[Il 3 maggio 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Colitto. [...] Cooperazione. — Circa la cooperazione osservo che l'articolo 42 è redatto in guisa che non sembrami che possa essere approvato. Bisogna chiarire che cosa è la cooperazione e riconoscere, poi, che si deve incrementare l'impresa cooperativa, non la funzione sociale della cooperazione, la quale resta quella che è e per la quale penso di sottolineare qui solo questo: che essa è funzione economica, in quanto ha lo scopo di aumentare la capacità d'acquisto e di consumo dei soci, ed anche funzione sociale, in quanto porta l'individuo a sentire la superiorità del lavoro associato e, quindi, a uscire dal chiuso cerchio del suo egoismo per considerarsi membro della famiglia cooperativa, dando e ricevendo aiuto nell'opera di realizzazione dello scopo comune. Io ho proposto un articolo così redatto: «È promossa ed agevolata l'impresa cooperativa di lavoratori e consumatori, che si associano, su basi di mutualità, per provvedere alla tutela dei propri interessi o per scopi di utilità generale».
[...]
Dominedò. [...] E, poiché il tempo urge, mi limito a toccare ancora un solo punto del progetto. Dopo aver tentato di porre in evidenza il significato della norma che è destinata a costituire una chiave del sistema, conciliando le esigenze della pluralità dei sindacati con quelle del loro coordinamento unitario, attraverso una formula che potrebbe esprimersi sinteticamente come quella della «libertà nell'unità», sento il dovere di integrare il quadro sul piano del lavoro associato o consorziato. Siamo così al fenomeno del cooperativismo in genere, e del cooperativismo di lavoro e di produzione in specie.
Il tema della cooperazione merita un accenno particolare dopo il tema del lavoro, perché fra le due materie vi è una euritmia, una consonanza di problemi e di valutazioni. E ciò nel senso che appare giusta e rispondente a quella esigenza di evoluzione sociale che la Costituzione intende affermare, la circostanza che, dopo aver riconosciuto i diritti del lavoro individuale, si dedichi per la prima volta un'apposita norma per la disciplina del lavoro associato in forma di cooperazione.
Concepiamo qui la cooperazione, nei suoi vari aspetti di società di scambio produzione e credito, come una impresa la quale è degna di particolare menzione, perché idonea a inserirsi, quasi come tertium genus, tra le due essenziali forme di imprese, delle quali parlavo a proposito del diritto di libera iniziativa: e cioè la tradizionale impresa individuale da un lato, e l'impresa socializzata dall'altro.
Fra l'impresa individuale e l'impresa socializzata merita considerazione autonoma, ed ha veramente titolo di cittadinanza per entrare nel corpo della nostra Costituzione, questa terza categoria che è l'impresa cooperativa, la quale esige una definizione propria, precisamente perché si distingue dalla prima e dalla seconda, pur avendo caratteri e dell'una e dell'altra. L'impresa cooperativa ha dell'impresa individuale il fatto della libera sua costituzione, attraverso la volontà dei cooperatori che spontaneamente si stringono in forme associative o consortili: è quindi sempre la libera iniziativa dei compartecipi l'elemento che sta alla base della formazione di questa terza ipotesi di impresa.
In ciò l'impresa cooperativa si ricollega a quella individuale, cogliendo il fermento che c'è nell'elemento uomo e nella iniziativa che a lui fa capo. Ma ritorna, ad un tempo, come un leit motiv, il concetto da cui prendemmo le mosse: trarre quanto c'è di vitale e dalla individualità e dalla socialità. L'impresa cooperativistica sugge il lievito che nasce dalla possibilità di una spontanea iniziativa, di una libera manifestazione di volontà dei cooperatori: ma insieme capta quanto vi è di fecondo nella possibilità di una gestione comune, facendo sì che ai liberi consociati, strettisi nella famiglia della cooperazione, sia dato di realizzare una forma nuova di impresa la quale, secondo i principî della mutualità, serva in definitiva a far defluire i frutti del lavoro nell'interesse degli stessi partecipi. È così che i cooperatori, sovrapponendosi all'intermediario, sia egli commerciante agricoltore industriale o banchiere, riescono a creare nuove comunità di lavoratori od utenti, fondate sulla solidarietà della vita associata. Si realizzano quasi forme di socializzazione privata ovvero, per ricordare Proudhon, gli aspetti più utili di un collettivismo nascente dal contratto e non dalla legge.
È sotto questi aspetti che la cooperazione costituisce una via di superamento dell'impresa capitalistica, per l'eliminazione dell'intermediario cui essa tende dal punto di vista economico, e per il principio di trasformazione della struttura sociale che essa determina attraverso l'incontro delle classi e la fusione delle categorie. Ma la forza dell'idea sta soprattutto nel lievito di affratellamento degli umili, dei cooperatori e dei partecipi, i quali, stretti in unica famiglia, mirante ad unica finalità, sentono accentuato il vincolo di solidarietà che sta alla base della redenzione del lavoro e della elevazione umana. (Approvazioni).
Io credo pertanto doveroso sottolineare all'Assemblea l'importanza di una norma con la quale per la prima volta si sancisce la nuova forma di impresa e se ne riconosce la funzione sociale, dandole pieno diritto di cittadinanza nel corpo della Costituzione.
Un solo rilievo forse è ancora conveniente fare. Ed è questo: che, se a un tale riconoscimento si vuole che facciano seguito tutti i possibili benefici effetti, è opportuno che la Costituzione, nel consacrare la socialità della cooperazione e nel ripromettersi di favorirne l'incremento, non pensi ad un tempo a frapporvi ostacoli o pastoie, quali potrebbero essere quelli nascenti da una preordinata vigilanza di Stato o da un precostituito intervento pubblico. Bisogna denunciare il pericolo dello statalismo gravante su queste formazioni, le quali, pur offrendo i vantaggi della gestione comune, hanno sempre per base e presupposto la libera iniziativa individuale. Bisogna tener fermo che queste formazioni tanto più saranno feconde, tanto meglio risponderanno all'interesse così dei cooperatori come della collettività, per quanto più esse poggeranno sulla selezione sicura e ferrea che nasce dalla bontà intrinseca dell'impresa stessa. Questa, se pure prudentemente sorretta sul nascere, dovrà essenzialmente vivere di vita propria, poiché l'impresa parassitaria, l'impresa simulata o fraudolenta, non debbono essere oltre tollerabili, e lo stesso giuoco della libera concorrenza servirà ad eliminare compagini che della cooperazione potrebbero avere il nome, ma non lo spirito.
Il problema dei controlli deve quindi passare impregiudicato dalla sede costituzionale in quella legislativa. Probabilmente si tratterà allora di contemplare vari controlli di legalità, formale e sostanziale, procedendo prudentemente sul terreno dei controlli di merito, da affidare con maggior vantaggio alle associazioni di cooperatori riconosciute dalla legge piuttosto che allo Stato. In tal modo, entrerà in giuoco un motivo individuale in concorso con quello collettivo, essendovi la possibilità di configurare, in analogia al settore sindacale, un'associazione nata dalla libera cooperazione e pur idonea ad assumere la rappresentanza legale della categoria. Vi sono esempi di diritto comparato, per cui i controlli nel settore cooperativo finiscono per essere affidati alla stessa associazione giuridicamente organizzata ad esprimere la libera cooperazione del paese. E con questo richiamo al principio di autogoverno delle categorie, che costituisce l'anima della democrazia economica, posso raccogliere le vele.
A cura di Fabrizio Calzaretti