[Il 17 ottobre 1947 l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo primo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Parlamento».]
Presidente Terracini. L'ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Ricordo che ieri sera la seduta fu sospesa, su consiglio dell'onorevole Mortati, nella speranza che fosse possibile, nella mattinata di oggi, trovare una formula concordata per l'articolo 74-bis. Vorrei sapere se è stato formulato un nuovo testo.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Presidente, questa mattina i presenti all'adunanza del Comitato hanno formulato un testo che ha avuto il comune consenso, salvo la riserva per alcuni di sentire i loro Gruppi. Avviene così, come in molti altri casi, che le considerazioni di solidarietà politica si sovrappongono alla tecnica legislativa; e nulla si può mai considerare definitivo. Ad ogni modo il testo che ho qui, e che vi leggo, è testo del Comitato, redatto ad unanimità.
«Il Presidente della Repubblica non può emanare decreti aventi valore legislativo, deliberati dal Governo, se non in casi straordinari di assoluta e urgente necessità. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni.
«I decreti perdono di efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni».
Si è arrivati a questa soluzione, seguendo un ordine, un iter di ragionamento. Si è dapprima posto il quesito se conviene prendere in considerazione o mostrar di ignorare quello «stato di necessità» — come dice una prevalente dottrina — da cui dipende l'emanazione dei decreti-legge. Che vi possa essere stato di necessità — anche se non ha veste di istituto giuridico — è un principio generale di diritto largamente ammesso. A ciò si riconduce il sistema del decreto-legge; usato fra l'altro in Inghilterra, paese classicamente libero, con il successivo bill d'indennità, da parte delle Camere. È stato osservato che (a prescindere dalle particolari garanzie che dà il costume politico in Inghilterra, più che in altri paesi) quanto ivi avviene senza alcuna norma costituzionale, solo in base al costume, sembra più difficilmente ammissibile in paesi a costituzione rigida. Se non vi è norma di costituzione, non solo il decreto-legge ma lo stesso bill d'indennità resterebbero atti incostituzionali.
Per un complesso di considerazioni, alle quali hanno aderito i membri del Comitato, tranne l'onorevole Lucifero, si è ritenuto preferibile prevedere nella Costituzione, per porgli i limiti più rigorosi, il decreto-legge. Non ci ha trattenuti il timore di dare cittadinanza nella Carta costituzionale ad un atto che desta così sfavorevoli ricordi e che solleva indignazione in spiriti liberali, che non riflettono come, non mettendo nulla, si viene a facilitare ed incoraggiare l'uso dei decreti-legge, che nulla può impedire, anche il silenzio della Costituzione che significa divieto; non si avranno limiti; e così si farà, col silenzio, opera antiliberale.
Secondo punto: l'onorevole Mortati aveva avanzato una proposta per cercare di classificare e di individuare i casi nei quali poteva essere ammesso il decreto-legge. Aveva (oltre che allo stato d'assedio, che rinviava al Titolo del potere esecutivo) accennato al caso di una modifica delle tariffe doganali, in cui occorre non solo l'immediatezza, ma anche il segreto per evitare speculazioni ed altri turbamenti. Altri osservò che un caso più specifico di necessità del segreto si ha per le borse; e non solo per la loro diretta disciplina, ma anche pei provvedimenti che possono aver riflesso in borsa, ed è necessario che siano tenuti nella maggior segretezza prima di essere emanati. Se fosse possibile indicare i casi, nei quali soltanto può ammettersi il decreto-legge, sarebbe certamente la via migliore; ed il Comitato ha invitato l'onorevole Mortati a trovare una formulazione adatta e completa; ma lo stesso onorevole Mortati ha finito col riconoscere che non è possibile.
Venuta meno la soluzione di una limitazione, per così dire, di sostanza, che riducesse i casi di decreti-legge soltanto ad alcune categorie di atti, si è — passando al terzo punto nel nostro ragionamento — stabilito di ricorrere ad una limitazione di procedura, che sia molto rigorosa e tale da impedire e colpire gli abusi. Si è pertanto, nel testo che vi ho letto, determinato che non si può ricorrere al decreto-legge se non in casi straordinari di assoluta urgenza e necessità (la forma adottata non è positiva, di autorizzazione al Governo di emettere decreti-legge, ma è negativa: «non possono essere emessi»; anche le sfumature possono servire). Cert'è che, direttamente o indirettamente, si riconosce l'eventualità dei decreti-legge, ma subito si appongono i freni e i limiti più efficaci che si possano pensare.
I provvedimenti presi dal Governo devono essere immediatamente — il giorno stesso della loro emanazione — presentati alle Camere per la loro conversione in legge. Se le Camere non sono già raccolte, devono esserlo, anche se sciolte, non più tardi che entro cinque giorni. L'immediato intervento e l'apposita convocazione delle Camere è un freno molto sensibile per i Governi, che sapranno, nell'emettere decreti-legge, di dover presentarsi subito al Parlamento per affrontare un giudizio di responsabilità, che è implicito nell'atto della conversione, e nulla vieta diventi esplicito, ove il decreto-legge risulti ingiustificato ed ispirato a criteri antiliberali ed antidemocratici. Il Governo ci penserà ad emettere profluvio di decreti-legge, quando sa che basta un piccolo decretino di tal genere, per far convocare le Camere anche disciolte. Sarà di fatto un formidabile freno.
Né basta. Vi è un altro freno. Se i decreti-legge non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro presentazione alle Camere, perdono ogni efficacia. Ciò accentua il loro carattere di provvisorietà, e pone un brevissimo termine, nel quale possono aver vigore, senza che intervenga la conversione in legge.
Tali i criteri, onorevoli colleghi, che hanno ispirato la disposizione proposta.
Presidente Terracini. L'onorevole Bozzi, insieme con l'onorevole Cevolotto, ha presentato il testo seguente:
«Quando nei casi straordinari di urgente e assoluta necessità, il Governo emani provvedimenti aventi valore di legge, essi devono essere presentati per l'approvazione alle Camere, appositamente convocate anche se sciolte, nel termine di cinque giorni, e perdono efficacia se non siano convertiti in legge entro 90 giorni».
L'onorevole Bozzi ha facoltà di illustrarlo.
Bozzi. Onorevoli colleghi, le ragioni che hanno portato alla redazione del testo sui decreti-legge sono state lucidamente esposte dal Presidente della Commissione, onorevole Ruini.
Due tesi erano e sono ancora in campo: quella la quale crede che nella Costituzione non si debba assolutamente parlare di decreto-legge e quella la quale crede che nella Costituzione si debba prevedere questa forma di legiferazione, pur straordinaria, e contenerla con una disciplina rigorosa.
Il non parlarne affatto, dato che la Costituzione, come da quasi tutti è riconosciuto, è rigida, significherebbe che il Governo, il quale adottasse un provvedimento di urgenza, verrebbe a porre in essere una norma incostituzionale, con tutte le conseguenze che da questa incostituzionalità deriverebbero, prima di tutte la possibilità di impugnativa e l'incertezza nell'ordinamento giuridico.
Si dice: a questa situazione si può porre riparo mediante un intervento successivo del Parlamento, non preveduto dalla Costituzione, mediante il ricorso al bill di'indennità.
Ora, in Commissione è stato rilevato stamane che la figura del bill di indennità presenta vari inconvenienti, che sono stati anche ieri ricordati dall'onorevole Codacci Pisanelli. Ma, soprattutto, il bill di indennità mal si adatta ad una Costituzione rigida, perché la norma creata dal Governo contro la Costituzione è una norma incostituzionale; ed il Parlamento, che volesse sanare questa incostituzionalità, verrebbe di necessità a modificare la Costituzione; ed in ogni caso non verrebbe tolto l'inconveniente che ci si troverebbe di fronte ad una norma inizialmente incostituzionale e quindi priva di ogni efficacia.
Piuttosto, è sembrato conveniente disciplinare l'istituto, vorrei dire, disciplinare questo bill d'indennità, renderlo necessario, determinarne le modalità con rigore. Perché da tutti si è osservato che il fenomeno dei decreti-legge, nonostante le proteste, nonostante gli idealismi sul Parlamento, si impone come una necessità, che non è dovuta soltanto a situazioni particolari, quali le guerre. Se osserviamo la vita del nostro istituto parlamentare dal 1848 in poi, vediamo che, sia pure con un gettito maggiore o minore, il fenomeno del decreto-legge è sempre esistito. Si è tentato di giustificarlo talvolta ricorrendo alla figura della delega implicita o tacita, che scaturirebbe dal sistema parlamentare, fondato sulla fiducia. Tesi, questa, assai discutibile e meno accolta. Da altri si è detto che il fondamento della decretazione di urgenza sta nello stato di necessità, che è esso stesso una fonte di diritto superiore alla legge: la necessità infrange ogni barriera.
Ora, certo, in un Parlamento che si curasse, non dico esclusivamente, ma prevalentemente della sua funzione legislativa, il decreto-legge dovrebbe avere una scarsa applicazione; ma purtroppo l'esperienza insegna che spesso nei Parlamenti il momento politico prevale su quello legislativo. Faccio notare che nell'attuale fase storica della società nazionale, in cui lo Stato interviene sempre più intensamente (e qui non è questione di essere liberali o socialisti; basta constatare il fenomeno) nella regolamentazione dei rapporti sociali ed anche dei rapporti economici, si determinano spesso delle situazioni di contingenza tali che è necessaria un'azione pronta ed alle volte segreta.
Richiamo soprattutto l'attenzione della Camera sul requisito della segretezza. L'onorevole Ruini ha ricordato giustamente un esempio, che è sintomatico, di tutta una serie di analoghe situazioni: un'azione di intervento sulle borse pensate mai che si possa portare alla discussione delle Camere? Un provvedimento legislativo che deve determinare un certo intervento dello Stato nella materia delle borse, renderebbe impossibile il successo, ove mancassero l'immediatezza e la segretezza del provvedimento. Di fronte al fenomeno che è sempre esistito, non solo in Italia, e sempre esisterà, per cui il Governo che rappresenta la continuità dell'azione dello Stato si trova in situazioni che gli impongono la urgente necessità di legiferare, abbiamo pensato che fosse cosa migliore prevedere il fatto, regolarlo ed arginarlo perché esso non straripi, così come in altri momenti è accaduto. D'altra parte, bisogna ricordare che il fenomeno assunse proporzioni preoccupanti quando non vi era una disciplina del decreto-legge e questo era svincolato da forme e modalità restrittive. Poi venne la legge n. 100 del 1926: ma allora si era in un'altra situazione. Il Parlamento non era più il Parlamento, per cui quella disciplina, che poteva essere apprezzabile, non aveva più il clima necessario per poter avere la giusta applicazione.
Cosa proponiamo noi in sostanza? Proponiamo che la figura del decreto-legge debba essere contemplata nella Costituzione. Non contemplarla significherebbe escluderla e significherebbe che, se il Governo l'adottasse, creerebbe norme incostituzionali, con tutte le conseguenze disastrose che sono agevolmente immaginabili.
Disciplinarla: ma come? Innanzi tutto limitando le ipotesi. Non è possibile fare una casistica: non si possono prevedere e catalogare i casi d'urgenza e di necessità che si manifestano nelle forme più svariate, secondo l'evolversi delle situazioni e l'imporsi dei fenomeni politici e sociali. Quindi abbiamo detto: «nei casi straordinari di assoluta ed urgente necessità», col che sottolineiamo che l'assoluta ed urgente necessità è il fondamento di questo potere, ed inoltre, che la straordinarietà dei casi è un limite politico rimesso alla correttezza — il problema è anche di costume — del Governo, che può comportare un controllo politico del Parlamento.
Non basta, perché il Governo, che ha emanato il decreto-legge, ha il dovere di convocare subito le Camere — entro cinque giorni mi pare sia detto nel nostro schema — anche se sciolte; e ricordo che le Camere sciolte, continuano ad esercitare i loro poteri fino a che non avvenga la convocazione delle altre Camere. Vi è un controllo, adunque, immediato del Parlamento: l'esame delle Camere è subito eccitato. Ma vi è un'altra limitazione, perché il provvedimento del Governo perde efficacia, se non è convertito in legge nel termine di sessanta giorni dalla sua emanazione.
Ora, voi vedete che questo complesso di limitazioni rende veramente eccezionale l'adozione del decreto-legge e garantisce quelli che devono essere i diritti del Parlamento, in quanto questo interviene subito e controlla.
Naturalmente, questa possibilità di decretare di urgenza è limitata alle leggi ordinarie. In questo, io accetto il punto di vista dell'onorevole Codacci Pisanelli. Non so se sia il caso di dirlo espressamente; io penserei di no, ma non è configurabile che il Governo decreti di urgenza in materia costituzionale. In questa materia costituzionale vi è tutta una procedura speciale, per cui credo che nessuno potrebbe mai pensare che il Governo possa legiferare con ordinanza di urgenza in materia di questo genere.
Quindi, io credo che, circondato dalle garanzie alle quali ho fatto riferimento, l'istituto del decreto-legge possa e debba anzi trovare introduzione nella Costituzione. Fra le due vie, è quella che vede la situazione realisticamente, che constata un fenomeno e cerca di limitarne, mettendo delle maglie rigide, quelle che sono le esasperazioni e le esagerazioni che si sono verificate nel passato.
Presidente Terracini. L'onorevole Mortati aveva presentato il seguente comma aggiuntivo all'articolo 74:
«All'infuori del caso di delegazione e di quello di guerra, il Governo può emettere norme con forza di legge solo nel caso di aumento delle tariffe delle imposte indirette, quando vi sia danno col ritardo. Gli atti relativi devono essere presentati al Parlamento il giorno stesso in cui hanno esecuzione e convertiti in legge e pubblicati entro due mesi dalla loro presentazione».
Intende svolgerlo, oppure aderisce al testo concordato?
Mortati. Se il Presidente mi permette, dirò poche parole per giustificare il ritiro condizionato dell'emendamento.
Osservo che non sono affatto convinto di quello che ha detto l'onorevole Bozzi in ordine alla allegata indispensabilità di una disciplina dei decreti-legge. Basta, in contrario, fare riferimento a quella che è la pratica di molti Paesi, anche grandi Paesi, i quali non hanno nessuna disciplina dei decreti-legge, hanno anche una costituzione rigida, e tuttavia attendono alle loro funzioni e provvedono alle esigenze, anche impreviste, senza incontrare quelle difficoltà a cui accennava l'onorevole Bozzi.
Osservo anche che proporsi di disciplinare il caso di necessità è intrinsecamente contraddittorio, come è stato di altri osservato, perché la necessità, per sua natura, potendosi presentare negli aspetti più diversi ed imprevedibili, non può mai essere racchiusa nelle maglie di una regolamentazione che esaurisca tutti i possibili casi. Per le ipotesi che sfuggono alla predeterminazione e per cui non bastano gli espedienti escogitati, rimane sempre quel tale problema di fondo di cui parlava l'onorevole Bozzi. Si può riuscire ad attenuarlo, ma non a risolverlo. Si può anche aggiungere che, secondo l'esperienza dimostra, qualsiasi tentativo di disciplina conduce al risultato di indurre a considerare come normale la via del decreto-legge, specie da parte della burocrazia ministeriale.
Si può aggiungere che si sono già previsti alcuni dei casi che in passato sono stati allegati come tipici della legiferazione di urgenza. Uno è il caso di guerra, e per esso si è già d'intesa che si provvederà con apposita disposizione; un'altra ipotesi, cui di solito si fa riferimento quando si vuole dimostrare l'esigenza di consentire i decreti-legge, è quella che riguarda il periodo dello scioglimento delle Camere. Ma anche a questa ipotesi abbiamo provveduto attraverso l'istituto della prorogatio, sancita dall'articolo 58, che prevede il mantenimento del potere delle Camere durante lo scioglimento delle Camere stesse. Ricordo che fra le ragioni addotte per giustificare questo istituto della prorogatio, si disse che esso doveva servire ad evitare il ricorso ai decreti durante il periodo di scioglimento delle Camere.
Rimane un altro caso, che è anch'esso allegato per giustificare l'uso della decretazione di urgenza: cioè il caso in cui, per evitare danni al pubblico interesse è necessario non far conoscere preventivamente il contenuto di determinati provvedimenti legislativi, come gli aumenti delle tariffe di certe imposte indirette, e gli interventi in materia di borse, mercati ecc.
Per provvedere a questa terza ipotesi io avevo suggerito un emendamento che potrebbe essere formulato in modo più comprensivo nel seguente modo: «Nel caso in cui la preventiva conoscenza del provvedimento può arrecare danno agli interessi dello Stato.
Non insisto tuttavia nel mio emendamento, almeno allo stato delle cose, e mi associo al testo concordato, del quale il Presidente della Commissione ha dato lettura. E questo faccio perché penso che se si mantiene il limite così rigido e rigoroso di convocazione delle Assemblee in esso fissato, e cioè al termine brevissimo di 5 giorni dall'emanazione del provvedimento, si pone in essere una remora sufficiente ad evitare l'abuso dei decreti-legge.
Quindi trovo che se si adotterà la proposta così formulata, il limite di contenuto per la decretazione di urgenza da me proposto può apparire non necessario Mi propongo di insistervi nel caso che questa proposta non avesse successo.
Lucifero. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Lucifero. Onorevoli colleghi, in sede di Comitato di coordinamento questa mattina non ho aderito all'emendamento che è stato illustrato dall'onorevole Ruini; ho anzi dichiarato espressamente che non avrei aderito a nessun emendamento e che mi riservavo di dire in Assemblea quale era il mio punto di vista su questa questione.
Noi siamo ad una svolta di questa nostra rivoluzione nazionale; perché il fatto che non ci siano state delle barricate non significa che in Italia non si stia compiendo una rivoluzione, anzi una serie di rivoluzioni; si sta compiendo una rivoluzione civile, cioè una rivoluzione che ha preferito la legge alle armi, e che si serve della legge emanata da organi voluti dal popolo per fare quelle trasformazioni che certe volte con molto minor successo sono state tentate con la violenza. Ma noi non dobbiamo dimenticare in nome di quali principî e in conseguenza di quali esperienze si è compiuto e si va compiendo nel nostro Paese questo esperimento di rivoluzione civile. È attraverso le esperienze della perduta libertà, è attraverso il desiderio di riacquistare la libertà, è nello sforzo di consolidare la libertà che noi abbiamo fatto quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo quello che tentiamo di fare. Non so se a queste intenzioni e soprattutto se a queste parole abbia sempre risposto sinceramente l'azione o il sentimento di chi diceva di professare queste idee; ma una cosa è certa: che la parola libertà è il denominatore comune, che, almeno come parola, tutti ci unisce e che dovremmo tutti serenamente ed obiettivamente sentire. Ed allora questa discussione che noi stiamo facendo assume un significato tutto particolare. Su questa Costituzione sono già state fissate delle norme le quali forse non hanno interpretato questa nostra esigenza di libertà.
Chiedo scusa ai colleghi se interrompo un momento perché non voglio disturbare i miei amici qui alla destra, i quali hanno per la libertà un interesse un po' minore. (Commenti — Interruzione del deputato Guerrieri Filippo).
Il pane quotidiano è quella cosa che uno mangia senza accorgersene, ed invece bisogna essere sempre coscienti del pane che si mangia.
Noi ci troviamo ad una svolta grave, perché noi apriamo una falla nell'edificio e nel sistema. Io ho sentito con molta attenzione la dotta esposizione fatta ieri dall'onorevole Codacci Pisanelli, in modo che avessimo tutta la notte per pensarci su (Ilarità); ed ho pensato molto sulle sue parole; però in esse non ho visto altro che uno sforzo continuo di giustificare qualche cosa che non si giustifica da sé; ho visto un ricorrere a tutte quelle dottrine relative allo stato di necessità, alle misure eccezionali, alle cose straordinarie, ecc., che si vanno ricercando e rivangando o risuscitando ogni qualvolta non si trovi un fondamento sostanziale per affermare la propria tesi.
La libertà può essere garantita soltanto da leggi che non consentano eccezioni, perché, quando noi vogliamo che l'eccezione entri nel sistema, noi non sappiamo più quando e da chi si potrà porre un limite alla eccezione. Si è sempre tempestato contro il decreto-legge, di cui si usava e si abusava quando era discussa la sua costituzionalità; ma qui, badate, il decreto-legge diventa una forma ordinaria di legiferazione, perché, una volta che è entrato nel sistema, diventa una forma ordinaria, una forma a cui legittimamente si può far ricorso, una forma sulla cui legittimità arbitro primo è un settore molto limitato di quelli che sono i complessi poteri dello Stato. Nell'emendamento si parla del Governo e del Capo dello Stato (e qui entro nella parte viva dell'emendamento); ora, se accettiamo il criterio di ammettere nella nostra Costituzione una possibilità di deroga, per il potere esecutivo, contro tutte quelle garanzie che noi abbiamo cercato di costruire perché le cose si svolgano secondo una legittimità democratica, l'averci infilato dentro il Capo dello Stato, significa una grande contraddizione con tutto il sistema. Questo Capo dello Stato non potrà emanare decreti aventi vigore legislativo — si dice — deliberati dal Governo se non nei casi straordinari; cioè, in altri termini, il responsabile di fronte al Paese ed alle Camere, diventa il Capo dello Stato, perché è il Capo dello Stato che è arbitro di giudicare se il caso sia straordinario o di assoluta ed urgente necessità. È lui, infatti, l'autorità suprema, è lui che firma ed assume questa responsabilità.
Noi abbiamo cercato di fare di questo Capo dello Stato una specie di simbolo che tragga la sua autorità dalla sua impotenza, e ne facciamo oggi l'uomo, che, se ha una eccessiva volontà di potenza, può diventare il più potente dello Stato. E questo solo fatto dovrebbe far pensare su questa formula, oltre che sul principio. Ed io non parlo del fatto che possano sorgere conflitti tra il Capo dello Stato ed il Governo, sulla necessità o non necessità di emanare un determinato decreto, dei conflitti fra il Capo dello Stato e le Camere, nel caso che domani il Parlamento non concordasse con il giudizio di urgenza o di necessità; non parliamo poi della procedura che dovrebbe stabilire il limite e la garanzia, la procedura della convocazione del Parlamento, delle successive discussioni e trasformazioni del decreto in legge, ecc.
Onorevoli colleghi, si è parlato qui di terremoti, di sciagure, di catastrofi; ma, quando c'è una sciagura, una catastrofe di tal genere, come riunite in cinque giorni il Parlamento?
Come lo riunite in cinque giorni il Parlamento? Qui vogliamo prendere in giro noi stessi. Se succedono fatti di questo genere, possono succedere anche fatti che non consentono di riunire il Parlamento in cinque giorni. E allora?
Allora, rimane una cosa sola. Ha detto l'onorevole Bozzi che lo stato di necessità è di per se stesso una fonte superiore del diritto, che va al di là della legge. Io faccio le mie riserve: il diritto viene dopo, non scaturisce dallo stato di necessità. Ma, in ogni modo, quando lo stato di necessità impone che si faccia qualche cosa, o nella legge, o fuori dalla legge questo qualche cosa avverrà. Ma resti a coloro che l'hanno fatto avvenire l'enorme responsabilità di aver violato la Costituzione e di poter andare incontro a tutte le conseguenze del fatto di avere violata la Costituzione.
Qui la verità è questa: che noi prevediamo che determinati fatti avverranno e vogliamo moralizzarli ed inquadrarli in un sistema democratico, al quale essi non appartengono. Essi sono deroghe che certe volte possono essere indispensabili al sistema; ma non possiamo infilarle nel sistema senza alterare profondamente e senza distruggere il sistema stesso.
È perfettamente inutile voler moralizzare quello che morale non è, o rendere democratico quello che democratico non è. Non è mettendo certe catenelle a certe persiane che si possono moralizzare le cose che avvengono dietro quelle persiane. Se i fatti avverranno — e già così ci siamo regolati per l'articolo 70 — essi troveranno la loro soluzione in se stessi, come tutte le cose del mondo; ma non possiamo assolutamente codificare quella che è stata una delle cose che abbiamo più fortemente combattuto, quello che è stato il mezzo di tutte le oppressioni, e non solo dell'oppressione fascista, ma anche di quegli esperimenti di reazione o di tentativo di soffocamento della libertà tipo Pellonx et similia. Noi non possiamo codificare questo.
L'amico Costantini una volta mi ha detto, a proposito di alcune mie affermazioni fatte in quest'Aula, che certe volte divento un poeta della politica. Ora, io vorrei invitare l'Assemblea Costituente a voler seguire questa visione — se voi volete — anche poetica, anche sentimentale della libertà. Non è il concetto della libertà che sia fuori della natura, è il sentimento della libertà nella sua vera essenza, che sa di poter trovare dei limiti in se stessa, sa che certe volte possono esserle imposti limiti dall'esterno; ma non codifica i limiti e non può permettere che si torni nella legge agli stati di assedio o alla sospensione dei diritti di libertà.
Dove si consacra in una legge che i diritti di libertà possono essere sospesi, onorevoli colleghi, in quel Paese la libertà già non esiste più.
Presidente Terracini. Invito l'onorevole Ruini ad esprimere il parere della Commissione al riguardo.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Osservo una cosa sola, tanto per chiarire: che la tesi dell'onorevole Lucifero, che vuol apparire la più liberale, è in verità la più illiberale, perché permette in più larga misura gli arbitrî. Egli stesso ha detto che un governo, in caso di necessità non può non ricorrere ai decreti-legge. Dunque, se non si pongono dei limiti, il governo può fare quello che vuole. La tesi dell'onorevole Lucifero è la più liberale... perché non pone vincoli all'arbitrio. Noi invece vogliamo limitare l'arbitrio con freni e prescrizioni così rigorose, che il governo non adotterà l'inevitabile male dei decreti-legge, se non in casi di vera ed assoluta necessità, tali che non potranno non essere riconosciuti dal Parlamento. Questo è spirito liberale, onorevole Lucifero. Non si può rendergli omaggio chiudendo gli occhi; coprendo la realtà con una foglia di fico. Noi si può, per un bel gesto contro i decreti-legge, per non metterli nell'arca santa della Costituzione, perché sconvenienti ed indegni, lasciare ad essi in realtà campo aperto, ed autorizzazione, col voluto silenzio, l'arbitrio. Capirei l'esplicito divieto; ma, poiché sarebbe assurdo, non si fa così, si tace, cioè si incoraggia l'arbitrio. Questo non è criterio di libertà.
Tosato. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Tosato. L'onorevole Lucifero non è certamente il solo ad essere contrario ai decreti-legge d'urgenza; anch'io mi sono dichiarato reiteratamente contrario all'inserzione nella Carta costituzionale dell'istituto del decreto-legge d'urgenza. Tuttavia, nel caso che l'Assemblea decida di dettare una qualche norma in materia, proporrei un emendamento al testo presentato dalla Commissione e particolarmente all'ultimo comma, proprio al fine di restringere ancora di più, per quanto è possibile, questa eventualità che dovrebbe essere rarissima.
Se non erro, il testo proposto dalla Commissione, al terzo comma, reca che i decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni. Io proporrei invece: «I decreti non hanno efficacia se non sono convertiti», perché, se si conserva il testo della Commissione, «perdono efficacia», resta, per conto mio, già pregiudicata la questione dell'efficacia retroattiva o meno del fatto della mancata conversione in legge dei decreti d'urgenza. Invece, dicendo senz'altro «non hanno efficacia», veniamo a dire implicitamente che la mancata conversione implica inefficacia dal momento dell'emanazione del decreto-legge. (Approvazioni).
Codacci Pisanelli. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Codacci Pisanelli. Desidero dire che aderisco in gran parte al testo proposto dal Comitato dei diciotto; soltanto avrei preferito che si fosse mantenuta una forma positiva e soprattutto desidero insistere sul mantenimento dell'espressione «efficacia di legge ordinaria», desidererei cioè che i decreti legge venissero ammessi solo come leggi ordinarie, escludendo quindi che con essi possano essere modificate leggi costituzionali.
Uno degli oratori che mi hanno preceduto ha espresso l'opinione che parlando di efficacia legislativa si intenda già implicitamente «ordinaria»; per maggiore garanzia dei fondamentali diritti di libertà garantiti dalla Costituzione preferirei, tuttavia, che ciò fosse espressamente specificato.
Al collega, poi, di parte liberale che così brillantemente ha parlato ora vorrei dire che ho appreso proprio dalla scuola liberale la convinzione dell'impossibilità di negare al Governo la potestà di legiferare e di negare nel tempo stesso l'opportunità che la nostra legislazione costituzionale preveda l'ipotesi di disciplinare la materia dei decreti-legge, anziché lasciare arbitro il Governo di andare contro la Costituzione. Se nulla si prevede al riguardo, il Governo resta praticamente autorizzato ad infrangere la Costituzione, in quanto essa non prevede determinate ipotesi che sicuramente, prima o poi, si vengono a verificare.
Sono d'accordo, invece, con lo stesso onorevole collega quanto all'affermazione che la necessità non possa essere interpretata come fonte di diritto in se stessa.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma questa è teoria.
Codacci Pisanelli. Viceversa, penso che la necessità sia uno di quei casi in cui debbono ammettersi particolari ed eccezionali forme di produzione giuridica.
Comunque, quello che interessa è di stabilire in questa sede l'opportunità che venga mantenuta la parola «ordinaria», di modo che il testo proposto dalla Commissione verrebbe così modificato:
«In casi di straordinaria e urgente necessità il Capo dello Stato potrà emanare, con suo decreto, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, norme aventi forza di legge ordinaria. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono immediatamente convocate e si riuniranno entro cinque giorni».
Ho inoltre suggerito al Presidente l'opportunità di prevedere la sanzione dell'inefficacia.
Sulla proposta fatta da un mio collega proprio ora, di aggiungere l'espressione: «i decreti-legge non hanno efficacia se non sono convertiti», osservo che questa espressione, forse, va oltre le sue stesse intenzioni, perché in tal caso i decreti-legge potrebbero essere addirittura considerati inefficaci, finché non fossero convertiti. Allora il magistrato non li applicherebbe nemmeno.
D'altra parte sono soddisfatto nel vedere che, se ho fatto riflettere per tutta la notte — come ha detto il collega prima — sul problema dei decreti-legge, tuttavia non è stato inutile, perché mi pare che quelle tali sentinelle non abbiano assolto il loro disorientante compito e che quella tale signora sia riuscita a entrare in quest'Aula!
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Per venire al concreto — ciascuno deciderà poi come vuole — accetto l'emendamento Tosato, che toglie del tutto valore ai decreti-legge non regolarmente convertiti; e corrisponde al concetto stesso di provvedimenti che sono completamente subordinati alla ratifica del Parlamento. Dicendo «non ha efficacia» si esclude che i rapporti posti in essere dall'emanazione del decreto-legge, alla sua reiezione restino senz'altro in vigore; ma non vuol dire neppure che non possa essere regolata la loro materia con disposizioni di legge emanate dal Parlamento nel momento della reiezione.
Posso anche concordare con l'emendamento dell'onorevole Codacci Pisanelli; se «hanno valore di legge ordinaria», vuol dire che non si possono con decreto-legge toccare le leggi costituzionali. La forma però dovrà essere a suo tempo riveduta, perché non appaiano contrasti formali con l'altra affermazione che il decreto-legge è un provvedimento straordinario. La dizione dovrà essere meglio curata.
Con queste dichiarazioni accetto i due emendamenti proposti.
Persico. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Persico. Vorrei fare una semplice proposta. Il termine entro il quale deve essere convalidato il decreto-legge è stato stabilito in sessanta giorni.
A me questo termine sembra eccessivo, dato che si tratta di un provvedimento di urgenza, che la Camera e il Senato potranno spesso discutere anche in un solo giorno, in una seduta antimeridiana ed una pomeridiana. Mi pare, perciò, che il termine di trenta giorni sia più che sufficiente.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare, onorevole Persico, che il suo argomento si ritorce contro la sua proposta, perché, appena convocata, la Camera potrà, il giorno stesso se vuole, respingere ed annullare il provvedimento. Se non lo fa, bisogna lasciare un po' di tempo, prima che avvenga la revoca automatica. Si noti che nei sessanta giorni deve avvenire anche la pubblicazione della legge di conversione.
Carboni Angelo. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Carboni Angelo. Vorrei invitare la Commissione a considerare attentamente l'osservazione dell'onorevole Codacci Pisanelli a proposito della proposta dell'onorevole Tosato.
L'onorevole Tosato propone di dire: «non hanno efficacia se non sono convertiti», e fa questa proposta allo scopo di ottenere una inefficacia operante ex tunc, in modo che la mancata conversione faccia cadere il provvedimento nel nulla fin dall'origine, come se non fosse stato emesso.
Però, diceva giustamente l'onorevole Codacci Pisanelli, la formula «non hanno efficacia se non sono convertiti» va oltre le intenzioni dell'onorevole Tosato, perché significa che la conversione in legge è condizione di efficacia, cioè che, fino a quando non intervenga la conversione in legge, il decreto-legge non ha efficacia.
E allora noi avremmo un periodo di tempo, cioè quello entro il quale può avvenire la conversione in legge, in cui si avrebbe un decreto-legge inapplicabile. Si tratterebbe di una condizione sospensiva, dalla quale dipenderebbe l'acquisto dell'efficacia del decreto-legge. A me pare quindi che la formula proposta dalla Commissione «perdono efficacia» sia più esatta, con l'intesa che, dicendo «perdono efficacia», si vuol dire che l'inefficacia si produce ex nunc e non ex tunc. Dire, invece, che i decreti non convertiti in legge non hanno efficacia, significa dare al Governo la facoltà di emanare decreti-legge inoperanti fino alla conversione, cioè frustrare lo scopo dell'emanazione del decreto-legge.
Perassi. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Perassi. L'ultima parte della proposta dice: «i decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro 60 giorni». A me sembra che le parole «e pubblicati» siano inutili, anzi non me le spiego, perché i decreti sono necessariamente pubblicati appena firmati, e perciò prima dell'eventuale conversione. Ciò che forse si è inteso dire è che la legge di conversione deve essere pubblicata nei sessanta giorni. Ma è evidente che una legge qualsiasi, e così quella di conversione, non ha effetto se non è pubblicata. Quindi le parole «e pubblicati» sono inutili e propongo che siano soppresse.
Laconi. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Laconi. Salva la nostra adesione o meno a questo progetto di articolo, vorrei rilevare che mi pare che l'espressione contenuta nell'ultimo periodo dell'articolo stesso si presti a qualche possibile equivoco. Qui è detto: «i decreti perdono di efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni». Mi pare che non sia previsto il caso che le Camere, prima di 60 giorni, deliberino in senso contrario. È evidente che la Commissione aveva intenzione con questa formula di stabilire che, anche se interviene nel contempo la decisione contraria, il decreto perde efficacia. Quindi proporrei quest'altra formula: «i decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro 60 giorni, o nel caso che intervenga nel frattempo una deliberazione contraria». (Commenti). Perché dalla lettura dell'articolo pare che si debba in ogni caso attendere 60 giorni perché si riscontri la inefficacia di fatto del decreto. Si potrebbe dare il caso, secondo l'articolo, che, pur essendo questo decreto inesistente legalmente perché la Camera non ha sanzionato, ciò nonostante questo decreto stesso duri per quei 60 giorni ed abbia una sua efficacia.
Presidente Terracini. Chiedo all'onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell'onorevole Laconi.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. L'osservazione dell'onorevole Laconi è fondata nella sua sostanza, ma se noi mettiamo «se la Camera non decide in senso contrario», veniamo quasi a diminuire ciò che è già inerente al testo del Comitato. Dò assicurazione all'onorevole Laconi che nella formulazione definitiva si cercherà di rendere ancora più chiaro il concetto indicato.
Quanto alla proposta dell'onorevole Perassi di non mettere le parole «e pubblicati», non ho difficoltà ad aderirvi. Non è una questione di importanza. Quel che è importante è la conversione in legge.
De Vita. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
De Vita. Desidero far notare che se si attribuisse all'emendamento proposto dall'onorevole Tosato il significato che il decreto legge viene a perdere efficacia ex tunc, si verrebbe a creare una grande incertezza nei rapporti giuridici.
Presidente Terracini. Prego l'onorevole Tosato di esprimere il parere della Commissione in ordine alle osservazioni degli onorevoli Carboni e De Vita.
Tosato. La preoccupazione manifestata dagli onorevoli Carboni e De Vita non mi pare fondata, perché una disposizione va interpretata nel contesto dell'articolo. Ora se questo articolo stabilisce che, sia pure in determinati casi e con determinate procedure, possono essere emanati decreti legge d'urgenza, è evidente che questi decreti sono emanati validamente, legalmente. Tuttavia essi hanno un valore soltanto provvisorio, condizionato al fatto della conversione in legge, e se non sono convertiti in legge, perdono efficacia.
