[Il 25 settembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull'organizzazione costituzionale dello Stato.
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della seduta.]
Leone Giovanni ricorda di essersi nella precedente riunione associato all'onorevole Laconi che sosteneva la necessità di dare la precedenza all'esame delle attribuzioni della seconda Camera; ma dissente da lui nel merito, in quanto fermamente ritiene che la seconda Camera debba avere funzioni pari a quelle della prima. È di avviso che su tale questione occorra prendere una decisione definitiva, in quanto che, a seconda delle attribuzioni del Senato, potrà variare l'orientamento delle successive decisioni in merito agli altri problemi concernenti il Senato stesso. Soggiunge che assai più numerose sono le Costituzioni che riconoscono la parità delle funzioni delle due Camere, che non quelle che la negano. Fra le prime è anche la stessa Costituzione russa.
Propone il seguente ordine del giorno:
«La seconda Sottocommissione, premessa la parità delle attribuzioni fra le due Camere per quanto concerne il potere legislativo e il controllo sul Governo, passa allo studio sulla nomina e composizione della seconda Camera».
Chiarisce che in quest'ordine del giorno non si fa cenno della elezione del Presidente della Repubblica, in quanto tale problema non è ancora stato discusso. In ogni modo, se l'elezione del Capo dello Stato dovesse essere di secondo grado, dovrebbe anche per questa riconoscersi la parità della seconda Camera.
Lussu ha l'impressione che la proposta dell'onorevole Leone capovolgerebbe l'ordine delle discussioni finora seguito. Comunque se ne potrebbe tener conto, abbinando però i due problemi della parità delle due Camere e della composizione del Senato.
Porzio crede che l'ordine del giorno Leone possa essere considerato come una mozione d'ordine. Ricorda che quando si cominciò a discutere del Senato, egli avvertì che bisognava procedere con un certo ordine nella discussione; al che appunto mira la proposta dell'onorevole Leone. Ritiene quindi che non possa parlarsi della composizione del Senato e del suo corpo elettorale, se prima non sia stata presa una decisione sulle sue attribuzioni.
Perassi ritiene che nell'ordine del giorno Leone sarebbe opportuno, per quanto concerne la parità delle funzioni del Senato, tenere distinta la parte riguardante il potere legislativo da quella che concerne il controllo sull'opera del Governo.
Il Presidente Terracini non lo ritiene necessario, in quanto la questione della parità delle funzioni del Senato, in relazione sia al potere legislativo che al controllo sul Governo, potrà formare oggetto di un'unica discussione.
Laconi propone che la votazione sull'ordine del giorno dell'onorevole Leone, che investe una questione di sostanza, sia rinviata al termine della discussione, quando cioè saranno stati risolti tutti i problemi attinenti alla seconda Camera.
Targetti ritiene che la proposta dell'onorevole Leone abbia portato la discussione su un tema diverso da quello che doveva formare oggetto della seduta odierna. In ogni modo, poiché il principio della parità delle funzioni del Senato è affermato nel progetto Conti in un articolo susseguente a quello in cui si fissano i criteri relativi alla formazione del Senato stesso, è di avviso che nell'odierna seduta si debba affrontare quest'ultima questione.
Conti, Relatore, fa presente che in un articolo del suo progetto, così concepito: «Il potere legislativo è esercitato dalla Camera dei Deputati e dal Senato», si afferma, senza possibilità di equivoci, la perfetta parità delle funzioni delle due Camere. Ritiene quindi che si dovrebbe considerare come presuntiva e quindi implicitamente riconosciuta la parità tra le due Camere. Ma se qualcuno avesse ancora qualche dubbio al riguardo, si potrebbe prendere subito una decisione su tale punto, per potere iniziare poi la discussione sulla composizione del Senato.
