[Il 20 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale delle «Disposizioni generali» del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Ruggiero. [...] Noi diciamo: queste confessioni religiose, diverse dalla cattolica, esistono, hanno una storia, hanno una tradizione; sono un fatto. Ed allora, perché non debbono essere regolate per la tutela dei loro diritti in questa sede, dove viene regolato il rapporto fra Chiesa e Stato? Quindi, vedete che l'ambiguità è palese ed evidente. Perché prendere in considerazione l'organizzazione e non l'ente, perché l'attività e non il fatto? C'è una obiezione che si può fare ed è quella che esiste l'articolo 14 del progetto, il quale consacra il principio della libertà religiosa nei confronti delle altre confessioni, così come nei confronti della confessione cattolica.
Dice l'articolo 14: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individuale o associata, di farne propaganda, ecc.». Quella frase «forma individuale o associata» starebbe ad indicare, secondo una certa interpretazione, che qui possono anche le altre confessioni esercitare liberamente il loro culto, perché nell'articolo 14 è detto che tutti possono esercitare la propria fede anche in forma associata.
Sennonché, questa fu una specie di piccola transazione a cui si dovette addivenire da parte del Presidente onorevole Tupini nei confronti delle richieste reiterate e infaticabili dell'onorevole Cevolotto. Intervenne però nella discussione anche l'onorevole Togliatti per fare un'osservazione, secondo me, molto esatta. Egli disse che questa è una norma che può garantire il diritto di esercitare da parte di chiunque quella che è la libertà religiosa e di culto; però, diceva l'onorevole Togliatti, che non vedeva la ragione per cui si dovesse parlare di «tutti» e non di organizzazioni precise. È una piccola sfumatura, se vogliamo, aggiungeva l'onorevole Togliatti. Per me, onorevoli colleghi, è una cosa importante. E ne dico la ragione.
Voi vedete che, mentre si chiede il riconoscimento e la tutela dei diritti di compagini e di istituti, che sono le confessioni religiose concrete, si risponde all'istanza con l'espressione «tutti». Qui la norma diventa astratta nella sua latitudine, e può non avere un destinatario preciso. Quindi c'è un'ambiguità.
E siccome noi abbiamo dimostrato un amore veramente spartano per la brevità della Costituzione, diciamo: «Per quale motivo non vogliamo ricordarci di questo amore spartano ed inserire nella Costituzione — ove si parla delle confessioni religiose — una formula molto breve, ma che ha il merito di essere molto chiara, cioè: tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge?».
Si potrebbe così, onorevoli colleghi, forse, conciliare anche l'articolo 14 con l'articolo 5. Comunque, io non presento emendamenti; a me preme solamente di far presente la necessità di una norma nitida, netta, precisa, categorica, la quale esprima in maniera inconfutabile che esiste un diritto, da parte di tutte le confessioni religiose, ad esercitare il diritto della propria fede.
[...]
Rodinò Mario. [...] Onorevoli colleghi, è inoppugnabile che in regime di vera democrazia tutto va disposto in riconoscimento e conformità del sentimento e dell'interesse della maggioranza del popolo.
Ora, se vi è un principio veramente popolare in Italia, se esiste in Italia un sentimento realmente comune e realmente diffuso nelle categorie e nelle masse, questo sentimento è quello della fede cattolica.
Questa indiscutibile verità dovrebbe, a mio parere, essere affermata all'inizio dell'articolo 5, perché è il riconoscimento di questo stato di fatto che dà sostanza, ragione e giustifica a tutto l'articolo.
Pertanto, anche qui, d'accordo con il collega e amico Coppa, ho presentato il seguente emendamento:
«Far precedere alla dizione dell'articolo 5 come riportata nel testo del progetto la seguente dichiarazione: «La religione cattolica è la religione professata dalla enorme maggioranza del popolo italiano».
Un emendamento del genere dovrebbe essere accettato, se si pensa che, in luogo della semplice affermazione storica proposta, lo Statuto Albertino, compilato in periodo di intense correnti ed attività anticlericali, e quando ancora le masse cattoliche non partecipavano ufficialmente alla vita pubblica italiana, riconosceva tale verità con una asserzione molto più esplicita e molto più impegnativa.
Un emendamento del genere dovrebbe venire approvato come espressione della gratitudine che non può [non] legare il popolo italiano al Sommo Pontefice ed alla Chiesa cattolica, che tanti ulteriori dolori e lutti hanno risparmiato, all'Italia in genere ed a Roma in ispecie, tutti, nell'ora del pericolo, accomunando e tutti sorreggendo senza distinzione di fede e di parte, nobili interpreti di quel comando divino che in ogni umano ci addita un fratello.
Un emendamento del genere dovrebbe senz'altro essere approvato, in omaggio a quello spirito del 2 giugno a cui dianzi ho fatto richiamo, in quanto che uomini e partiti vorranno ricordare di aver tutti, nella propaganda elettorale, ostentato e garantito al popolo ossequio e riconoscimento per la sua Chiesa e per la sua fede. Oggi è giunta l'ora di provare la sincerità delle loro promesse.
Dalla dichiarazione, oggetto dell'emendamento proposto, dovrebbe, a mio parere, anche scaturire una migliore impostazione dell'articolo 14, per il quale l'affermata e legittima libertà di culto e di propaganda, riconosciuta ad ogni fede religiosa, dovrebbe trovare un limite non solo, come già stabilito, nelle esigenze dell'ordine pubblico e del buon costume, ma anche nella opportunità di evitare manifestazioni offensive per la religione cattolica e, di conseguenza, per la enorme maggioranza dei cittadini.
A cura di Fabrizio Calzaretti