrebbe difficoltà ad ammettere che, nonostante ciò, le Camere restassero in carica; ma si potrebbe anche stabilire che, in tale ipotesi, le due Camere fossero sciolte di diritto.
Lussu dichiara che inizialmente era contrario al referendum, perché, non essendo sottoposta al referendum la Costituzione che si sta ora elaborando, trovava strano che dovessero esserlo le sue revisioni; ma, una volta assicurato che non si farà luogo a revisioni affrettate, stabilendo le garanzie di una maggioranza qualificata e di un notevole intervallo di tempo tra la prima e la seconda lettura (che, a conferirle maggiore solennità, pensava potesse esser fatta in seno all'Assemblea Nazionale), considera che il ricorso al referendum si avrebbe, su richiesta del corpo elettorale, soltanto se la decisione del Parlamento non fosse convincente.
Non vede la praticità del sistema proposto dall'onorevole Rossi che, a suo parere, potrebbe creare intralci e confusione; ed aderisce alla soluzione prospettata dall'onorevole Perassi.
Rossi Paolo, Relatore, si preoccupa soprattutto del valore politico del referendum e non ritiene che, in caso di risultato contrario, potrebbe in Italia accadere quanto accade in Svizzera. Non crede che anche una maggioranza di due terzi o di tre quinti possa significare che la Camera ha veramente interpretato la volontà del Paese e che di conseguenza non vi sia ragione di procedere al referendum.
Fuschini osserva che il problema della revisione della Costituzione è di grande delicatezza e responsabilità e bisogna preoccuparsi di proporre un sistema che ne renda la soluzione né troppo facile né troppo difficile.
Distingue le riforme di importanza fondamentale da quelle secondarie, le quali possono riferirsi a norme — come ad esempio quelle riguardanti l'ordinamento regionale — delle quali, per la loro novità, non si può prevedere oggi con sicurezza il risultato pratico. Non ritiene quindi adatto né utile prescrivere, per la revisione della Costituzione, lo scioglimento delle Camere, che a suo parere, non ha niente a che vedere con la situazione politica e che non troverebbe ragione di essere neppure di fronte ad una eventuale risposta negativa di un referendum.
Aderisce pertanto alle considerazioni esposte dall'onorevole Perassi nel senso che, prima di arrivare al referendum, si debba vedere se il congegno interno del Parlamento possa dare garanzia sufficiente di esame prudente ed avveduto. La presa in considerazione sboccherà normalmente nella nomina di una Commissione per l'esame approfondito della proposta, che potrà essere decisa col sistema di due o tre letture fatte a distanza di tempo, durante il quale intervallo la volontà del Paese avrà avuto modo di manifestarsi attraverso la stampa ed altre manifestazioni. Al referendum si dovrebbe arrivare solo per le modificazioni più importanti, su proposta anche di una sola Camera, ma approvata con una maggioranza da stabilirsi: l'iniziativa popolare, a suo giudizio, creerebbe agitazione nel Paese prima ancora dell'attuazione del referendum.
Einaudi, poiché ritiene che agli elettori si debba presentare una proposta precisa, a cui essi debbano rispondere con un sì o con un no, non crede che la nuova Camera possa votare una riforma diversa da quella approvata dalla Camera precedente e sulla quale gli elettori si saranno pronunciati con le elezioni. Non vede poi chiaramente la differenza tra riforme principali e riforme secondarie; comunque, ritiene che queste ultime sia meglio non farle, perché si attuano automaticamente: col tempo, infatti, una disposizione viene diversamente interpretata per l'adattamento che se ne fa progressivamente alla mutata situazione. Ma, se si tratterà di una modificazione importante, crede si dovrà andare fino in fondo, fino allo scioglimento delle Camere ed al referendum. Il progetto dell'onorevole Rossi, che potrà essere modificato nei dettagli, rappresenta a suo avviso il meglio di quanto finora sia stato proposto.
