[Il 12 novembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull'organizzazione costituzionale dello Stato.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 76 per il testo completo della discussione.]

La Rocca dichiara di essere personalmente contrario a qualsiasi forma di delega del potere legislativo al Governo, e ciò in conformità al principio ormai sancito in tutte le costituzioni, da quella di Weimar a quella recente della Francia, per non parlare di altre, come la russa e la jugoslava. Il potere legislativo non può essere esercitato che dal Parlamento. Aggiunge che, con la delega della potestà legislativa al Governo, si può correre il rischio di far sorgere in un modo od in un altro il deprecato inconveniente dell'emanazione dei decreti-leggi, cosa che assolutamente è da evitare.

Fabbri dichiara che voterà contro la proposta di delegare al Governo la potestà legislativa per le ragioni indicate dall'onorevole La Rocca.

[...]

Nobile non vede una sostanziale differenza tra la facoltà data al Governo di emettere decreti-legge e la delega del potere legislativo, sia pure ristretta a determinate materie. Se mai, la differenza sarebbe a favore del sistema dei decreti-legge, che, almeno formalmente, devono esser sottoposti alla successiva approvazione dell'Assemblea legislativa, mentre col delegare il proprio potere, questa si spoglia nel modo più completo della facoltà di intervenire nella formazione delle leggi.

[...]

Ambrosini ha ragione di ritenere che l'onorevole Nobile abbia accennato all'ipotesi di attribuire al potere esecutivo la stessa potestà di quello legislativo soltanto per prospettare, come extrema ratio, una soluzione alla quale lo stesso onorevole Nobile, in ultima analisi, certo non accederebbe, e ciò perché ogni menomazione del principio della separazione dei poteri rappresenterebbe indubbiamente un regresso nell'ordinamento costituzionale dello Stato.

L'onorevole Nobile ha anche accennato al fatto che i decreti-legge ed i provvedimenti emanati in virtù di una delega al Governo del potere legislativo tendono a ridurre il lavoro del Parlamento. Ora, è bene precisare che le ragioni che inducono a far ricorso all'uno e all'altro genere di provvedimenti non sono le stesse. Difatti, l'emanazione dei decreti legge non deriva dal proposito di ridurre il lavoro alle Assemblee legislative, ma da una necessità che, come tale, è giustificata dalla dottrina ed è ormai consacrata dalla prassi costituzionale. Invece l'emanazione dei provvedimenti in virtù di delega è in relazione non solo alla necessità di rendere meno gravoso e complesso il lavoro del Parlamento, ma anche alla considerazione dell'opportunità che organi speciali del potere esecutivo siano stimati i più idonei a dare una soluzione adeguata a determinati problemi. Ma sono le assemblee legislative che con il loro potere sovrano delegano tale potestà al potere esecutivo: quindi non si ha alcuna menomazione del prestigio del Parlamento. Nessuna legge, anche costituzionale, può precludere ai rappresentanti della sovranità popolare la possibilità di esercitare questo loro diritto sovrano. Da più di un secolo la questione della delega e dell'emanazione dei decreti legge è in discussione, poiché alcuni temono che, attribuendo al potere esecutivo la facoltà di emanare determinate norme giuridiche, il potere legislativo possa essere più o meno menomato nell'esercizio delle sue prerogative. D'altra parte, bisogna riconoscere francamente che le varie necessità presentatesi di volta in volta hanno sempre consigliato di ammettere la possibilità dei decreti-legge e della delega legislativa.

Perciò non ritiene opportuno che nella Costituzione sia stabilito un divieto espresso al potere esecutivo di emanare decreti legge ed alle Camere di delegare la potestà legislativa al Governo.

[...]

Fuschini rileva che, indipendentemente da ogni impostazione dottrinaria del problema, si verificano sempre dei casi in cui il potere legislativo avverte da se stesso la necessità di ricorrere all'istituto della delega per provvedere a disciplinare con urgenza, nell'interesse generale, determinate materie.

D'altra parte, le Camere non siedono permanentemente e non possono essere convocate da un giorno all'altro. Se si esclude la possibilità di un intervento del potere esecutivo nel campo legislativo in circostanze in cui tale intervento possa essere necessario al Paese, si pone il Governo in condizione di non poter svolgere i suoi compiti.

[...]

Per quanto poi riguarda le così dette leggi «catenaccio», è convinto dell'opportunità di accordare al Governo la facoltà di emanarle senza preventiva discussione in seno alle Camere, data la particolare natura di tali provvedimenti, che non possono essere resi pubblici se non nel momento stesso in cui sono emanati.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti