[Il 20 settembre 1946, la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione discute l'articolo 7 della proposta dei relatori La Pira e Basso.]
Il Presidente Tupini dà lettura dell'articolo 7 nel testo proposto dai Relatori:
«Ogni cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in ogni parte del territorio, salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità o di ordine pubblico.
«Il diritto di emigrare, salvo gli obblighi di legge, è garantito».
Fa rilevare che la prima parte del presente articolo è tratta dall'articolo 4 della relazione presentata a suo tempo dall'onorevole Basso. Il primo e l'ultimo capoverso dell'articolo in esame sono presi dall'ultimo capoverso dell'articolo 13 della relazione La Pira.
Pone in discussione il primo comma dell'articolo 7.
Marchesi propone che si aggiunga alla parola «territorio» l'altra «nazionale». Non si sa quali saranno le sorti o i limiti di attuazione del principio di autonomia regionale oggi tanto invocato. E quindi bisogna comunque, fin da questo momento, affermare che nessun limite di spazio sul territorio nazionale può essere posto alla libera circolazione dei cittadini.
Grassi dichiara di preferire la dizione: «territorio dello Stato».
Mastrojanni, poiché in questa prima parte dell'articolo 7 si usa due volte a brevissima distanza, la parola «ogni», propone che invece di «ogni cittadino» si dica «chiunque».
Moro è del parere di dire semplicemente: «cittadino».
Mastrojanni propone che, lasciando «ogni cittadino», si dica poi «in qualunque parte» invece di «in ogni parte».
Marchesi fa osservare che la specificazione «ogni» è necessaria per la parte del territorio, ma non per il cittadino. Quindi si può dire senz'altro: «il cittadino».
Mancini propone che si dica: «in ogni parte del territorio della Repubblica». Una volta si diceva: «territorio del Regno»; trova perciò opportuno che ora si dica «territorio della Repubblica». Questa Repubblica è stata ed è la nostra passione e non incidente qualsiasi nell'evolversi di una Nazione.
Mastrojanni osserva che, se si dice «territorio dello Stato», la espressione è più ampia e comprensiva.
Grassi osserva che il territorio è uno dei tre elementi costitutivi dello Stato. Quando si parla di territorio, non si può che riferirsi al territorio dello Stato. Dichiara per questo motivo che voterà l'articolo così come è stato proposto originariamente dai Relatori.
Lombardi Giovanni propone di dire: «nello Stato repubblicano».
Lucifero dichiara di ritenere che queste specificazioni rientrino nelle funzioni dei coordinatori. Quando si dovrà fare il testo definitivo, si userà sempre o l'una o l'altra espressione. Ad ogni modo, crede che sia più tecnica la parola «Stato». Non ritiene che si debba specificare «del territorio della Repubblica», poiché non vede a quali altri territori si possa riferirsi.
Mastrojanni, riprendendo le osservazioni dell'onorevole Marchesi, dichiara di insistere nella sua proposta. Dovendosi provvedere all'autonomia regionale, ci si potrebbe trovare di fronte ad equivoci ed a contrasti circa la possibilità di percorrere tutto il territorio dello Stato.
Il Presidente Tupini mette ai voti la proposta Mastrojanni di aggiungere alla parola «territorio» le altre «dello Stato».
(La proposta è respinta con 4 voti favorevoli e 11 contrari).
Mette ai voti la proposta degli onorevoli Mancini e Marchesi, di aggiungere alla parola «territorio» le altre «della Repubblica».
(La proposta è approvata con 11 voti favorevoli e 4 contrari).
Mette ai voti la proposta dell'onorevole Mastrojanni di sostituire le parole: «in ogni parte del territorio» con le parole «in qualunque parte del territorio».
Togliatti osserva che è meglio dire «qualsiasi».
(La proposta di sostituire la parola «qualsiasi» all'altra «ogni» viene approvata all'unanimità).
Il Presidente Tupini mette ai voti la proposta dell'onorevole Marchesi di sostituire al principio dell'articolo le parole «il cittadino» alle altre «ogni cittadino».
(La proposta è approvata all'unanimità).
Mastrojanni fa presente il caso di un individuo che non sia cittadino, e domanda se nell'ipotesi che vi siano in Italia — come ve ne sono — individui che non abbiano la cittadinanza italiana, essi debbano essere sottoposti a misure speciali.
Togliatti risponde affermativamente.
Mastrojanni osserva che questi stranieri, essendo autorizzati a risiedere in Italia, per recarsi da una provincia all'altra dovrebbero chiedere il permesso.
Moro non ritiene che in questo caso debba dirsi in modo preciso che lo straniero dovrà ottenere una autorizzazione particolare. Ad ogni modo la Costituzione dovrà necessariamente regolare anche i limiti della parificazione dello straniero al cittadino, in sede di diritto privato e pubblico.
Il Presidente Tupini dichiara che la Sottocommissione si riserva di definire meglio, in sede opportuna, i diritti dello straniero, di colui cioè che non gode della cittadinanza italiana.
Togliatti dichiara che era sua intenzione di parlare, a proposito di questo articolo, del diritto di asilo. Dopo le parole del Presidente, si riserva di trattarne nella parte della Costituzione che parlerà dei diritti e dei doveri degli stranieri.
Il Presidente Tupini mette ai voti la prima parte dell'articolo 7 con gli emendamenti approvati:
«Il cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in qualsiasi parte del territorio della Repubblica».
(È approvato con 15 voti favorevoli e 2 contrari).
Pone in discussione l'altra parte dell'articolo, la quale, nella proposta dei Relatori, suona così: «salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità o di ordine pubblico».
Togliatti osserva che quando si stabilisce che le autorità possano porre i limiti che vogliono per ragioni di ordine pubblico, si dà la possibilità alle autorità stesse di fare qualsiasi cosa. Propone perciò che l'espressione sia modificata nel modo seguente: «salvo i limiti disposti dalla legge, in circostanze eccezionali».
Grassi osserva che invece di «ordine pubblico», si potrebbe dire «sicurezza pubblica».
Togliatti ripete che se si lascia la facoltà alla polizia, questa potrà inibire la circolazione dei cittadini per motivi di ogni genere.
Il Presidente Tupini osserva che, appunto per impedire gli arbitrî, è stato detto: «salvo i limiti imposti dalla legge».
Togliatti replica che gli italiani sono stati sempre ingannati dalla legge.
Il Presidente Tupini fa osservare che i Relatori, nel compilare il testo dell'articolo, non hanno voluto dire qualche cosa di diverso da quel che dice l'onorevole Togliatti. Essi hanno ripreso una dizione che si trova in tutte le Costituzioni democratiche.
Togliatti insiste nella sua proposta di modifica: «salvo i limiti disposti dalla legge, in circostanze eccezionali».
Basso, Relatore, richiamandosi a quanto ha sempre detto in casi simili, dichiara che per lui la garanzia contro l'arbitrio è nelle disposizioni di legge. Si potrebbe, se l'onorevole Togliatti è d'accordo, rendere più chiara la formula, accettando quella affiorata nelle discussioni della Commissione del Ministero della Costituente: «salvo i limiti imposi con carattere generale dalla legge». Con questo chiarimento si intenderà dire che le autorità esecutive non possono porre limiti contro una determinata persona o determinate categorie.
La Pira, Relatore, fa presente che la formula integrale della relazione Mortati dice: «Ogni cittadino può fissare o prendere la propria residenza o domicilio in ogni parte del territorio, salvo i limiti imposti con carattere generale dalla legge, per soli motivi di sanità o di ordine pubblico».
Osserva che, usando le parole: «con carattere generale», si dà una specificazione ancora più precisa.
Il Presidente Tupini fa osservare che questa specificazione sottrae il cittadino ad ogni arbitrio di natura personale.
Togliatti ritiene che si debba essere più concreti, precisando quali sono queste circostanze in cui la legge può limitare.
Lucifero osserva che le limitazioni dovrebbero essere consentite soltanto nei casi di guerra, epidemia, pubbliche calamità.
La Pira, Relatore, fa presente che una analoga disposizione, inserita nella Costituzione estone, dice: «Le autorità giudiziarie soltanto hanno la facoltà di limitare o sopprimere il diritto dei cittadini di circolare e di fissare liberamente la propria dimora. Questa libertà può essere altresì limitata o soppressa da altre autorità, per ragioni di igiene, nei casi e secondo le norme fissate dalla legge».
Lucifero propone che si dica semplicemente: «salvo i casi di guerra, di epidemie e di pubbliche calamità». Sono i tre casi in cui si possono inibire movimenti di popolazione per ragioni sostanziali che non sono «ad personam».
Togliatti dichiara di concordare con la proposta dell'onorevole Lucifero. La formula completa potrebbe essere: «salvo i limiti imposti dalla legge per i casi di guerra, di epidemie e di pubbliche calamità».
Mastrojanni fa osservare che, limitando la facoltà della legge ai tre casi previsti nella proposta dell'onorevole Lucifero, si verrebbe a togliere alle autorità di pubblica sicurezza la possibilità di rinviare al proprio domicilio, con foglio di via obbligatorio, le persone che siano, per un motivo o per un altro, indesiderabili, come nei casi di accattonaggio, prostituzione, ecc. Occorre tener presente che l'esercizio di una coercizione del genere da parte delle autorità di pubblica sicurezza risponde indubbiamente ad uno scopo di utilità e di necessità per l'umana convivenza.
Ritiene perciò che la dizione «per motivi di sanità e di ordine pubblico» debba rimanere. Accetterebbe la specificazione dell'onorevole Lucifero, purché comprendesse anche i casi di ordine pubblico.
Mancini dichiara di accettare la proposta dell'onorevole Lucifero a condizione che venga limitata alle esigenze dell'igiene e della guerra, poiché non ha mai compreso il vero e concreto significato, dell'espressione «pubblica calamità» così generico ed estensivo a tanti incidenti della vita di un Paese.
Togliatti spiega che sono casi di pubblica calamità, per esempio, i terremoti.
Mancini osserva che, estendendo il concetto di pubblica calamità, si può arrivare anche a qualche cosa che rassomigli molto da vicino ai casi di ordine pubblico. Perciò limiterebbe le eccezioni soltanto ai casi di guerra e alle esigenze igieniche.
Moro ritiene che non possano essere trascurate le considerazioni fatte dall'onorevole Mastrojanni. È una forma essenziale di tutela della libertà dei cittadini quella di permettere alla polizia di restituire al loro domicilio e ivi fissare le persone pericolose alla sicurezza pubblica.
Un accenno all'ordine pubblico, o a qualche cosa di analogo, deve perciò essere fatto.
Lucifero ritiene di interpretare anche il pensiero dell'onorevole Togliatti dichiarando di preoccuparsi che i diritti del cittadino possano essere limitati proprio per ragioni di pubblica sicurezza. Quando venga introdotto questo concetto, si sa perfettamente che uso larghissimo ne può fare il potere esecutivo. Ciò che si vuole impedire è proprio questo. Se si tollera che, per motivi di ordine pubblico e per ragioni di pubblica sicurezza, si possano porre limitazioni alla libertà, si stabilisce la possibilità dell'arbitrio.
Le osservazioni dell'onorevole Mastrojanni non ricadono in questi casi. Le disposizioni di pubblica sicurezza riguardanti il foglio di via scaturiscono da altre ragioni.
Grassi ritiene che non si debba prescindere dal fatto che le leggi che possono limitare la libertà di circolazione del cittadino sono soltanto quelle di sanità o di pubblica sicurezza. Saranno quindi le leggi di sanità e di pubblica sicurezza, esaminate ed approvate dagli organi competenti, che stabiliranno le eccezioni, ponendo i limiti alle eccezioni stesse. Perciò propone che si dica soltanto: «motivi di sanità o di sicurezza pubblica».
Basso, Relatore, fa presente che la Commissione, la quale prepara il testo del progetto della nuova legge di pubblica sicurezza, ha sottolineato la possibilità che nella Costituzione vengano usate formule che impediscano l'intervento dell'autorità nei casi ai quali ha accennato l'onorevole Mastrojanni. Osserva anche che il Consiglio di Stato, pur essendosi ispirato a principî liberalissimi, ha dato parere favorevole a che siano poste delle eccezioni, per i casi accennati, al principio della libertà della circolazione. Non si possono limitare queste facoltà della pubblica autorità.
Moro propone che si aggiunga l'espressione: «In nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico». Si dovrebbe cioè chiarire il senso di «ordine pubblico», in modo che sia stabilita una tutela di fronte alla delinquenza comune, ma non per motivi di carattere politico.
Marchesi dichiara che accetterebbe la proposta dell'onorevole Moro, se non sapesse, per lunghissima esperienza, che ad un certo punto l'avversario politico diventa un delinquente comune e quindi la legge lo colpisce come tale. Per quanto riguarda le parole «ordine pubblico» e «pubblica sicurezza», ricorda che questi due termini hanno una tristissima storia, ed hanno portato con sé una serie infinita di arbitrii a danno di cittadini che certo non erano meritevoli di tale trattamento.
Pertanto si associa alla proposta dell'onorevole Lucifero.
Per quanto riguarda poi i casi di immoralità e simili, fa presente che è stato già votato un articolo circa il fermo di pubblica sicurezza. Se c'è una persona che, comunque, con la sua condotta immorale o con altre azioni, offende il diritto comune, diventa violatrice del diritto stesso, ed allora la pubblica sicurezza ha il potere di procedere al suo fermo o all'arresto.
Basso, Relatore, fa osservare che la ipotesi prevista nell'articolo precedente parlava del fermo, ma solo quando vi era il fondato sospetto di reato. Quindi la cosa è diversa.
Lucifero ripete la sua proposta di aggiungere: «salvo i limiti imposti dalla legge per i casi di guerra, di epidemia e di pubblica calamità».
Il Presidente Tupini dichiara che la preoccupazione di molti commissari non è diretta a non ammettere quello che suggerisce l'onorevole Lucifero, ma è ispirata dal timore che con la formula dell'onorevole Lucifero non si esaurisca un'altra infinità di casi che potrebbero presentarsi e, meglio, potrebbero essere compresi in un'affermazione di carattere generale.
Occorre magari specificare, ma non lasciare una lacuna nella Costituzione.
Lucifero replica che con la sua formula non si lascia una lacuna, perché, per le osservazioni fatte dall'onorevole Marchesi, evidentemente la prostituzione e l'accattonaggio, come altri casi a cui si è accennato, saranno considerati, in determinate forme, nella legge ordinaria. Ritiene cosa essenziale sottrarre la competenza di queste decisioni all'autorità di pubblica sicurezza, e darla invece alla magistratura.
Il Presidente Tupini propone di adottare una formula che possa comprendere almeno alcuni dei casi denunciati nel corso della discussione. Se al termine «epidemia» si sostituisse il termine «sanità» si adotterebbe una formula generica in cui potrebbero essere comprese anche la prostituzione, l'accattonaggio, ecc.
Domanda agli onorevoli Lucifero e Togliatti se accettano l'espressione «sanità».
Lucifero e Togliatti dichiarano di accettare la sostituzione.
Grassi domanda se una volta stabilito nella Costituzione che la legge può imporre dei limiti in quei casi di guerra, di epidemia, ecc., si escluderà che le leggi penali, che verranno dopo la Costituzione, possano anche contemplare altri casi.
Moro risponde che la legge può stabilire quelle forme di sanzione penale che permettano di attuare procedure di polizia che non sono state stabilite prima.
Mancini dichiara di non essere d'accordo con l'onorevole Moro, perché ritiene che una legge successiva non può in nessun caso modificare la legge fondamentale costituzionale.
Lombardi Giovanni propone la formula seguente: «salvo i limiti imposti dalla legge dello Stato per motivi di sanità e di ordine pubblico».
Basso, Relatore, ritiene ingiustificata in questo caso l'osservazione che le leggi penali non possano istituire quelle determinate norme in quanto sarebbero contrarie alla legge costituzionale, perché nella legge costituzionale è stato sancito un principio che comprende tutti gli altri, dando facoltà all'autorità giudiziaria di privare il cittadino della libertà personale. È chiaro che se poi la pena prevede la reclusione, non si può dire che vi è una contraddizione.
Il Presidente Tupini mette ai voti la proposta di chiudere la discussione, salvo il diritto a prendere la parola per coloro che lo hanno domandato.
(La proposta è approvata).
Cevolotto si dichiara d'accordo con gli onorevoli Mancini e Grassi quando sostengono che la legge speciale, e anche il Codice penale, non possono derogare dai limiti fissati dalla Costituzione. Quando la Costituzione dica: «in qualsiasi parte del territorio della Repubblica, salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità e di ordine pubblico», è evidente che si esclude che il Codice penale possa, se non per motivi di sanità o di ordine pubblico, creare una disposizione che preveda l'ordine di traduzione e di restituzione nella propria dimora dei vagabondi e di altre persone che si trovano in determinate condizioni.
Contrariamente a quanto ha affermato l'onorevole Basso, ritiene che, malgrado quella disposizione di ordine generale, deve essere tenuto presente il fatto che nel successivo articolo 7 viene fissata in materia di domicilio una norma speciale più restrittiva, stabilendosi che il cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in qualsiasi parte del territorio, salvo i limiti imposti dalla legge per motivi di sanità e di ordine pubblico». Non vi è quindi possibilità di derogare da tale principio neppure in una legge speciale.
Mastrojanni insiste perché venga mantenuta l'espressione: «ordine pubblico» facendo presente che la formula dei relatori è comprensiva e nello stesso tempo esclusiva di qualsiasi ipotesi di arbitrio. D'altra parte si deve consentire all'autorità di pubblica sicurezza, di poter prevenire i reati, ciò che non può avvenire se non quando l'autorità di pubblica sicurezza ha la possibilità di sorvegliare nel loro domicilio determinati elementi pericolosi per la società. Ritiene quindi essenziale inserire nella Costituzione il principio che le leggi speciali, in tema di sanità e di ordine pubblico, possano derogare alle norme generali.
Moro osserva che l'unico limite costituzionale che si può ammettere per la legge penale è quello già introdotto nella Costituzione dove è stabilito che non possono essere irrogate pene crudeli, e che le pene devono avere il fine della rieducazione del reo. Con tali disposizioni si sono limitate le possibilità di attentare alla libertà individuale.
Ritiene che l'espressione «ordine pubblico» e «sanità» possano essere conservate, e propone la seguente formula: «per motivi di guerra o di pubblica calamità, di sanità e di moralità nei riguardi di coloro che escono dallo stato di detenzione».
Basso, Relatore, ricorda che l'onorevole Moro aveva fatto una precedente proposta che ritiene accettabile, ricavando la formula dalla relazione sui lavori preparatori per la Costituente, aggiungendo poi che «in nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico».
Moro dichiara di mantenere la prima proposta, e di presentare anche la seconda solo in via subordinata.
Il Presidente Tupini mette ai voti la proposta Moro-Basso così formulata:
«salvi i limiti imposti con carattere generale dalla legge per soli motivi di sanità o di ordine pubblico. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico».
(La proposta è approvata con 9 voti favorevoli e 6 contrari).
Precisa che la prima parte dell'articolo 7 risulta approvata nei seguenti termini:
«Il cittadino può circolare e fissare la propria residenza o domicilio in qualsiasi parte del territorio della Repubblica, salvo i limiti imposti con carattere generale dalle leggi, per soli motivi di sanità o di ordine pubblico. In nessun caso la legge può limitare questa libertà per motivi di carattere politico».
Lucifero richiama l'attenzione della Commissione sul fatto che nell'articolo 7, prima parte, testé approvata, non è stato contemplato il caso di guerra.
Il Presidente Tupini fa presente che l'osservazione dell'onorevole Lucifero è tardiva, in quanto che quella parte dell'articolo 7, in cui poteva venir contemplato il caso della guerra, è stata già votata e approvata.
Mette ai voti l'ultima parte dell'articolo 7 che è la seguente:
«Il diritto di emigrare, salvi gli obblighi di legge, è garantito a tutti».
(È approvata all'unanimità — L'articolo 7 è approvato nel suo complesso).
A cura di Fabrizio Calzaretti