Mi pare che lo stesso onorevole Carboni sia concorde in questo, quando riconosce l'effetto negativo della mancata conversione. Si tratta dunque d'una efficacia provvisoria condizionata alla conversione.
Buffoni. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Buffoni. Credo che la formula dell'onorevole Tosato sarebbe più chiara se si dicesse: «non hanno più efficacia».
Presidente Terracini. Onorevole Tosato, vuol esprimere il parere della Commissione sulla proposta dell'onorevole Buffoni?
Tosato. Se si adottasse la formula suggerita dall'onorevole Buffoni: «non hanno più efficacia», ciò significherebbe che la mancanza di efficacia interverrebbe dal momento soltanto in cui non si è avverato il fatto della conversione. Il che vuol dire che durante tutto il periodo sino a che questo fatto non si avveri, i decreti legge restano in piedi. Invece io volevo stabilire la responsabilità del Governo, metterlo di fronte a questa responsabilità. Il Governo emana un decreto legge d'urgenza, ed il decreto ha il suo effetto. Ma si tratta di un effetto provvisorio, condizionato ad un avvenimento, la conversione in legge. E se questa non avviene, tutti gli effetti vengono annullati, con gravi conseguenze, che certamente indurranno il Governo a ben valutare i decreti legge da emanarsi d'urgenza.
Targetti. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Targetti. Propongo un altro emendamento, nel senso che si cominci con le parole:
«Non possono emanarsi decreti aventi valore legislativo se non in casi di assoluta necessità».
Le ragioni di questa modificazione sono chiare e non hanno bisogno d'illustrazione. Siamo in una Repubblica che vogliamo sia parlamentare. Non v'è ragione d'indicare che è il Presidente della Repubblica che ha questo potere. L'intervento del Presidente della Repubblica è necessario, nel caso in esame, come per qualsiasi legge. Se si dice «il Presidente della Repubblica ecc.» si mette il Presidente, almeno in apparenza, in una posizione che può dare l'impressione di un potere diverso da quello che egli ha. E ciò si farebbe proprio per i decreti legge! In realtà poi è il Governo che li prepara e, ripeto, l'intervento del Presidente della Repubblica non è diverso da quello che si verifica per ogni legge.
Lucifero. Ma in questo caso è lui che decide!
Targetti. Se il Presidente della Repubblica non interviene ad emanarla, la legge rimane nel Gabinetto del Presidente del Consiglio. Non vi è, dunque, differenza.
Sicignano. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Sicignano. La seconda parte del primo comma concordato suona così:
«In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e devono riunirsi entro cinque giorni».
Io proporrei che si dicesse invece:
«Le Camere devono riunirsi immediatamente e comunque non oltre cinque giorni», perché vi potrebbe essere il caso che il Governo, abusando di questa facoltà, in cinque giorni crei il fatto compiuto che non possa più essere corretto.
Costantini. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Costantini. Non ho che poche osservazioni da fare a quanto è stato detto e le faccio a titolo puramente personale. Mi dichiaro perfettamente d'accordo, in linea di principio, con la tesi sostenuta così brillantemente e con tanto calore dall'onorevole Lucifero, ma devo, adeguandomi alla realtà della vita quotidiana, riconoscere che il Governo non può governare, soprattutto nei periodi di vacanza parlamentare, se non gli si accorda la facoltà di emettere dei provvedimenti aventi, in linea provvisoria, valore di legge. Ma a questo punto io faccio una osservazione, dico cioè: possono essere sufficienti cinque giorni dall'emanazione del provvedimento legislativo, chiamiamolo pure decreto legislativo, per la convocazione della Camera?
Una voce al centro. C'è l'aereo.
Costantini. Sì, ma bisognerebbe che ogni deputato avesse l'aereo a disposizione, e che i deputati avessero quella libertà che normalmente non hanno perché ognuno è occupato da interessi, da cure, da professioni.
Piuttosto, riconosciuta in linea di principio ed in via eccezionale la facoltà al Governo di emettere provvedimenti di urgenza, non sono tanto i cinque o i sette giorni che contano, quanto di avere a disposizione, sollecitamente, ed in linea di normalità, il numero necessario di deputati per poter ratificare il provvedimento.
Ed allora, anziché cinque, concediamo dieci giorni ed abbiamo per lo meno maggiore speranza che entro questo termine i signori deputati, adeguandosi alle necessità, si convochino a Roma. Ecco perché io propongo di prolungare il termine di convocazione della Camera almeno a dieci giorni; il che non muta il carattere di eccezionalità del provvedimento, ma consente di contare sul numero maggiore possibile di deputati presenti per la ratifica del provvedimento che interesserà il Governo ed il Paese.
Fabbri. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Fabbri. Faccio una dichiarazione brevissima, cioè che voterò contro l'istituto del decreto-legge perché ritengo che il rimedio del suo regolamento sia peggiore del male. Il regolamento è quasi sempre una autorizzazione preventiva che diminuisce la responsabilità a cui si va incontro dal potere esecutivo ricorrendo al decreto-legge. Qualora però la maggioranza della Camera non fosse della mia opinione, come credo, io mi permetterei di suggerire che forse il concetto intorno al quale si sono dibattute varie formule le più diverse, potrebbe essere concretato con le parole: «Gli effetti provvisori del decreto-legge non conservano efficacia se, ecc. ecc.». Allora risulterebbe chiaro il doppio criterio che il decreto legge ha un effetto provvisorio ma che questo viene revocato ex tunc se il decreto non è ratificato.
Nobile. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Nobile. In generale sono contrario alla facoltà del Governo di emanare decreti legge. Però, dato che l'Assemblea deciderà che questa facoltà sia data, a me sembra che in un caso almeno non si dovrebbe mai concedere, vale a dire allorquando le Camere sono aperte, tranne che si tratti di provvedimenti di carattere tributario; ma per tutti gli altri provvedimenti troverei molto strano che, mentre siedono la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica, il Governo emanasse un provvedimento legislativo sul quale le Assemblee stesse potrebbero d'urgenza deliberare.
È in tal senso che, in via subordinata, desidero sia emendata l'aggiunta che si propone all'articolo 74.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. La discussione, per cui la Camera dimostra interesse, è discussione tecnica ed è difficile farla in un numero molto grande di persone. Cerchiamo di concludere. Lo spirito del testo è questo: che le Camere sono appositamente convocate e devono riunirsi entro cinque giorni. Non mi sembra che l'emendamento Sicignano aggiunga nulla al senso di rapidità e di immediatezza, che dà il testo del Comitato. Potremo, in sede di revisione, modificare qualche espressione, ma non qui, improvvisando. Noi vogliamo, in sostanza, e non possiamo non essere tutti d'accordo, che il Governo presenti alle Camere il decreto-legge il giorno stesso dell'emanazione. Se le Camere non seggono, lo trasmetterà alle loro Presidenze. E poi i casi sono tre: o le Camere seggono già, e sono senz'altro investite dell'esame del decreto-legge. O sono in vacanza, e vengono appositamente convocate entro cinque giorni. O sono sciolte, ed anche in tal caso ha luogo l'immediata convocazione. Vedremo come si potrà dire tutto ciò, senza prolissità, ma con chiarezza.
Quanto all'osservazione dell'onorevole Nobile, osservo che la Camera può essere già convocata, ma il Governo può egualmente sentire la necessità di emettere un decreto-legge, quando vi siano esigenze di segretezza, che non sarebbero rispettate se il provvedimento dovesse discutersi dalle Camere prima di entrare in vigore.
Quanto all'osservazione dell'onorevole Targetti sarei disposto ad accettarla. Così si elimina ogni questione se si debba parlare di Governo o di Capo dello Stato. Sta di fatto che, come è nel nostro ordinamento costituzionale, il Governo decide ed assume la responsabilità; l'atto del Capo dello Stato è la forma, con cui si esplica tutto ciò; (senza volere escludere l'opera di persuasione e di moderazione che il Capo dello Stato può compiere, ed è nel suo ufficio, nei confronti del Governo, è questo in sostanza che agisce). La formulazione Targetti ha il vantaggio di apparire più drastica nella negazione iniziale dei decreti-legge se non nei casi di necessità ed urgenza, eccetera. Si aggiunga che questo articolo si connetterebbe, anche formalmente, meglio con l'antecedente, che dice: «la funzione legislativa non può essere delegata al Governo se non...». Il caso dei decreti-legge sarebbe ora regolato a sé, ma quasi in parallelo. Sentiti anche altri colleghi del Comitato, accetto l'emendamento Targetti, salvo sempre, revisione finale.
Costantini. Circa il termine da me proposto?
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che bisognerebbe rimanere a cinque. Anche se le Camere sono sciolte, con i mezzi attuali di comunicazione i deputati possono avere la possibilità di convocarsi in cinque giorni; mentre se stabiliamo dieci giorni, lasciamo una pausa di arbitrio al Governo.
Presidente Terracini. Dobbiamo passare alla votazione.
La proposta formulata dall'onorevole Crispo s'intende decaduta, data l'assenza del proponente, e così quella dell'onorevole Bozzi, perché egli aderisce al testo formulato dalla Commissione.
Così dicasi per la proposta dell'onorevole Codacci Pisanelli, salvo le proposte che egli ha fatte e che la Commissione ha in parte accettate.
L'onorevole Persico aderisce al testo della Commissione, salvo la modifica del termine da sessanta in trenta giorni.
L'onorevole Mortati, in definitiva, accoglie la formula della Commissione.
Resta allora la formula della Commissione, coi vari emendamenti presentati nel corso di questa seduta e svolti dai rispettivi proponenti.
La prima parte del primo comma del testo della Commissione è del seguente tenore:
«Il Presidente della Repubblica non può emanare decreti aventi valore legislativo, deliberati dal Governo, se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità».
L'onorevole Targetti ha presentato la seguente proposta, accettata dalla Commissione:
«Non si possono emanare decreti aventi valore legislativo se non in casi di assoluta necessità».
L'onorevole Codacci Pisanelli ha proposto di sostituire alle parole «valore legislativo» le parole «valore di legge ordinaria» e mi pare che l'onorevole Ruini abbia dichiarato di accettare questa modificazione. Quindi la formulazione del primo comma cogli emendamenti suddetti è del seguente tenore:
«Non si possono emanare decreti, aventi valore di leggi ordinarie, se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità.»
Bozzi. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Bozzi. Io aderisco alla proposta dell'onorevole Targetti, purché all'articolo 83 — sui poteri del Presidente della Repubblica — che dovremo esaminare, al secondo comma si dica...
Presidente Terracini. Onorevole Bozzi, non possiamo impegnarci adesso sulla formulazione degli articoli da esaminare.
Bozzi. Allora sono contrario alla proposta Targetti: mi pare che essa risolva il problema, come lo risolve lo struzzo, mettendosi la testa sotto le ali.
L'onorevole Ruini sa che vi è stata una discussione sul punto se debba essere il Governo o il Presidente della Repubblica ad emanare il decreto legge. Usare una espressione come quella proposta dall'onorevole Targetti significa eludere il problema.
Se siamo nell'intesa — per il valore che queste intese possono avere — che, quando si tratterà dell'articolo 83, diremo che il Presidente della Repubblica promulga le leggi ed emana i decreti legislativi ed i decreti legge, allora s'intende che questo è un potere del Presidente della Repubblica e potremo adottare la formula Targetti; altrimenti insisto nella formula: «il Presidente della Repubblica...»; per la chiarezza dobbiamo dire chi deve fare questo decreto legge.
Trovo esatto il concetto espresso dall'onorevole Codacci Pisanelli che la materia costituzionale deve essere esclusa dalla sfera della decretazione d'urgenza. Ma non adotterei la forma proposta la quale dice: «non possono essere emanati decreti legge in materia ordinaria, se non nei casi... ecc.». Sembra che il Governo non possa fare i decreti in materia ordinaria, ma gli altri sì.
Uberti. Quali altri?
Bozzi. Quelli in materia costituzionale; proprio quelli che si vogliono escludere!
Siccome la disciplina della materia costituzionale ha tutto un titolo a sé, mi pare inutile parlarne.
Colitto. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Colitto. Propongo che si voti per divisione, separando la parola «legge» dalla parola «ordinaria».
Quando nella norma in esame si parla di legge, non si tiene conto che della sua efficacia, della sua obbligatorietà. Ora io non intendo quale differenza esista fra l'obbligatorietà della legge ordinaria e quella della legge straordinaria. Per cui penso che la parola «ordinaria» debba essere eliminata.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ripeto che il significato della proposta fatta dall'onorevole Codacci Pisanelli è che non si possono con decreto di urgenza toccare le leggi costituzionali. In questo senso, e salvo la solita revisione di forma, la credo accettabile.
Fabbri. Escluso lo stato d'assedio?
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Di questo potremo parlare in seguito, come ha proposto in Comitato l'onorevole Mortati. Non è facile, del resto, fare una determinazione lessicale dei casi di ammissione, e anche di esclusione tassativa, dei decreti-legge.
Le proposte dell'onorevole Bozzi meritano attenzione; ma non sembra che si debba entrare nell'attuale articolo in precisazioni, che risultano da altre disposizioni costituzionali sulla posizione del Capo dello Stato, che emette formalmente i provvedimenti, e del Governo che ne è responsabile. Potremo vedere se, dove l'articolo 82 dice che il Capo dello Stato emana i decreti legislativi, sia anche da aggiungere «e i decreti-legge». Ma non si può metterlo nell'articolo che ora esaminiamo.
Presidente Terracini. Onorevole Colitto, lei conserva la richiesta di votazione per divisione?
Colitto. Sì, la conservo.
Presidente Terracini. Allora pongo in votazione la prima parte del primo periodo, che è del seguente tenore:
«Non si possono emanare decreti aventi valore di legge».
(È approvata).
Pongo in votazione ora la parola:
«ordinaria».
(Dopo prova e controprova, è approvata).
Pongo ora, in votazione la seconda parte di questo primo periodo:
«se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità».
(È approvata).
La seconda parte del primo comma del testo della Commissione era del seguente tenore:
«In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni».
A questa parte vi è il seguente emendamento dell'onorevole Sicignano: «In tali casi le Camere devono riunirsi immediatamente e comunque non oltre cinque giorni». Vi è poi la proposta dell'onorevole Costantini di elevare i giorni da cinque a dieci.
Pongo in votazione la formulazione seguente, con l'emendamento dell'onorevole Sicignano:
«In tali casi le Camere debbono immediatamente riunirsi o, se sciolte, sono appositamente convocate».
(Dopo prova e controprova, non è approvata).
Pongo in votazione la formula originale della Commissione:
«In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate».
(È approvata).
Pongo in votazione, con l'emendamento Costantini, le seguenti parole:
«e debbono riunirsi entro 10 giorni».
(Non sono approvate).
Pongo in votazione le corrispondenti parole nel testo della Commissione:
«e debbono riunirsi entro cinque giorni».
(Sono approvate).
Passiamo all'ultimo comma. Il testo originario della Commissione era il seguente:
«I decreti perdono di efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni».
L'onorevole Tosato propone che si dica nella prima parte:
«I decreti non hanno efficacia se non sono convertiti in legge».
Pongo in votazione questa formula.
Colitto. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Colitto. Voterò contro questa formulazione perché non vi è dubbio, a mio modesto avviso, che, una volta emanato, il decreto-legge ha efficacia. Tale efficacia si può perdere, e la si può perdere ex tunc ovvero ex nunc, ma non può disconoscersi che il decreto ha efficacia nel momento in cui viene emanato.
Codacci Pisanelli. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Codacci Pisanelli. Anche io sono contrario alla formulazione proposta dall'onorevole Tosato, perché va contro la stessa idea del proponente. In questa maniera, i decreti legge non avrebbero efficacia perché il magistrato, o chi li applica, dovrebbe attendere questa conversione. Se ammettiamo che i decreti non hanno efficacia se non sono convertiti in legge, l'efficacia è condizionata in maniera tale che giustamente la si può negare se non sia intervenuta la conversione.
Di questo io mi preoccupo, e quindi resto fedele al testo della Commissione che mi pare più preciso e non dà luogo a divergenze di interpretazioni.
Fabbri. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Fabbri. Ricordo che ho proposto la seguente mia formula:
«Gli effetti provvisori dei decreti non conservano efficacia se non sono ecc.».
Presidente Terracini. Porrò in votazione la prima formula con l'emendamento dell'onorevole Tosato e poi con l'emendamento dell'onorevole Fabbri.
Gronchi. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Gronchi. Vorrei proporre una formula soddisfacente per tutti, che potrebbe essere questa:
«I decreti sono da considerarsi senza efficacia quando non vengano convertiti in legge entro sessanta giorni». (Commenti).
Presidente Terracini. Onorevole Tosato, aderisce alla formulazione dell'onorevole Gronchi?
Tosato. Conservo la mia.
Presidente Terracini. Pongo in votazione la prima parte del secondo comma nella formulazione dell'onorevole Tosato:
«I decreti non hanno efficacia se non sono convertiti in legge».
(Non è approvata).
Moro. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Moro. Siccome mi pare che queste votazioni si stanno facendo non sulla sostanza, ma sulla forma, per cui taluni ammettono la perdita di efficacia retroattivamente, ma adottano una formula non chiara, io proporrei di votare il concetto, poi il Comitato di coordinamento adotterà i termini più appropriati per esprimerlo.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Concordo.
Presidente Terracini. Se ciò corrisponde al pensiero dei colleghi, il problema si risolve votando una qualunque delle formule proposte. (Commenti).
Tosato. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Tosato. Credo che si potrebbe votare la formulazione: «I decreti perdono efficacia con effetto retroattivo se non sono ecc.», e poi si troverà una formula più esatta.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. In una gara così improvvisata di formulazioni, vi è il pericolo che esse diano luogo ad incertezze di interpretazione. Il punto in discussione è se il provvedimento non convertito in legge perda efficacia ex tunc o ex nunc; dal momento stesso in cui fu emanato, o dal momento nel quale venne rigettato dalle Camere. Questo è il punto essenziale, su cui è bene pronunciarsi. Resta poi inteso — desidero ripeterlo esplicitamente — che la revoca ex tunc non significa che tutti i rapporti posti in essere e tutti gli atti compiuti nel periodo intermedio debbano senza altro cadere nel nulla. Le Camere, nel momento stesso della reiezione, potranno deliberare al riguardo, e provvedere secondo i casi.
Costantini. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Costantini. Mi sembra implicito che i decreti debbono perdere l'efficacia fin dall'origine.
Presidente Terracini. Noi però, non siamo più in tema di discussione, siamo ora in tema di votazione. Il suo pensiero, onorevole Costantini, lei lo potrà manifestare votando una formula.
Nobile. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Nobile. Si dice che un decreto debba venir considerato nullo fin dal principio. Sta bene. Ma, allora, domando: nel caso di un decreto che abbia raddoppiato il prezzo dei tabacchi che cosa si dovrà fare? Restituire ai fumatori il danaro pagato in più?
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma, a prescindere che non occorre una legge, le Camere potrebbero decidere che il prezzo aumentato delle sigarette non si dovesse restituire.
Presidente Terracini. In ogni modo, l'Assemblea Costituente non può decidere anche su queste singole questioni.
Onorevoli colleghi, vorrei pregare i presentatori dei vari emendamenti, ciascuno dei quali ha cercato di rendere in modo più evidente lo stesso concetto, di accogliere le dichiarazioni fatte dall'onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione, accettando la formulazione che la Commissione stessa adotterà, tale da rendere inequivocabile il concetto. Sono d'accordo su questo i presentatori dei vari emendamenti?
Costantini. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Costantini. Ho sentito l'onorevole Presidente della Commissione per la Costituzione chiedere che la Camera discuta se la perdita di efficacia del decreto legislativo avrà valore dal momento della declaratoria parlamentare di inefficacia o dal momento della pronuncia del provvedimento provvisorio. Vorrei sentire il pensiero dell'onorevole Presidente della Commissione a questo riguardo.
Presidente Terracini. L'onorevole Ruini ha già chiaramente detto che il concetto della Commissione è per l'appunto che i decreti perdano efficacia dal momento della loro emanazione. Votiamo ora sul testo della Commissione, restando inteso che esso significa che questi decreti perdono di efficacia fin dall'inizio. Coloro i quali ritengono che questa perdita di efficacia debba aver luogo soltanto dal momento in cui le Camere si sono pronunciate, voteranno contro la formulazione della Commissione.
Codacci Pisanelli. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Codacci Pisanelli. Dichiaro che voterò contro perché ritengo che dalla retroattività deriveranno molti inconvenienti pratici, che indurranno le Camere a convertire sempre i provvedimenti, per evitare conseguenze troppo gravi.
Presidente Terracini. Pongo in votazione la seguente formulazione, salvo coordinamento:
«I decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge».
(È approvata).
Ricordo all'onorevole Ruini l'impegno preso di trovare una formulazione più comprensiva ed esplicita.
Seguono le parole:
«e pubblicati entro 60 giorni».
Vi sono due emendamenti: l'emendamento Persico, che propone di ridurre i 60 giorni a 30 giorni e l'emendamento Perassi, che propone di sopprimere la parola «pubblicati».
Pongo in votazione la prima formulazione con l'emendamento dell'onorevole Persico:
«e pubblicati entro trenta giorni».
(Dopo prova e controprova, e votazione per divisione, non è approvata).
Pongo ora in votazione la proposta della Commissione:
«e pubblicati entro sessanta giorni».
(È approvata).
Vi è ora la proposta dell'onorevole Perassi di sopprimere le parole: «e pubblicati».
La pongo in votazione.
Mortati. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Mortati. Dichiaro che voterò contro la proposta di sopprimere le parole «e pubblicati», perché mi pare che anche la pubblicazione entro sessanta giorni giovi alla certezza della norma.
Presidente Terracini. Sta bene. Pongo in votazione la proposta dell'onorevole Perassi di sopprimere le parole: «e pubblicati».
(Non è approvata).
L'articolo 74-bis risulta approvato nel seguente testo:
«Non si possono emanare decreti aventi valore di legge ordinaria se non in casi straordinari di assoluta urgente necessità. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni.
«I decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni».
Resta inteso che la Commissione studierà una forma più idonea da darsi alla frase: «perdono efficacia, ecc.».
A cura di Fabrizio Calzaretti