[L'11 novembre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alle appendici generali della Parte seconda per il testo completo della discussione.]

Murgia. Onorevoli colleghi, l'onorevole Macrelli, che mi ha preceduto, ha esordito brillantemente richiamando l'attenzione dell'Assemblea su tutti i problemi di questo titolo. È giusto. Io penso però che uno di essi sia particolarmente importante per la sua particolare gravità; gravità interpretata nobilmente proprio in quel monito solenne del nostro Presidente della Repubblica onorevole De Nicola letto or ora dall'amico Macrelli e col quale egli ha chiuso la sua bella orazione, questo: stabilire chi debbano essere i giudici del cittadino quando egli sia accusato di delitti che fino a ieri comportavano la pena suprema e oggi l'ergastolo o diecine di anni di reclusione. Problema grave al quale un altro strettamente se ne connette, per le sue conseguenze pratiche, forse ancora più grave: quello di stabilire se contro tali sentenze debba essere mantenuto solo il rimedio oggi esistente e nuovamente sancito nell'articolo 102 del nostro progetto, cioè il ricorso per Cassazione, o non invece, come io ho proposto con un emendamento specifico a tale articolo, anche il rimedio dell'appello.

Ciò perché — come voi sapete — oggi non esiste contro le sentenze della Corte d'assise che privano in perpetuo di libertà il cittadino, ne distruggono l'onore e ne confiscano i beni, il giudizio di appello, quel giudizio di appello che pure esiste, e giustissimamente, contro tutte le altre sentenze penali dei tribunali e dei pretori che infliggono pene detentive leggere di qualche anno, di qualche mese o addirittura semplici pene pecuniarie.

È qui, su questo assurdo stato di cose della nostra legislazione penale, che io invoco tutta la vostra attenzione, che io richiamo tutto il vostro senso di responsabilità perché si cancelli questa ingiustizia che è forse la più grave per le garanzie del cittadino.

Quale è stato il motivo etico, logico o giuridico che ha impedito fin qui che si istituisse il rimedio dell'appello contro le sentenze della Corte d'assise? È un motivo strettamente connesso all'istituto della giuria popolare di cui in linea principale ho proposto, con altro emendamento, la soppressione. E come e perché? La giuria popolare era considerata, simbolicamente, come il popolo stesso che giudicava, il popolo al quale anche in questa materia si davano gli attributi di infallibilità e di sovranità, portando il linguaggio politico per non dire demagogico sul terreno della scienza. Ora, si argomentava, se il popolo di cui la giuria è il simbolo è infallibile, la sua sentenza non può essere viziata da errore, e quindi l'appello è inutile, e se è sovrano, come lo è, non si può concepire un giudizio più alto, quindi ugualmente inutile, anzi assurdo.

Ma oltre queste ragioni, puramente demagogiche, un'altra ve n'è sostanziale che ha impedito finora e impedirà sempre che contro le decisioni della giuria possa istituirsi il giudizio di appello, questa: che il giudice popolare non motiva le sue decisioni, non dice per quale motivo assolve o condanna: su una scheda scrive un sì o un no dietro il quale c'è l'arcano dei motivi che lo hanno determinato. Ora, a prescinder dal fatto che la mancanza di motivazione costituisce la violazione fondamentale dei diritti del cittadino accusato e che legittima tutti gli abusi, sta l'altro fatto che essendo il giudizio di appello un giudizio di critica dei motivi messi a sostegno della sentenza impugnata, l'appello diventa impossibile per la mancanza dell'oggetto su cui deve cadere: la motivazione.

A questo riguardo si potrebbe, ma ingenuamente, obiettare: se questo è l'ostacolo acché venga istituito l'appello (poiché nessuno fino a questo momento ha osato disconoscere la giustizia di questo istituto) si disponga che anche le sentenze della giuria vengano motivate. Qualcuno dei colleghi, anzi, mi pare abbia proposto, per conciliare il mantenimento della giuria con la istituzione dell'appello contro le decisioni di essa, che si investisse la Cassazione anche del giudizio di merito. È assurdo per molte ragioni: prima di tutto perché si snaturerebbe l'istituto della Cassazione che è chiamata soltanto a un'alta e definitiva critica di puro diritto sostanziale o processuale e le è preclusa l'indagine di merito.

Secondariamente si commetterebbe una grave ingiustizia a danno degli imputati i quali, a differenza di quelli giudicati dal pretore o dal tribunale, avrebbero solo due gradi di giurisdizione e non tre, perché contro il giudizio della Cassazione non è possibile un ulteriore grado di giudizio. Ma pensate poi alle difficoltà pratiche. Poiché la Cassazione giudicherebbe sul merito di tutti i giudizi delle Corti d'assise d'Italia, non solo si dovrebbe moltiplicare per dieci il numero attuale dei magistrati di Cassazione (e fin qui non si tratterebbe forse di un male) ma si vedrebbe la Cassazione piena di imputati ammanettati di tutte le Corti della penisola, dato che l'imputato ha diritto a presenziare al giudizio di appello. Si potrebbero inoltre sentire testimoni dato che il giudice di appello può, in determinati casi, disporre nuove prove, ammettere nuovi testimoni e si potrebbe persino arrivare alla rinnovazione del dibattimento in sede di appello, sede che in questo caso, ripeto, sarebbe la Cassazione. Tutto ciò sarebbe assurdo. Ma resterebbe sempre, anche superate tutte codeste considerazioni, l'ostacolo fondamentale: come farebbe la Cassazione a giudicare sul merito in secondo grado se la sentenza della giuria manca di motivazione? O, come verrebbe proposto, si potrebbe davvero pensare che la giuria sarebbe capace di motivare? Io ho una modesta esperienza di processi di Corte d'assise e sono in grado di escludere tale possibilità. Come la motiverebbe un povero contadino, pur nobilissimo e rispettabilissimo per il suo lavoro e per la sua onestà, come la motiverebbe un fabbro, un macellaio o che so io, dato che non esiste alcun limite per la capacità di esser giudice popolare, quando si tratti di processi di straordinaria complessità e gravità, costituiti da molti volumi con perizie, relazioni tecniche, di carattere inaccessibile e direi incomprensibile per la loro mentalità e levatura?

Quindi, per queste ragioni io ritengo che sia impossibile conciliare l'istituto della giuria colla possibilità di istituire il giudizio di appello contro le sue decisioni.

[...]

Ma, ripeto, il motivo formidabile che da solo legittima la soppressione dell'istituto della giuria è quello di istituire il rimedio dell'appello.

Per non ammettere l'appello, per non ritenerlo necessario bisognerebbe che fosse vero che il popolo — che si vuole simboleggiato nella giuria — fosse, in questa materia, infallibile, che la giuria fosse una specie di consesso di numi immuni dall'errore, dalla frode, da tutte le fragilità e debolezze di cui è impastata l'umana natura.

Ma se qualcuno vi fosse che avesse questa illusione, io rievocherei in contrario, tutta la tragica statistica di uomini mandati alla morte dalla giuria popolare o di altri spentisi nel buio e nella solitudine degli ergastoli. Questi uomini furono poi — riconosciuta luminosamente la loro innocenza o per successive confessioni dei veri colpevoli o per altre prove sicure — riabilitati alla memoria ma non restituiti alle loro famiglie e alla vita. Quelle sentenze non si poterono riformare appunto perché non esisteva il rimedio, la possibilità dell'appello.

Sia questo, dunque, o colleghi, il momento di cancellare questa ingiustizia, sia un impegno d'onore della nostra Assemblea di scolpire il principio in questa Carta costituzionale che contro tutte le sentenze penali che infliggono pene detentive, comprese quelle della Corte d'assise, sia istituito il giudizio di appello.

Alcuni sostengono che questa non sia materia costituzionale e che perciò bisogna soprassedere e rimandarla al legislatore ordinario. L'amico Macrelli, a metà della sua bella orazione, ha dimostrato citando tutte le più illustri costituzioni straniere che questa è tipicamente materia costituzionale. Badate: o noi non abbiamo idee chiare su questo argomento e sarebbe molto grave per noi legislatori o le abbiamo e allora bisogna scolpire ora tale principio. Perché diversamente il legislatore ordinario potrebbe non sentirsi obbligato a istituirlo. Ciò è tanto più opportuno giacché tutti gli oratori che ho udito si son mostrati d'accordo perché sia istituito. In questo modo comincerà subito a diminuire il numero delle ingiustizie e degli errori giudiziari.

[...]

Detto questo onorevoli colleghi io finisco; finisco colla ferma speranza che venga istituito il giudizio di appello e con esso siano evitati per sempre alla società gli errori funesti che ho rievocato. (Applausi Congratulazioni).

[...]

Sardiello. [...] E allora la soluzione è in una verità profondamente umana: ogni giudizio è viziato dall'errore; in ogni giudizio umano v'è per lo meno la possibilità dell'errore. Quale rimedio contro questa eventualità? La nostra civiltà giuridica non ne conosce che uno: l'appello, il quale approfondisce il giudizio ed avvicina sempre più la pronunzia definitiva alla verità ed alla giustizia.

La giuria, l'assessorato, la stessa Corte criminale, vietano tradizionalmente la possibilità del secondo grado di giurisdizione. In una dotta relazione intorno alla riforma dei Codici elaborata dalla rappresentanza del nobile foro di Catanzaro rappresentato dall'illustre nostro collega onorevole Turco, ho letto la proposta di una Corte criminale con secondo grado di giurisdizione. Ma non mi pare che questo sia realizzabile.

E allora non v'è che una via: assegnare tutti i giudizi al magistrato ordinario consentendo per tutti il giudizio di appello.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti