[Il 19 aprile 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali».
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Nitti. [...] «La famiglia, dunque, secondo il progetto di Costituzione, è una società «naturale»: la Repubblica ne riconosce i diritti e ne assume la tutela per l'adempimento della sua missione e per la salvezza morale e la prosperità della nazione». Anche prima che questi sacri principî in questa occasione fossero formulati, la famiglia viveva nello Stato, e viveva senza che esistesse questa formula solenne di riconoscimento, senza che si dichiarasse che aveva una missione. La famiglia fino ad ora aveva la sua vita non troppo diversa da quella attuale.
Il Codice civile regolava i rapporti familiari e tutto questo si faceva senza solennità. Adesso il matrimonio viene riconosciuto come se fosse un fatto nuovo, ed «è basato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi».
«La legge ne regola la condizione a fine di garantire l'indissolubilità del matrimonio e l'unità della famiglia». Qui una serie di questioni daranno luogo a lunghe controversie. Noi modifichiamo non solo ciò che esiste, ma determiniamo nella Costituzione ciò che è materia di leggi ed è contenuto in generale nei Codici. Vi è qui tutta una serie nuova di disposizioni che vietano il divorzio, stabiliscono l'eguaglianza della donna e dell'uomo. Io non sono mai stato per l'Italia tra i sostenitori del divorzio. Ma si può in una Costituzione vietarlo? E quale paese serio ha fatto cosa simile? Eguaglianza della donna e dell'uomo non so bene che cosa significhi, date anche le disposizioni sui figli illegittimi. Non vi nego che mi sono domandato: fin'ora le donne prendevano il nome dell'uomo; adesso, data l'uguaglianza, chi dà il nome alla famiglia? È un ragionamento, mi pare, puerile, ma data l'eguaglianza che il diritto vuole riconoscere (finiremo con l'introdurre anche qui la proporzionale per i membri della famiglia) io non so questa cosa come sarà regolata alla fine.
[...]
Delli Castelli Filomena. Dopo il discorso dell'onorevole Nitti, tocca a me riportarvi sulla retta via della discussione sul progetto di Costituzione col mio intervento, e di parlare soprattutto sull'articolo 23. All'onorevole Nitti che diceva non essere veramente necessario inserire nella Carta costituzionale la formulazione di principî, io oso rispondere che quando il codificatore di leggi dovrà pur procedere alle sue enunciazioni legislative, non deve lasciarsi trasportare da una sua libertà di pensiero e di concezione, ma deve pure riportarsi sempre ad una determinata affermazione di principî.
Affronto l'articolo 23 che contiene, in nuce, tutta l'essenza morale, intrinseca dell'istituto familiare, la sua posizione giuridica nei confronti dello Stato, l'opera assistenziale protettiva che questo intende svolgere per assicurare alla famiglia vita e prosperità. È stato facile rilevare, attraverso la lettura dei resoconti della prima Sottocommissione, che durante la discussione si erano formati due gruppi fra i relatori: uno di essi tendente all'applicazione precisa dei principî; l'altro, di cui, mi pare, faceva parte l'onorevole Basso, che sosteneva essere la nostra una pura affermazione ideologica di parte che non doveva assolutamente trovare posto nella Carta costituzionale. Il fatto che la definizione: «La famiglia è una società naturale» (diritto originario), per cui essa, quale società, presenta evidenti caratteri di stabilità e di funzionalità umana, con possibilità evidenti di inserirsi nel corpo sociale, urta veramente chi teme limitazioni allo Stato, che in tal caso deve riconoscere una realtà autonoma da cui è indubitabile che esso prenda le mosse, anche se poi, a sua volta, la influenza. Lo Stato, che non vuole limiti per agire in modo totale, disponendo e preordinando per un fine suo proprio le attività e la libertà dell'uomo.
All'onorevole Cevolotto poi è toccato fare sempre la parte dell'avvocato del diavolo, parte importante, direi necessaria. Egli si è preoccupato che l'estensione oltre l'individuo dell'esistenza di diritti fondamentali possa nuocere al regolare ordinamento della società. Eppure mi sembra che, dando anche uno sguardo rapido alla storia e all'evoluzione dell'istituto familiare, non ci sia da avere alcun dubbio circa l'esistenza del diritto originario familiare, che possiamo anche (tralascio di risalire alle fonti bibliche) veder attestato in quasi tutte le esposizioni di studiosi su tale materia sia italiani che stranieri.
Non sfugge certamente agli illustri colleghi, esperti e validissimi nella storia del giure, che tutti gli storici della famiglia fanno risalire, per esempio, l'originarietà al complesso patriarcale, prima costituzione familiare definita che conosciamo. Se l'onorevole Basso chiama l'articolo 23 definitorio, l'onorevole Cevolotto lo dichiara addirittura pericoloso. Aggiungiamo noi: pericoloso sì, ma per chi? Per lo Stato che vuol praticare la teoria dei cosiddetti diritti riflessi e farsi candidato lui e solo lui alla emanazione di tutte quelle norme che debbono regolare gli uomini come automi e ingranaggi della grande macchina statale, che schiaccia e annulla ogni possibile individualità? Ma mi permetto di osservare che la formulazione: «La Repubblica ne riconosce i diritti e ne assume la tutela per l'adempimento della sua missione per la salvezza morale e la prosperità della nazione», è motivo di preoccupazione ad onorevoli colleghi; chissà cosa essi minaccerebbero se io mi permettessi di aggiungere che proprio la famiglia potrebbe essere nella nuova Carta costituzionale definita fattore preminente della saldezza morale e della prosperità nazionale, come si scandalizzerebbero se, per esempio, formulassi tutte le mie riserve su quel «ne assume la tutela, ecc.», espressione vaga che ingenera certamente perplessità per il senso di grave minorazione che essa implica e per certi pericoli in cui l'istituto tutelato può incorrere.
Infatti si è rilevato che colleghi di parte democristiana avevano sostituito alla definizione «ne tutela», «la difende»; scaturisce dunque l'osservazione che, allentatisi i saldi vincoli morali della famiglia, unità patriarcale, focolare domestico di pace e di lavoro, oasi di tranquillità, essa possa produrre del nocumento grave al vivere civile e sociale e lo Stato, sempre lo Stato onnipresente, la possa tutelare, raddrizzando ciò che di storto si è venuto a creare in essa. In che modo? Con quali mezzi? Forse con quelle assicurazioni delle condizioni economiche necessarie alla sua formazione? Forse col divorzio? No. Lo Stato credo si sbagli. Io vedo non nella tutela o nel divorzio un rimedio efficace. Ma nella lotta che veramente uno Stato consapevole, cosciente, democratico — teniamo poi conto che nel nostro caso si tratta dello Stato italiano, di un popolo cioè che conserva ancora le tradizioni ed è molto geloso del culto della famiglia — deve condurre contro tutti gli elementi che debilitano l'istituto familiare, e nel potenziamento di tutti quegli elementi positivi che lo rafforzano. Direi che l'opera dello Stato dovrebbe essere di profilassi e non di intervento diretto: prevenire; e ciò sarebbe certamente una grande meta della moderna evoluzione sociale, pur rimanendo nella più sostanziale tradizione.
Oggi che nell'Italia e nell'Europa si mette alla più dura prova il sistema democratico, io credo che solo riconcentrando sulla entità familiare tutta la speranza di formare l'uomo, il quale, come scrive Julien Benda, «può chiamarsi tale quando ha saputo formare in sé il concetto e il diritto dell'uomo, e intende rispettarlo negli altri», si può superare la prova, specie nel nostro Paese, e gettare rinnovate basi di pace e concordia nel lavoro e nella prosperità sociale. Tale uomo, così definito, così libero e così formato, solo la famiglia ce lo può donare, e solo a lei noi possiamo riconoscere pienamente questo diritto e libertà di esercitarlo nella educazione dei figli. Ma, se democratici veramente vogliamo essere, come potremo ancora noi ammettere quello stato di tutele, di protezioni indefinite, che porta in sé certamente germi di corruzione e di avventure politiche?
È vero che il dinamismo della civiltà industriale moderna porta ad esteriorizzare tutto quanto è possibile della nostra vita. E l'istituto familiare è il complesso sociale che risente di più di questo stato di cose.
Le Costituzioni moderne non fanno che prendere atto di questa realtà; solo in alcune troviamo accenni e formulazioni per la tutela — e qui veramente va bene il sostantivo — del piccolo e pur grande mondo spirituale racchiuso nella cellula familiare. La Costituzione jugoslava, per esempio, nell'articolo 26 si preoccupa subito che «il matrimonio e la famiglia sono sotto la protezione dello Stato» e le sue leggi lo regolano giuridicamente; permette — dico permette — che si possano concludere anche matrimoni religiosi; regola la posizione dei figli illegittimi, ecc. Seguono poi le leggi sulla protezione della salute, l'assistenza, la ricreazione, l'assicurazione, ecc.
Il progetto di Costituzione del partito comunista francese, schematico e breve, nell'articolo 4, ultimo comma, pone il problema della famiglia — il sostantivo veramente non vi è usato — solo dicendo che «la legge assicura la protezione della madre e dell'infanzia. Tutti i cittadini e tutte le cittadine hanno uguali diritti, ecc.». La Costituzione francese nell'articolo 24 ha la formula: «La Nazione garantisce alla famiglia le condizioni necessarie al suo libero sviluppo. La Nazione protegge ugualmente tutte le madri e tutti i bambini a mezzo di una legislazione e di istituzioni sociali appropriate».
Tutto ciò forse si crede sia possibile, quando noi sappiamo che le condizioni necessarie al libero sviluppo della famiglia altro non possono essere che pace, progresso civile nell'ordine, l'assoluta libertà di educazione, di pensiero, di parola e di culto?
Abbiamo poi, per esempio, la Costituzione russa, la quale nell'articolo 122 afferma che «alle donne sono accordati nella U.R.S.S. diritti uguali a quelli degli uomini, in tutti i campi della vita economica, statale, culturale, politica e sociale». La possibilità di esercitare questi diritti è assicurata alle donne accordando loro lo stesso diritto degli uomini al lavoro, al pagamento del lavoro, al riposo, all'assicurazione sociale e all'istruzione, provvedendo alla tutela, da parte dello Stato, degli interessi della madre e del bambino, accordando alle donne un congedo di maternità, nidi e giardini di infanzia.
Potremmo dare uno sguardo, ad esempio, alla nuova Costituzione giapponese, all'articolo 22 della quale è detto che il matrimonio sarà basato sul consenso reciproco di entrambi i sessi e sarà mantenuto attraverso la collaborazione reciproca sulla base di uguali diritti per il marito e per la moglie.
È pur vero che in tutte queste Costituzioni viene ammesso il divorzio: però io vorrei domandare semplicemente, senza entrare nel merito giuridico, quale di queste nazioni menzionate, all'infuori della Francia, hanno veramente avuto, durante lo svolgimento della loro vita e della storia, una concezione della famiglia così come l'ha l'Italia.
Io vorrei dire che non è mai stato affrontato in pieno da noi, in Italia, questo problema veramente interessante: educare, cioè istradare, illuminare i giovani nella loro vita prematrimoniale. È una cosa difficoltosa, lo so, per diversi e molteplici aspetti. In Italia il problema dovrebbe essere studiato con profondità di amore e profondità di scienza.
Noi sappiamo che stanno facendo progressi di tal genere l'educazione in America e in Isvizzera, che si stanno già preoccupando di istruire, educare i giovani in preparazione della loro missione di genitori: ma in Italia non può non essere ancora appannaggio, diritto e dovere della famiglia educare anche in tal senso la prole.
Qui risiede, secondo me, la sostanza del problema. Data la nostra situazione, dato che su di noi incombono altre ben gravi cose, oggi la famiglia viene ad essere depauperata della sua linfa vitale, perché la nostra vita si esteriorizza sempre più.
D'altra parte, non è possibile pensare che, specialmente tenendo conto di certe parti evolute, di certe regioni evolute, che le mamme che sono occupate oggi nella fabbrica e nell'industria, e che quindi non hanno tanto tempo da rimanere a casa e che, anche quando stanno a casa, hanno il diritto anche loro di godere di un meritato riposo, si possono preoccupare di quella che è la maturità, l'evoluzione dell'adolescenza che si avvia attraverso studi fisici e spirituali alla giovinezza e s'inserirà poi nella vita sociale e politica.
Noi dobbiamo pensare anche ad una cosa, che, nella nostra Patria, non tutti i giovani di tutta l'Italia vivono sul piano di attivismo e dinamismo sociale. E penso che, anche sotto questo punto di vista, lo sviluppo della psicologia soprattutto debba perseguirsi.
Il voler dare la possibilità del divorzio significherebbe per noi incorrere certamente in una forma di demagogia, poiché proprio come demagogia politica esso fa presa sulle masse ignoranti e lontane dal criticare e dal porsi delicatissime questioni di politica; così, la maggioranza degli uomini e delle donne in Italia, con quella leggerezza di cui l'onorevole Nitti si faceva eco, trattando altri problemi che a questo si accostano, potrebbero vedere, accettare, la legge del divorzio.
Il divorzio è una cosa complessa, e certo non è una cosa così facile da affrontarsi e risolversi, né credo si illuminino in Assemblea certi punti salienti della questione.
Noi sappiamo che, quando è avvenuta questa, diciamo, evoluzione, di volersi togliere dai legami imperativi del matrimonio, non c'è altra legge che quella di Condorcet: considerare, cioè, il matrimonio come un contratto civile.
Lo sconquasso della guerra — l'ha ricordato la collega Spano — ha influito su tutto il mondo e le pagine che io ho letto di sopravvissuti ai campi di concentramento in Germania ed altrove dicono che l'ansia, il dolore, la nostalgia, soprattutto della famiglia, era quella che prendeva più l'anima dei derelitti segnati col numero e destinati, nella forma di collettivismo coatto, al progressivo annientamento.
I nazi tedeschi, liberi dai cosiddetti preconcetti vincolativi della religione cattolica, non potevano né indulgere, né comprendere il dolore per la famiglia, il più cocente e il più pressante, dei poveri disgraziati di Auschwitz o di Dachau, perché essi, nazi, erano freddi e liberi dai vincoli stessi del matrimonio religioso.
Nel franamento di tutti gli istituti statali, in Italia, durante l'occupazione, la famiglia finalmente riassume in pieno la sua funzione di vero istituto sociale; è nella famiglia che noi vediamo ricollegarsi i dispersi; è nella famiglia l'animazione per i dubbiosi, il ricovero per i prigionieri fuggitivi, la cospirazione per la liberazione.
Gli Stati, nella loro evoluzione, sorgono, crollano, mutano. La famiglia per noi è la piccola fortezza di libertà che rimane.
E, onorevoli colleghi, se riconosciamo non esservi oggi adeguati mezzi materiali per ovviare a tutti gli inconvenienti e ai pericoli della immaturità, della impreparazione, della diffidenza dei giovani verso il matrimonio, non possiamo noi votare per il divorzio. È la maggiore calamità per la famiglia italiana e se noi comprendiamo tutti gli stati angosciosi dei reduci tornati e delusi di ritrovare le loro compagne nelle case di altri o che hanno formato altre case, dei malati, dei tubercolotici, dei carcerati, noi pensiamo che la maggioranza degli italiani deve essere tutelata con l'indispensabilità riconosciuta del matrimonio sacramentale.
Sinceramente non possiamo non comprendere quella che è la posizione morale e spirituale di questi disgraziati che, nella loro prigionia, che nei loro campi di concentramento, che nella guerra hanno voluto ricongiungersi alle più care cose della Patria attraverso il sentimento familiare.
Ma certo io devo concludere, perché altri colleghi più degnamente e con maggiore competenza giuridica e maggiore esperienza dibatteranno la questione, io devo sinceramente concludere, augurandomi che il nuovo Stato democratico italiano, nei confronti della famiglia, svolga la sua politica in armonia con la tradizione sociale morale e giuridica che è insita nel popolo stesso d'Italia. (Applausi — Congratulazioni).
A cura di Fabrizio Calzaretti