[Il 4 dicembre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.]

Il Presidente Tupini legge e pone in discussione l'articolo 4 della relazione Dossetti e l'analogo della relazione Cevolotto, rispettivamente così formulati:

«Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce perciò come originari l'ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti giuridici degli altri Stati e l'ordinamento della Chiesa».

«Le norme del diritto delle genti, generalmente riconosciute, sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica italiana».

Cevolotto, Relatore, fa presente che i due articoli non hanno alcuna rispondenza reale. Il suo articolo afferma infatti semplicemente un principio già esistente in molte Costituzioni, cioè che le norme del diritto delle genti sono considerate parte integrante del diritto della Repubblica.

Nell'articolo dell'onorevole Dossetti, invece, da una prima affermazione — diversa dalla sua ma ancora accettabile — che lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale, si fa discendere come conseguenza, mediante un «perciò», il riconoscimento della originarietà dell'ordinamento giuridico internazionale, nonché dell'ordinamento degli altri Stati. Su quest'ultima conseguenza non può essere d'accordo, perché non vede la ragione per cui il riconoscersi membro della comunità internazionale debba implicare anche il riconoscimento della originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati, in quanto si può essere membri della comunità internazionale e non riconoscere, almeno costituzionalmente, l'ordinamento di qualche Stato, come ad esempio, quello del Governo falangista spagnolo. È portato perciò a ritenere che l'affermazione del riconoscimento degli altri Stati come ordinamenti giuridici originari, sia stato previsto unicamente per arrivare alla successiva conseguenza, cioè al riconoscimento della originarietà dell'ordinamento giuridico della Chiesa, non come Città del Vaticano, ma proprio come Chiesa. Ora, dal riconoscimento della originarietà dell'ordinamento giuridico della Chiesa, potrebbero derivare alcuni inconvenienti, pure se non di eccezionale gravità, potendosi, ad esempio, sostenere che il sacerdote, in quanto la sua attività è regolata dall'ordinamento della Chiesa, non sia soggetto all'ordinamento dello Stato italiano, anche nelle questioni indipendenti dall'Autorità ecclesiastica. A suo avviso, invece, tutto quanto attiene alla Chiesa dovrebbe essere regolato mediante concordati, senza bisogno di uno speciale riconoscimento costituzionale.

Concludendo, come non ritiene che nella Costituzione debbano essere riconosciuti gli ordinamenti giuridici degli altri Stati, tanto meno ritiene che debba essere riconosciuto l'ordinamento della Chiesa.

Dossetti, Relatore, illustra brevemente il suo articolo rilevando che la prima proposizione: «Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale» è di tale evidenza che ben difficilmente crede che possa incontrare obiezioni. La susseguente affermazione «perciò riconosce come ordinamento originario l'ordinamento giuridico internazionale», non può parimenti essere messa in dubbio, in quanto è una conseguenza della precedente.

Prima di entrare nel vivo della questione, sente la necessità di premettere un chiarimento specifico intorno al concetto di ordinamento originario. Con la locuzione «originario» ha inteso adottare una terminologia, entrata ormai nella dottrina più recente (in sostituzione delle espressioni «indipendente» o «sovrano» che potrebbero ingenerare equivoci) per indicare la caratteristica di un ordinamento giuridico il quale abbia, se non proprio tutti i caratteri che si ritenevano tipici della sovranità, intesa come potestà superiore, per lo meno il carattere di «aseità», cioè di essere un ordinamento per sé stante, il cui fondamento non derivi dal riconoscimento di un altro ordinamento. Ora, gli sembra difficile che si possa contestare che l'ordinamento giuridico internazionale e quello dei singoli Stati non abbiano la caratteristica della aseità, cioè di sussistere indipendentemente dal potere degli altri Stati. Comprende che l'onorevole Cevolotto non sia disposto a riconoscere, per esempio, l'ordinamento giuridico della Spagna franchista, ma con l'affermazione del riconoscimento della originarietà dell'ordinamento giuridico degli altri Stati, non si vuole fissare l'obbligo di riconoscere tutti gli Stati, ma solamente si vuole significare che se si entra in determinati rapporti giuridici con un altro Stato, evidentemente all'ordinamento giuridico di tale Stato non si potrà contestare il carattere di ordinamento originario. Perciò, quando si intavolassero con la Spagna delle trattative, riconoscendola quindi come Stato, non si può non riconoscere l'originarietà del suo ordinamento giuridico.

Cevolotto, Relatore, ritiene che si possa riconoscere uno Stato, senza bisogno di riconoscere nella Costituzione l'originarietà del suo ordinamento. Il fatto che dal riconoscimento di uno Stato derivi necessariamente o meno il riconoscimento del suo ordinamento giuridico come originario, gli sembra sia piuttosto materia delle norme di diritto internazionale.

Dossetti, Relatore, teme di non essere stato bene compreso. Ripete che se si entra in contatto con uno Stato — contatto non di fatto ma di diritto — non si può non riconoscergli il carattere di originarietà che è strettamente connesso alla sua qualità di essere un ordinamento statuale.

L'unica obiezione che si potrebbe fare è che la norma è tanto evidente ed è tanto in concreto praticata nella realtà giuridica di tutti gli Stati, che può diventare superfluo il dirlo, sebbene molte Costituzioni, come quella spagnola del 1921 e quella di Weimar, ne abbiano fatto esplicitamente menzione.

Cevolotto, Relatore, limiterebbe l'articolo alla sola affermazione che lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce come originario l'ordinamento giuridico internazionale, ritenendo che la parte successiva non sia materia di Costituzione. Come ha già detto, ritiene che l'onorevole Dossetti insista sul principio del riconoscimento da parte dello Stato italiano della originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati, per arrivare al riconoscimento, come originario, dell'ordinamento giuridico della Chiesa.

Dossetti, Relatore, per dimostrare l'infondatezza dell'ultima osservazione dell'onorevole Cevolotto, rende noto che i professori Ago e Morelli, relatori presso il Ministero della Costituente, in materia di rapporti fra gli Stati, avevano presentato uno schema di articolo del tutto analogo al suo, senza l'ultima frase riguardante il riconoscimento come originario, dell'ordinamento giuridico della Chiesa. Pertanto la norma che ha proposta, anche se cadesse l'ultima parte relativa al riconoscimento della Chiesa, avrebbe una sua fondata giustificazione. La proposta Ago-Morelli, anzi, indipendentemente dal riconoscimento dell'ordinamento giuridico della Chiesa, arrivava più in là dello stesso oratore, in quanto affermava che fanno parte integrante del diritto dello Stato, senza bisogno di un atto specifico di tradizione nel diritto interno, anche le norme di diritto internazionale positivo e cioè i singoli trattati. Secondo tale principio, dal momento che lo Stato firma un trattato, automaticamente il suo diritto interno si adegua subito al diritto esterno.

Ritiene quindi necessario fornire qualche chiarimento sull'ultima parte dell'articolo che sembra destare le maggiori preoccupazioni mentre, a suo giudizio, il concetto contenuto nell'ultima parte dell'articolo stesso non dovrebbe suscitare alcuna reazione. Esso, infatti, afferma un principio ammesso unanimemente dalla dottrina fin dal 1870, che cioè l'ordinamento della Chiesa è un ordinamento giuridico, sui generis, che non può essere considerato come quello di una società privata, perché ha evidentemente in sé i caratteri dell'originarietà, anche se non è di derivazione statuale come quello degli altri Stati, o interstatuale come il diritto internazionale. Cita come una delle più appariscenti manifestazioni della originarietà dell'ordinamento della Chiesa, il diritto di legazione, che più di altri elementi mette in evidenza questa particolare caratteristica dell'ordinamento della Chiesa, la quale sussisterebbe anche se non si approvasse l'ultima parte dell'articolo 4. Esclude, poi, assolutamente che anche l'interpretazione più «diabolica» possa portare all'inconveniente a cui ha accennato l'onorevole Cevolotto, perché nell'atto stesso in cui si riconosce l'originarietà dell'ordinamento della Chiesa, se ne afferma anche l'estraneità e quindi la distinzione rispetto all'ordinamento giuridico dello Stato. Come avviene per l'ordinamento giuridico internazionale, il cui riconoscimento non influisce sui rapporti interni dei cittadini con lo Stato, così il sacerdote e il fedele, pur essendo soggetti all'ordinamento giuridico della Chiesa, quando entrano in contatto con lo Stato, non saranno evidentemente sottratti alle norme proprie dell'ordinamento giuridico statuale.

Osserva, inoltre, che il riconoscimento della originarietà dell'ordinamento giuridico della Chiesa non toglie allo Stato la possibilità di disconoscere qualche norma dell'ordinamento giuridico canonico, in contrasto con le norme statuali. Del resto tutti i trattatisti sono d'accordo nell'affermare che nel suo complesso il Regno d'Italia unificato ha ricevuto come presupposto generale l'ordinamento giuridico-canonico, compresso però in moltissime disposizioni che l'ordinamento giuridico statuale ha ritenuto opportuno disconoscere. Perciò il non riconoscere l'originarietà dell'ordinamento giuridico della Chiesa sarebbe, a suo avviso, non solo contrastante con la realtà politica, ma anche con quella giuridica.

Togliatti ricorda che in materia di problemi relativi alla organizzazione dello Stato italiano, da parte democristiana si sostenne che i diritti dello Stato non dovevano essere considerati come originari, in quanto tali erano in primo luogo i diritti della persona e, in secondo luogo, quelli della famiglia.

Domanda perciò per quale motivo, essendosi respinto il concetto di originarietà dello Stato italiano, si richieda ora di riconoscerlo per gli altri Stati.

Dossetti, Relatore, dichiara che quanto ha detto l'onorevole Togliatti non risponde al pensiero del gruppo democristiano. Tiene a sottolineare ancora una volta la posizione del suo Gruppo che, di fronte al fenomeno del pluralismo degli elementi giuridici, afferma ad un tempo l'esistenza di diritti originari della persona, della famiglia, dello Stato e di altri, istituti e società come quelle religiose e in particolare della Chiesa cattolica. L'affermare l'originarietà dei diritti della persona, non significa per nulla un conformismo alla tesi pessimistica manichea, che disconosce l'esistenza dello Stato e dei diritti che devono ad esso essere riconosciuti.

Premesso questo, desidera precisare che l'aggettivo originario ha un significato diverso, a seconda che si riferisca al singolo ovvero all'ordinamento giuridico. Nel primo caso si intende che ci sono diritti della persona anteriori al riconoscimento che ne possa fare qualsiasi società umana, come, per esempio, il diritto alla vita. Nel secondo caso, invece, il termine ha un'altra portata, volendosi indicare un ordinamento giuridico che sta a sé, che è indipendente e che ha quella caratteristica che aristotelicamente si definisce dell'aseità. Pone in evidenza che il riconoscimento dell'originarietà dell'ordinamento giuridico degli altri Stati e di quello della Chiesa, è precisamente la presa di posizione, assunta dalla dottrina dell'ultimo trentennio, contro la tesi esclusivista della statualità del diritto, vale a dire che originario sia solo l'ordinamento giuridico dello Stato. Di fronte a manifestazioni come quelle internazionali della Chiesa, le quali hanno evidentemente una caratteristica giuridica che non si può disconoscere, la dottrina ha escogitato il concetto dell'ordinamento giuridico originario per sé stante, indipendentemente dall'ordinamento giuridico dello Stato.

Per eliminare qualsiasi diffidenza, mette nuovamente in luce che la base della teoria democristiana è il principio della distinzione tra i due ordinamenti, perché nel momento stesso in cui si afferma l'esistenza di un ordinamento giuridico della Chiesa, come originario, si vuole che tale ordinamento sia indipendente e non confondibile con quello dello Stato, cosicché ambedue procedano per strade distinte e indipendenti. È intendimento anzi dei democristiani, come è dimostrato dai loro ultimi studi, di accentuare ancor più tra i due poteri questa distinzione, che tutti ritengono come premessa essenziale dello sviluppo democratico e dell'educazione politica del popolo italiano.

Marchesi non avrebbe alcuna obiezione da muovere all'articolo in discussione, salvo quella dell'inutilità, ma non si potrà mai persuadere che l'onorevole Dossetti abbia potuto proporre una norma che sia superflua. Perciò l'articolo 4 deve essere considerato non isolatamente, ma in relazione con gli articoli 6 e 7, con i quali costituisce un tutto armonico strettamente collegato. Se ben ricorda, questo insieme di norme, in una precedente riunione, era stato messo in giusta luce dall'onorevole Basso che, tra l'altro, a proposito dell'articolo 5 del Concordato, riferendosi al caso del professor Buonaiuti, aveva espresso l'avviso che lo Stato non potesse abdicare alla propria sovranità, intaccando il principio fondamentale della eguaglianza giuridica di tutti i cittadini. All'onorevole Dossetti, che in quella occasione aveva obiettato che un uomo quando assume un impegno solenne verso la Chiesa, sa a quali conseguenze va incontro in caso di violazione, fa presente che quell'uomo, obbligandosi dinanzi alla legge canonica ed alla Chiesa, sapeva però di non assumere una eguale obbligazione dinanzi alla legge civile. Ritiene che uno Stato non possa disonorare se stesso riconoscendo gli effetti civili e retroattivi a una obbligazione religiosa di carattere spirituale. L'articolo 5 del Concordato deve considerarsi una grossa spina confitta nel cuore della pace religiosa che si è creata, sul cui solco non comprende perché si sia voluto gettare il germe di una lotta religiosa che i comunisti intendono scongiurare e che, qualunque parte prevalga, non potrà dare buoni frutti.

Per quanto riguarda lo spirito che anima la democrazia cristiana, ricorda il Codice sociale di Malines, che, redatto nel 1926 sotto la guida del Cardinale Mercier, avrebbe dovuto e potuto costituire il Codice sociale del cittadino cattolico rispetto allo Stato. Questo Codice non ammetteva lo Stato etico, che potesse sostituirsi alla Chiesa nella vita spirituale, ma riconosceva lo Stato di diritto ponendo una distinzione chiara e netta tra diritto e morale, tra competenze giuridiche e competenze etiche. In questo trattato si affermava, in sostanza, che il limite del lecito etico non coincide col limite del lecito giuridico, che il reato non coincide col peccato. Ora, se allo Stato compete la repressione del reato, non comprende perché da parte democristiana si voglia che lo Stato partecipi anche alla repressione del peccato.

Dossetti, Relatore, dichiara di condividere le osservazioni dell'onorevole Marchesi, che non intaccano per nulla quanto ha dichiarato ad illustrazione del suo articolo 4. In tale articolo, infatti, si afferma il principio del riconoscimento della originarietà dell'ordinamento giuridico degli altri Stati e della Chiesa, ma non si parla affatto del riconoscimento di singole norme di questi ordinamenti. Prega però l'onorevole Marchesi di tener nettamente distinto quello che è il problema del riconoscimento del carattere di originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati e della Chiesa, dall'altro problema (di cui ha discusso in una precedente seduta con l'onorevole Basso) del valore nello Stato italiano di norme dell'ordinamento giuridico della Chiesa e viceversa. In relazione a tale questione, si era prospettata la eventualità della confusione dei poteri fra i due ordinamenti con l'assorbimento da parte della Chiesa di funzioni statuali, o da parte dello Stato di funzioni religiose, ma — ripete — una cosa è il valore giuridico nello Stato di norme proprie dell'ordinamento della Chiesa, ed altra cosa è il riconoscimento della originarietà degli ordinamenti giuridici degli altri Stati e di quello della Chiesa. Quando l'articolo 34 del Concordato riconosce effetti civili al matrimonio celebrato dal ministro del culto, vi è un complesso di norme canoniche che entra, in un certo modo, nel diritto dello Stato. Nel caso dell'articolo 5, invece, non vi è l'ingresso, mediante il rinvio, nel diritto dello Stato di una norma canonica, che non esiste, ma si tratta del riconoscimento da parte dello Stato, con un atto della sua sovranità, di una determinata conseguenza giuridica dello status proprio del sacerdote nell'ambito della Chiesa cattolica. Per comprendere questa norma, che oggi politicamente potrebbe non essere conveniente, ammette che occorra un certo stato d'animo e l'accettazione di taluni principî, forse, di una società cristiana di tipo diverso da quello attuale. L'articolo 4, però, tocca un problema che non ha niente a che vedere con quello dell'articolo 34 o dell'articolo 5 del Concordato, in quanto il riconoscimento dell'originarietà dell'ordinamento giuridico canonico, non implica il riconoscimento di singole disposizioni e tanto meno attribuzione di determinate conseguenze giuridiche nell'ordinamento statuale in relazione alle norme proprie della Chiesa.

Per quanto riguarda in particolare l'articolo 5 del Concordato, se si concludesse per la sua inaccettabilità, trattandosi di una norma contenuta in un atto bilaterale, l'unica via legittima sarebbe quella che lo Stato italiano facesse presente alla Chiesa l'intolleranza di una vasta parte dell'opinione pubblica nei riguardi del suddetto articolo e ne chiedesse la soppressione o la modificazione.

Marchesi osserva che nessuno, da parte comunista, ha mai pensato, o penserà, di negare la personalità giuridica internazionale della Santa Sede, che vigeva assai prima dei Patti del Laterano, né di domandare, nemmeno in questa sede, la denuncia di tali Patti. Si vuole solo che la Costituzione non si ritenga impegnata dalle norme concordatarie, le quali continueranno ad aver vita fino a che le circostanze e la saggezza delle due parti contraenti lo permetteranno in relazione alla coscienza politica e giuridica dei tempi. Dichiara, pertanto, di essere contrario all'articolo 4 dell'onorevole Dossetti.

Dossetti, Relatore, rileva che l'onorevole Marchesi non ha risposto alla sua precisazione che l'articolo in discussione non ha alcuna attinenza col problema del riconoscimento di determinate norme canoniche da parte dello Stato.

Marchesi risponde di aver fatto notare l'armonia esistente tra gli articoli 4, 6 e 7, di cui potrebbe anticipare rapidissimamente le conseguenze che ne possono derivare.

Il Presidente Tupini propone che la discussione si accentri sulla questione fondamentale, se cioè sia, o meno, da approvare il riconoscimento della originarietà degli ordinamenti degli altri Stati e di quello della Chiesa.

Dossetti, Relatore, comprende che l'onorevole Marchesi voglia discutere in blocco tutti gli articoli, temendo da una prima affermazione di essere portato a successive ammissioni, ma desidera gli sia consentito di dichiarare nuovamente che l'articolo 4 ha un valore indipendente dai successivi, per i quali, se qualche espressione può destare la preoccupazione che si voglia arrivare ad un confessionalismo dello Stato, è disposto ad accogliere tutte le eventuali modifiche che si riterranno opportune. L'articolo 4, invece, tratta un principio che non può essere modificato e che rimarrà sempre, anche se non sarà affermato nella Costituzione.

Cevolotto, Relatore, ritiene opportuno riportare la discussione sul suo binario cioè ad una questione soprattutto di logica e di tecnica della Costituzione, lasciando da parte tutte le questioni teoriche sul diritto originario degli altri Stati e della Chiesa.

Senza entrare nel merito delle dotte osservazioni dell'onorevole Dossetti, rileva che l'articolo in discussione è composto di due parti, messe in relazione con un «perciò», che non ha ragion d'essere, perché la conseguenza non è in rapporto con la premessa. Uno Stato infatti può essere membro della comunità internazionale, senza dover riconoscere nella Costituzione l'originarietà dell'ordinamento giuridico degli altri Stati. Se si ammettesse questo principio, senza discriminazione, si avrebbe la conseguenza di dover riconoscere l'ordinamento giuridico di qualsiasi nazione, mentre lo Stato potrebbe trovarsi nella necessità o convenienza di entrare in contatto con un altro determinato Stato, senza riconoscerne l'ordinamento.

Per quanto attiene, poi, al riconoscimento dell'ordinamento giuridico della Chiesa, il problema diviene ancora più grave, perché vi possono essere Stati che, pur essendo membri della comunità internazionale, non riconoscono l'ordinamento giuridico della Chiesa, considerandola, come per esempio gli Stati Uniti, alla stregua di una società privata. Né ha valore l'obiezione che gli Stati Uniti hanno una legazione presso la Santa Sede, in quanto tale rappresentanza è presso lo Stato del Vaticano e rientra nelle norme di diritto internazionale.

Dossetti, Relatore, obietta che ciò è inesatto, inquantochè legazioni straniere presso la Santa Sede esistevano anche quando non vi era lo Stato della Città del Vaticano.

Cevolotto, Relatore, crede che la questione della rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede, anche prima che fosse sorto lo Stato della Città del Vaticano, sia una questione particolare, che non implichi il riconoscimento dell'ordinamento giuridico della Chiesa. A suo avviso, però, prima ancora di decidere se la Sottocommissione è favorevole al riconoscimento della originarietà dell'ordinamento della Chiesa, dovrebbe porsi la questione se sia, più o meno, opportuno inserire una norma del genere nella Costituzione. La questione del valore delle norme del diritto della Chiesa nel diritto interno, per quanto importante, potrebbe essere oggetto di patti bilaterali, la cui pratica attuazione e durata, come ha rilevato l'onorevole Marchesi, dipenderà dalla sapienza e dalla prudenza delle due parti contraenti. A questo proposito, esprime il parere che sarebbe necessario procedere ad una revisione delle norme concordatarie, naturalmente con trattative in sede diplomatica, come ha accennato l'onorevole Dossetti.

Conclude affermando che, poiché sotto il velo del riconoscimento della originarietà degli ordinamenti degli altri Stati si vorrebbe inserire nella Costituzione il principio del riconoscimento dell'ordinamento della Chiesa, prenderebbe come base di discussione solo la prima parte dell'articolo 4 dell'onorevole Dossetti, a cui aderisce, rinunziando alla sua formulazione.

Caristia pensa che si potrebbe forse discutere della opportunità o meno di introdurre questo articolo nella Costituzione, ma per quanto riguarda il suo contenuto non crede che debba dar luogo a eccessive preoccupazioni, perché in sostanza non si fa altro che affermare una posizione dottrinale che oramai è nella coscienza di tutti i cittadini. Si dice, infatti, in primo luogo, che lo Stato è membro della comunità internazionale, di cui riconosce l'originarietà dell'ordinamento. Su questa parte ritiene che non vi possano essere dubbi, dato che da tutti gli studiosi è pacificamente riconosciuta l'esistenza di una comunità internazionale, capace di emanare delle norme giuridiche di per sé stanti. In secondo luogo lo Stato riconosce, come originari, gli ordinamenti giuridici degli altri Stati e quello della Chiesa cattolica. Ora, che la Chiesa abbia un ordinamento giuridico suo particolare, un complesso di norme cioè che valgano non soltanto come norme disciplinari, ma anche di diritto, è un principio che non si può disconoscere e che è ammesso anche da parte di scrittori ebrei.

Qualche preoccupazione potrebbe nascere in un secondo tempo, in relazione alle conseguenze che possono derivare dal riconoscimento dell'ordinamento della Chiesa, per la possibilità di un eventuale conflitto fra le sue norme e quelle dello Stato, ma, come ha spiegato l'onorevole Dossetti, si tratta di un problema del tutto diverso, che non è pregiudicato dal riconoscimento della Chiesa come ordinamento originario. Gli sembrano quindi eccessive le preoccupazioni che sono state sollevate.

