[Il 10 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Orlando Vittorio Emanuele. [...] Ora, vediamo quale riscontro abbiano questi elementi propri — diciamo — della forma parlamentare nella Costituzione, che ci è proposta. Abbiamo il Titolo I, in cui è detto che «il Parlamento si compone della Camera dei Deputati e della Camera dei Senatori». Nella forma veramente originaria dell'istituto parlamentare, quale ci viene dall'Inghilterra, il Parlamento comprende anche il Capo dello Stato: «Il Re in parlamento». Debbo riconoscere che le costituzioni repubblicane non ripetono il principio inglese; ma, io non capisco questo sforzo, comune, del resto, in genere, alle repubbliche di altri Stati, nel senso di deprimere l'esecutivo repubblicano, di indebolire, di limitare i poteri del Capo dello Stato, di diffidarne, insomma. Invece, io riconosco perfettamente naturale — e ciò si collega con quell'ossequio, che si deve alla rappresentazione esteriore della sovranità — che il Capo dello Stato sia dichiarato parte del Parlamento. Qui voi l'espellete; ma è espulso nella forma, perché non lo si può eliminare ed ignorare, come vedremo, del tutto. Difatti, rientra, ma rientra dalla finestra; rientra male. Perché? Così, dunque, la tendenza di questa Costituzione sarebbe di escludere il Capo dello Stato dall'attività legislativa, il che è contro l'essenza dell'istituto parlamentare, che — come ho detto — è: «compartecipazione». Qualche cosa, nondimeno, vi resta; ma sempre circondata da questo sospetto, ma sempre dominata da questa tendenza ad imporre limiti.
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Consideriamo ora alquanto il Parlamento. A proposito del Parlamento, si presenta un caso veramente tipico di quel compromesso, di quel sistema di compromessi, che dicono abbia presieduto alla determinazione di molta parte della Costituzione; ma questo è il più caratteristico. Intendiamoci, non c'è niente di male, perché si vive di compromessi; ma quello cui sto per accennare, è sommamente interessante, perché è evidente che nella Commissione si verificò l'urto — quell'urto, che nella vicina Francia arrivò a contrasti così drammatici e diede luogo ad una rinnovazione dell'atto costituzionale — fra chi voleva una Camera unica e chi ne voleva due, unicameralismo e bicameralismo. Or su questa questione, veramente fondamentale, qui fra noi, si venne, come ho detto, ad un compromesso, cioè si creò una terza specie, di cui può dirsi che «non è nero ancora e il bianco muore». Io non so tra chi si svolsero le trattative; ma so che uno dei due rimase ingannato, e rimase ingannato appunto colui che sosteneva il bicameralismo, e fu messo nel sacco da chi voleva una sola Camera. Perché? Perché accanto alle due Camere, si creò un tertium genus, cioè l'Assemblea nazionale costituita dalle due Camere.
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Fin qui non credo che le differenze siano rilevanti. Si aggiunge poi che l'elezione è fatta per due terzi a suffragio universale e diretto e per l'altro terzo dai Consigli regionali. Questa è l'unica innovazione; ma non è una differenza tale da determinare una efficiente differenza qualitativa. Dico la verità, che, in queste condizioni, io che sono un bicameralista convinto, quasi quasi... farei anche a meno di questa seconda Camera, dato il modo col quale essa è costituita. Giacché, come dicemmo e com'è noto, il bicameralismo a questo deve servire: a stabilire, cioè, quel sistema di equilibrio delicatissimo con la prima Camera per impedire che una Camera sola si attribuisca un potere senza limiti e senza contrappesi.
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Dunque, abbiamo due Camere che si rassomigliano, e di più c'è l'Assemblea Nazionale. Nel compromesso che fu fatto, quelli della doppia Camera ebbero la peggio, perché si creò questa Assemblea Nazionale dalla fusione delle due Camere, alla quale si è dato questo po' po' di poteri, cui ora accennerò. Curioso: sarà un caso, anche se qualche maligno possa affermare che sia del pudore; ma sarà, certo, un caso; non c'è un articolo che enumeri tutte le attribuzioni della Assemblea Nazionale. Io ho dovuto cercarle, mettendo insieme faticosamente tutti gli articoli che vi si riferiscono. Ebbene, questa è la Camera che detiene veramente il potere, che ha le chiavi della cassaforte. Vedete infatti quali funzioni essa esercita: elegge il Capo dello Stato e lo supplisce per mezzo di un presidente, preso alternativamente da quelli delle due Camere. È stabilito che la Assemblea Nazionale si dà un proprio regolamento per tutte le funzioni che deve compiere, il che è giusto; ma, nel tempo stesso, attesta la permanenza e l'importanza dell'istituto. Quindi, avremo un ufficio di Presidenza permanente. È la vera unica Camera, dunque, che elegge, come dicevo, il Capo dello Stato e lo supplisce; è un caso in cui la scelta importa una certa subordinazione. Inoltre, decide: la mobilitazione e l'entrata in guerra, l'amnistia e l'indulto (questo argomento potevano forse lasciarlo alle Camere); poi mette in istato di accusa il Presidente della Repubblica e, forse, anche i Ministri.
Diciamo di passaggio che questo punto non è chiaro. Secondo me, credo che si voglia fare riferimento all'Assemblea Nazionale, perché nell'articolo 90 è detto: «Il Primo Ministro ed i Ministri possono essere messi in stato di accusa dalle due Camere». Ora, che cosa vuol qui significare: «le due Camere?». Con due deliberazioni distinte e separate? Questi Ministri dovrebbero perciò passare attraverso due stadi di giudizio; e non potrebbe allora verificarsi che una Camera li accusi e l'altra Camera li esalti? Quale potrà essere la soluzione giuridica fra due atti formalmente contraddittori? Evidentemente, quando si dice due Camere, si deve voler significare che esse agiscono insieme. Poi sono inviati innanzi alla Corte costituzionale. Per fortuna, io non tornerò più a fare il Ministro; ma vi dico la verità che in tal caso mi sentirei molto indifeso.
Il Ministro ha bisogno di un giudice politico, se il suo reato è ministeriale. Che cos'è questa Corte composta per metà di magistrati, che saranno uomini insospettabili, colti ed esperti giuristi, ma appunto per ciò di una pericolosa incompetenza per giudicare politicamente un reato ministeriale? Io non so quanti reati abbia commessi; e non soltanto durante la guerra, quando dovevo rilasciare passaporti falsi e giunsi allora perfino ad organizzare il furto di una cassaforte! (Ilarità); ma anche prima. Ne serbo tuttora il ricordo. Allorché ero Ministro dell'istruzione, mi piombò addosso, un giorno, il sovrintendente alle arti e ai monumenti napoletani per informarmi che l'Arco Angioino, il famoso arco, prodigio di arte e di bellezza, stava per crollare per lesioni dovute alla gloriosa vetustà.
«Ebbene, puntellatelo! Mi pare che il provvedimento sia semplice!». Mi risponde: «Ci vogliono 10.000 lire, e non le abbiamo». Chiamo il ragioniere capo, il quale mi conferma: «Non le abbiamo; il capitolo non ha disponibile quella somma di 10.000 lire». Allora, mi precipito dal Ministro del tesoro — era un personaggio illustre, degno di ogni rispetto — e gli dico: «Sta per crollare l'Arco Angioino ed ho bisogno di 10.000 lire». «Tu non pensi che alla tua gloria» fu la risposta «ed io debbo pensare alla conversione della rendita». Riuscii a trovare le 10.000 lire fuori il capitolo del bilancio. Commisi un reato? È probabile, ma vi domando: «Mi avreste condannato, se fossi stato mandato dinanzi a voi?».
Torniamo alla nostra Assemblea Nazionale. Essa mette in istato d'accusa il Presidente della Repubblica; dà un voto al nuovo Gabinetto, in una maniera formale che è più di nomina che di fiducia, come vedremo fra poco a proposito della totale esautorazione che si è fatta del Capo dello Stato. Questa esautorazione, per ora, possiamo non avvertirla, perché abbiamo un Capo qualificato da quell'antipatica aggiunta di «provvisorio», ma che di questa provvisorietà si giova in quanto sa e può continuare la tradizione di Capo di Stato in un regime veramente parlamentare, e perché personalmente uomo insigne, che ha la virtù dell'esperienza e dell'ingegno e che impone l'alta autorità e l'avvincente fascino della sua persona. Dicevamo che l'Assemblea Nazionale dà il voto al nuovo Gabinetto in maniera formale, ed in maniera formale gli esprime la sua sfiducia: cioè, parliamoci chiaro, è essa che lo nomina; è essa che lo manda via. Sono delicate distinzioni, ma sta in esse tutta l'essenza dell'istituto.
Nella genuina forma di Governo parlamentare, il Capo dello Stato, dopo la crisi che si determina, cerca di rendersi conto della situazione, d'interpretarla, di trovare la soluzione più idonea (donde la ben nota espressione di «consultazione») ed alla fine prende una decisione sotto la sua responsabilità, per quanto coperta dal nuovo Presidente del Consiglio. Comincia, allora, una nuova fase di attività politica.
Ma, col presente progetto di Costituzione, la cosa va ben altrimenti: qui è l'Assemblea che, pochi giorni dopo nominato il nuovo Ministero, lo collauda con la sua approvazione e gli conferisce autorità. Ed è parimenti l'Assemblea che decide della sfiducia nel Ministero; e, a questo riguardo, si prevede un procedimento piuttosto singolare, giacché non importa se un Ministero sia in minoranza in una delle due Camere: esso non si dimette. Se anche questo sia un modo di assicurare la stabilità del Governo, lo creda pure chi vuole: quanto a me, lo ritengo, invece, come il mezzo più sicuro di deprimerlo e mortificarlo: soprattutto, questi mezzi meccanici ripugnano al sistema parlamentare. Ricordo un grande uomo di Stato e un grande parlamentare, una bella figura democratica: Gladstone, il quale si dimise, perché alle elezioni generali la sua maggioranza, che era di 100 voti, era caduta a 50; bastò quello perché si dimettesse. Qui, al contrario, possono esservi dei Ministeri, i quali, nonostante i ripetuti voti di sfiducia di una delle due Camere, continuano a governare fino a quando non intervenga l'Assemblea Nazionale a notificare loro formalmente che è l'ora di andarsene!
E finalmente poi è essa che nomina i membri della Corte costituzionale — di questa famosa Corte parleremo in seguito —, nonché la metà dei membri del Consiglio della Magistratura. Ora, ditemi: un organo, che assomma tutti questi poteri, è o non è il vero fulcro, il centro dell'esercizio della sovranità nella struttura costituzionale?
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Nenni. [...] Ora, signori, l'ordinamento della Repubblica, così come è previsto in questo progetto, sotto molti aspetti rappresenta una minaccia per la funzione legislativa e sembra abbia obbedito alla preoccupazione di bloccare qualsiasi legge.
Si è introdotto il concetto delle due Camere, correggendolo poi con l'Assemblea Nazionale, della quale l'onorevole Orlando ha fatto la critica, benché, a mio avviso, essa sia il correttivo che rende accettabile per noi le due Camere, in quanto comporta il ritorno all'unicameralismo, quando si tratti di decisioni di somma importanza.
In questo campo sarei tentato di essere dell'opinione dell'onorevole Rubilli: se il Senato vi deve essere, sia il Senato. Nella nostra storia, nella storia dei parlamenti del secolo scorso, il Senato ha un suo significato inequivocabile. O è, come da noi, il Senato di nomina regia, destinato per definizione a frenare, sabotare, rendere impossibile l'attività legislativa di una Camera che si collochi a sinistra; oppure è, come in Francia, la Camera del censo, che interviene per limitare l'iniziativa della Camera del suffragio universale. Nell'un caso e nell'altro siamo di fronte ad una precauzione dei ceti o delle classi conservatrici nei confronti dei ceti e delle classi progressive. Così come è delineata nel progetto in discussione, la seconda Camera non è il Senato di nomina regia o di nomina governativa, non è la Camera del censo. È, quindi, un puro e semplice intralcio al lavoro legislativo, un espediente procedurale per imbrogliare la prima Camera. Se in questo punto il progetto dovesse essere approvato quale è, dato il correttivo dell'Assemblea nazionale, noi non solleveremo obiezioni fondamentali, tali da indurci a respingere l'insieme della Costituzione. Sembra però evidente che si è compiuto un errore tecnico, dando vita ad un organismo fittizio ed inutile.
A cura di Fabrizio Calzaretti