[Il 15 ottobre 1946, nella seduta pomeridiana, la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione sul controllo sociale dell'attività economica.
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 41 per il testo completo della seduta.]
Fanfani, Relatore. [...] Pensa, per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza, che possa essere un mezzo straordinario di riforma sociale quello di far sì che, in occasione del trasferimento di ricchezza a titolo ereditario, si stabilisca una limitazione alla facoltà di testare. Una prima quota della ricchezza andrebbe al bilancio dello Stato — e questo già avviene — una seconda quota di ricchezza resterebbe libera, a disposizione del testatore per i suoi familiari (e qui si può graduare a seconda del numero e dell'età dei familiari). Una terza quota, di cui la disponibilità è lasciata anche al testatore — per incoraggiare il risparmio ed il sacrificio che ha preparato l'eredità — destinata non ad usi individuali, bensì ad usi sociali. Il testatore avrebbe facoltà di distribuire questa ricchezza a favore di opere pubbliche, o di associazioni, o di istituzioni di solidarietà sociale, stabilite dai competenti organi.
La distribuzione sarebbe già prevista entro un certo limite, cosicché chi ne beneficia sarebbe anche la società. Se la società fosse bene organizzata, effettivamente tutta quanta la ricchezza si dovrebbe distribuire in funzione delle capacità, dei meriti e delle necessità. Che una grande quantità di ricchezza si accumuli nelle mani di un individuo può derivare da colpi di fortuna o da speciali virtù risparmiatorie, ma può pensarsi che possa derivare anche da altre ragioni. Si potrebbe stabilire anche che la terza quota, destinata alle opere pubbliche, possa essere destinata ai collaboratori nel campo del lavoro, perché, evidentemente, se in trenta o quarant'anni un individuo ha potuto accumulare una grande ricchezza, in questa destinazione si avrebbe una forma di restituzione ai lavoratori, ai quali questa ricchezza sarebbe stata sottratta.
Non è questo un ritorno al Medio Evo, ma il riconoscimento di un certo spirito correttivo, perché c'è nell'umanità questo tentativo di correggere ogni tanto le deviazioni. Se non si riesce a correggere prima determinate forme della società, si deve arrivare ad un correttivo in seguito.
Infine, limiti speciali di acquisto di beni, specialmente strumentali (terra, impianti), riservati generalmente, entro certi limiti, a tutti, ed oltre certi limiti, al dominio delle collettività minori (comunità professionali, municipio) e maggiori (regioni, Stato).
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Nella relazione ha formulato il seguente articolo che oggi gli pare difettoso soprattutto per ragioni tecniche.
«L'attività economica privata e pubblica è diretta a provvedere ogni cittadino dei beni utili al suo benessere ed alla piena espansione della sua personalità. A tal fine la Repubblica ammette e protegge l'iniziativa privata, armonizzandone gli sviluppi in senso sociale, oltre che con le varie disposizioni generali a protezione del diritto alla vita ed all'espansione della persona, mediante: partecipazione dei lavoratori (ed ove del caso degli utenti) alla gestione, alla proprietà, agli utili delle imprese; la tipizzazione contabile e la pubblica revisione aziendale; l'azione generale di appositi consigli economici in seno agli organi rappresentativi regionali e alla seconda Camera; il prelievo fiscale; la limitazione all'acquisto e al trasferimento della proprietà, la socializzazione delle imprese non gestibili dai privati con comune vantaggio».
Riconosce che la materia di questo articolo si trova già distribuita in parecchi degli articoli precedentemente discussi, sicché probabilmente, in sede di coordinamento, se ne potrebbe fare a meno, salvo a lasciare la parte teorica, in cui si enuncia la necessità di questo controllo ed il dovere per lo Stato di provvedervi nelle forme migliori.
Ad ogni modo, dalla discussione potranno derivare formulazioni che siano, se non nella sostanza, diverse nella forma.
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Pesenti ha ascoltato con interesse la relazione dell'onorevole Fanfani, ma si chiede a quali conclusioni avrebbe portato questa discussione sulle possibilità di un controllo democratico della produzione. Chiede se il controllo della produzione può avvenire soltanto con un sistema socialista, che tolga cioè la possibilità di investimento ai privati, o con il sistema nel quale noi viviamo, e se può essere un controllo democratico o un controllo autoritario. A suo avviso il nocciolo della tesi del Fanfani è proprio che la produzione non è fine a se stessa, ma serve per la comunità. È questo un punto fondamentale. Poi vi è l'altro che, appunto, la comunità deve controllare perché questi fini siano raggiunti. Questo principio fondamentale è bene che sia affermato nella Carta costituzionale, e potrebbe trovar posto dove si afferma il carattere sociale della proprietà.
Propone che in quella sede si dica: «La produzione (o l'attività economica) deve essere indirizzata a fini sociali e la comunità deve controllare che questi fini siano raggiunti».
A cura di Fabrizio Calzaretti