Togliatti osserva che la formulazione dell'onorevole Dossetti porta a riconoscere come originari l'ordinamento giuridico internazionale e quelli degli altri Stati. Per quanto concerne l'ordinamento giuridico internazionale, trattasi di norme che si evolvono continuamente e che non si può ancora sapere quale sviluppo prenderanno, specialmente in relazione alla Organizzazione delle Nazioni unite. Ora, affermare nella Costituzione che è originario un ordinamento che non si conosce e che si sta sviluppando sulla base di consuetudini e di affermazioni di fatto, che poi diventeranno di diritto, gli sembra una cosa eccessiva e fuori luogo.

Per quanto si riferisce agli ordinamenti degli altri Stati, poiché i rapporti con essi sono stati sempre fondati su un principio di reciprocità, esprime il dubbio che con la formula in discussione si venga a concedere agli altri Stati un particolare riconoscimento, senza sapere se all'Italia sarà fatto eguale trattamento. Esprime, infine, la sua perplessità anche circa l'affermazione relativa all'ordinamento della Chiesa, nei cui riguardi i democristiani potrebbero, a suo avviso, egualmente ottenere lo scopo che si prefiggono, formulando non dei principî teorici, ma delle richieste più pratiche e concrete. D'altra parte, nota una contraddizione nelle affermazioni dell'onorevole Dossetti, perché se l'ordinamento della Chiesa è riconosciuto ormai da tutti come originario, non vede per quale motivo da parte democristiana si insista tanto affinché venga riconosciuto costituzionalmente. A parte il fatto che sente una certa riluttanza ad inserire nella Costituzione il riconoscimento di un ordinamento che non conosce, gli sembra che un riconoscimento costituzionale potrebbe quasi infirmare l'originarietà stessa dell'ordinamento della Chiesa, perché, se fosse veramente originario, non avrebbe alcun bisogno di un riconoscimento.

Pertanto prega i colleghi democristiani di non insistere su questo articolo e li invita ad accettare la formula dell'onorevole Cevolotto, che considera assai più precisa e concreta.

Moro fa osservare che nessuna delle questioni poste in evidenza dalla discussione è pregiudicata dalla dichiarazione contenuta nell'articolo. Infatti, quando si parla dell'ordinamento giuridico internazionale, si prescinde da quella che sarà l'Organizzazione delle Nazioni unite, ma si vuole alludere ad un ordinamento internazionale che ha una vita autonoma ed una originarietà, per cui le norme che esso pone non traggono la loro forza obbligante dalla volontà esclusiva degli Stati membri della comunità internazionale, ma hanno un potere normativo che spetta agli Stati come tali. Così anche per i singoli Stati non si può non riconoscere i loro ordinamenti come originari, ma tale norma non obbliga ad avere relazioni con tutti gli Stati, comunque costituiti, ma tende solo a precisare che quando lo Stato entra in contatto con gli altri Stati, si pone su di una posizione di parità giuridica, che si esprime attraverso la forma dei trattati internazionali. Analogamente, per quanto attiene alla Chiesa, riconoscere nella Costituzione l'originarietà del suo ordinamento, significa porre su di una base di parità i rapporti che verranno a stabilirsi tra Stato e Chiesa. Come dal riconoscimento dell'originarietà degli Stati scaturisce la necessità di regolare i rispettivi rapporti attraverso trattati, così dal riconoscimento dell'originarietà dell'ordinamento della Chiesa scaturisce la necessità di regolare le materie di comune interesse sulla base di un atto che sia al di fuori dell'ordinamento dello Stato e dell'ordinamento della Chiesa. Questo regolamento sarà fatto successivamente; ed è convinto che anche i colleghi di parte avversa riconosceranno la necessità che lo Stato non vi provveda unilateralmente, ma attraverso un atto bilaterale, come è il Concordato. Pertanto l'unica conseguenza che scaturisce dall'ultima parte dell'articolo, è la non ammissibilità di un regolamento unilaterale da parte dello Stato, che incida in materie così profondamente attinenti non solo alla religione, ma alla morale e alla civiltà del popolo italiano.

Perciò più che la consistenza concreta dei Patti lateranensi, la quale, come ha detto l'onorevole Dossetti, può essere oggetto di una revisione che è del resto prevista in un articolo dei Patti stessi, crede sia molto più importante affermare nella Costituzione il riconoscimento dell'originarietà dell'ordinamento della Chiesa, che ponendo su di un piano di eguaglianza i rapporti tra Stato e Chiesa, contribuirà a mantenere quella pace religiosa che oggi regna in Italia.

De Vita prega l'onorevole Dossetti di volergli chiarire se e quali conseguenze giuridiche possono derivare dal riconoscimento dell'originarietà dell'ordinamento giuridico degli altri Stati e dell'ordinamento della Chiesa.

Dossetti, Relatore, ripete che nessuna delle argomentazioni che sono state svolte incide sulla sostanza dell'articolo che ha proposto. La prima obiezione che non possa riconoscersi la comunità internazionale in quanto non si conosce come verrà a formarsi e organizzarsi, non ha ragion d'essere, perché non si tratta di impegnarsi a riconoscere le varie strutture dell'Organizzazione delle Nazioni unite, ma di riconoscere l'esistenza di un ordinamento giuridico internazionale, indipendente dalla legislazione dei singoli Stati. Questo riconoscimento, che è già implicito nella norma con cui si è rinunziato alla guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti, non implica il riconoscimento delle singole norme positive di quell'ordinamento internazionale, ma solo di alcuni principî supremi che costituiscono le norme di diritto internazionale generale. Per quanto riguarda l'ordinamento giuridico degli altri Stati non ha parimenti valore l'obiezione che non si debba impegnare lo Stato a riconoscere tutte le altre Nazioni, perché il riconoscimento della originarietà dei loro ordinamenti tenderebbe semplicemente, come ha detto l'onorevole Moro, a fissare il concetto che se si entra in contatto con gli altri Stati, vi si entra su una posizione di parità. Si può quindi ignorare il regime della Spagna franchista o quello della Russia sovietica, ma se si entra in relazione con uno di questi Stati, si deve attribuire loro, non il carattere di una società privata, ma quello di Stato, vale a dire di un ordinamento originario, come quello italiano.

Per quanto attiene al riconoscimento dell'originarietà dell'ordinamento giuridico della Chiesa, si limita a leggere alla Sottocommissione il seguente brano estratto dalle lezioni del professore Jemolo, autore non sospetto, in quanto tenace e geloso difensore dell'indipendenza e delle prerogative dello Stato: «Crediamo pertanto che oggi possa insegnarsi con assoluta tranquillità che il diritto della Chiesa va considerato dall'angolo visuale dello Stato italiano, così come lo considera la Chiesa allorché lo ritiene diritto qualitativamente eguale a quello emanato dallo Stato, nel senso che entrambi i diritti emanano da istituzioni che sono fonte di ordinamenti giuridici indipendenti, sicché sono concepibili rinvii dall'uno all'altro diritto».

Circa la necessità di inserire tale riconoscimento nella Costituzione, all'onorevole Togliatti che è di avviso contrario, fa presente che è un diritto della coscienza cattolica italiana di pretendere che la Costituzione, come garantisce tanti altri diritti forse meno importanti, garantisca che domani lo Stato non devii bruscamente dalla linea di fatto oggi esistente e non presuma di mettere la Chiesa alla stregua di qualsiasi società privata, invadendo così una funzione spettante ad essa in modo esclusivo, di disciplinare cioè in maniera autonoma il fenomeno religioso.

Lasciando da parte ogni discussione tecnica, che aveva lo scopo di dimostrare che sotto la norma non si nascondeva alcun secondo fine, da un punto di vista politico, l'alternativa che viene proposta ai membri della Sottocommissione è se riconoscere o meno la Chiesa come un ordinamento originario, che ha il diritto di regolare con propri ordinamenti giuridici i suoi rapporti con i fedeli, cioè di dare o non dare alla coscienza cattolica italiana la garanzia costituzionale che lo Stato non si assumerà le funzioni della Chiesa, arrogandosi il diritto di regolare con norme proprie il fenomeno religioso.

Cevolotto, Relatore, osserva che se, come ha detto l'onorevole Dossetti, l'articolo avesse la sola portata di riconoscere come originari gli ordinamenti dei vari Stati, si tratterebbe di una questione teorica, che non dovrebbe trovare sede in una Costituzione che deve essere eminentemente pratica. Il punto cruciale del problema è stato invece posto dall'onorevole Moro, il quale ha chiaramente precisato che riconoscere come originario l'ordinamento della Chiesa vuol dire mettere questa in condizioni di parità con lo Stato, con la conseguenza che i rispettivi rapporti dovranno essere regolati sempre da patti bilaterali, o da concordati.

A parte il fatto che implicitamente verrebbe ad affermarsi nella Costituzione il riconoscimento del Concordato e dei Patti del Laterano, si dichiara contrario a porre lo Stato costituzionalmente in condizioni di parità con la Chiesa, perché nel caso di una questione su cui non fosse possibile raggiungere l'accordo, lo Stato deve poter prendere la sua risoluzione, anche indipendentemente dalla volontà della Chiesa.

Sarebbe, però, favorevole a studiare una formula nella quale si dicesse che le relazioni tra Stato e Chiesa sono regolate mediante il Concordato e, a tale proposito, cita una formula proposta dal professore Jemolo: «Lo Stato regola i rapporti giuridici con la confessione cattolica cercando, per quanto sia possibile, di concludere concordati con la Santa Sede».

Una formula di questo genere ritiene che potrebbe essere presa come base di discussione per giungere ad una dizione che sia idonea ad essere inserita nella Costituzione, ma non può essere d'accordo sul riconoscimento di una parità che obbligherebbe in ogni caso lo Stato a non esercitare la sua sovranità, anche quando vi sia l'impossibilità di raggiungere un accordo.

Lo scopo principale a cui mira l'onorevole Dossetti, cioè di assicurare una posizione di libertà alla Chiesa cattolica italiana, riconoscendole una situazione di reale indipendenza dallo Stato, a suo giudizio può egualmente raggiungersi con l'articolazione che l'oratore stesso ha proposto in materia di libertà di culto non solo della Chiesa cattolica, ma di tutte le Chiese.

Tiene a precisare che non intende affatto affermare che non debba mantenersi il sistema concordatario, salvo le necessarie modificazioni da apportare mediante trattative bilaterali, ma è d'avviso che nella Costituzione non si possano mettere vincoli che creerebbero situazioni particolari dello Stato rispetto alla Chiesa.

Grassi rileva che nell'articolo 4 dell'onorevole Dossetti si fanno delle precisazioni che o sono superflue, oppure dicono qualche cosa che sarebbe bene dire più chiaramente. Il concetto iniziale, che lo Stato italiano si riconosce membro della comunità internazionale, a suo parere, è espresso inesattamente, in quanto il riconoscimento di uno Stato come membro della comunità internazionale, non dipende da questo, ma da tutta la società internazionale. Dato che la situazione di fatto dell'Italia oggi non è ancora stata chiarita, con una simile affermazione sembrerebbe che si voglia precedere quello che dovrebbe essere un riconoscimento internazionale. Circa l'ordinamento giuridico degli altri Stati e della Chiesa, come originari, gli sembra che non vi possano essere dubbi, perché tutti gli Stati, per il fatto stesso che sono membri della comunità internazionale, sono ordinamenti giuridici originari, in quanto non derivano da altri ordinamenti statuali. Anche per quanto riguarda la Chiesa, nessuno può disconoscere, come del resto è ammesso dalla dottrina, che la Chiesa ha un suo diritto originario. La questione invece sorge per il fatto che mentre tutti gli altri membri della comunità internazionale agiscono in un proprio territorio su cui esplicano il loro diritto originario, la Chiesa si trova a svolgere la sua attività in correlazione con un altro ordinamento giuridico, ossia con lo Stato italiano. Dalla coesistenza dei due ordinamenti, nascono problemi teorico-pratici relativi agli individui considerati come cittadini e come fedeli, per cui è necessario e indispensabile che i rapporti tra l'ordinamento della Chiesa e quello dello Stato siano disciplinati mediante un apposito regolamento, la cui forma non può essere altro che quella del Concordato.

Ammesso questo punto fondamentale, senza attardarsi in inutili costruzioni teoriche, ritiene sarebbe più opportuno affermare sinteticamente che si riconosce la Chiesa come ordinamento giuridico originario che deve trovare nei rapporti con lo Stato un regolamento che possa tranquillizzare l'animo dei cattolici, in modo che non si arrivi a forme giurisdizionali dello Stato sulla Chiesa.

Il Presidente Tupini osserva che la discussione svoltasi ha dimostrato che la Commissione non è ancora in condizioni di poter arrivare ad una conclusione e quindi ad una votazione. Per tentare ancora uno sforzo per arrivare ad una conclusione possibilmente concorde, ritiene opportuno che i due relatori, onorevoli Cevolotto e Dossetti, si riuniscano insieme ad altri due Commissari allo scopo di cercare di arrivare ad una formula accettabile almeno dalla maggioranza. Personalmente ha preparato delle formule ed anche l'onorevole Togliatti ha preparato uno schema di articoli che potrebbero essere studiati dai Relatori e dagli altri due Commissari che ad essi si aggiungeranno.

De Vita è del parere che l'articolo proposto dall'onorevole Dossetti debba essere senz'altro soppresso. Di questo fa proposta formale e chiede che sia messa in votazione.

Dossetti, Relatore, potrebbe anche essere d'accordo con l'onorevole De Vita sul fatto di mettere senz'altro in votazione l'articolo proposto, facendo presente che una sua eventuale soppressione non potrebbe avere altro significato che quello di lasciare aperta la possibilità di un giurisdizionalismo statuale.

Il Presidente Tupini osserva che non si tratta di domandare la soppressione pura e semplice dell'articolo. Al punto in cui si è arrivati, gli sembra che non si possa arrivare ad una votazione, senza presentare, come si è sempre fatto, proposte di emendamenti sostitutivi.

Caristia esprime il desiderio che gli onorevoli Commissari che si occuperanno di superare la questione tengano presente non soltanto l'articolo in discussione, ma anche gli altri che con esso sono connessi.

Il Presidente Tupini ricorda all'onorevole Caristia, che, in sostanza, tutta la discussione si è imperniata sulla materia dei rapporti tra lo Stato italiano e gli altri Stati e sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa.

De Vita dichiara di ritirare la proposta precedentemente fatta.

Il Presidente Tupini propone il rinvio della discussione alla prossima seduta.

(La Commissione approva).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti