[Il 6 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Basso. [...] L'operaio che vive oggi nella grande fabbrica, l'operaio che vive oggi nella disciplina della divisione del lavoro, l'operaio che fa continuamente la stessa vite, lo stesso dado, la stessa molla, sa che la sua vite, sa che il suo dado, sa che la sua molla non hanno alcun senso, presi in se stessi; ma che fanno parte del lavoro collettivo. L'operaio sa che il suo lavoro, la sua opera, la sua stessa vita, assumono un valore nell'armonia dello sforzo collettivo. L'operaio sa che la macchina che esce dalla sua officina non è una somma di pezzi freddi e uguali, ma è l'armonia dell'opera complessiva, sa che la macchina non è una semplice somma di viti o di dadi, ma che le viti e i dadi hanno un senso in quanto sono parti della macchina.

Ed è da questa esperienza che nasce la nostra esperienza; oggi la società non si può considerare una somma di individui, perché l'individuo vuoto non ha senso se non in quanto membro della società. Nessuno vive isolato, ma ciascun uomo acquista senso e valore dal rapporto con gli altri uomini; l'uomo non è, in definitiva, che un centro di rapporti sociali e dalla pienezza e dalla complessità dei nostri rapporti esso può soltanto trovar senso e valore.

E allora anche le nostre concezioni politiche e giuridiche assumono un significato diverso. Non si tratta più di contrapporre l'individuo allo Stato, intesi quasi come entità astratte e lontane l'una dall'altra. Si tratta di realizzare invece la vita collettiva dalla effettiva partecipazione di tutti i mezzi.

Ecco allora il senso dell'espressione dell'articolo primo del nostro progetto, che è per questa parte opera mia, e che l'onorevole Calamandrei citava l'altro giorno, là dove si dice che la «Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»; appunto, perché oggi non concepiamo più l'uomo come individuo contrapposto allo Stato, ma, al contrario, concepiamo l'individuo solo come membro della società, in quanto centro di rapporti sociali, in quanto partecipe della vita associata. La Repubblica, espressione della vita collettiva, trae il suo senso e il suo significato solo dalla partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale.

Ed ecco anche il senso del lavoro, inteso come fondamento della Repubblica; altra espressione che è stata criticata. Perché noi non facciamo, e non vogliamo fare, una Repubblica di individui, ma vogliamo fare non una Repubblica di individui astratti, una Repubblica di cittadini che abbiano solo una unità giuridica, vogliamo fare la Repubblica, lo Stato in cui ciascuno partecipi attivamente per la propria opera, per la propria partecipazione effettiva, alla vita di tutti. E questa partecipazione, questa attività, questa funzione collettiva, fatta nell'interesse della collettività, è appunto il lavoro; e in questo, penso, il lavoro è il fondamento e la base della Repubblica italiana.

Ed ecco perché noi pensiamo che sia errata la concezione a cui parecchi colleghi si sono sovente inspirati nella redazione degli articoli, e che si trova nel progetto della nostra Costituzione che la democrazia si difende, e si difende la libertà, e si difendono i diritti del cittadino, limitando i diritti dello Stato, limitando l'attività o le funzioni dello Stato. Concezione che si inspira sempre a quella che noi riteniamo una contrapposizione superata fra individuo e Stato. Noi pensiamo che la democrazia si difende, che la libertà si difende non diminuendo i poteri dello Stato, non cercando di impedire o di ostacolare l'attività dei poteri dello Stato, ma al contrario, facendo partecipare tutti i cittadini alla vita dello Stato, inserendo tutti i cittadini nella vita dello Stato; tutti, fino all'ultimo pastore dell'Abruzzo, fino all'ultimo minatore della Sardegna, fino all'ultimo contadino della Sicilia, fino all'ultimo montanaro delle Alpi, tutti, fino all'ultima donna di casa nei dispersi casolari della Calabria, della Basilicata. Solo se noi otterremo che tutti effettivamente siano messi in grado di partecipare alla gestione economica e politica della vita collettiva, noi realizzeremo veramente una democrazia.

[...]

Non posso dire che questa concezione, che abbiamo cercato di difendere, e che forse è apparsa talvolta frammentaria o dispersa nella redazione dei vari articoli, sia stata tenuta presente completamente e si trovi nel testo che ci viene sottoposto.

Certo, vi sono alcuni progressi sensibili sulla via di questa effettiva partecipazione di tutti i cittadini alla gestione degli interessi collettivi.

È rimasto, ancorché corretto ed attenuato, l'articolo che io avevo proposto, e che si trova ora al capoverso dell'articolo 7, che dice: «È compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l'eguaglianza degli individui, ecc.».

Questo articolo è rimasto, ma, non so come, modificato. Il testo del mio articolo era il seguente: «Rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che limitano la libertà e l'eguaglianza di fatto degli individui», appunto per mettere in evidenza il contrasto fra i diritti e la realtà vissuta. Su questa via della effettiva partecipazione di tutti, qualche altra cosa si ritrova nella Costituzione: per esempio, un maggiore riconoscimento, direi un riconoscimento integrale, della eguaglianza della donna, e questo principio è affermato anche laddove si ammette la partecipazione della donna nell'ordine giudiziario. Ma, nel complesso, non direi che questo sia stato lo spirito che si è tenuto presente in tutta la Costituzione. Non era certamente presente quando si è redatto l'articolo 30, dove si dice che la Repubblica provvede con le sue leggi alla tutela del lavoro. È una espressione un po' paternalistica, questa; comunque, se io sono riuscito a rendere bene il senso della nostra concezione, è chiaro che quello che noi desideriamo è che il lavoro sia finalmente soggetto e non oggetto della storia; che i lavoratori siano finalmente i veri protagonisti della vita politica; è chiaro che non si tratta di una Repubblica che dall'alto tutela il lavoro, ma piuttosto di un lavoro che ha conquistata la propria maggiorità e che permea di se stesso gli istituti della nuova Repubblica italiana.

[...]

Saragat. [...] Accanto a questi diritti di libertà noi troviamo nel progetto i diritti sociali. L'articolo 1 di esso dice: «La Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Può darsi benissimo che dal punto di vista giuridico questa formulazione non sia tra le più felici; ma io ritengo che la sostanza di questa affermazione sia storicamente esatta, e che anzi su di essa poggi tutta quanta la struttura di questo progetto relativamente a diritti sociali. Ciò che caratterizza il nostro testo è appunto il dilatarsi della nozione di responsabilità da quella unicamente verso se stessi, che è il fondamento dei diritti di libertà, a quella più vasta di responsabilità verso i propri simili, che è il fondamento dei diritti sociali.

I rapporti da uomo a uomo si estendono oggi dall'ambito individuale, alla sfera più vasta dell'ambito sociale; il che non è soltanto giusto dal punto di vista etico, ma anche vero dal punto di vista storico. Oggi si prende atto che l'individuo si avvantaggia del lavoro di tutti e dà a tutti il suo contributo. Questo contributo è appunto il lavoro umano. Il rapporto concreto di solidarietà che nel mondo moderno lega gli uomini non può essere che il lavoro. Se questo rapporto, per ragioni che sono note agli studiosi di economia, può assumere un carattere antagonista, non è men vero che abbiamo diritto di ritenere che verrà un giorno in cui questo rapporto di lavoro sarà la base di una società più giusta.

Può darsi che la critica dal punto di vista giuridico di questo aspetto del problema sia giusta, ma io penso che ogni lavoratore, leggendo questo documento, può capire che cosa si vuol dire. Che cosa vuol dire infatti questo articolo primo della Costituzione? Vuol dire che essa mette l'accento su tutto ciò che è lavoro umano, che essa mette l'accento sul fatto che la società umana è fondata non più sul diritto di proprietà e di ricchezza, ma sulla attività produttiva di questa ricchezza. È il rovesciamento, insomma, delle vecchie concezioni, per cui si passa dal fatto della ricchezza sociale a considerare l'atto che produce questa ricchezza. E questo dà luogo a sviluppi molto importanti. Il fatto della proprietà in sé può essere anche un fatto di carattere egoistico, ma l'atto del lavoro è veramente un atto per sua natura altruistico e determina un rapporto collettivo che dà un risalto anche al carattere sociale dei diritti. In altri termini, mentre la proprietà può isolare, il lavoro unisce, ed è da questa nozione dell'attività produttiva e del lavoro — nozione che deve essere associata al diritto al lavoro — che sgorgano tutti gli altri diritti sociali.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti