[L'11 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.
Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alle appendici generali della Parte seconda per il testo completo della discussione.]
Martino Gaetano. [...] Se vogliamo che la Corte costituzionale rappresenti veramente un serio istituto, di garanzia, dobbiamo fare in modo che essa sia un organo giuridico, non un organo politico; dobbiamo fare in modo che le sue sentenze abbiano davvero virtù di persuasione, e non siano invece — come teme Luigi Einaudi — «lievito di discordie civili». Perché, se la Corte costituzionale dovesse invadere il campo politico nella interpretazione di certe norme, spesso anche troppo elastiche, di questa nostra Carta costituzionale, o se dovesse addirittura assumere il compito di giudicare anche dell'opportunità delle leggi (come è avvenuto, per esempio, negli Stati Uniti d'America), allora noi avremmo davvero nella Corte, anziché una ragione di tranquillità, una ragione di preoccupazione e di perenne discordia.
Deve essere dunque un organo giuridico e non politico. Cioè, il controllo giudiziario deve esercitarsi esclusivamente quando la violazione di una norma costituzionale sia positivamente accertata. È questo il concetto al quale si ispirò il Marshall, ed egli, nel suo lunghissimo periodo di presidenza della Corte federale, in un caso solo dichiarò incostituzionale una legge del Congresso. E bisogna evitare altresì quei concetti giusnaturalistici che sono assai pericolosi nella determinazione dei rapporti fra l'individuo e lo Stato o fra le Regioni e lo Stato.
Il controllo giudiziario delle leggi presuppone una duplice interpretazione: quella della Costituzione e quella delle leggi.
Ora, se la Corte si attribuisse il compito di intervenire nella interpretazione di quelle norme a confini elastici, suscettibili di pluralità di soluzioni e di realizzazioni, evidentemente essa invaderebbe il campo che è riservato al Parlamento, cioè si trasformerebbe da organo giuridico in organo politico.
È questo un pericolo che è stato prospettato, se non ricordo male, dall'onorevole Benvenuti a proposito della discussione dell'ultimo comma dell'articolo 31 del nostro progetto di Costituzione, là dove era affermato che l'esercizio di un'attività la quale concorra al progresso materiale o spirituale della Nazione è condizione essenziale per l'esercizio dei diritti politici.
Orbene, per evitare questo, occorrerebbe che la Costituzione dettasse già le norme per la interpretazione delle proprie disposizioni, sottolineando l'importanza delle norme fondamentali da cui è caratterizzato il regime dello Stato, così come il Codice civile detta le norme per la interpretazione delle leggi. Ciò sarebbe tanto più necessario, io penso, in quanto molto spesso nella elaborazione di questa Carta costituzionale si è cercato di obbedire a quella tale esigenza napoleonica rammentata dall'onorevole Calamandrei nel suo memorabile discorso. Napoleone in verità voleva che la Costituzione non fosse solamente oscura, ma anche breve: courte et obscure. Noi non abbiamo potuto farla breve, ma non abbiamo certo mancato di farla oscura.
È la mancata comprensione di questo compito esclusivamente giuridico che ha portato, in altri paesi, all'attribuzione di poteri non giuridici, ma politici alla Corte costituzionale. E quando questo accade, quando cioè il potere giudiziario si attribuisce compiti politici, come diceva il Guizot, la politica non ha niente da guadagnare e la giustizia ha tutto da perdere.
Ecco perché mi son permesso di proporre il seguente emendamento aggiuntivo (l'articolo 126-bis):
«La Corte non potrà pronunciarsi sulla validità degli atti legislativi e dei decreti, se non in relazione a quelle norme costituzionali, la cui interpretazione non giustifichi una pluralità di soluzioni, una delle quali sia stata adottata dal Parlamento o dal Governo. Essa si asterrà parimenti, nelle sue decisioni, dal pronunciarsi su questioni che implichino una valutazione dell'opportunità dei suddetti atti».
Credo che questa norma risponda a una esigenza effettiva, avvertita già da autorevoli colleghi. Ho visto, per esempio, che l'onorevole Calamandrei nella riunione della seconda Sottocommissione del 14 gennaio sottolineò, in un suo notevole intervento, la necessità di vedere «come togliere o attenuare il carattere politico del controllo, come smorzare questa eccessiva ingerenza politica del giudice».
Dobbiamo tuttavia tenere presente che, per quanto limitato, la Corte costituzionale avrà sempre un compito politico. I suoi atti avranno sempre un, se pur limitato, contenuto politico. Se noi vogliamo che sia davvero efficiente la garanzia offerta dall'organo giurisdizionale, dobbiamo fare in modo che non sia possibile mantenere in vita una legge già dichiarata incostituzionale dalla Corte.
A cura di Fabrizio Calzaretti