[Il 18 gennaio 1947 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull'organizzazione costituzionale dello Stato. — Presidenza del deputato Perassi.]

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 75 per il testo completo della discussione.

Dopo la decisione della Sottocommissione che il Presidente della Repubblica non può indire di sua iniziativa un referendum su una legge approvata dal Parlamento...]

Mortati, Relatore, avverte che si potrebbe tuttavia considerare un'ipotesi diversa, e cioè che un disegno di legge sia approvato da un ramo del Parlamento e respinto dall'altro. A questo proposito ricorda che si è già trattato in altra occasione della possibilità da parte del Presidente della Repubblica di sottoporre a referendum il progetto su cui verte il dissidio, o di sciogliere le due Camere. Propone, quindi, il seguente articolo:

«Il Capo dello Stato ha facoltà di indire il referendum su un disegno di legge sul quale vi sia dissenso tra i due rami del Parlamento.

«Analoga facoltà compete nel caso di legge rigettata da entrambi i rami».

Lami Starnuti trova che l'ipotesi di intervento del Capo dello Stato nel conflitto tra le due Camere è ancora più grave della precedente. A maggior ragione perciò vi è contrario.

Cappi subordina il suo parere favorevole al nuovo articolo alla condizione che sia emendato come aveva proposto di emendare l'articolo su cui si è votato[1].

Uberti riconosce un valore assoluto alla volontà popolare e ritiene che chi ha sentimenti veramente democratici non debba preoccuparsi di questo appello al popolo e della sua maggiore partecipazione alla vita politica. Aderisce, pertanto, alla proposta dell'onorevole Mortati, la quale, a suo avviso, non può considerarsi lesiva dell'istituto parlamentare.

Einaudi, poiché nell'ipotesi in esame è già la presunzione che una legge sia cattiva (in quanto respinta da un ramo del Parlamento), cosicché, non deve sentirsi la necessità di interpellare il popolo, è contrario al nuovo articolo, pur avendo votato in favore del precedente.

Il Presidente Perassi pone ai voti la nuova formula proposta dall'onorevole Mortati.

(Non è approvata).

[...]

Lami Starnuti riprende l'osservazione dell'onorevole Laconi, che mirava a consentire il referendum anche nel caso di legge respinta dal Parlamento, facendo rilevare che il progetto di legge respinto potrebbe anche essere ripresentato al Parlamento ad iniziativa popolare. Non v'è, quindi, motivo di negare la possibilità di ricorrere al referendum, evitando così di costringere il Parlamento a ripetere nuovamente un esame che già ha espletato.

Mortati, Relatore, obietta che per la richiesta di referendum è necessaria la firma di un ventesimo degli elettori.

Cappi concorda con l'onorevole Laconi e propone la seguente formula:

«Entro un mese dall'approvazione o dal rigetto di un disegno di legge, da parte del Parlamento, con una maggioranza inferiore ai tre quinti dei suoi membri, un quarantesimo degli elettori o la maggioranza assoluta di quattro Assemblee regionali può chiedere che sia indetto il referendum. Fino all'esito del referendum la legge resta sospesa».

Nobile espone la sua perplessità in merito all'adozione del referendum anche nel caso di progetto di legge respinto dal Parlamento. Fa osservare che il progetto rigettato potrebbe essere stato già esso di iniziativa popolare. La cosa starebbe a significare che i centomila elettori che hanno presentato un progetto di legge, dopo che questo è stato respinto dal Parlamento, avrebbero ancora la possibilità — trovando altri aderenti — di chiedere sullo stesso un referendum popolare.

Einaudi richiama l'attenzione sul fatto che la richiesta di referendum su un disegno di legge respinto dovrà partire da un corpo di elettori diversi da quello che aveva preso l'iniziativa di presentarlo; non sarà più il modesto numero di centomila elettori, ma uno molto maggiore che verrà stabilito nell'articolo in esame. Piuttosto bisogna tener presente che, nella mora dei due o tre mesi, l'opinione pubblica può essere mutata e, quindi, può essere giustificata la ripresentazione di un disegno di legge respinto.

Bulloni si dichiara contrario al referendum nel caso di rigetto di progetto di legge, per le considerazioni già svolte da alcuni colleghi e soprattutto per quanto ha detto l'onorevole Mortati in una felice interruzione: che, cioè, il disegno di legge non approvato non esiste più.

Laconi replica che l'ammissione del referendum nel caso in parola, per quanto apparentemente possa sembrare un indulgere al principio della sovranità popolare in realtà non lo è, appunto perché nulla vieta all'iniziativa popolare di far suo un progetto respinto e presentarlo come fosse un progetto nuovo. Sennonché, per la presentazione di un progetto ad iniziativa popolare sono sufficienti centomila firme, mentre per la richiesta di referendum ne occorrono molte di più.

Lami Starnuti concorda con l'onorevole Laconi, avvertendo che la sua intenzione è unicamente quella di impedire che venga nuovamente presentato al Parlamento un progetto che questo ha già respinto.

Ambrosini obietta che, se si vuole raggiungere questo scopo, è necessaria una esplicita norma costituzionale.

Il Presidente Perassi pone ai voti la proposta di ammettere il referendum anche rispetto ai disegni di legge respinti dalle due Camere o da una di esse.

(È approvato).


 

[1] La proposta dell'onorevole Cappi era quella di precisare che il referendum può essere indetto soltanto sui progetti di legge che siano stati approvati con una maggioranza inferiore ai due terzi dei membri delle Camere.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti