[Il 12 settembre 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Rubilli. [...] Si è rivelato qui per la prima volta in Assemblea, nei discorsi degli oratori precedenti, un nuovo concetto: il concetto delle categorie e delle corporazioni. Finora non se ne era parlato, né mi pare che ve ne sia ampia traccia nei resoconti dei lavori della Commissione, che sono sin troppo voluminosi e rendono tutt'altro che agevole ogni ricerca.

Ma certo, qui in Assemblea è la prima volta che se ne fa cenno. È stato giustamente di già risposto che non vorremmo proprio essere ridotti a riprodurre la Camera dei fasci e delle corporazioni di non lieto ricordo.

Si replica dall'altra parte: e che importa che questa Camera rappresentò una riforma fascista?

Disse ieri uno dei migliori rappresentanti del Partito democristiano; che ho tanto ammirato e col quale tanto mi sono congratulato ieri (e sono lieto che egli sia presente per ripetergli i miei sentimenti con sincerità ed affetto): ma, in fondo, non c'è nulla di male. Se il fascismo ha fatto qualcosa di buono, sol perché l'ha fatto il fascismo lo dobbiamo abolire?

Il suo concetto, dal punto di vista astratto, non è per nulla ingiustificato; dovunque si trovi qualcosa di buono lo dobbiamo prendere.

Ma, amico mio, seppure fosse qualcosa di buono quel Consiglio delle corporazioni, credi pure, collega, ci rassegneremmo ad accettarlo con la più grande amarezza, e sentiremmo lacerarci il cuore. Tu non eri in questa Aula quando venne votata quella riforma, la quale rappresentò la distruzione anche di quegli avanzi, di quelle parvenze che ancora vi erano del glorioso Parlamento italiano! E noi che eravamo qui, a questo posto, onorati di sedere a fianco di Giovanni Giolitti, ascoltammo la sua fiera protesta quando vide che cadeva perfino e completamente il Parlamento italiano. Egli disse che non avrebbe più posto piede in quest'Aula, e difatti andò a morire poco dopo a Cavour. Egli che era stato qui nell'Aula, il più autorevole, il più fiero e formidabile oppositore del fascismo (Commenti a sinistra), quando sentì approvare quella riforma, non poté frenare la più viva, coraggiosa, energica protesta. (Interruzioni a sinistra). È inutile che interrompiate; rimane scolpita nella storia della Nazione a caratteri indelebili quella che si chiamò l'opposizione nell'Aula. (Commenti).

Presidente Terracini. Onorevoli colleghi, non interrompano.

Rubilli. In quel momento in cui tutto un saldo e tradizionale orientamento politico spariva, il vecchio piemontese che aveva visto anche gli albori del Parlamento italiano, che aveva vissuto nel Parlamento e per il Parlamento, si sentì quasi colpito al cuore, e, come per un destino, chiuse gli occhi alla vita proprio quando si spensero completamente e definitivamente le libere istituzioni parlamentari!

Eppure ad onta dell'età assai inoltrata appariva ancora robusto e vegeto e sarebbe stato in grado di governare e salvare l'Italia se voi lo aveste voluto e se il fascismo non lo avesse sopraffatto per colpe che vennero da ogni parte. Ma lasciamo andare, non ritorniamo al passato! Sarà meglio riprendere l'argomento di cui oggi ci stiamo occupando.

Dunque non c'imponete, per carità, di riprendere in esame proprio quella riforma la quale distrusse il Parlamento, perché ci obblighereste davvero ad un grande sacrificio. E ciò direi anche se quella Camera dei fasci e delle corporazioni potesse meritare plauso e lode. (Interruzione dell'onorevole Clerici).

Ma ditemi, colleghi miei, che cosa fece di buono?

Una voce. Niente.

Rubilli. È stato un esperimento, sì, ma un esperimento completamente fallito. Né si dica che non poteva far nulla perché viveva in tempi di tirannia; ciò significa che non poteva far nulla nel campo politico, ma nel campo tecnico, economico e sociale, in cui veramente era chiamata a svolgere l'opera sua, avrebbe potuto fare delle buone ed utili leggi. Non ha fatto niente, e niente rimane dell'opera di quel consesso.

Noi potremmo persino sentirci obbligati a vincere ogni senso di legittima ripugnanza se potessimo convincerci che dall'esempio precedente derivi un'esigenza che anche oggi s'imponga pel bene del Paese; ma non ci sentiamo la forza di ripristinare una istituzione, che nella sua breve e confusa esistenza non si è dimostrata affatto utile per l'Italia.

E, d'altronde, mi domando: davvero credete che qui le varie classi sociali non siano rappresentate? Ma qui ci siamo tutti quanti di ogni gradazione, di ogni categoria. Noi rappresentiamo un repertorio ampio e completo.

Una voce. Troppi avvocati!

Rubilli. Va bene, molti avvocati! Ora vedremo di chi è la colpa. Qui trovate i rappresentanti di tutte le classi sociali. Non mancano né professori, né medici, né avvocati, né industriali, né commercianti e nemmeno operai o contadini. Chi vi ha detto che i contadini non sono alla Camera? I contadini hanno fatto un partito proprio, si sono presentati alle elezioni per l'Assemblea Costituente; e si presenteranno la prossima volta forse in tutte quante le circoscrizioni. Essi avrebbero qui maggiori rappresentanti senza un errore che non dipese da loro, ma da un disguido postale, perché non solo presentarono liste in più di tre circoscrizioni, ma pensarono anche ad una lista nazionale; e così avrebbero avuto un maggior numero di posti coi resti. La lista nazionale però venne respinta dalla Corte di cassazione per un caso imprevisto; era arrivato tardi il certificato di presentazione di lista in una delle circoscrizioni, e quindi alla scadenza dei termini di rigore non erano completi i documenti richiesti dalla legge.

Ma poi voglio anche dirvi: chi intendete per contadino? Io non intendo per contadino l'uomo politico o il politicante che si mette a capo di un'associazione di contadini. Questi sono dei contadini solo per esigenze ad utilità elettorali, ed assumono una qualità che loro non compete affatto. Per contadino io intendo colui che zappa la terra. Non so veramente fino a qual punto sia proprio indispensabile ed opportuno che colui che zappa la terra sia distratto dalle sue modeste e utilissime mansioni, per venire qui dove si sentirebbe un po' disperso in questo ambiente parlamentare. Ma, ad ogni modo, che venga! A me pare che la rappresentanza delle varie classi di cittadini sin da ora sia completa; ma se a voi pare diversamente, completatela pure, perché ne avete facile mezzo, senza ricorrere a rinnovare la Camera dei fasci e delle corporazioni, con cui volete imporre ad una Camera nascente, al Senato, un'impronta tutt'altro che di lieto auspicio.

È vero che vi sono troppi avvocati e professori: ma di chi la colpa, mi domandavo poc'anzi? La colpa è di chi comanda in Italia; di chi guida, di chi dirige la Nazione. Chi comanda? Chi guida? Chi dirige? Sono i partiti, oggi. Dunque, essi dovrebbero provvedere. Noi, partiti di minoranza, non possiamo provvedere in nessun modo; perché solo a furia di grandi stenti riusciamo appena a prendere un quoziente, quando, come avviene pur troppo di frequente, il frutto del nostro lavoro non va completamente a beneficio dei resti elettorali.

Non possiamo perciò permetterci il lusso di completare alla Camera la rappresentanza delle varie classi sociali. Voi, grandi partiti, perché mandate troppi avvocati e troppi professori?

Una voce al centro. Ha ragione!

Rubilli. Perché scegliete solo i professori? Qui, vi ricordate degli operai e dei contadini al solo scopo di impressionare il pubblico, e far colpo sulle masse operaie con semplici belle parole; ma, quando preparate le liste, non li includete affatto gli operai ed i contadini, ad essi non pensate proprio e tanto meno date loro i voti di preferenza; ve li prendete voi, avvocati e professionisti. E volete che noi provvediamo alla rappresentanza dei contadini? Dovete pensarci voi.

Ma, vi ripeto, non vi prendete troppo fastidio al solo scopo di giustificare una strana idea che vi è sorta, pari all'idea fissa della proporzionale o della regione. State pur tranquilli, le classi sono qui di già al completo, né reclamano una maggiore rappresentanza. Comunque, rimediate come meglio vi pare perché siete ricchi ed esuberanti di mezzi. Voglio suggerirvelo e ripetervelo ancora una volta. Riducete il numero degli avvocati e dei professori e sostituiteli con contadini ed operai; e date ad essi i voti di preferenza. Farete anche buona impressione e dimostrerete la vostra sincerità, mettendo da parte la Camera dei fasci e delle corporazioni ormai tramontata e passata alla storia tra le vicende dolorose dell'Italia.

Ma in una discussione parlamentare non mi sembra opportuno che dobbiamo perderci in vuote astrazioni.

È proprio un criterio pratico e di possibile attuazione quello a cui v'informate? Ed allora, quando avremo il Senato? Oggi non abbiamo categorie organizzate, non abbiamo questi enti, da cui possa uscire la rappresentanza del Senato.

Un collega considera la sua Milano. Milano è una città che tutti vi invidiamo ed ammiriamo. Dico v'invidiamo, ma con sentimenti di simpatia, di affetto e di orgoglio d'Italiani. Ma Milano non è tutta l'Italia. Né il resto dell'Italia è come Milano.

Nel Mezzogiorno non abbiamo organizzazioni sindacali ed enti concreti e solidi in rappresentanza di classi, che possano nominare i componenti del Senato. Bisognerebbe creare simili istituzioni e fare un lavoro piuttosto lungo e complesso. E quanti anni ci vogliono? Quando avremo allora il Senato? Io non lo so. Praticamente adunque il vostro concetto è inattuabile.

Noi siamo già in ritardo con la Camera dei deputati. È pur certo che noi notiamo ovunque un disagio non lieve nel nostro popolo; ed il disagio è determinato senza dubbio dalla guerra; siamo convinti che non sarebbe stato possibile in alcun modo di evitarlo. Ma, onorevoli colleghi, a questo disagio, si aggiunge anche una grande inerzia legislativa, che acuisce ampiamente le non lievi difficoltà in cui il popolo vive. Fra qualche settimana si discuterà una mozione, la quale trae origine, occasione o pretesto da un innegabile disordine nazionale, e comunque ha sempre largo fondamento di verità. Ma vi abbiamo contribuito noi e vi contribuiamo ancora. Non possiamo fare leggi. Non abbiamo fatto niente. Non possiamo prendere provvedimenti di carattere economico e sociale che potrebbero almeno contribuire ad attenuare il malcontento. Abbiamo ritardato troppo. L'Italia, il Paese aspetta la sua Camera dei deputati ed aspetta, in pari tempo, la seconda Camera, se, come pare, dovrà essere istituita.

Ogni attività legislativa oggi è affidata al Consiglio dei Ministri.

Troppo poco! Ed è anche per questo che il disagio non diminuisce, ma va anzi sempre aumentando in Italia.

Se si dovessero organizzare le categorie e le classi, comprendete benissimo che non arriveremmo mai — almeno per ora — a dare un Senato al Paese. Ma si dirà: noi vogliamo solamente un'affermazione per l'avvenire. Quello che proponiamo potremo almeno vederlo attuato in seguito, fra sei, otto, dieci anni. Ma che pretendete? Affermazioni, pegni ed ipoteche legislative e politiche a lunga scadenza? E chi lo sa anche tra pochi anni come il mondo nelle sue alterne varie vicende si sarà trasformato?! Il mondo oggi può cambiare a momenti. Chissà cosa avverrà tra sette od otto anni, chi può dire di essere certo di ciò che potrà avvenire domani?

Pensiamo a quello che dobbiamo fare ora: in seguito avremo tutto il tempo utile per pensare ad ulteriori innovazioni, meglio studiate, meglio preparate dagli avvenimenti che si succedono. Anche accettando il concetto così eloquentemente ed abilmente esposto ieri dal collega Clerici — il cui discorso, ripeto, tanto ammirammo — il problema resta insoluto. Qualunque affermazione astratta ed ideale si voglia fare per l'avvenire, occorre sempre provvedere al modo di costituire il Senato: per ora, almeno per una prima volta, una soluzione ci è imposta immediatamente e non ammette dilazione di sorta, poiché per l'anno prossimo, e non fra cinque, sei, otto anni, il Senato deve esistere e funzionare. Quale adunque potrà essere la soluzione migliore? Un Senato di nomina presidenziale o un Senato con la nomina di componenti chiamati a prendervi parte di diritto? Non mi pare possibile. La prima ipotesi ricorderebbe troppo la nomina regia ed è da scartare: non si adatterebbe alle condizioni moderne ed ai tempi nostri, né risponderebbe a carattere democratico. Un Senato con la nomina di componenti che vi prendono parte di diritto? Sarà possibile in Inghilterra forse, o in altri Paesi dove esistono antiche tradizioni di nomi, di titoli o di famiglie, ma non è possibile fra noi, e poi ricorderebbe troppo il concetto di casta. Non resta adunque che il sistema elettivo; l'espressione anche pel Senato della volontà popolare. Ora si tratta di vedere come questa elezione debba essere disciplinata e quali temperamenti per necessità di cose debba avere.

Io non saprei concepire un Senato — di già l'ho detto a proposito della discussione generalissima, che ho ricordato poco fa — il quale fosse tutto quanto elettivo. Senza dubbio io non credo che sia il caso di fare nomine al Senato, come avveniva prima, solo a titolo di omaggio, di onorificenza e di ossequio al nome delle persone ed al loro ingegno. Ma, d'altra parte, non è possibile trascurare di far tesoro, anche per la vita pubblica, di tante mirabili attività che possono contribuire alla formazione delle leggi ed alla soluzione dei più gravi problemi politici, economici, sociali che interessano la vita del Paese.

E poi non è giusto, anche dal punto di vista giuridico, mettendo da parte le idee di opportunità, che le nomine siano lasciate tutte quante agli uomini di partito e che non si faccia posto anche a chi non è nei partiti. I partiti rappresentano, sì, la forza preponderante in Italia e dominano il Paese: siamo d'accordo. Ma non si può dire che l'Italia sia tutta rappresentata solo dai partiti. Tanta gente vive fuori dei partiti e forse si tratta della maggioranza, in confronto al popolo che è organizzato nei partiti. Io dico: perché questo popolo, pur esuberante, pur degno di ogni riguardo — che non vuole assoggettarsi ad un vincolo e ad una disciplina di partito — non deve vedere che anche dal suo seno siano scelti dei rappresentanti in una grande assemblea politica parlamentare?

Quindi, vi è un criterio di giustizia, a prescindere da legittime esigenze di opportunità e di utilità, che imporrebbe di far sì che una parte dei componenti del Senato sia sottratta alla libera elezione, in cui predomina coi sistemi attuali soltanto il concetto di partito. Vi sono persone in Italia, che sono elevatissime per studi e per qualità superiori di mente, che non si adattano, per il grado o pel carattere o per una forse malintesa dignità, ai comizi pubblici o alle competizioni elettorali. Noi altri ci presentiamo agli elettori, facciamo la nostra propaganda, ma poi compiuto il nostro dovere, vincitori o vinti, eletti o non eletti, mangiamo e dormiamo lo stesso con identica tranquillità a casa nostra; invece gli uomini di grande prestigio, se sono sconfitti, si sentirebbero moralmente annientati. Ora, comprenderete che bisogna pure tener conto di questi caratteri, di questi sentimenti, che sono anche rispettabili. Ed allora, perché un nucleo di persone, che potrebbero rendersi utili alla Nazione, deve rimanere fuori e ne devono entrare altre non di rado prescelte più che per le loro qualità ed attitudini, per l'incomprensibile capriccio elettorale? Non si altera affatto il concetto di democrazia se una piccola parte del Senato è riservata all'oculata scelta del Presidente, la cui autorità deriva pure da una espressione popolare ed elettorale. Anzi qui potete scegliere un duplice sistema. Io ne ho indicato uno, ma ve ne potrebbe essere qualche altro, purché una piccola parte almeno sia esclusa dal metodo elettivo, ed ho ridotto nel mio ordine del giorno questa parte ad un quarto, riservando agli elettori i tre quarti, cioè la grande maggioranza dei componenti. Vi potrebbe essere, dicevo, anche qualche altro mezzo per raggiungere lo stesso scopo. A me è sembrato che per la piccola parte di cui ho fatto cenno, la nomina da parte del Presidente potesse ben sostituirsi a quella che un tempo era la nomina regia, perché oggi, come era prima il re, il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato.

Altrimenti si potrebbe pure stabilire che i componenti del Senato, cui è riservato il quarto dell'Assemblea, fossero prescelti in determinate categorie e con determinati gradi o titoli. Decidete anche a questo modo, se vi pare. Scegliete il sistema che volete: l'uno o l'altro mezzo, l'uno o l'altro metodo risolve il problema di far partecipare all'attività ed alla vita politica parlamentare italiana anche questi uomini ai quali noi dobbiamo essere grati per il contributo che possono dare per le loro qualità all'avvenire ed al benessere della Nazione.

Restano poi gli altri tre quarti. Per questi, unico mezzo è quello delle elezioni. Non c'è altro. Il dissenso sorge però sul metodo delle elezioni. Perché, vi domando, siamo o non siamo d'accordo che questo Senato debba essere una Camera ugualmente elevata, per prestigio e per dignità, a quella dei deputati? Siamo d'accordo che essa non deve essere una'inefficace riproduzione della Camera dei deputati? Ripeto all'uopo per quelli che non erano presenti o l'hanno dimenticato ciò che dissi altra volta. Al Senato andranno tanti socialisti, tanti comunisti e tanti democristiani; a questo punto, il Senato è bell'è formato, l'Assemblea funziona al completo; salvo piccole più o meno imponderabili e non sempre concordi, pattugliette di liberali, qualunquisti o azionisti e forse, perché no? anche con qualche monarchico impenitente.

Ma naturalmente sono sempre tre le forze preponderanti. Ed allora i comunisti, come dissi, legati dalla disciplina di partito, come i socialisti dell'uno e dell'altro Gruppo, come i democristiani, in ogni discussione si riporteranno senz'altro all'atteggiamento tenuto nella Camera dei deputati dai rispettivi rappresentanti del proprio partito, e perciò la legge rimane intatta, come è passata nella prima Camera rimane nella seconda, che perde quindi ogni ragione di essere e diventa davvero inutile. Quale è il modo allora per eliminare questo inconveniente? Dobbiamo escogitare un sistema diverso di organizzazione, che diversifichi il Senato dalla Camera dei deputati.

Un primo mezzo al riguardo è in quel quarto di riserva, e per gli altri tre quarti bisogna preferire il collegio uninominale. L'idea a proposito del Senato non è del tutto mia, sebbene sia un uninominalista convinto, ed abbia sempre all'uopo lottato accanitamente, ma inutilmente. Però questa volta non ho prescelto io il collegio uninominale e nemmeno Einaudi, che pure è un uninominalista come me. I due discorsi contro la proporzionale alla Consulta sono stati pronunciati da Einaudi e da me. Prima parlai io e poi Einaudi, nella stessa seduta, e si capisce che parlammo invano. Non so se vi sia stato qualche altro. Non lo ricordo. Insomma la proposta ora pel Senato venne dall'onorevole Togliatti. È stato lui che la fece; però durò una giornata.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Fu l'onorevole Grassi.

Rubilli. Può darsi, non l'ho presente, che l'abbia inoltrata anche il collega Grassi. Comunque la fece sua e la sostenne l'onorevole Togliatti, cui io domando: perché se ne pentì da un giorno all'altro? Che sognò la notte? Si dice che la notte porti consiglio, ma talora porta anche delle cattive idee. Perché mettersi in conflitto con se stesso, ed andare alla Commissione per rinunziare al concetto lodevolissimo del collegio uninominale?.

Io non lo so come gli sia venuto in mente. Ad ogni modo la proposta è sua.

Togliatti. Non vi ho rinunziato.

Rubilli. Io l'ho appresa da lei, l'ho accolta e la faccio mia, riproducendola.

Togliatti. Non vi ho rinunziato ancora.

Rubilli. Non avevo sentito bene, ma tanto meglio. Ne sono proprio contento. (Si ride). A prescindere da un senso di orgoglio personale, non mi dispiace di vedermi sorretto da un uomo così autorevole per le sue qualità personali e per la sua funzione di capo di uno dei grandi partiti.

Io rispetto gli uomini di tutti i partiti quando valgono. Dove trovo uomini di valore, li ammiro ed apprezzo. Dunque, dicevo, non solo per vedermi sorretto da un uomo di indiscutibile autorità, ma anche per cominciare ad acquistare una piccola speranza che la mia idea sia accreditata ed avvalorata.

Russo Perez. Esiste anche una sinistra, che siamo noi.

Rubilli. Mi rivolgo anche a voi, da una parte e dall'altra. Io qui non rappresento che ben poco. Posso rappresentare me stesso, il che per un ambiente parlamentare non è molto. Quindi faccio appello all'una e all'altra parte e domando di essere appoggiato dai vari settori.

Insomma il collegio uninominale mi pare la migliore idea, ed è sorta spontanea da uomini diversi, non preparata né organizzata.

Se poi vi fossero delle fobie speciali verso il collegio uninominale, io dico, volgiamo anche lo sguardo, se vi pare, verso lo scrutinio di lista maggioritario. Ma insomma, vogliamo o non vogliamo che il Senato non rappresenti una riproduzione fedele della Camera dei deputati, perché l'opera sua diventerebbe allora inefficace ed inutile?

Su questo punto credo che dobbiamo essere ormai tutti quanti concordi. Ed allora, se è così, non v'è che un mezzo solo: poiché il Senato deve essere sempre per la maggior parte elettivo, occorre un metodo diverso di elezione, quale che sia, di fronte a quello che si segue per la Camera dei deputati. Mi pare ciò assolutamente chiaro ed indiscutibile.

[...]

La Rocca. [...] Si può osservare: il progetto esclude ogni intervento dell'esecutivo nella formazione della seconda Camera, la quale sorge, come la prima, unicamente sopra una base elettiva, ha, alla sua origine, come la prima, unicamente il suffragio universale.

Dai verbali, foltissimi, della Commissione apparisce chiaramente che si tendeva ad aprire un varco all'influenza dell'esecutivo nella composizione del Senato, destinando un certo numero di nicchie a determinati santoni di gradimento del Capo dello Stato e, perciò, del Capo del Governo, con il pretesto della celebrità.

Da quei verbali risulta pure che della seconda Camera — accolta, in linea di principio, da tutti i partiti, se bene con criteri diversi — si è cercato di fare, sotto la specie della rappresentanza organica delle così dette «forze vive», a base di categorie e d'interessi, una nuova edizione, riveduta e corretta, e, forse, peggiorata, della vecchia Camera corporativa di tipo fascista.

Le due proposte furono respinte, dopo lunghe discussioni, accese controversie e una dura lotta.

Adesso, la tesi della rappresentanza organica, già prospettata in Commissione, ritorna, in un modo o nell'altro, nei discorsi degli onorevoli Codacci Pisanelli e Clerici, e l'onorevole Rubilli, che da poco ha finito di parlare, sostiene l'utilità e la necessità di una parziale nomina della seconda Camera da parte del Capo dello Stato, per consentire ad uomini illustri di partecipare alla vita politica senza esporsi ai fastidi e ai rischi di una campagna elettorale.

Ma, col sistema delle rappresentanze delle categorie — a prescindere dalla sua origine antidemocratica — in pratica, sul terreno concreto, come si farebbe a stabilire il collegio elettorale per la scelta dei candidati? Quali sono le forze e quali sono questi interessi che debbono essere rappresentati? A parte l'argomento che gli interessi sono rappresentati dai partiti (che esprimono e tutelano determinati interessi), poiché si dice: ci possono essere interessi non conglobati nei partiti, bisognerebbe specificare quali essi sono e come si traducono in collegi elettorali. Su quali basi e con quali liste? E non si rischia di cacciare dalla porta di servizio la sovranità popolare che è entrata nell'edificio costituzionale a bandiere spiegate? Noi non ci opponiamo ad alcun modo di formazione della seconda Camera, purché esso abbia una garanzia di democrazia, purché sia rispettato il principio della volontà popolare come unica sorgente di questa formazione e non si operi spostamento artificiale nei rapporti di forza e non si tenda a favorire alcune categorie a danno di altre.

Con la rappresentanza organica degli interessi, attraverso le categorie, dovrebbe essere soddisfatto il desiderio che tutte le forze siano convogliate: anche quelle che non militano nei partiti. E non si otterrebbe l'intento. Vi sarebbero sempre alcuni che si lamenterebbero di essere stati esclusi: Allora, i lavoratori, i contadini da un lato; e poi? Poi, gli avvocati, gli ingegneri, i medici, gli artigiani, i pensionati, i professori, le industrie, le università, le banche, che per altro sono già largamente rappresentate. Ma, in definitiva, non ci opponiamo a niente, a patto che ogni innovazione abbia il suggello democratico.

[...]

Una seconda questione, e di grande importanza, è quella della composizione della Camera dei senatori.

Ed è chiaro che il modo con cui questa Camera sarà formata, eserciterà una notevole influenza sulla soluzione del tema della parità, intiera o limitata, dei due organi legislativi.

L'onorevole Orlando afferma che il problema di maggior rilievo nei riguardi della Camera dei Senatori è d'istituirla «in maniera diversa» da quella dei deputati; che, ove la seconda Camera dovesse essere, nella sua costituzione, un duplicato della prima, «sarebbe inutile farne due»; e aggiunge che, nelle condizioni organizzative fissate dal progetto, egli, bicameralista convinto, è quasi indotto a rinunciare a una seconda Camera che, su per giù, è la stessa dell'altra.

Ma, relativamente ai modi di formazione della seconda Camera, di cui il diritto comparato dà un ampio schema, respinto il criterio di una nomina, anche parziale, da parte del Capo dello Stato o della Camera dei deputati o per coaptazione della stessa Camera dei Senatori; esclusa, nettamente, la possibilità di nomina per ereditarietà, per appartenenza a dati uffici, per il possesso di determinati requisiti, ecc., anche se, nello stabilire le categorie degli eleggibili, non si è peccato di soverchia fedeltà alla democrazia e si è ristretta la sfera dell'elettorato passivo a strati sociali in cui si vede riapparire il sistema del censo; riconosciuto e affermato il principio che la seconda Camera deve rappresentare, come la prima, l'emanazione della sovranità popolare, dev'essere democraticamente espressa dal popolo e non deve tendere a correggere o a spostare, in una qualsiasi maniera, il risultato del suffragio universale; posto tutto ciò, appare evidente la difficoltà e l'impossibilità, forse, di costituire due Camere che, se non sono fatte proprio con il medesimo stampo, risultino profondamente o radicalmente differenziate.