Fabbri ritiene che l'automatico scioglimento delle Camere, previsto dall'onorevole Rossi, non abbia molta rilevanza, e che invece il punto fondamentale di tale sistema consista nel voto assolutamente conforme della Camera che si scioglie e di quella nuova. Siccome però, nell'intervallo fra le due legislature, nell'agitarsi dei diversi programmi dei partiti durante la campagna elettorale, gli elettori partecipano in certo modo alla discussione, si può dire che l'elemento della volontà popolare, relativa alla proposta revisione, sia decisivo nell'elezione della Camera nuova. Né, a suo giudizio, ha valore l'obiezione di una riforma molto urgente per la quale non sarebbe opportuno aspettare una seconda legislatura, perché in tal caso lo scioglimento delle Camere dipenderebbe da chi di ragione e l'automatismo non giocherebbe. Crede perciò che, anche eliminato l'automatico scioglimento delle Camere, il sistema proposto dall'onorevole Rossi sarebbe salvo nella sua sostanza, mentre verrebbe eliminato il ricorso al referendum, che ritiene possa prestarsi ad errate interpretazioni e quindi non rispondere allo scopo.
Rossi Paolo, Relatore, ha l'impressione che senza l'automatico scioglimento delle Camere, la riforma costituzionale perderebbe il suo sapore di attualità con il rinvio alla successiva legislatura.
Il Presidente Terracini non comprende la preoccupazione dell'onorevole Einaudi che la nuova Camera possa eventualmente non modificare la decisione adottata dalla precedente. Ritiene che, in un primo periodo, la nuova Camera abbia il carattere di un'Assemblea Costituente (per trasformarsi poi in Assemblea legislativa), e come tale non possa essere vincolata ad una formulazione precisa, tanto più che il problema prospettato dalla precedente Camera sarà stato già dibattuto avanti agli elettori durante i comizi elettorali.
Approva quindi il sistema congegnato dall'onorevole Rossi, il quale, mentre ammette il ricorso agli elettori per la formazione di una nuova Camera, non adotta il referendum, che, anche a suo giudizio, sarebbe inopportuno, in quanto non è previsto per l'approvazione della Costituzione che si sta elaborando.
Nobile riterrebbe giustificato il sistema prospettato dall'onorevole Rossi del ricorso allo scioglimento delle Camere, solo quando si trattasse di una riforma fondamentale della Costituzione; ma se si tratta invece di piccole modificazioni di norme di dettaglio, di importanza relativa, trova eccessivo il ricorso agli elettori, i quali tra l'altro non avrebbero forse la competenza necessaria per decidere sulla questione loro prospettata. Ritiene assurdo che una Camera, competente a decidere su leggi che possono sconvolgere economicamente l'intero assetto del Paese, non abbia poi la facoltà di approvare — con una maggioranza qualificata — una piccola modificazione, ad esempio, dell'ordinamento regionale, il quale, congegnato forse senza un approfondito esame, potrebbe in pratica non rispondere allo scopo prefissosi. Ritiene poi che, durante il periodo della sua normale durata, la Camera non possa mai dirsi invecchiata, e ciò è anche dimostrato dal fatto che, praticamente, tutti concordano nel ritenere che lo scioglimento non avverrà se non negli ultimi mesi della legislatura. Pensa che al referendum si potrebbe invece arrivare qualora si trattasse di modificazioni su materie non essenzialmente politiche, come ad esempio sull'assetto della famiglia, ma sempre dopo l'approvazione della proposta da parte del Parlamento. Conclude affermando che ritiene la proposta Perassi la migliore di quelle presentate.
Tosato ritiene che la proposta Rossi sia inscindibile tanto dallo scioglimento automatico delle Camere, che tende a concentrare l'attenzione del corpo elettorale su una determinata questione, quanto dal divieto di modificazioni della decisione presa dalla vecchia Camera; perché altrimenti molti elettori sarebbero posti nella difficile situazione di dover giudicare se una determinata questione rientri nell'indirizzo generale del partito a cui appartengono. Riterrebbe perciò miglior sistema quello del referendum.
Crede tuttavia che una decisione matura non possa prendersi altro che quando si sia visto quale maggioranza otterrà la Costituzione che si sta elaborando. Se fosse approvata con larga maggioranza, il problema della revisione si potrebbe risolvere richiedendo una maggioranza qualificata molto rilevante, ad esempio quella dei due terzi.
Il Presidente Terracini fa notare che non si può attendere l'approvazione della Costituzione da parte dell'Assemblea plenaria, per votare sulla questione della revisione.
Mortati osserva che il sistema proposto dall'onorevole Rossi è congegnato sul modello della Costituzione belga del 1921 e di quella spagnola del 1931, le quali presuppongono la duplice legislatura e lo scioglimento automatico, ma ammettono però, a differenza della proposta dell'onorevole Rossi, la possibilità di emendamenti alla proposta di revisione: la prima Camera si limita ad una dichiarazione di revisione e si scioglie e la nuova Camera statuisce senza limiti sul punto sottoposto a revisione. Se si accetta il presupposto che in sede di comizi elettorali si possa manifestare con particolare orientamento circa la riforma proposta, bisogna lasciare alla nuova Camera libertà di esame in base alle discussioni avvenute durante le elezioni. Ciò risponde del resto al postulato democratico dell'intervento popolare; altrimenti si porrebbe agli elettori un vincolo rappresentato dalla decisione della prima Camera. Converrebbe perciò adottare il sistema belga nella sua interezza. Ciò ha ritenuto opportuno precisare, a parziale modifica di quanto ebbe a dire nella seduta precedente.
Grieco è d'accordo nell'idea di svincolare la nuova Camera dalle decisioni della Camera precederne.
Piccioni, come non comprende perché un Parlamento si debba sciogliere soltanto in base alla delibazione di una riforma costituzionale, così ritiene artificiosa la tesi secondo la quale la nuova Camera avrebbe potere di costituente solo limitatamente a quella determinata proposta e poi soltanto veste legislativa. L'esempio della Costituzione francese non gli sembra citato a proposito, perché quella Costituzione è stata seguita dal referendum. È d'avviso che in pratica, nella fase di formazione di un'Assemblea che sarà costituente e legislativa, l'attenzione della pubblica opinione sarà orientata solo astrattamente verso il problema della riforma di una parte della Costituzione, mentre si indirizzerà soprattutto verso la funzione legislativa del nuovo Parlamento. Ad ogni modo si tratta, a suo giudizio, di impostazioni estremamente complicate e non aderenti alla realtà e alla funzione degli istituti democratici come sono da lui concepiti, per cui la via più giusta per giungere ad una riforma costituzionale ritiene sia quella del referendum, il quale potrebbe essere anche preventivo, diretto, cioè, ad accertare se la volontà popolare sia o no orientata verso la riforma proposta.
Il Presidente Terracini crede che ciò sia molto audace e nota che in Svizzera avviene l'inverso: il referendum vi è indetto per ratificare i deliberati dell'Assemblea.
Piccioni nota che ogni Costituente è il risultato di un rivolgimento dell'opinione pubblica e non troverebbe nulla di strano che per la riforma di una parte della Costituzione si seguisse il criterio di dare la possibilità di esprimersi alla volontà popolare.
Mortati ricorda che l'attuale Costituente è stata eletta ad hoc e già nel periodo della sua formazione si è sondata l'opinione pubblica ed i vari partiti hanno presentato i loro programmi circa il modo di elaborare la nuova Costituzione. Una Camera avvenire si suppone eletta per un compito normale di legislazione sicché, ove, nel corso della sua vita, si presentasse l'esigenza di una riforma costituzionale si renderebbe necessaria una nuova consultazione dell'opinione del Paese.
Il Presidente Terracini osserva che le nuove elezioni dirimono a priori quella contraddizione eventuale che può sorgere dal referendum; altrimenti si giungerebbe al risultato di avere elezioni e referendum. Nota ad ogni modo che tutta la discussione fatta ha carattere di riesame del problema già ieri affrontato ed in parte risolto. Se vuole tornare sopra alle decisioni già prese, la Sottocommissione può farlo; ma è necessario presentare proposte concrete.
Osserva che ieri era stato deciso che nel procedimento di revisione dovesse farsi ricorso anche alla decisione della volontà popolare, ma che essa non dovesse manifestarsi nella forma del referendum.
Ripone in votazione il principio che il ricorso alla volontà popolare debba farsi con l'indire il referendum.
(Con 8 voti favorevoli e 6 contrari, è approvato).
Ricorda le formulazioni ieri proposte dagli onorevoli Tosato e Mortati.
Perassi ha formulato anche lui una proposta del seguente tenore:
«L'iniziativa delle leggi costituzionali appartiene al Governo ed alle Camere.
«Le revisioni costituzionali devono essere adottate da ciascuna delle Camere in due letture, con un intervallo non minore di sei mesi. Per il voto finale in seconda lettura è richiesta la maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera.
«Una legge costituzionale, salvo che sia stata adottata in seconda lettura da ciascuna delle Camere con una maggioranza di due terzi dei suoi membri, è sottoposta al referendum popolare se ne è fatta domanda da 500.000 cittadini aventi diritto di voto».
Lussu dichiara di approvare questa proposta.
Fuschini ritiene che la proposta dell'onorevole Perassi si possa accettare. Nota soltanto che, se la riforma è veramente necessaria, l'intervallo di sei mesi previsto fra le due letture diventa eccessivo, perché non si può lasciare per un così lungo periodo un carattere di provvisorietà ad una norma che può intaccare magari certe forme di libertà o la costituzione di importanti organismi. Propone quindi di ridurre l'intervallo a tre mesi o al massimo a quattro.
Quanto alla richiesta del referendum, non vorrebbe che si disturbassero gli elettori prima con la raccolta delle firme e poi con la votazione e propone che sia senz'altro stabilito quando deve esser fatto.
Piccioni propone di stabilire che debba farsi il referendum quando non sia raggiunta la maggioranza dei tre quarti dei membri di ciascuna Camera nell'approvazione della legge costituzionale.
Nobile proporrebbe di ridurre questa maggioranza ai due terzi.
Lami Starnuti ritiene che per una proposta di revisione di scarsa importanza nessuno pretenderebbe il referendum, anche se la decisione non avesse conseguito l'approvazione dei due terzi o dei tre quinti: per questo preferirebbe il referendum facoltativo, che si farebbe solo quando la questione presentasse veramente un grande interesse.
Il Presidente Terracini rileva che si deve anche stabilire su richiesta di chi debba farsi il referendum, qualora la proposta non sia approvata con i due terzi, ovvero se, non raggiungendosi tale maggioranza, il referendum sia senz'altro obbligatorio. Nota che la richiesta può esser fatta o da una parte del Parlamento o da un certo numero di elettori.
Nobile proporrebbe che la richiesta fosse fatta dai quattro decimi del Parlamento o dal Presidente della Repubblica.
Fabbri ritiene eccessiva questa quota: proporrebbe un quinto.
Rossi Paolo, Relatore, in via subordinata, preferirebbe che il referendum dovesse essere richiesto dal 10 al 20 per cento dell'Assemblea o da un gruppo di elettori.
Piccioni e Fabbri rilevano che bisognerà anche stabilire il termine entro il quale il referendum dovrà essere richiesto.
Il Presidente Terracini osserva che a ciò potrà provvedere il regolamento; ad ogni modo si potrà dire: «se ne è fatta domanda entro tre mesi».
Pone pertanto ai voti la proposta dell'onorevole Perassi che, tenendo conto delle modificazioni proposte, è stata così definitivamente formulata:
«L'iniziativa delle revisioni costituzionali appartiene al Governo ed alle Camere.
Le revisioni costituzionali devono essere adottate da ciascuna delle Camere in due letture con un intervallo non minore di tre mesi. Per il voto finale in seconda lettura è richiesta la maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera.
Una legge di revisione costituzionale, salvo che sia stata adottata in seconda lettura da ciascuna delle due Camere con una maggioranza dei due terzi dei suoi membri, è sottoposta al referendum popolare se ne è fatta domanda entro tre mesi da un quinto dei membri di una Camera o da 500 mila cittadini aventi diritto di voto».
Lami Starnuti dichiara di astenersi dal voto in conseguenza del voto contrario espresso prima.
(È approvata).
Nobile fa notare che, mentre si esige il 20 per cento dei membri delle Camere, si richiede soltanto il due per cento degli elettori, cioè 500 mila: propone che il numero di questi elettori sia portato ad un milione.
Il Presidente Terracini, per quanto si tratti di tornare su una decisione presa, non opponendosi alcuno, pone ai voti questa proposta.
(Non è approvata).
Nobile propone allora un'aggiunta alla norma approvata, nel senso che il referendum sia ammesso anche se è richiesto da un quinto, delle Assemblee regionali.
Perassi si associa alla proposta dell'onorevole Nobile, perché le Regioni possono avere diretto interesse in una riforma che tocca il loro ordinamento.
Il Presidente Terracini pone ai voti la proposta dell'onorevole Nobile che la richiesta del referendum possa esser fatta da un quinto delle Assemblee regionali.
(Non è approvata).
Fa notare che si è così completata la discussione sulla revisione della Costituzione.
A cura di Fabrizio Calzaretti