[Il 31 gennaio 1947, nella seduta pomeridiana, la Commissione per la Costituzione in seduta plenaria discute sulla Magistratura.]

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 106 per il testo completo della seduta.]

Il Presidente Ruini avverte che occorre esaminare la seguente norma relativa alla magistratura:

«I magistrati sono nominati con decreti del Presidente della Repubblica, su designazione del Consiglio superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da tirocinio. Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dalle norme sull'ordinamento giudiziario.

«Il Consiglio superiore della Magistratura può, secondo le norme sull'ordinamento giudiziario, designare per la nomina magistrati onorari in tutte le funzioni attribuite dalla legge a giudici singoli, e può designare a Consigliere di Cassazione professori ordinari di materie giuridiche nelle Università, ed avvocati dopo quindici anni di esercizio».

L'onorevole Targetti ha proposto di sopprimere al 1° comma le parole: «nei casi previsti dalle norme sull'ordinamento giudiziario».

Targetti nota che la seconda sezione della seconda Sottocommissione deliberò l'ammissione delle donne nella magistratura; ma questa ammissione non fu né condizionata, né limitata. Il Comitato di redazione, nel redigere e nel coordinare, ha anche emendato, perché ha aggiunto nel primo comma le parole: «nei casi previsti dalla legge sull'ordinamento giudiziario».

Evidentemente, qui c'è il pensiero e la finalità di limitare l'ammissione delle donne nella magistratura; chi, invece, è stato favorevole a questo principio, non vede le ragioni di una tale limitazione.

I motivi addotti dai sostenitori della tesi opposta non hanno persuaso. Non si può, da una parte, ammettere la presenza, graditissima ed utilissima, nella Costituente di tante egregie colleghe; ammettere che la donna possa salire anche su una cattedra universitaria e, dall'altra, negare che la donna abbia le attitudini necessarie per diventare anche Consigliere di Cassazione. Non intende diminuire il valore degli egregi magistrati che compongono le varie sezioni della Cassazione; ma non crede di fare ingiuria a nessuno dicendo che forse c'è qualche consigliere che non ha le qualità di intuito e di capacità intellettiva che possono avere alcune donne. Queste ragioni militano contro quella limitazione implicitamente prevista dall'emendamento apportato dal Comitato di redazione.

Leone Giovanni è favorevole al testo del Comitato di redazione, il quale corrisponde ai motivi che furono enunciati da qualche componente della seconda Sezione. Si disse che nessuna difficoltà esisteva per dare un più ampio respiro alla donna nella partecipazione alla vita pubblica del Paese. Già l'allargamento del suffragio alle donne costituisce il primo passo su questo piano. Si ritiene, però, che la partecipazione illimitata delle donne alla funzione giudiziaria non sia per ora da ammettersi. Che la donna possa partecipare, con profitto per la società, a quella amministrazione della giustizia dove più può far sentire le qualità che le derivano dalla sua femminilità e dalla sua sensibilità, non può essere negato: si accenna qui, oltre che alla giuria — nel caso che questo istituto sia ripristinato — a quei procedimenti per i quali è più sentita la necessità della presenza della donna, in quanto richiedono un giudizio il più possibile conforme alla coscienza popolare. Anche il Tribunale dei minorenni sarebbe la sede più idonea per la partecipazione della donna. Ma, negli alti gradi della Magistratura, dove bisogna arrivare alla rarefazione del tecnicismo, è da ritenere che solo gli uomini possano mantenere quell'equilibrio di preparazione che più corrisponde per tradizione a queste funzioni.

Pertanto, in questa prima fase si lasci alla legge sull'ordinamento giudiziario il compito di stabilire dei limiti. D'altra parte gli sembra chiaro che la formula proposta dal Comitato di redazione non stabilisce un limite vero e proprio, ma solo la possibilità di porre dei limiti attraverso la legge sull'ordinamento giudiziario; di guisa che la legge sull'ordinamento giudiziario potrà anche non fissare alcun limite. Pensa, in conclusione, che possa adottarsi il testo del Comitato di redazione.

Federici Maria si associa all'emendamento proposto dall'onorevole Targetti e non è d'accordo con quanto ha detto l'onorevole Leone, anche perché egli ha adoperato una parola che inficia tutto il suo ragionamento: ha parlato di tradizione. Senza ripetere gli argomenti già esposti dall'onorevole Targetti, dirà solamente che nel corso dei lavori presso le varie Sottocommissioni è affiorata più di una volta questa poca sensibilità maschile nel non volere far giustizia nei riguardi della donna. Nel momento in cui la Costituzione francese ha sancito che i diritti della donna sono uguali a quelli dell'uomo in tutti i settori della vita sociale e civile; quando è noto che già la Jugoslavia nell'articolo 24 della sua Costituzione sancisce l'eguaglianza assoluta della donna nei riguardi dell'uomo, come ha fatto precedentemente la Russia nel 1936, con l'articolo 122, come hanno fatto la Polonia, l'Uruguay e tanti altri Stati, pare impossibile che solamente in Italia si voglia mantenere questa inferiorità.

Ora, quando si stabilisce che il merito e la preparazione sono i soli elementi discriminatori per quanto attiene alla possibilità di aprire tutte le carriere alla donna, non vi è da aggiungere altro. Quando invece si parla di facoltà, di attitudini, di capacità, si portano argomenti deboli, che offendono la giustizia. Se è difficile, ad esempio, trovare una donna capace di comandare un Corpo d'armata, bisogna anche dire che vi sono tanti uomini incapaci. Del resto almeno una volta nella storia si ha una santa, Giovanna d'Arco, che può dare lezioni a tutti. Non si parli, quindi, di attitudine, di capacità, di facoltà: si lasci il criterio della preparazione e del merito, che può essere accettato dalle donne in genere e anche dalla coscienza nazionale, nel momento in cui si sta elaborando la Costituzione.

Iotti Leonilde si associa agli argomenti svolti dagli onorevoli Targetti e Federici. A suo parere i motivi addotti dall'onorevole Leone non sono molto validi perché, se è vero che si deve far sentire in certo grado la femminilità della donna, non per questo si deve precludere alla donna l'accesso agli alti gradi della magistratura, quando abbia la capacità di arrivarci. Può anche darsi che le donne non ci arrivino; ma in questo caso si tratta di merito.

Richiama, inoltre, l'attenzione dei colleghi sulla norma della Costituzione la quale stabilisce che tutti i cittadini, di entrambi i sessi, possono accedere alle cariche pubbliche.

Il testo del Comitato di redazione, a suo parere, è in contraddizione con questa norma.

Gotelli Angela osserva che permettere alle donne di arrivare agli alti gradi della Magistratura non significa portarcele per forza. Gli uomini avranno sempre la possibilità di lasciarle indietro, qualora abbiano possibilità e meriti maggiori.

Pensa, in ogni caso, che, se si vuole essere coerenti, non si debba intaccare il principio dell'uguaglianza affermato nella Costituzione.

Mancini non intende aggiungere altri argomenti a quelli addotti dal collega Targetti e a quelli così forbitamente esposti dalle elette donne che lo hanno preceduto; ma siccome è stata ricordata Giovanna d'Arco, vorrebbe anche ricordare che l'Italia non ha nulla da invidiare ad altre Nazioni, poiché ha avuto una donna, Eleonora d'Arborea, che, con la «Carta de logu», ha lasciato un'orma indelebile nella legislazione e nella storia del diritto italiano.

Cappi, pur essendo imbarazzato nell'esprimere un parere contrario alla tesi sostenuta dall'onorevole Federici Maria, la quale si è appellata alla coscienza popolare, ha il dovere di dire che una delle ragioni principali per cui ha espresso parere contrario all'ammissione delle donne nella magistratura è che, almeno oggi, nella coscienza popolare non v'è la convinzione che le donne possano esercitare — soprattutto indiscriminatamente — la funzione di giudice. Si dovrebbe fare, se mai, un referendum; in ogni modo riassume la ragione della sua opposizione in questa proposizione: a suo parere, nella donna prevale il sentimento al raziocinio, mentre nella funzione del giudice deve prevalere il raziocinio al sentimento.

Codacci Pisanelli prospetta soltanto una questione di resistenza fisica. Per sua diretta esperienza, un tempo, di magistrato, afferma che in udienza alle volte la discussione si protrae per ore ed ore e richiede la massima attenzione da parte di tutti. È evidente che per un lavoro simile sono più indicati gli uomini che le donne. In altri termini, si tratta di quella stessa resistenza fisica che viene considerata allorché si parla del servizio militare. Per tali considerazioni ritiene che non sia opportuno ammettere le donne nella magistratura.

Molè dichiara di aver combattuto questa proposta sia in Consiglio dei Ministri, che in seno alla Sottocommissione e non può che ripetere brevissimamente che ritiene non trattarsi né di superiorità, né di inferiorità della donna di fronte all'uomo nella funzione giurisdizionale: è soprattutto per i motivi addotti dalla scuola di Charcot riguardanti il complesso anatomo-fisiologico che la donna non può giudicare.

Il Presidente Ruini pone ai voti la proposta dell'onorevole Targetti.

(La Commissione non approva).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti