[Il 13 novembre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali». — Presidenza del Vicepresidente Pecorari.
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Castiglia. [...] Evidentemente, bisogna correggere tutti questi difetti, bisogna colmare tutte le lacune, che non sono soltanto queste, cui ho accennato panoramicamente, se si vuole contribuire efficacemente al consolidamento di quelle libertà democratiche, che sono aspirazione di tutti.
Occorre provvedere a quel complesso di norme, che garantiscano alla Magistratura, oltre all'indipendenza dall'esecutivo, anche la indipendenza dal legislativo e l'indipendenza da qualsiasi influenza politica.
Come? Prima di tutto, riformando la Costituzione nella parte che riguarda il Consiglio Superiore della Magistratura (ho presentato in proposito un emendamento). Riformare poi la Corte costituzionale in modo da farne un organismo prevalentemente tecnico-giuridico e non un organismo prevalentemente politico, così com'è invece nella formulazione attuale. Estendere il divieto di cui all'articolo 95, quarto capoverso, circa la istituzione di giudici speciali, anche alle altre materie che non siano la materia penale. Ribadire il principio, di cui all'articolo 94, ultima parte, circa il divieto di appartenenza a partiti politici.
So che le obbiezioni a quest'ultimo principio sono molteplici. Si è detto che questo costituirebbe la rinuncia a certi diritti politici, quale quello dell'elettorato passivo. Ebbene, non rispondo io a questa argomentazione: hanno risposto i magistrati della Cassazione, quando hanno detto che l'astensione dal porre candidature (naturalmente non essendo inscritti a un partito politico, non si può porre una candidatura politica) è conseguenza logica della particolare funzione dei magistrati, i quali sicuramente non si dorranno della privazione di questo particolare diritto.
Altra obiezione che si è fatta è, che l'appartenenza ad un partito politico non può e non deve turbare la serenità e l'imparzialità del giudice. Neanche questo è esatto. Anche a ciò hanno risposto i magistrati della Cassazione, i quali hanno detto che, viceversa questi vincoli di subordinazione, i quali si creano fra i partiti a cui si appartiene e i dirigenti del partito e delle sue organizzazioni, in fondo debbono per forza di cose creare un vincolo di subordinazione che, anche indirettamente, può turbare la serena amministrazione della giustizia.
Contro tutto questo si è argomentato ancora ieri da parte dell'onorevole Fausto Gullo: la Magistratura così è avulsa dal popolo, non sente le pulsazioni della vita sociale. Si tratta di frasi le quali possono creare un certo allarme, ma in ultima analisi, non mi pare che rispondano per nulla alla realtà oggettiva dei fatti. Così egli ha citato l'esempio dell'applicazione estensiva del decreto di amnistia sui reati politici, dicendo come questa applicazione estensiva abbia violato lo spirito della legge e turbato la coscienza popolare. Io vi dico: signori, non dimenticate quella che era la formulazione di quel famoso articolo 3 del decreto 22 giugno 1946, che ha dato luogo poi a tante polemiche, con il quale si escludevano dal beneficio dell'amnistia coloro, i quali avevano rivestito «una elevata funzione di direzione civile e politica». Io mi chiedo se con una formulazione così equivoca, così generica e così poco felice dal punto di vista tecnico, non si dovesse dar luogo a delle interpretazioni che, per taluni, sono perfettamente rispondenti allo spirito del decreto, mentre per taluni altri possono non esserlo. Ma il giudice deve essere al di sopra di queste competizioni. Di che cosa vi lagnate? Voi stessi avete detto che l'amnistia era uno strumento di pacificazione generale, e se questo strumento di pacificazione è stato applicato con una certa larghezza — eccessiva secondo il vostro punto di vista, non secondo il nostro — in tutto questo cosa c'entra la considerazione che il magistrato sarebbe avulso dalle pulsazioni della vita sociale? Il magistrato applica la legge secondo la formulazione che voi gli avete data; questa è la legge che voi avete data al magistrato perché l'applicasse, ed egli l'ha applicata secondo la sua coscienza, secondo la sua competenza e secondo il suo convincimento: secondo lo spirito di giustizia che lo anima.
Si dice: il magistrato è avulso dal popolo, come se il magistrato non fosse il popolo, come se il magistrato non vivesse la vita quotidiana, la vita della collettività e come se il magistrato fosse un essere diverso da quello che forma tutta l'umanità e tutto il complesso dei cittadini. Se, poi, sotto il velo di questa accusa si vuole imputare ai magistrati di non volersi uniformare ai desideri di parti politiche che prevalgono in determinati momenti, io vi dico che questa accusa è la migliore e più ambita lode che si possa fare alla Magistratura italiana.
Ora, la verità è che con queste affermazioni sbalorditive, ma inconsistenti, si vuole giustificare la negazione della indipendenza della Magistratura, per arrivare a quello al quale voi mostrate di voler arrivare: a quella subordinazione della Magistratura a esigenze che non sono di carattere puramente giuridico, ma di carattere sociale, e più che sociale, politico, per cui ad un certo momento il magistrato dovrebbe superare anche la lettera e lo spirito della legge, per creare un nuovo diritto aderente a chissà quali nuovi criteri e nuovi concetti, di opportunità contingente e di interesse non collettivo, ma partigiano e quindi fazioso.
A tutto questo, evidentemente, non possiamo aderire. Ed è per questo: perché si profila già, fin da questo momento, il pericolo contro l'indipendenza della Magistratura, il pericolo contro quella che dev'essere la disarticolazione del potere giudiziario, e quindi della Magistratura, dall'influenza politica, e bisogna insistere su questo concetto, perché il pericolo è grave, come si desume da tutto quello che è stato detto in questa Aula.
A cura di Fabrizio Calzaretti