Leone Giovanni teme che si stia compiendo un errore di impostazione. Ricorda che quando furono assegnati i temi ai relatori, fu proprio l'onorevole Mortati ad affermare che era necessario distinguere tra funzioni e organizzazione dei vari poteri dello Stato. Si accettò quindi come cosa implicita che si dovesse prima stabilire la funzione, per passare poi a determinare l'organizzazione di ogni istituto. Il che è ovvio. Se in un trattato o in una legge si può prima parlare dell'organizzazione e poi delle funzioni di un dato ente, ciò è inammissibile in una discussione «de jure condendo», nella quale non si può creare un istituto, senza aver prima stabilito come esso debba agire nell'ordinamento dello Stato, quali siano i suoi compiti rispetto alle finalità che si vogliono conseguire e quali i suoi rapporti con gli altri organi dello Stato. È necessario quindi esaminare prima la questione della parità delle funzioni tra le due Camere, problema che riveste una notevole importanza, perché se, ad esempio, alla seconda Camera dovessero essere assegnate funzioni subordinate, si potrebbe arrivare, nello stabilire la sua composizione, a conclusioni diverse da quelle che scaturirebbero dal concetto della parità con l'altra Camera.
Nobile si associa alla tesi dell'onorevole Leone.
Grieco rileva che il problema delle funzioni del Senato è legato indiscutibilmente a quello della sua composizione. Difatti, chiunque parlerà sulle funzioni della seconda Camera non potrà fare a meno di riferirsi implicitamente o esplicitamente alla sua composizione; ma la stessa cosa accadrà nel caso inverso, in quanto la seconda Camera si giustifica non solo per le sue funzioni, ma anche per la sua composizione. Teme che se si accedesse alla proposta dell'onorevole Leone, dopo breve tempo si dovrebbe ritornare sulla discussione generale. Dichiara pertanto di essere favorevole alla proposta di riprendere la discussione al punto in cui era stata lasciata nella precedente seduta.
Tosato trova che le osservazioni dell'onorevole Grieco hanno una parte di vero, perché non si possono stabilire le funzioni del Senato senza, nello stesso tempo, pensare alla sua costituzione; e la stessa cosa si può dire per il caso inverso. Si tratta quindi di due problemi connessi e interdipendenti e la questione è solo di stabilire da quale dei due debba avere inizio la discussione.
Giova, frattanto, ricordare che già si è fatta una discussione generale, che ha portato ad una duplice conclusione: si è ravvisata la necessità di una seconda Camera e si è riconosciuto che essa, per non essere eguale alla prima, dovrà rappresentare le forze vive della Nazione.
Considerando quindi che è già ammessa l'esistenza di una seconda Camera e in via generale è stato fissato un certo orientamento nei riguardi della sua configurazione, ritiene che, se si trovasse un punto d'accordo fra le diverse opinioni sulla questione delle funzioni del Senato, i lavori della Sottocommissione non solo si svolgerebbero con maggiore celerità, ma porterebbero anche a risultati concreti.
Il Presidente Terracini comprende il desiderio di arrivare ad una semplificazione della discussione, ricorda però che, sebbene nella precedente riunione si fosse deciso di discutere soltanto il problema relativo alla organizzazione della seconda Camera, di fatto si parlò anche largamente delle sue funzioni e perfino della struttura delle Assemblee regionali. Se anche, dunque, si stabilisse ora, in base alla proposta dell'onorevole Leone, di esaminare per primo il problema delle funzioni della seconda Camera, inevitabilmente si finirebbe poi col fare degli accenni più o meno larghi al problema della sua composizione.
Ritiene perciò che la proposta dell'onorevole Leone possa essere considerata soltanto come un invito ai membri della Sottocommissione di attenersi quanto più possibile all'esame del problema della parità delle funzioni delle due Camere.
Mortati, Relatore, è d'avviso che, se la mozione dell'onorevole Leone fosse accolta, si semplificherebbe il corso della discussione. Acquisito, infatti, il punto della parità delle funzioni delle due Camere, il campo delle indagini resterebbe più limitato, in quanto si dovrebbe esaminare soltanto il problema della composizione del Senato stesso.
Ritiene infine, quanto al merito, che la questione della parità delle funzioni tra le due Camere sia implicita nell'affermazione che la seconda Camera debba essere la rappresentanza delle forze vive della Nazione.
[...]
Laconi dichiara di essere contrario alla procedura che viene proposta, perché ritiene che le due questioni, della parità delle funzioni fra le due Camere e della composizione del Senato, siano talmente connesse tra loro da non poter essere discusse distintamente. Rileva inoltre che sarebbe assai strano discutere sulle funzioni del Senato quando non ancora sono state discusse e precisate le funzioni della Camera. Anche per questa ragione quindi, è contrario alla proposta dell'onorevole Leone.
Il Presidente Terracini ritiene che la questione possa essere risolta assai facilmente aprendo la discussione sull'ordine del giorno dell'onorevole Leone, con l'intesa che gli ordini del giorno che fossero in seguito eventualmente presentati potrebbero essere, a seconda dei casi, fusi con quello dell'onorevole Leone o messi in votazione distintamente da esso.
Porzio osserva che, per poter giungere ad una precisa articolazione delle proposte, occorre stabilire, mediante votazione, dei punti fermi. Come ha già detto, egli interpreta l'ordine del giorno presentato dall'onorevole Leone come una mozione d'ordine, che a suo avviso deve essere messa in votazione. Occorre precisare innanzi tutto le funzioni del Senato e poi discutere sulla sua composizione.
Piccioni ritiene che l'ordine del giorno dell'onorevole Leone possa rimanere come un'affermazione dell'esigenza da tutti sentita che la discussione non debba esser circoscritta e limitata alla sola questione della composizione del Senato, ma debba riferirsi anche alle sue funzioni.
Mortati, Relatore, osserva che l'onorevole Laconi ha espresso qualche dubbio sulle future funzioni della prima Camera. Ora, gli sembra che su tale argomento si abbia già un dato di fatto acquisito, in quanto che si è accettato il regime parlamentare. Se così non fosse, ogni discussione ulteriore sarebbe del tutto inutile.
Il Presidente Terracini riconosce non esser dubbio che la nuova Costituzione dello Stato si baserà sul regime parlamentare; ma anche in un regime parlamentare rappresentativo possono essere attribuite alla Camera funzioni che non siano esclusivamente quelle di discutere e approvare le leggi e di esercitare un controllo sul Governo. Nel regime parlamentare esistente in Italia prima del 1922, il diritto di dichiarare la guerra e di fare la pace, ad esempio, non competeva alla Camera, come non le competeva la concessione di amnistia, mentre con la nuova Costituzione probabilmente qualcuna di tali facoltà sarà attribuita piuttosto alla prima Camera che non alla seconda.
Mannironi afferma innanzi tutto che la seconda Camera dovrà essere posta in grado di partecipare in condizione di parità con la prima alla funzione legislativa e a quella di controllo sul Governo. Se così non fosse non vi sarebbe ragione di costituirla.
[...]
Tosato osserva che le questioni in esame sono due: rapporto tra le due Camere e composizione della seconda.
A suo avviso, la seconda Camera dovrebbe essere posta in una posizione di assoluta parità alla prima, sia per quanto riguarda l'esercizio della funzione legislativa, sia per quanto riguarda il potere di controllo sull'azione del Governo. Tra le varie ragioni a favore di una seconda Camera crede che non si debba perderne di vista una fondamentale: cioè, che la seconda Camera si istituisce per attuare un principio — che è ormai generale in tutti i moderni ordinamenti costituzionali — di equilibrio nella organizzazione dello Stato. Si tratta di dividere gli organi dello Stato e di creare fra di loro dei contrappesi al fine che nessun organo abbia tali poteri da poter promuovere forme più o meno larvate di assolutismo. Come c'è stato un assolutismo monarchico, così si potrebbe avere un assolutismo democratico, se tutti i poteri fossero concentrati in un solo organismo. Di qui la necessità di istituire una seconda Camera che abbia i medesimi poteri della prima.
Sono state mosse alcune obiezioni di ordine teorico generale contro l'istituzione di una seconda Camera, tra cui quello assai noto che la volontà popolare è unica e non può trovare espressione che in una sola Camera. Quindi una seconda Camera verrebbe ad esprimere o la volontà della prima — e sarebbe inutile — oppure una volontà diversa — e sarebbe dannosa, in quanto non rifletterebbe esattamente la volontà del paese. A suo avviso occorre essere molto cauti nel fare queste affermazioni. Può darsi, infatti, che la seconda Camera abbia torto nei confronti della prima, come può darsi non solo il caso inverso, ma anche il caso che i torti siano egualmente divisi fra le due Assemblee. Comunque, secondo il suo parare, ciò che più importa è che la Camera esprima, sì, in un certo senso la volontà del popolo, ma non la esprima in modo dogmatico: difatti il popolo, per se stesso, non ha una propria volontà; compie solo un atto di fiducia nei confronti della Camera, la quale appunto deve cercare di interpretarla sinteticamente nel modo migliore.
È questa una delle ragioni per cui si istituisce la seconda Camera.
Naturalmente occorrerà che anch'essa sia un'assemblea rappresentativa, che rispetti il principio della sovranità popolare, che in definitiva direttamente o indirettamente derivi dal popolo. Così sorge il problema della composizione della seconda Camera.
[...]
La Rocca osserva che l'onorevole Tosato ha sollevato una questione di grande importanza quando ha sostenuto la necessità di porre la seconda Camera sul medesimo piano della prima, partendo dal principio — al quale si dichiara nettamente contrario — che bisogna di nuovo tornare alla teoria degli equilibri contrapposti. L'onorevole Tosato ha aggiunto che la struttura dello Stato deve basarsi su un altro principio ormai superato: quello della divisione dei poteri; intendendosi con ciò che ogni organo debba avere un suo proprio potere, in modo che l'uno non possa invadere il campo dell'altro.
Senza addentrarsi in una discussione teorica, osserva che tale teoria ha avuto la sua ragione di essere e il suo compito progressivo in altri tempi, quando si trattava di garantire le libertà politiche e i diritti dei cittadini di fronte all'onnipotenza dello Stato. Ma oggi altra è la situazione: la sorgente della sovranità è nel popolo e quindi l'emanazione del potere proviene dallo stesso popolo. Il potere, così considerato, è unico e trova la sua espressione compiuta nella Camera che è il riflesso della volontà popolare.
Ha già detto altre volte che, a suo avviso, il potere dovrebbe essere concentrato nella Camera dei Deputati, la quale poi dovrebbe esprimere dal suo seno gli incaricati di esercitarlo sotto il suo controllo.
Partendo quindi dalla premessa che la Camera è l'organo supremo della Nazione, bisogna procedere con ogni cautela nell'affermare il principio della parità delle due Camere, principio al quale forse si potrebbe accedere, se la seconda Camera fosse integrazione della prima e anch'essa costituita su base essenzialmente elettiva. Ricorda che alcuni paesi molto avanzati negli ordinamenti democratici non hanno una seconda Camera; in altri, invece, la prima Camera sta a rappresentare gli interessi generali, mentre la seconda, posta sullo stesso piano di diritto, gli interessi reali e concreti di alcuni determinati enti. Il secondo caso si ha negli Stati a carattere plurinazionale; ma l'Italia non si trova in questa situazione e, d'altra parte, sarebbe opportuno giovarsi dell'insegnamento e dell'esperienza del passato, in cui il sistema bicamerale ha dato risultati del tutto negativi e la seconda Camera è diventata troppe volte un centro di reazione e di freno al progresso.
All'onorevole Tosato che attribuisce alla seconda Camera una funzione di freno e di correttivo alla prima, ricorda che l'espressione della volontà popolare non può essere che una ed è inconcepibile che il popolo possa trovarsi in contrasto con se stesso. Ciò però potrebbe accadere — e la sovranità popolare ne avrebbe grave danno — se fosse eletta una seconda Camera per contrastare le decisioni prese dalla prima.
[...]
Circa la questione della parità delle funzioni, osserva che la seconda Camera, in quanto più o meno costituita sulla base della rappresentanza regionale, sostanzialmente sarà l'espressione degli interessi degli enti regionali. Ed è perciò che essa non dovrebbe essere posta su di un piano di parità con la prima, che è l'espressione integrale della volontà della Nazione. Soggiunge che, accogliendo la proposta dell'onorevole Tosato, per cui accanto alla rappresentanza su base regionale dovrebbe aversi nella seconda Camera anche la rappresentanza degli interessi di alcune determinate categorie, si potrebbe avere una prevalenza di questi ultimi interessi su quelli di carattere generale, ed allora la seconda Camera tenderebbe a smorzare, ad attenuare, e forse a distruggere l'opera della prima.
Si dichiara perciò nettamente contrario: innanzi tutto al principio che la seconda Camera debba essere posta su un piede di parità con la prima, e in secondo luogo a che la seconda Camera possa essere composta sulla base della rappresentanza degli interessi di alcune determinate associazioni e categorie. In sostanza, secondo il suo avviso, la seconda Camera dovrebbe essere l'espressione democratica degli organi locali, su base elettiva, e dovrebbe avere soltanto poteri consultivi e integrativi.
Perassi ritiene che la seconda Camera debba avere parità di funzioni con la prima. Per quanto concerne la funzione legislativa, ogni dubbio gli sembra impossibile. Innanzi tutto ricorda che a giustificazione del sistema bicamerale si è riconosciuta la necessità che la legge risulti dalla più ampia valutazione di tutti i possibili interessi da tutelarsi con la legge stessa. Inoltre, dal punto di vista pratico, è indiscutibile che la legge, assoggettata nella sua formazione ad un riesame, riesca sempre migliore, anche se ciò vada a scapito della celerità, la quale non è sempre un vantaggio né per la legge né per il Paese.
Ritiene poi che il riconoscimento della parità nelle funzioni non possa dar luogo a dubbi per quanto riguarda il controllo politico effettuato a mezzo delle interrogazioni e delle interpellanze. Qualche perplessità invece teme si possa nutrire nei riguardi del voto di fiducia al Governo. A suo parere, la parità potrebbe teoricamente affermarsi nella Costituzione, senza escludere nell'attuazione pratica del principio la possibilità di ricorrere a qualche adattamento, come è avvenuto in altri Paesi.
[...]
Bozzi è favorevole al principio della parità delle funzioni, sia per quanto attiene al processo formativo delle leggi, sia per l'intervento nelle questioni politiche ed il controllo sul Governo, soprattutto considerando il problema dal punto di vista dell'equilibrio politico.
Essendosi affermato che il Senato deve avere una base politica e rappresentativa, ne consegue che per questa sua struttura esso non contraddice, ma integra e completa la rappresentanza della prima Camera. In sostanza il Senato viene a rappresentare quelle forze sociali, di cui la Camera, per la sua particolare configurazione di rappresentanza di partiti, non può esprimere in modo autonomo la volontà.
[...]
Conti, Relatore. [...] Desidera poi precisare il netto punto di vista suo e del suo partito in merito ad una questione di principio. È stato più volte sostenuto che, per realizzare la volontà popolare, non ci sia altro modo che quello dell'elezione di una sola Camera. Premesso che i repubblicani storici si considerano e si vantano di essere i bigotti della sovranità popolare, afferma che la pretesa di realizzarla con l'istituzione di una sola Camera viola il principio stesso della sovranità popolare. Una sola Camera si può trasformare facilmente, come è avvenuto in molti paesi, in una oligarchia pericolosissima, mentre solo con l'istituzione di molteplici enti rappresentativi si può realizzare la sovranità popolare. Per questa ragione i repubblicani sostengono che, accanto alla Camera dei Deputati, debba essere istituita una seconda Camera e che entrambe debbano essere integrate da quelle istituzioni regionali con le quali si può creare una vera democrazia. Essi aspirano in sostanza a che sia data vita a tutte quelle istituzioni che veramente derivino dalla volontà popolare e rappresentino gli interessi immediati delle popolazioni. L'idea che si possa trasferire la volontà popolare soltanto in cinque o seicento individui rasenta l'assurdo, poiché questi non potranno mai rappresentare 45 milioni di italiani.
Tosato dichiara di aderire in pieno alle affermazioni dell'onorevole Conti.
Porzio, non essendo intervenuto a precedenti riunioni e sentendo parlare oggi del Senato, desidera esprimere il proprio punto di vista.
Si è votato per il sistema bicamerale, e questo è il punto fermo da cui si deve partire; onde talune osservazioni dell'onorevole La Rocca contro il sistema bicamerale sono ormai superate.
Ricorda di aver preveduto in una precedente riunione che forse si voleva un Senato con poteri e compiti più o meno ristretti; e la discussione su questo punto dovrebbe essere fatta ampiamente, esponendo ciascuno il proprio punto di vista, apertamente, senza sottintesi e senza circonlocuzioni di parole.
Quando si è affermato il principio del sistema bicamerale, il fine che si intendeva perseguire era quello di costituire non già un meccanismo, ma un organismo; e come negli organismi naturali le varie facoltà si integrano, si completano, si rafforzano, lo stesso si desiderava che avvenisse per la due Camere, che insieme costituiranno l'Assemblea Nazionale.
Non parlerà di sistemi parlamentari stranieri perché già altra volta ha detto che, se l'Italia ha subìto una tremenda disfatta, l'intelletto italiano non è stato sconfitto ed è e sarà capace sempre di legiferare originalmente. Potrebbe forse dire in linea polemica all'onorevole La Rocca che, se in Francia fosse stato accolto il sistema unicamerale, certamente non avremmo avuto in Italia la presente adesione pressoché di tutti al sistema bicamerale.
[...]
È d'accordo con l'onorevole Conti. Un maestro diceva che vi era una sorta di teologia politica: la Camera ardimentosa, tumultuante ed impulsiva; il Senato conservatore, severo — l'Assemblea seduta di carducciana memoria — intransigente nel suo rigore. Ma tutto questo non è più. Se la base della rappresentanza nel Senato non sarà più la nomina dall'alto, ma l'elezione attraverso il suffragio universale, ogni prevenzione su un possibile carattere conservatore del Senato sarebbe fuori luogo. Il Senato non potrà essere che la legiferazione meditata, approfondita, riveduta; non potrà essere che il limite ad un potere che sarebbe assoluto e dal quale deriverebbero giudizi, leggi irrevocabili ed irreparabili. È la Corte d'appello. Ciò pare che sia voluto, consapevolmente o inconsapevolmente, da tutti, dal momento che per il deputato si pone come condizione di avere soltanto 25 anni di età, mentre per il senatore si pone quella di averne 40; ossia l'età di una riflessione e di una esperienza più matura. Ma sarebbe una contraddizione in termini richiedere tale maggiore maturità intellettuale da chi dovesse compiere funzioni più ristrette e più limitate.
Vi deve dunque essere parità fra le due Camere.
[...]
Termina esortando i componenti la Sottocommissione a pensare che, specialmente nell'ora che si attraversa, il Paese sarebbe profondamente deluso se nella nuova Carta costituzionale vedesse ridotte le facoltà del Senato, che nella tradizionale coscienza del popolo è stato sempre un istituto che ha conferito autorità e prestigio alla Nazione.
[...]
Il Presidente Terracini data l'importanza dei problemi in discussione, desidera esprimere il suo parere personale.
Dichiara innanzi tutto di essere contrario alla parità di funzioni della seconda Camera rispetto alla prima, perché, mentre questa è senza alcun dubbio espressione genuina della sovranità popolare, l'altra sarà — comunque costituita — espressione di funzioni ed esigenze che con tale sovranità perfettamente non coincidono. L'onorevole Conti, quando ha affermato che la sovranità popolare trova la sua espressione non solo nell'Assemblea Nazionale, ma in qualunque altra Assemblea che sorga nel seno della Nazione, avrebbe dovuto aggiungere: e che si formi senza esclusione di nessun gruppo, sia pure limitato, di cittadini. Condivide l'opinione che quanto più si moltiplicano gli organismi di rappresentanza collettiva e tanto più la democrazia si afferma e la volontà popolare può farsi valere; ma respinge l'idea che questa volontà trovi maggiore espressione in organi periferici, limitati e parziali, anziché nell'Assemblea Nazionale. In questa la sovranità del popolo trova la sua più completa e valida estrinsecazione, mentre ogni altra assemblea locale non può essere che integratrice e subordinata. Se poi le Assemblee regionali dovessero formarsi secondo propone l'onorevole Conti, la loro base elettiva sarebbe senz'altro mutilata, ed uguale pecca avrebbe una seconda Camera che trovasse in esse la sua sorgente: infatti, una rappresentanza di categorie escluderebbe dal quadro immediatamente quasi tutte le donne, in massima parte non partecipi in modo diretto al processo produttivo e pertanto non includibili nei particolari collegi elettorali. Semplici massaie, esse non avrebbero diritto al voto, perché non esiste un sindacato delle massaie; e se, sotto il fascismo esisté un'associazione delle massaie rurali, di fatto essa era l'organizzazione delle contadine, lavoratrici dei campi.
Si è affermato che, così come la dualità delle due Camere, la parità dei loro poteri sarebbe giustificata dall'esigenza di realizzare un equilibrio interno del sistema parlamentare. Ma perché la necessità di tale equilibrio non si avverte rispetto agli altri poteri dello Stato, come, ad esempio, in quello esecutivo? Si potrebbe affermare che l'equilibrio si raggiunge con la presenza, accanto al Capo del Governo, del Capo dello Stato. Ma questo, se una tale funzione di equilibrio esercita, lo fa non nell'interno dell'esecutivo, ma nei rapporti fra i vari poteri, tanto che è proprio con questa giustificazione che si vuole da taluno elevare oltre l'ammissibile la sua autorità. Parimenti, a nessuno verrebbe in mente di chiedere uno sdoppiamento del potere giudiziario allo scopo di equilibrarne il funzionamento. È evidente insomma che, se un equilibrio è necessario nel sistema generale dei poteri, e cioè nei rapporti fra l'uno e l'altro, è illogico rivendicarlo nell'interno di ciascuno di essi.
Passa poi a ricercare quali siano le materie da escludere dalla competenza della seconda Camera. Pensa, ad esempio, che questa non abbia titoli per discutere ed approvare i bilanci. L'esame delle entrate ha costituito storicamente la ragione prima del sorgere dell'Assemblea elettiva, che ha condotto progressivamente all'attuale Camera dei Deputati. Non si comprende come coloro che pensano ad una seconda Camera, formata sulla base della rappresentanza degli interessi, possano volerle poi assegnare il compito di approvazione del bilancio. La imposta è pagata dal cittadino in quanto tale, dal cittadino indifferenziato, e non dal contadino, o dall'industriale, o dal commerciante. Tutti sono tenuti a contribuire alle spese dello Stato, e la prima Camera, eletta col suffragio universale ed eguale, è appunto la Camera di tutti; e lo è essa sola.
Egli sottrarrebbe del pari alla seconda Camera il diritto di interloquire e deliberare in materia di amnistia, perché non vede quale particolare apporto potrebbe arrecare alla valutazione della sua opportunità ed estensione un organo comunque meno pronto della Camera dei deputati ad avvertire il tono e l'orientamento politico del Paese. Si tratta infatti di materia squisitamente politica, perché in genere è la «necessità politica» a suggerire l'amnistia. Ed ancora una volta non può sorprendere il fatto che siano proprio coloro che vogliono dare alla seconda Camera la fisionomia meno politica possibile, quelli che intendono lasciarle invece le facoltà più tipicamente politiche.
Così pure il diritto di inchiesta dovrebbe rimanere attribuito soltanto alla prima Camera, che è l'organo il quale, più direttamente ed immediatamente collegato col paese, meglio ne riflette le emozioni, i turbamenti, le preoccupazioni, il bisogno di essere illuminato su fatti e circostanze che abbiano colpita la pubblica opinione.
Ritiene infine che alla seconda Camera non possa riconoscersi il potere di accordare o negare la fiducia al Governo. Non è forse il caso per questo di richiamarsi alla tradizione del vecchio Senato italiano, cui era negata tale facoltà, in quanto si potrebbe opporre che ciò era dovuto al fatto di essere esso di nomina regia e che perciò, con una seconda Camera divenuta elettiva, il peso della tradizione verrebbe meno. Indipendentemente da altre ragioni già esposte nel corso della discussione, egli pensa che, riservando ad una sola Camera tale potere, si evita il frequente insorgere di conflitti fra le due Camere ogni qual volta l'una accordi e l'altra neghi la fiducia al Governo. Alla seconda Camera resterebbe però sempre il potere di controllo sul Governo da esercitarsi col diritto d'interrogazione e di interpellanza.
Resta a parlare del diritto di guerra e di pace. Al riguardo, egli pensa che ogni decisione dovrebbe essere presa dalle due Camere insieme riunite, e pertanto che tale diritto spetterebbe così alla prima come alla seconda Camera. Si è obiettato che nell'Assemblea Nazionale le due Camere, se fornite l'una di maggiori e l'altra di minori poteri, male potrebbero sedere e provvedere insieme. Ma l'argomentazione è artificiosa. Ciò che importa non è che le due Camere abbiano poteri differenziati quando seggono ciascuna a sé, nell'esercizio delle distinte funzioni; ma che abbiano eguale potere nei confronti di quelle materie che devono affrontare in sede comune e con unico giudizio.
Così elencate le esclusioni, ritiene che le due Camere debbano stare su piede di parità per quanto riguarda il potere di legiferare. La seconda Camera esaminerà e voterà dunque tutte le leggi dello Stato, perché è nella elaborazione di queste che insorge la necessità da tutti asserita che i vari problemi siano visti non solo da un punto di vista generale, ma da tutti i punti di vista particolare, ed in relazione a tutti gli interessi specifici che si manifestino nell'interno del paese.
[...]
Tosato risponde alla domanda postagli dall'onorevole Terracini: perché dovrebbe attuarsi il principio dell'equilibrio solo nel potere legislativo, e non anche, allora, nel potere esecutivo e in quello giudiziario? La risposta gli sembra molto semplice. Bisogna tener presente che il potere esecutivo ed il potere giudiziario (che poi risultano da un complesso numeroso di organi fra i quali l'attività esecutiva e l'attività giurisdizionale sono suddivise) non sono poteri sovrani. Sia l'uno che l'altro, sia pure in misura e sotto aspetti diversi, sono vincolati dalle leggi poste dal potere legislativo. Questo invece si pone nell'organizzazione dello Stato come organo sovrano ed è proprio rispetto all'organo sovrano che si appalesa la necessità di un equilibrio, che si attua appunto attraverso il bicameralismo. Per la stessa ragione che, posto il principio della sovranità popolare, non si vuole che la sovranità stessa sia concentrata in una sola persona fisica, così si ritiene opportuno e necessario che il Parlamento, anziché da una sola, sia composto da due Camere, per evitare appunto eventuali abusi ed attuare quindi l'equilibrio.
A cura di Fabrizio Calzaretti