[L'11 dicembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.]
Il Presidente Terracini apre nuovamente la discussione, già iniziata, sull'articolo 19 del progetto, facendo presente l'opportunità — poiché in questo articolo sono riuniti problemi analoghi, ma pertinenti a diversi enti — di esaminare tali problemi partitamente.
Bozzi osserva che nei riguardi di questo problema, che è uno dei più interessanti che concernano la Regione, si sono manifestate due tendenze: la prima che mira a sottrarre nella maggior misura possibile gli enti pubblici, e le Regioni in particolare, al controllo; l'altra che ritiene invece che un controllo vi debba essere, sia pure in misura limitata.
Dopo aver ricordato che il regime fascista aveva esasperato il controllo statale, soffocando l'autarchia e l'autonomia degli enti comunali e provinciali, perché tale controllo — che sui Comuni e sulle Province era esercitato dall'organo burocratico statale, cioè dal Prefetto — non era soltanto di legittimità, ma anche di merito e, per determinate materie era esercitato anche dalla Giunta provinciale amministrativa, dichiara di ritenere necessario il controllo per due ordini di considerazioni: per la natura di enti autarchici e autonomi insieme, riconosciuta tanto al Comune quanto alla Regione, e per la concezione dello Stato di diritto, che dev'essere riaffermata. Osserva in proposito che la nozione dell'autarchia e dell'autonomia importa — rispettivamente nel campo dell'amministrazione per l'autarchia e nel campo normativo per la autonomia — che questi enti pubblici abbiano una particolare capacità di regolare da sé i propri interessi, per il raggiungimento di fini che tuttavia non sono esclusivi loro, ma sono anche comuni allo Stato, o meglio rispetto ai quali lo Stato non è estraneo; ed aggiunge che la necessità di un controllo dipende anche dalla concezione dello stato di diritto, il quale importa, nell'interesse della generalità, una determinata sorveglianza affinché tutte le attività pubbliche siano conformi al diritto.
Distingue gli enti locali e i Comuni dalle Regioni, ed osserva che l'articolo 19 si è ispirato ad una direttiva, a suo parere, esatta: quella di stabilire alcuni principî fondamentali e di rinviare i dettagli alla legge. Riconosce infatti che questa materia, ampia, delicata e complessa, dovrà essere regolata da norme inserite nella legge comunale e regionale, ma ritiene che nella presente sede si debba esaminare il quesito se siano da inserire nella Costituzione disposizioni direttive, alle quali il futuro legislatore ordinario dovrà, nella materia di cui si discute, improntare la sua attività.
Dopo aver distinto il controllo di legittimità da quello di merito, osserva che opportunamente l'articolo 19 non ha posto alcuna limitazione al controllo di legittimità, il quale non deve dare preoccupazioni, perché l'organo controllante esprime in questo settore un giudizio puramente logico e svolge un'attività vincolata dalla legge, in quanto si limita ad esaminare se gli atti sottoposti al suo controllo sono o meno conformi alla legge; mentre nel controllo di merito si fa una valutazione dell'opportunità dell'atto, una valutazione più penetrante, nella quale l'organo di controllo può sostituirsi all'organo controllato e porre la sua valutazione discrezionale al posto di quella dell'organo controllato.
Dichiara di essere favorevole al mantenimento del controllo di legittimità; ed aggiunge che il titolare di questa attività di controllo deve essere un organo che rappresenti gli interessi comuni alla Regione e agli enti comunali, cioè un organo governativo.
Pone poi in evidenza la diversità esistente fra i Comuni e gli altri enti che vivono nella Regione, da un lato, e la Regione stessa dall'altro; e manifesta l'opinione che rispetto ai Comuni ed agli altri enti locali che vivono nella Regione, quella nozione dell'autarchia che è stata affermata e ribadita si atteggi in modo diverso da quella in cui si atteggia rispetto alle Regioni; perché, mentre rispetto alle Regioni l'autarchia si ha solo nei confronti dello Stato e vi è una comunanza di fini fra l'ente Regione e l'ente Stato, per i Comuni e per gli altri enti locali minori, che vivono nella Regione, questa comunanza di fini non si ha soltanto nei riguardi dello Stato, ma anche rispetto alla Regione; questi enti pubblici minori, infatti, devono svolgere la loro attività di amministrazione e la loro attività normativa in conformità ai fini pubblici che persegue l'ente Regione.
Alla domanda se il controllo che si deve esercitare sugli atti dei Comuni e degli altri enti pubblici che vivono nella Regione debba essere affidato allo stesso organo che esercita il controllo sugli atti della Regione, risponde negativamente. Egli affiderebbe il controllo sull'attività pubblica dei Comuni e degli enti minori che vivono nella Regione ad un organo collegiale, eletto democraticamente in una maniera che si potrà studiare in seguito, il che costituirebbe veramente una forma nuova, di cui si potrebbe tentare l'esperimento e suscettibile di più larghi sviluppi e di più ampie applicazioni. Tale organo collegiale, presieduto da quello che è stato chiamato il Commissario del Governo per garantire la tutela dell'interesse statale, dovrebbe esercitare sempre un controllo di legittimità, ma potrebbe anche per talune materie, la cui determinazione si potrà affidare alla legge speciale, estendere la sua competenza anche al merito. Osserva, a questo proposito, che il controllo di merito per casi determinati e più rilevanti non dovrebbe destare quelle preoccupazioni che giustamente desta nel momento presente, in cui l'attività dei Comuni è imbrigliata e soffocata dal controllo di merito esercitato dal Prefetto, organo del centralismo statale; esso dovrebbe essere esercitato dalla Regione, alla quale deve stare a cuore che i Comuni e gli altri enti minori svolgano la loro attività in modo conforme agli interessi amministrativi e normativi della Regione stessa, per mezzo di un organo eletto democraticamente, che darebbe la garanzia che questo controllo sia veramente fatto nell'interesse della generalità.
Per quanto attiene alla Regione, è del parere che il controllo debba essere organizzato diversamente; e, al riguardo, si richiama a due ordini di attività, a suo avviso, importantissime.
Ricorda anzitutto che in base all'articolo 10 del progetto, i bilanci debbono essere portati all'esame ed all'approvazione dell'Assemblea regionale; ma è necessario che si faccia un esame e si eserciti un controllo — così come al centro oggi la Corte dei conti esercitava il controllo di legittimità, o meglio di legalità, sugli atti di gestione del bilancio — anche sugli atti di gestione del bilancio regionale e su tutti quegli atti che danno conto di come il pubblico denaro viene gestito. Ritiene che la forma più spiccata di garanzia, per assicurare la conformità dei singoli atti, consista in un esame preventivo, che si compia, cioè, prima che la violazione avvenga, perché la vera ragione d'essere dei controlli sta nella loro preventività rispetto all'esecuzione dell'atto. Prospetta quindi l'opportunità di fissare nella Costituzione l'istituzione di un organo di controllo sugli atti di gestione del bilancio della Regione, affinché i cittadini della Regione stessa siano sicuri che le somme che versano sono bene amministrate e spese secondo il piano esposto ed approvato nel bilancio.
Cita in secondo luogo un'altra categoria di attività normative, costituita dai regolamenti; e fa presente che, mentre per le leggi il progetto prevede varie cautele che giungono fino all'annullamento secondo una certa procedura, per i regolamenti ciò non è stato considerato e non si è stabilito alcun controllo.
Premesso che sulla potestà normativa dello Stato affidata al potere esecutivo è richiesto obbligatoriamente il parere del Consiglio di Stato, il che costituisce una forma di controllo sui regolamenti, osserva che per quanto riguarda la Regione i regolamenti non sono emanati dal potere esecutivo regionale, cioè dalla Deputazione, ma — e ciò costituisce già una forma di garanzia — dall'Assemblea regionale. Si domanda quali saranno i rimedi preventivi, o repressivi, nel caso che il regolamento superi i limiti propri dell'attività regolamentare. Può ricorrersi, come per le leggi, alla Corte costituzionale? Questo si vedrà in seguito; ma il ricorso, se pure sarà ammesso contro il regolamento violatore della legge, avrà carattere successivo, sarà determinato da un interesse individuale, in quanto l'applicazione del regolamento avrà avuto corso e il turbamento dell'ordinamento giuridico sarà avvenuto; e quindi il successivo annullamento determinerà una nuova scossa e quell'incertezza dell'ordinamento dei rapporti giuridici che è quanto di più deleterio si possa immaginare per una società civile.
Ritiene quindi necessario prevedere nella Costituzione una forma di controllo, sia pure attraverso il parere preventivo di un organo (che si determinerà in seguito) non solo sull'attività normativa esecutiva regolamentare, ma su tutto quel complesso di atti altrettanto importanti, come contratti di grande rilevanza, atti di regionalizzazione, ecc., per i quali sarà altrettanto necessario ed utile avere il parere ed il controllo di un organo.
A suo avviso, adunque, per i Comuni e per gli enti minori questo controllo dovrebbe essere esercitato da un organo collegiale, eletto democraticamente nelle forme che si stabiliranno poi. Per la Regione potrebbe essere esercitato per gli atti di gestione del bilancio da una Sezione della Corte dei conti (come è previsto nel regolamento dello Statuto siciliano); e per gli atti amministrativi regolamentari più importanti (che potranno essere determinati in seguito) questa funzione di controllo preventivo potrebbe essere demandata, attraverso l'imposizione di una richiesta di parere obbligatorio, ad una Sezione speciale del Consiglio di Stato. In tal modo si attuerebbe anche una forma di decentramento degli organi consultivi e di controllo speciali, salvo a vedere se a questi organi si debba affidare, come è previsto dall'articolo 20, anche una funzione giurisdizionale. Ricorda che l'onorevole Calamandrei, in seno alla Sezione che si occupa del potere giudiziario, ha proposto che le funzioni giurisdizionali, tanto del Consiglio di Stato quanto della Corte dei conti, siano soppresse e deferite alla autorità giudiziaria. Ritiene quindi che di questo tema non ci si possa occupare fino a quando quella Sezione non avrà fatto conoscere le proprie deliberazioni.
Concludendo, esprime parere favorevole alla linea di massima seguita dal progetto, cioè di fissare in questo articolo i principî fondamentali, rinviando la determinazione dei casi, le modalità e le ulteriori precisazioni alla legge, perché ritiene opportuno che fin d'ora siano fissate nell'atto costituzionale le direttive che il legislatore ordinario dovrà seguire.
Dichiara poi di essere d'accordo su quanto è proposto per il referendum, salvo a discutere sul numero delle persone che lo dovranno chiedere.
Nobile propone un emendamento al secondo comma dell'articolo 19, così formulato: «Si farà luogo al controllo di merito limitatamente all'accertamento che l'atto non contrasti con gli interessi nazionali, oppure quando si tratti, ecc.».
Ritiene necessario che — analogamente a quanto il progetto stabilisce per le leggi — anche per gli atti compiuti dalla Regione si stabilisca una forma di controllo. Cita al riguardo numerosi esempi di atti e di regolamenti, che potrebbero essere formulati dalla Regione in modo tale da contrastare con l'interesse nazionale.
Dichiara di concordare con l'onorevole Bozzi sull'opportunità che il controllo debba precedere, e non seguire, il fatto compiuto e conclude che tale controllo preventivo deve essere esercitato dal Governo centrale o da un organo da questo dipendente.
Bulloni ritiene pleonastico l'emendamento proposto dall'onorevole Nobile, perché, una volta ammesso il controllo di legittimità, si deve supporre la conformità degli atti della Regione alle leggi, non potendosi pensare che siano stati emanati provvedimenti in contrasto con l'interesse nazionale, in relazione al quale l'onorevole Nobile vorrebbe introdurre il controllo di merito.
Tosato ritiene fuori discussione che vi debba essere un controllo sulle attività delle Regioni e dei Comuni, sia dal punto della legittimità che da quello del merito. Tuttavia gli sembra che in questa materia occorra distinguere il controllo da effettuare sulle Regioni da quello che deve essere effettuato sopra i Comuni. L'onorevole Bozzi, nella sua esposizione, ha messo invece sullo stesso piano il controllo sulle Regioni e quello sui Comuni. Ora, se è esatto che, da un punto di vista generale, le Regioni, dovendosi considerare enti autarchici con manifestazioni di autonomia, si trovano sotto un certo profilo rispetto allo Stato in una posizione di subordinazione che giustifica un controllo, non si può tuttavia non tener conto del fatto che i caratteri dell'autonomia regionale e l'organizzazione data alle Regioni sono tali per cui in materia di controllo non si può assolutamente parificare la Regione al Comune.
La questione principale, perciò, non riguarda l'esistenza o meno del controllo, ma il soggetto del potere di controllo.
Per quanto concerne le Regioni, salvo per le manifestazioni più importanti, come l'attività legislativa per la quale è già stata approvata una determinata disciplina, il controllo sugli atti, a suo modo di vedere, dovrebbe essere di carattere interno, dovrebbe cioè emanare da organi facenti parte essenziale della stessa organizzazione delle Regioni.
Quindi se, in un certo senso, può accettare i suggerimenti dell'onorevole Bozzi circa la necessità di controlli, sia preventivi che consultivi, sulla gestione finanziaria, sui regolamenti e su certi contratti di particolare importanza per le Regioni, crede però che tale necessità potrebbe essere soddisfatta con la creazione nell'ambito regionale di particolari organi, sia di consulenza che di controllo. Si eviterebbe così il pericolo che, attraverso questa estensione di controlli e di partecipazione indiretta dello Stato alle attività delle Regioni, si ponessero le Regioni stesse nell'attuale posizione dei Comuni, i quali, pur avendo una personalità giuridica, in sostanza sono organi indiretti dell'amministrazione statale. Infatti, ammettendosi un controllo dello Stato sulle Regioni, si avrebbe come risultato un semplice decentramento burocratico e verrebbe meno la vera e propria essenza dell'autonomia regionale.
Per quanto riguarda, invece, i Comuni, ritiene che i controlli possano essere esercitati da organi esterni ad essi, o statali o regionali. A tale proposito, nel caso che l'attribuzione del controllo fosse demandata alle Regioni piuttosto che allo Stato, si domanda se in tal modo non sarebbe messa in pericolo l'autonomia comunale.
Ravagnan concorda con l'onorevole Bozzi e in parte con l'onorevole Tosato, nel senso che riconosce, da un lato, la necessità di controlli e, dall'altro, l'opportunità di una distinzione tra Comuni e Regioni.
Per quanto riguarda i Comuni, ammette la necessità di un controllo di legittimità e in certi casi anche di merito. Circa l'organo che deve essere titolare di questo controllo, esprime l'avviso che dovrebbe essere elettivo ed esterno, ma sempre nell'ambito della Regione, come l'attuale Giunta provinciale amministrativa, se diventasse elettiva. Tuttavia, piuttosto che della Costituzione, ritiene che la questione potrebbe formare oggetto della futura legge comunale e regionale.
Per quanto riguarda il controllo sulle Regioni, prega i colleghi di voler maggiormente approfondire la questione. Personalmente non è d'accordo con l'onorevole Tosato che il controllo sulle Regioni debba essere effettuato nel loro interno, in relazione specialmente al carattere che esse hanno assunto, quasi di piccoli Stati di una federazione, per cui il controllo, sia di legittimità che di merito, è necessario che non sia affidato ad organi interni delle Regioni, ma ad organi esterni.
Mortati crede che considerare la Regione solamente come un ente autarchico sia contrario allo spirito della Costituzione, perché quando si dà alla Regione una sfera di autonomia costituzionale, la si pone in una posizione differente da quella di un comune ente autarchico. Ammessa questa più ampia autonomia della Regione, dovrebbe rientrare nella sua competenza anche la materia dei controlli.
Distinguerebbe tuttavia gli atti che la Regione compie con la gestione di fondi propri, dagli atti che compie con la gestione di fondi statali nel caso, che è stato previsto, di bilancio non autosufficiente. Bisognerebbe quindi fare una distinzione tra controlli ordinari della Regione, che dovrebbero essere interni alla Regione stessa, e controlli straordinari (richiesti dall'andamento irregolare o non autosufficiente della gestione ordinaria), che dovrebbero essere demandati allo Stato.
Per quanto riguarda la gestione ordinaria, crede che si potrebbe trovare una via di conciliazione nel senso che il controllo potrebbe essere esercitato dalla Corte dei Conti, alla quale si dovrebbe attribuire la duplice veste di organo statale al centro e di organo della Regione, sotto la forma di sezioni speciali, alla periferia. Questa ipotesi potrà più facilmente avverarsi se, come si prevede, la Corte dei conti da organo burocratico governativo diverrà organo para-parlamentare.
Si domanda, poi, se il controllo sulla attività regionale debba essere preventivo. A suo avviso, vi sono molte ragioni per rispondere affermativamente, ma non sa se sia il caso che la Corte dei conti esamini in via preventiva la legittimità degli atti delle Regioni. In ordine a questo problema sarebbe anzitutto da precisare che, ammesso un controllo preventivo di legalità della Corte, non vi sarebbe luogo anche ad un analogo intervento preliminare del Consiglio di Stato, neppure nella materia regolamentare. A parte ciò, osserva che il controllo preventivo o deve esercitarsi al centro della Regione ed allora si determina un intralcio al rapido corso degli atti che dovrebbero confluire al centro per essere sottoposti a controllo. O invece si decentra creando uffici periferici della Corte in centri minori delle Regioni ed allora sorge il pericolo che questi uffici, allontanandosi dal centro, perdano di efficacia, di indipendenza e non siano così più rispondenti all'esigenza di un effettivo controllo. Quindi, se si vuole un controllo preventivo, bisogna porsi il quesito del modo di conciliarlo col principio del decentramento.
Per le gestioni esercitate dalle Regioni con fondi non propri, si deve invece ammettere un controllo statale postumo, non solo di legittimità, ma anche di merito. Senza di che non si eliminerebbe l'inconveniente della finanza allegra, che fino ad oggi è stato prerogativa di numerosi comuni.
Il decentramento, infatti, per essere educativo dovrebbe affermare il principio che, nel caso di cattiva gestione, i danni sono a carico degli stessi cittadini che in tal modo, per non correre pericoli, saranno portati a scegliersi dei buoni amministratori. Lo Stato dovrebbe intervenire solo quando il deficit dipendesse da eventi eccezionali o da una non perfetta corrispondenza della previsione della legge finanziaria tra le entrate e le spese. Le effettive ragioni del disavanzo potrebbero essere segnalate al Governo dall'unico funzionario che nella Regione rappresenta lo Stato.
Mannironi concorda con l'onorevole Tosato per quanto riguarda il controllo da esercitarsi sugli enti che vivono nell'interno della Regione e in particolar modo sui Comuni. Ricorda che, parlandosi della soppressione della Provincia e della Prefettura, si era prevista la sopravvivenza di una Giunta elettiva quale organo decentrato della Regione, e manifesta l'avviso che il controllo di legittimità e di merito da effettuare sui Comuni, potrebbe essere deferito alla competenza di questa Giunta, che dovrebbe funzionare come emanazione della Regione.
Non vede la ragione della perplessità dell'onorevole Tosato circa la convenienza di deferire il controllo sui Comuni allo Stato o alle Regioni. Affermato il principio che l'autonomia della Regione deve essere fatta salva, gli sembra che il controllo sugli enti interni, anche per ragioni di pratica amministrazione, dovrebbe essere esercitato dalla Regione stessa, eventualmente per mezzo della Giunta di cui prima ha fatto cenno.
Per il controllo sulle Regioni, nei riguardi dell'attività principale che è quella normativa, gli sembra che sia stato già sufficientemente provveduto col precedente articolo 12. Per quanto invece concerne gli atti amministrativi, ritiene che l'opera delle Sezioni speciali della Corte dei conti nelle Regioni possa essere sufficiente allo scopo. Al fine di eliminare ogni preoccupazione, proporrebbe di adottare la norma dello Statuto siciliano, secondo la quale i magistrati della Corte dei conti che agiscono nelle Sezioni speciali regionali possono essere nominati di comune accordo dal Governo e dagli organi regionali. In questa maniera la Regione avrebbe una certa interferenza ed un potere di controllo sulla nomina dei magistrati che esercitano nel suo seno questa delicata funzione.
Fabbri propone che l'articolo 18 sia sostituito dal seguente:
«Una legge costituzionale dichiarerà che gli atti della Regione, dei Comuni e degli enti locali sono sottoposti al controllo di legittimità e stabilirà quali atti di particolare rilevanza economica siano sottoposti altresì al controllo di merito.
«Il controllo sugli atti della Regione sarà distribuito dalla legge costituzionale tra il Commissario del Governo nella Regione e il Consiglio di Stato e questa legge regolerà il controllo sugli atti dei Comuni e degli enti locali, devolvendolo ad una Giunta regionale amministrativa composta di un numero di membri non inferiore a 12, eletti per tre quarti dalla Deputazione regionale e per un quarto dal Commissario del Governo nella Regione. Questa Giunta potrà essere divisa in sezioni».
Il Presidente Terracini dubita della opportunità di scendere nella Costituzione ad una minuta specificazione circa l'attuazione pratica del controllo e gli organi che dovranno esercitarlo. La critica mossa spesso, sia nell'Assemblea Costituente, sia fuori di essa, all'eccessiva minuzia delle disposizioni, se talvolta è esagerata, in questo caso avrebbe una giustificazione.
Esprime pertanto la convinzione che l'articolo in esame debba limitarsi ad affermare alcuni dei principî generali che già sono stati tratteggiati dai colleghi che hanno interloquito.
Entrando nel merito, osserva che è una contraddizione in termini parlare di un controllo dall'interno. La natura umana non consente una forma di autocontrollo in un organismo collettivo: l'esperienza ammaestra che ogni organismo può essere controllato da un altro, ma in se stesso non trova freni alla sua azione. D'altro canto, se si pensa ad un controllo, è perché si parte dal presupposto che questi enti possano violare norme generali o eccedere i limiti della loro specifica competenza; il che significherebbe che essi non sono riusciti a identificare i confini del proprio campo d'azione, mentre chi è al di fuori può farlo, in quanto ha una visione più completa. Ritiene quindi che il controllo su organismi amministrativi, sia pure autarchici ed autonomi, non possa essere esercitato che da organi che si trovino ad un livello superiore ed abbiano una maggiore autorità. Più che di controllo dall'esterno, parlerebbe dunque di controllo che proviene dall'alto.
A suo avviso, nell'articolo in esame dovrebbe essere affermato: in primo luogo, che le Regioni, i Comuni e gli altri enti locali debbono essere subordinati ad un controllo, oppure — se dispiace parlare di subordinazione — che si esercita un controllo sugli atti delle Regioni, Comuni ed enti locali; in secondo luogo, che tale controllo è di legittimità e, solo in casi particolari specificatamente indicati, di merito; in terzo luogo, che il controllo stesso deve costituire l'elemento unificatore di questi enti, i quali, dalle disposizioni statutarie, vengono costituiti in modo tale da mirare, sia pure inconsapevolmente, ad una forma di distacco e di disunione.
Per quanto concerne i Comuni, pensa che sia necessario concedere loro una maggiore autonomia e quindi la più larga possibilità di movimento nel campo amministrativo, con l'unico limite di un controllo da parte della Regione (eventualmente con accorgimenti che ne consentano il decentramento); riguardo alle Regioni, invece, crede sia da affermare la loro subordinazione ad un controllo da parte dello Stato, salvo a decidere dell'organo che dovrebbe esercitarlo, se, cioè, dovrebbe essere uno degli organi esistenti (Corte dei conti o Consiglio di Stato) o un organo appositamente costituito. Né quest'ultima ipotesi andrebbe scartata per la preoccupazione di realizzare una economia burocratica, quando una tale preoccupazione in altri casi non è stata avvertita e sarebbe ingiustificata nella fattispecie.
Altro elemento da tener presente è che un siffatto organo dovrebbe essere completamente, o quasi (perché occorre anche una certa esperienza specifica, che non si può sempre trovare attraverso ad un'elezione) di carattere elettivo. Con ciò si dissiperebbero i timori di un organo di carattere burocratico, poiché a questo normalmente si è portati a pensare tutte le volte che si parla di controllo dall'alto. Ora, mentre l'organo incaricato del controllo sugli atti dei Comuni sarebbe inserito nel quadro dell'Assemblea regionale, quello per le Regioni dovrebbe avere un legame diretto col Parlamento. In quanto poi una funzione di controllo esercitata dalla seconda Camera si avvicinerebbe — per la composizione di questa a base regionale — a quel tipo di controllo su se stesso che personalmente non sa concepire, a suo avviso questa particolare attività nei confronti delle Regioni dovrebbe essere affidata alla prima Camera.
Comunque, nella Costituzione si dovrebbero inserire solo alcune affermazioni di principio, che potrebbero poi trovare il loro sviluppo in una legge speciale.
Comprende l'atteggiamento di quei Commissari che caldeggiano una forma di autocontrollo, inquantochè in un ordinamento in cui le Regioni assumono, se non addirittura la forma di piccoli Stati, molti di quei poteri che normalmente sono riservati allo Stato, per una certa logica del sistema si può pensare ad un controllo che parta dall'interno. Tuttavia ritiene che in certi casi non si debba essere schiavi della logica, la quale può portare talvolta a conclusioni che vengano avvertite come politicamente pericolose. Ora, il sistema regionale ha insiti in sé certi pericoli (che potranno pure non svilupparsi) per cui può essere opportuno porre alcuni argini a questo pericolo potenziale.
Tosato propone la seguente formulazione:
«I controlli sui regolamenti regionali delle leggi regionali e sugli atti amministrativi delle Regioni saranno esercitati da organi regionali che saranno organizzati con leggi dello Stato.
«La legge dello Stato provvederà pure all'organizzazione degli organi consultivi della Regione».
A cura di Fabrizio Calzaretti