Al riguardo, quale fu l'orientamento di Cavour? quale posizione egli prese, nella discussione sull'argomento, al tempo della preparazione della Carta albertina? quale direttiva egli diede agli uomini di parte sua, anche se l'eredità da lui lasciata sulla questione non è stata raccolta, e si è via via coperta di muffa?

In primo luogo, egli ammetteva, esplicitamente, che il sistema elettivo, per la formazione della seconda Camera, era «il solo razionale, il solo opportuno», anche nelle condizioni dell'Italia di allora.

E continuava: «Perché due Camere popolari? Perché creare due istituzioni identiche, destinate a concorrere al medesimo scopo? È questo un accrescere le complicazioni del meccanismo costituzionale, senza renderlo più regolare e più perfetto; è un aumentare le difficoltà di governare, senza rendere il potere più solido, le libertà popolari più estese».

Qui, come si vede, Cavour riconosceva che il bicameralismo, contrariamente alle affermazioni di taluni ideologi, i quali lo propugnano per garantire stabilità al Governo, ecc., non rafforza la potenza del legislativo, non isnellisce la macchina statale e non ne accresce il rendimento; che un potere concentrato in un solo organo ha, in generale, maggior vigore e che le decisioni sono prese molto più rapidamente e facilmente da una assemblea che da due.

Ma, accennato al solito argomento, cioè, al vantaggio di sottoporre le disposizioni legislative a una duplice discussione in assemblee distinte, a patto che il modo di elezione delle due Camere non sia identico, concludeva: «Noi crediamo facile il costituire una seconda Camera, animata da un istinto conservatore bastevole a porre un argine efficace agli impulsi talvolta eccessivi della Camera dei deputati, senza costituire un corpo elettorale privilegiato: e ciò soltanto con l'imporre ai candidati alcune condizioni di eleggibilità e col variare la composizione dei collegi elettorali e con l'aumentare la durata del mandato dell'eletto».

Ecco l'opinione di Cavour sulla seconda Camera.

Tale opinione, a parte il termine più lungo del mandato, da rigettarsi per varie ragioni: per non appesantire ulteriormente il procedimento legislativo, già lento e farraginoso, e non mettere altri germi di dissidi e di pericoli in un bicameralismo spurio; tale opinione si ritrova, grosso modo, alla base delle decisioni della Commissione.

In buona sostanza, una prima differenza tra le due Camere c'è, per la diversità dell'elettorato e dell'eleggibilità.

Tutti gli elettori, che hanno compiuto i venticinque anni, sono eleggibili a deputati, ma non a senatori.

Inoltre il diritto attivo di voto per la composizione della seconda Camera non può essere esercitato col raggiungimento della maggiore età, ma è limitato agli elettori che hanno superato i venticinque anni.

È soddisfatto, per questa via, il desiderio di coloro che, ritenendo la bicameralità un assioma di diritto pubblico, attribuiscono alla seconda Camera una funzione ritardatrice della procedura legislativa per una più meditata valutazione della convenienza politica delle leggi e per una migliore formulazione tecnica, con una selezione dell'elettorato attivo e passivo: con un maggior senso di responsabilità e di maturità nel corpo elettorale, fornito dall'età, e con la presunzione di una capacità politica, amministrativa e tecnica negli eleggibili, ristretti, secondo il progetto, a talune categorie, che bisognerà rivedere e allargare, allo scopo di consentire agli esponenti delle classi lavoratrici di essere inclusi nelle liste e partecipare alla lotta.

Poi, c'è la rappresentanza regionale: cioè il terzo dei senatori riservato all'elezione dei Consigli per dare alla seconda Camera un'impronta regionale, in rapporto alla nuova struttura introdotta in Italia con la creazione dell'ente Regione.

Per l'onorevole Orlando, questo è molto poco, o non è nulla.

Ma, a voler mantenere in piedi il sistema bicamerale e differenziare in una qualche misura i due organi legislativi, non è possibile fare di più e andare oltre, a meno che, per il modo di formazione della seconda Camera, non si voglia ricorrere a mezzi di scelta non legati all'elezione diretta da parte del corpo elettorale; alla nomina dall'alto, o per coaptazione, o su designazione di collegi speciali, o per l'appartenenza a dati uffici, o per il possesso di date competenze, o per la copertura di certe cariche o per la espressione d'interessi che, si dice, rimarrebbero compressi o confusi con altre forme di rappresentanza, ecc. ipotesi da scartarsi tutte, senz'altro.

Infine, la differenza della seconda Camera dalla prima deve consistere, secondo il criterio dello stesso Cavour, in un diverso modo di reclutamento dei due rami del Parlamento: cioè, in una diversità del sistema elettorale e della composizione dei collegi.

E questo obiettivo potrebbe essere raggiunto, per esempio, con l'adozione del collegio uninominale per la elezione dei senatori.

Per questa via sarebbero forse soddisfatte tutte le aspirazioni: una seconda Camera, come rappresentanza del merito personale, delle qualità, della competenza, della cultura, ecc., anche come valorizzatrice dell'individuo. Ebbene, il collegio uninominale permette al corpo elettorale di fermarsi pure sulla capacità, sulle virtù dell'uomo; vi sarebbe la scelta dell'individuo, con un vaglio democraticamente compiuto. Da un lato, quindi, la differenza qualitativa nella composizione dei membri e, dall'altro, la origine dal suffragio, con un altro sistema di elezione, che avrebbe un gran peso sul piano politico, perché consentirebbe un rinnovamento parziale, nel corso della legislatura, che la proporzionale, per il suo meccanismo, esclude, e darebbe modo di saggiare qua e là la pubblica opinione, di tentarne il polso, di conoscerne gli umori: il che ha un'importanza grandissima in Inghilterra e determina, con gli spostamenti parziali nei collegi, la caduta dei Ministeri, che tuttavia hanno sempre la maggioranza ai Comuni.

[...]

Di Gloria. [...] I sistemi di elezione della seconda Camera, quelli più idonei a favorire la formazione di organi rappresentativi, sono dunque quelli per suffragio popolare o quelli fondati sul criterio di scelta di speciali commissioni la cui composizione ci riporta indirettamente al suffragio popolare.

Per la elezione del Senato il nostro progetto di Costituzione segue tutt'e due i criteri: un terzo del Senato infatti dovrebbe essere eletto dai Consigli regionali e due terzi per suffragio universale. Nel primo caso si ha un suffragio popolare indiretto o mediato; nel secondo caso un suffragio popolare diretto od immediato.

Noi siamo d'avviso che anche la seconda Camera, tutta quanta, debba essere eletta a suffragio universale.

Qualcuno può pensare che in tal modo si darebbe vita ad un doppione, ad un bis in idem della prima Camera; ma tutto ciò non è vero in quanto che le due Camere, se uguali risultassero per il modo della loro elezione, molto diverse risulterebbero nella loro composizione, dati i particolari e speciali requisiti richiesti per diventare deputati o senatori. Non è il sistema di elezione in sé e per sé che dà il tono ad un consesso, quanto la sua intima composizione. È chiaro che se nella prima Camera prevarrà il criterio puramente politico della rappresentanza popolare, nella seconda Camera accanto a tale criterio politico dovrà esserci concomitante o prevalente anche il criterio della competenza.

Senza voler fare del Senato una completa gerontocrazia o una vera accademia di scienziati, di letterati e di giuristi è necessario quindi che in esso, in linea di massima, prevalga il criterio della competenza non disgiunto da quello politico della rappresentanza popolare. Se renderemo elettivo il Senato in base a suffragio universale, costringeremo anche i cittadini competenti nelle varie branche dell'attività tecnica, scientifica ed artistica ad occuparsi di politica e a prendere dimestichezza con la politica stessa. Non avremo cioè degli uomini politici incompetenti, né degli uomini competenti negati alla politica. Non avremo i difetti del corporativismo né saranno offesi i principî della rappresentanza popolare. In tal modo, quindi, rappresentatività e competenza andranno unite per il maggiore decoro e per la vera affermazione della democrazia in Italia.

[...]

In conclusione, noi affermiamo i seguenti punti: 1°) necessità di ammettere a far parte di diritto del nuovo Senato i deputati all'Assemblea Costituente, che abbiano l'anzianità di almeno tre legislature; 2°) demandare all'Assemblea Nazionale i conflitti delle due Camere su disegni di legge non approvati; 3°) elezioni per suffragio universale diretto di tutto il Senato, eccezion fatta per quei deputati all'Assemblea Costituente che abbiano almeno tre legislature, i quali vi dovrebbero far parte di diritto in base a disposizioni transitorie; 4°) porre maggiori misure limitative al diritto di referendum e di iniziativa legislativa popolare in conformità di quanto abbiamo osservato precedentemente.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti