[Il 25 settembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo primo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Parlamento».]
Presidente Terracini. L'ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di costituzione della Repubblica italiana.
Passiamo all'esame dell'articolo 55 del progetto di Costituzione.
Ieri sera avevo accennato all'opportunità o meno di attendere, per l'esame degli emendamenti i quali propongono certe norme particolari per la formazione del primo Senato della Repubblica fino a che non giungeremo all'esame di tutte le norme transitorie; ma alcuni colleghi hanno fatto presente il desiderio di poterli senz'altro svolgere, perché può essere che ciò che essi direbbero in argomento abbia un riflesso sulle decisioni relative alla formazione permanente del Senato della Repubblica. Do perciò la parola ai presentatori dei due ultimi emendamenti, salvo a decidere il momento nel quale saranno posti in votazione.
Il primo emendamento porta la firma degli onorevoli Leone Giovanni, Avanzini, Rossi Paolo, Pignatari, Cifaldi, Villabruna, Candela, Alberti, Preziosi, Corbino, Condorelli, Costantini, Martinelli, Arcaini, Castelli Avolio, Adonnino. Sarà svolto dall'onorevole Avanzini ed è del seguente tenore:
«Per la prima elezione del Senato, sono nominati senatori di diritto con decreto del Capo dello Stato: i deputati all'Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato, o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea, o che abbiano avuto almeno tre elezioni, compresa quella all'Assemblea Costituente.
«A tale diritto si può rinunciare, ma la rinuncia deve essere fatta prima della firma del decreto di nomina».
L'onorevole Avanzini ha facoltà di svolgere l'emendamento.
Avanzini. Onorevoli colleghi, l'emendamento da noi presentato riguarda non la costituzione permanente ma unicamente la prima elezione del Senato.
Per questa prima elezione del Senato noi proponiamo che siano nominati senatori di diritto, con decreto del Capo dello Stato, i deputati all'Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato, o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea, o che abbiano avuto almeno tre elezioni, compresa quella all'Assemblea Costituente. Quindi, si potrà obiettare, ancora una volta, nomina dall'alto. Ieri, l'onorevole Alberti ha combattuto questa obiezione con sicura efficacia e sarebbe da parte mia di pessimo gusto ripetere le sue ragioni.
D'altro canto, questa obiezione non ha ragione d'essere, di fronte all'emendamento che noi proponiamo. Infatti questo emendamento non consente una scelta affidata alla libera volontà del Capo dello Stato. Gli eligendi sono individuati in una norma obiettiva, definitivamente limitata. Non si tratta di scegliere gli eligendi, ma solo di esaminare se abbiano i requisiti per essere eletti, requisiti precisati dalla norma. Infatti, nell'emendamento si propone che entrino a far parte del primo Senato i deputati all'Assemblea Costituente che abbiano fatto parte del disciolto Senato o che siano stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea. Non è il caso che mi soffermi ad illustrare questo punto dell'emendamento, in quanto esso si riferisce a nomi che sono presenti nel nostro spirito e al nostro ricordo: nomi meritevolissimi di far parte del nuovo consesso. Ma l'emendamento consente anche di varcare la soglia del Senato a quei deputati all'Assemblea Costituente che abbiano avuto almeno tre elezioni, compresa quella all'Assemblea Costituente.
Faccio notare che condizione imprescindibile di eleggibilità, in virtù di questo emendamento, è l'avvenuta elezione in seno all'Assemblea Costituente, e ciò per ovvie ragioni: innanzi tutto per evitare che la soglia del Parlamento possa essere varcata da chi, vantando un numero superiore a tre legislature, quale fascista abbia partecipato a passate legislature del regime. È una preoccupazione di cui non sembra abbia tenuto conto l'emendamento dell'onorevole Nitti.
C'è di più: l'elezione alla Costituente, evidentemente sta a significare una consacrazione, significa il riconoscimento di una dignità mantenuta pura attraverso la sofferenza; e, a mio modestissimo avviso, significa anche che l'avvenuta elezione all'Assemblea Costituente è l'espressione della volontà popolare. Questo emendamento, in definitiva, rispetta in pieno il principio democratico dell'elezione. Infatti questi uomini, entrando nel primo Senato, continueranno ad essere, in fondo, i rappresentanti della volontà popolare. Ma soprattutto sembra che l'emendamento si imponga per una ragione di opportunità e di tecnica parlamentare. Non vi è dubbio che il primo Senato — il nuovo Senato — sarà un'Assemblea nuova, quanto meno composta di gente nuova.
È una impressione che domani potrà anche essere smentita, ma io penso, per esempio, che pochi dei membri di quest'Assemblea pensino oggi con preferenza al Senato piuttosto che alla prossima Camera dei deputati. Forse noi siamo un po' servi del passato, ma è certo che questa prima Camera dei deputati appare più rigogliosa, più fresca, più feconda, un'arena di ardente battaglia dove di getto si foggia la vita politica italiana con una perenne ansia verso un domani migliore. E allora, fuori di qui andremo a cercare i membri di questo primo Senato? Ma dove trovarli, quando il ventennio ha disperso e cancellato tante vite, tanta saggezza e tante esperienze? Ecco quindi la necessità che nel primo Senato almeno entri un nerbo di uomini esperti, di uomini provati, attraverso dura ed amara esperienza, provati alla vita politica, perché questo nerbo di uomini crei attorno a sé la necessaria organizzazione della nuova Assemblea.
Ecco perché noi pensiamo che questo emendamento potrebbe trovare il favore dell'Assemblea. Non ci mosse in proposito alcuno spirito di parte, perché entreranno nel Senato uomini di diversi partiti, avvicinati da nuovi compiti. Sono stati alieni da ogni spirito di parte i diversi firmatari, i quali avrebbero meglio di me illustrato questo emendamento, ma tutti insieme vi ripetono un'aspirazione sola con voce alta e fervida: che il primo Senato, il nuovo Senato possa rispondere alle esigenze della rinnovata vita politica italiana. (Applausi al centro).
Presidente Terracini. Gli onorevoli Martino Gaetano, Morelli Renato, Villabruna, Cifaldi, Bonino, Colitto, Perrone Capano, Condorelli, Colonna, Mazza, Rodinò Mario hanno presentato la proposta del seguente articolo 55-bis:
«Per la prima elezione del Senato, sono nominati Senatori con decreto del Capo dello Stato:
a) i deputati al Parlamento dichiarati decaduti nella seduta del novembre 1926 e quelli che non furono dichiarati decaduti, ma esercitarono la funzione di oppositori nell'aula, purché non eletti nella cosiddetta lista nazionale;
b) i deputati all'Assemblea Costituente che sono stati Presidenti del Consiglio o di Assemblea;
c) coloro che siano stati membri del disciolto Senato ed abbiano mantenuto atteggiamento di costante opposizione al regime fascista dopo il 3 gennaio 1925».
L'onorevole Martino Gaetano ha facoltà di svolgerla.
Martino Gaetano. Dopo quanto ha detto l'onorevole Avanzini, potrei anche rinunziare a svolgere il mio emendamento, tanto sono evidenti le ragioni che lo hanno ispirato.
Si vuole da molti che nel primo Senato della Repubblica italiana non manchino vecchi parlamentari, i quali rappresentino quasi una garanzia, per noi, di un efficace funzionamento democratico di questa Assemblea legislativa. E se questo è lo scopo, io penso che non bisogna tanto guardare al numero delle legislature di questi ex parlamentari, quanto, invece, all'attività politica da essi svolta nel passato. In altri termini, ad un criterio quantitativo di valutazione occorre, a parer mio, sostituire un criterio qualitativo.
Per quanto si faccia per cercare di dimenticarlo, è certo che pesa ancora e peserà, io penso, per lungo tempo nella vita politica italiana il ricordo del recente passato. Noi crediamo che una garanzia di efficace funzionamento democratico di quella Assemblea potrà essere offerta soltanto da quegli ex parlamentari che mostrarono, nei tempi più oscuri della dittatura, di volere difendere la democrazia, di volere salvare la libertà.
Che vale il numero delle legislature? Forse questo numero aggiunge qualcosa all'attività politica che in un determinato momento questi uomini svolsero? O forse la mancanza di questo numero è fattore di svalutazione di quella attività politica?
Sono questi gli uomini che noi vorremmo vedere entrare di diritto nel primo Senato della Repubblica italiana; i provati nemici della dittatura, gli amici provati della libertà. E questi sono, come dice il mio emendamento: primo, coloro che furono estromessi da quest'Aula nella seduta del 26 novembre 1926 col voto di una maggioranza di Assemblea (pensate: questi erano i soli deputati, in quel tempo, che possiamo considerare davvero liberamente eletti dal popolo italiano, perché gli altri, quelli che costituivano la maggioranza, non erano espressione vera della libera scelta del popolo italiano, essendo qui pervenuti attraverso un artificio elettorale, per mezzo della cosiddetta lista nazionale); secondo, gli oppositori nell'Aula: nell'Aula di Montecitorio ed in quella di Palazzo Madama.
Si è cercato di fare una valutazione storica dell'attività politica di questi uomini. Credo che questo sia prematuro. La storia dirà più tardi se l'azione che essi svolsero sia stata opportuna od inopportuna, se possiamo considerare un errore, o non dobbiamo considerarla tale, la tattica che essi seguirono in quel determinato momento politico. Ma è certo, a mio parere, che qualunque sia la valutazione che la storia farà della loro attività politica, questa attività politica resterà sempre come una delle pagine più nobili scritte da una parte del popolo italiano nei tempi più oscuri della dittatura fascista. Così come, qualunque sia questa valutazione della tattica parlamentare seguita da questi uomini, nulla potrà impedire che nel cuore degli italiani resti perenne la commossa riconoscenza per uno di costoro che, se fosse vivo, noi vorremmo vedere entrare per primo nel nuovo Senato italiano: Giovanni Amendola. (Applausi).
Presidente Terracini. Con ciò tutti gli emendamenti sono stati svolti. Abbiamo ora dinanzi a noi due ordini del giorno, i quali pongono il problema del modo di elezione del Senato della Repubblica. Uno, già stampato nel fascicolo degli emendamenti, e che porta le firme degli onorevoli Lami Starnuti, Binni, Morini, Rossi Paolo, Treves, Longhena, Bennani, Canevari, Bocconi, Caporali, Villani, Zanardi, Momigliano, Filippini, è del seguente tenore:
«L'Assemblea Costituente ritiene che l'elezione dei componenti il Senato della Repubblica debba avvenire a suffragio universale e diretto, con sistema proporzionale e per circoscrizioni regionali».
L'altro ordine del giorno, che mi è stato presentato adesso, porta le firme degli onorevoli Nitti, Rubilli, Persico, Laconi, Gullo Fausto, Quintieri Quinto, Nasi, Bozzi, Grieco, Togliatti, Cifaldi, Reale Vito, Vigna, Molè, Perrone Capano, Basile, Russo Perez, Dugoni e Colitto. Esso è del seguente tenore:
«L'Assemblea Costituente afferma che il Senato sarà eletto con suffragio universale e diretto, con il sistema del collegio uninominale».
L'onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione su gli emendamenti presentati.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi, noi abbiamo esaurito rapidamente il tema della Camera dei deputati. Entriamo negli articoli concernenti il Senato. Sono tre. Uno è già stato discusso e debbo rispondere in ordine agli emendamenti presentati: è l'articolo 55, il più denso forse di tutta la Costituzione; ma questi sono ormai argomenti concreti, a differenza degli altri più generali ed astratti della prima parte della Costituzione stessa. Credo pertanto che potremo cavarcela relativamente in poco tempo, sebbene gli emendamenti rappresentino una tale selva ed un tale groviglio che occorre proprio la bussola per potersi orientare.
Seguirò questo metodo: enuncerò prima il testo originario del progetto, accennando alle ragioni che hanno indotto la Commissione dei settantacinque a proporlo; poi esaminerò gli emendamenti nell'ordine che si discostano dal testo ed esprimerò infine l'avviso del Comitato in merito ad essi.
Il primo comma dell'articolo 55 dice: «La Camera dei senatori è eletta a base regionale». È prevalso qui il criterio che costituì a suo tempo la maggioranza anche nelle questioni decise sulla Regione, cioè che si dovesse, una volta istituito tale Ente, collegare ad esso la struttura della seconda Camera. Il comma potrebbe apparire un'affermazione generale e più che altro teorica, ma alla sua approvazione o meno, in via definitiva, si collega se sarà o no ammessa una rappresentanza dei Consigli regionali nel Senato. È una questione che va messa logicamente per prima: si tratta di vedere se il Senato dovrà avere o no composizione mista, per la fonte elettorale. Dovrà quindi essere votata per prima. Dalla sua soluzione dipende l'atteggiamento sugli altri emendamenti.
L'onorevole Russo Perez propone di dire «a base territoriale, attribuendo a ciascuna Regione». Evidentemente l'emendamento ha un valore più che altro formale, letterario e non è il caso di insistervi.
L'onorevole Lami Starnuti propone di mettere invece «circoscrizioni regionali». Il Comitato nota che mettendo «circoscrizioni regionali» si legherebbero un po' troppo le mani, perché le circoscrizioni dovrebbero essere dell'intera Regione; mentre il problema da decidere qui è sostanzialmente un altro, e si concreta se vi debba essere o no una rappresentanza diretta dell'ente Regione.
Hanno proposto di sopprimere il primo comma — e qui la questione diventa di principio — gli emendamenti dell'onorevole Nitti, dell'onorevole Preti, e dell'onorevole Laconi. Bisognerà, ripeto, votare dapprincipio su tale punto, per stabilire quale è l'atteggiamento dell'Assemblea, se intende dare una aliquota di rappresentanza anche ai Consigli regionali o no.
Passiamo al secondo comma. Qui gli emendamenti fioccano più numerosi, e si profilano questioni complesse che sono congiunte tra loro; e cercherò di coordinare e di farne convergere la soluzione, anche se gli emendamenti sono distinti e converrà cominciare coll'esaminarli ad uno ad uno. Desidero, nella mia breve esposizione, di essere fedele fino allo scrupolo.
Il testo del progetto basava su tre punti. Il primo era il quoziente; un senatore ogni 200 mila abitanti o frazione superiore a 100 mila abitanti. Secondo punto: maggiorazione, per ogni Regione, di un numero fisso di cinque. Terzo punto: in ogni caso un limite, nel senso che il numero dei senatori non doveva superare quello dei deputati della Regione. Ecco il trittico al quale si riduce il disposto del comma che avete sotto gli occhi.
Le ragioni cui si ispirarono le norme erano queste: adottare per il Senato, in confronto alla Camera, un numero complessivo più ristretto, ma non troppo. Contemperare, con l'aggiunta di un numero fisso per ogni regione, il principio della proporzionalità agli abitanti della Regione con una certa considerazione della funzione che ha ciascuna Regione, qualunque sia l'entità della sua popolazione. Terzo: evitare, per ragioni evidenti di equilibrio, che i deputati d'una Regione siano meno che i suoi senatori. È opportuno, prima di addentrarci nell'esame di questi punti, evitare un equivoco. Leggendo frettolosamente l'articolo, taluni hanno interpretato la disposizione nel senso che i cinque senatori da aggiungersi come numero fisso per ogni Regione, siano da eleggere dai Consigli regionali; gli altri col metodo più generale di suffragio. Non è così; almeno per il testo quale è in origine (altra può essere la conseguenza in via di modifica); secondo il progetto, i cinque si sommano al numero di senatori determinato in rapporto al quoziente per abitanti; poi si divide la cifra complessiva per tre; ed un terzo ne eleggono i Consigli regionali, il resto il popolo in una data forma di suffragio. Tale la disposizione, su cui convergono gli emendamenti, molteplici e vari.
Emendamenti sul quoziente: mentre il progetto propone un senatore per 200.000 abitanti o frazione superiore alla metà (mi permetterete, per esser breve, di tacere in seguito su eguali riferimenti alla metà che vi sono nelle controproposte), l'onorevole Targetti propone 150 mila, Preti e Lami Starnuti, con due emendamenti, 120 mila.
Quale sarebbe, con tali quozienti, il numero dei senatori?
È bene anche qui un chiarimento; abbiate pazienza; ma debbo darvi tutti gli elementi di comprensione. Un articolo successivo, il 57, dispone che il numero dei deputati e dei senatori deve, ad ogni elezione, commisurarsi ai dati dell'ultimo censimento. Qual è l'ultimo censimento che abbiamo? È il censimento del 1936, cioè di dodici anni fa, il quale dà per tutta la popolazione italiana, compresa la Venezia Giulia, una cifra di 42.990.000, ossia di circa 43 milioni. Senza nuovi censimenti si sono fatti aggiornamenti, calcolando per ogni comune i nati e i morti. Si hanno aggiornamenti che si possono dire definitivi a tutto il 1942; la popolazione, sempre compresa la Venezia Giulia, era salita a 45 milioni e mezzo. Dopo il 1942 non si hanno più aggiornamenti definitivi; ma solo provvisori, a calcolo, perché è mancato il rilievo diretto comune per comune. Così pel 1946 si ha una cifra sempre, all'incirca, di 45 milioni e mezzo, ma non vi sono compresi i fratelli della Venezia Giulia, che un trattato ingiusto ha strappati alla loro madre.
Aggiungo che sono in corso altri aggiornamenti, che saranno definitivi per la fine dell'anno in corso 1947; ma diverranno noti due o tre mesi dopo.
Decideremo, a proposito dell'articolo 57, se per la prima elezione dovremo ricorrere ai dati dell'ultimo censimento o agli aggiornamenti. Nel primo caso avremmo — grosso modo — con un quoziente di 200 mila, non molto più di 200 senatori; nel secondo caso si salirebbe verso i 250. Inutile dire che per le successive legislature, con l'incremento della popolazione il numero dei senatori aumenterà. Tenendo presente che — secondo il testo — vi sarà una quota addiettiva, col numero fisso di 5 per ogni regione, si arriva in complesso per la prima elezione ad un Senato attorno ai 300 membri; che è numero ragguardevole, ma non eccessivo.
Vi è una tendenza a diminuire il quoziente, e cioè ad aumentare i senatori. Si dice che, come si è modificato il progetto per i deputati, facendo discendere il quoziente ad 80.000, si potrebbe fare altrettanto per i senatori, stabilendo il quoziente a 160.000, e cioè al doppio che pei deputati. La proposta potrebbe essere presa in considerazione, se non vi fosse il numero fisso addiettivo.
Veniamo ora appunto al tema di questo numero fisso, che secondo il progetto sarebbe di 5 per Regione. Propongono di sopprimerlo gli emendamenti Lami Starnuti, Preti, Laconi ed anche l'emendamento Caronia; l'emendamento Nitti lo conserva riducendolo a 3 (con che, antiregionalista reciso, l'onorevole Nitti dà qualche peso al concetto di Regione). L'onorevole Mortati propone che, stabilendo il principio, si lasci la cifra indecisa finché non si sarà deciso tutto ciò che concerne l'ordinamento regionale, cioè praticamente, poiché abbiamo rinviato tale tema, sino alla fine della Costituzione. Io non sono favorevole ai continui rinvii che sono pericolosi perché ci troveremo in fondo davanti a un salsicciotto di residui, che non sapremo come cucinare. Del resto il numero delle Regioni non si sposterà mai di tanto da influire sul nostro giudizio sul complesso numerico del Senato.
Veniamo alle questioni di sostanza. Il Comitato ha cercato non senza fatica la migliore decisione, prospettandosi diverse ipotesi e fermandosi successivamente su varie soluzioni. In un primo momento si era pensato di sopprimere il numero fisso addiettivo per ogni Regione e di adottare, sempre per ogni Regione, il sistema del numero minimo. Vale a dire, ogni Regione non avrebbe dovuto avere meno di cinque senatori. La modificazione basava sulla considerazione che, se il motivo era di avvantaggiare le Regioni più piccole, il risultato si otteneva meglio e più efficacemente col numero minimo per esse che coll'aggiungere un numero fisso a tutte le regioni grosse e piccole. Il collega Laconi ha dimostrato che il vantaggio sarebbe, più che per le piccole, per le regioni di grandezza media.
L'inconveniente sarebbe però evitato se, pur conservando il numero fisso, si adottasse un'altra soluzione complessiva, su cui ha finito per fermarsi il Comitato. La soluzione è di stabilire che, oltre al numero di senatori determinato dal quoziente, da eleggersi con un dato sistema di suffragio dal popolo, ogni Regione avrebbe un numero fisso di tre senatori, che sarebbe eletto dal Consiglio regionale. La soluzione ha avuto il consenso di tutti i membri del Comitato; ma per alcuni di esso con dichiarazione esplicita che avrebbero votato contro il primo comma dell'articolo, non ammettendo l'aliquota da eleggersi dai Consigli regionali; e — soltanto ove questa fosse approvata — accetterebbero la soluzione concordata.
È una soluzione che corrisponde alla proposta dell'onorevole Nitti per un numero fisso di 3, e la combina con un'altra proposta dell'onorevole Zuccarini, di dare ai Consigli regionali l'elezione soltanto del numero fisso.
Quali sarebbero i vantaggi? Innanzi tutto una grande semplificazione, perché non si dovrebbero fare dei coacervi e delle redistribuzioni di numeri nel reparto fra i senatori da eleggersi dai Consigli regionali e quelli da eleggersi in altro modo. La soluzione soddisfa i regionalisti più accesi, in quanto riconosce in pieno il principio che le Regioni debbono avere una certa rappresentanza, in connessione al principio del loro ordinamento autonomo. D'altra parte non si avrebbe che una quota relativamente lieve — in complesso meno di sessanta senatori di fronte agli altri (duecentocinquanta o più) eletti con l'altro metodo. I senatori nominati dai Consigli regionali porterebbero più direttamente l'espressione in seno al Senato dei voti delle Regioni, affinché il Senato possa adempiere ad un compito di coordinamento.
Con la soluzione concordata il quoziente dei collegi elettorali per la rimanente e maggiore aliquota resterebbe sempre lo stesso, mentre col riparto stabilito originariamente nel progetto verrebbe a variare. Resterebbe, è vero, qualche disparità nel numero complessivo di senatori attribuito ad ogni Regione; ma sarebbe una conseguenza inevitabile della rappresentanza data direttamente alle Regioni; e costituirebbe in ogni modo la minore disparità possibile di fronte agli altri congegni di numero fisso o di numero minimo. Si obietta (e l'obiezione vale anche per gli altri congegni) che, dando in più 3 senatori ad ogni Regione, si stimolano le richieste alla formazione di nuove e minuscole Regioni. Ma a ciò osta la disposizione che sta nella Costituzione secondo cui è fatto divieto di costituire nuove Regioni che abbiano un numero di abitanti inferiore ai 500.000; cifra che alcuni propongono di elevare e di raddoppiare.
La soluzione dunque è, per ogni aspetto, soddisfacente: ed ha l'unanimità. Ma, come ho detto, subordinata. Se cade il criterio della rappresentanza speciale ai Consigli regionali, la forma progettata vien meno.
Veniamo ora alla clausola del «limitatore» sostenuta così vivacemente dall'onorevole Russo Perez: il numero dei senatori non potrà, per ogni Regione, superare quello dei deputati. Hanno proposto la soppressione gli onorevoli Lami Starnuti, Targetti, Nitti. L'onorevole Colitto corregge la forma; egli è un po' il Basilio Puoti della nostra Costituzione. Quanto alla sostanza, anche il Comitato inclina alla soppressione, perché, se la disposizione è astrattamente logica ed ineccepibile, in realtà, nelle applicazioni pratiche, il caso che si vuol evitare, di più senatori che deputati non si presenta per nessuna Regione, neppure per la più piccola, la Basilicata, che avrebbe 7 deputati, e soltanto 6 senatori. Ed allora perché mettere nel testo un inutile precetto?
Io mi preoccupo (non sempre vi riesco, ma la colpa non è mia) di rendere la Costituzione italiana più che sia possibile snella e semplice. Se l'accordo tien fermo (il che dipende dall'approvazione anzitutto del comma primo: «Il Senato è eletto a base regionale») il secondo comma sarebbe formulato così: «A ciascuna Regione è attribuito oltre ad un numero fisso di tre senatori, un senatore per 200 mila abitanti o per frazione superiore a 100 mila. La Valle d'Aosta ha un solo senatore». Il contenuto del comma va messo in rapporto con quello del comma successivo, per cui i 3 (e non di più) sono eletti dal Consiglio regionale.
Procediamo ora nell'esame dell'articolo. Il terzo comma entra nelle questioni più gravi ed importanti: si tratta di scegliere fra i sistemi che si dividono gli animi vostri e verranno fra loro a battaglia: proporzionale pura, collegio uninominale, suffragio indiretto.
Ma prima bisogna decidere se l'elezione del Senato sarà tutta con uno di questi sistemi, o, come è nel progetto, verrà invece ripartita, dandone una quota minore ai Consigli regionali. Il testo iniziale del progetto indicava un terzo. Alcuni emendamenti vorrebbero sopprimere ogni aliquota (e cioè respingere la più diretta rappresentanza regionale che è implicita nel primo comma dell'articolo). Sono gli emendamenti degli onorevoli Lami Starnuti, Targetti, Preti, Laconi, Nitti. Anche l'onorevole Russo Perez sopprimerebbe questa quota per darla al Capo dello Stato. Un emendamento Perassi, fedele invece alla rappresentanza diretta regionale, proponeva dapprima (abbiate pazienza se debbo seguire la stratificazione degli emendamenti che si sono succeduti e man mano superati), di tenere l'aliquota nel terzo (solo in subordine la riduceva ad un quarto), aggiungendo un minimo di 3 per i senatori da eleggersi dal Consiglio regionale. Con che veniva incontro alla soluzione, che poi fu in fine adottata e che vi ho esposta.
Il Comitato, cioè, conclude che all'elezione dei Consigli regionali sia lasciata solo la quota fissa di tre, ottenendo così i vantaggi di semplificazione che abbiamo visto.
Ed eccoci alla questione più viva: il sistema da seguire per la maggiore aliquota riservata al corpo elettorale. Il testo del progetto stabilisce che l'elezione abbia luogo a suffragio universale e diretto. Non altro. Sarebbe escluso il suffragio indiretto, ma aperta la possibilità alle varie forme del diretto, che si distinguono sovrattutto in proporzionale o collegio uninominale.
L'onorevole Lami Starnuti propone nel suo emendamento la proporzionale: ma ha dichiarato poi di limitarsi, per tale riguardo, ad una affermazione con ordine del giorno (una specie di voto impegnativo, che l'Assemblea ha altre volte adottato). Con siffatto rinvio, il testo rimarrebbe pressappoco come è, nello schema del progetto.
L'obiezione che si fa principalmente alla proporzionale pel Senato (a prescindere dalle antipatie degli antiproporzionalisti di principio) è che la proporzionale per tutti due i rami del Parlamento farebbe del Senato un doppione e non risponderebbe alle esigenze di una differenziazione che sembra logicamente indispensabile con il principio bicamerale.
Oltre alla proporzionale, sono in lizza i due sistemi del collegio uninominale, proposto negli emendamenti Laconi, Nitti, Rubilli, e del suffragio indiretto, proposto dall'onorevole Perassi. Quest'ultimo è il cosiddetto sistema dei grandi elettori, o elettori a doppio grado. L'emendamento Perassi dice che i senatori saranno eletti da delegati eletti a lor volta fra gli elettori iscritti nella circoscrizione.
Il Comitato è diviso. Sul profilo tecnico è prevalso il politico; ed i partiti hanno preso posizione. Per mio conto mi limito ad osservare: qualunque delle due soluzioni prevalga, si avrà una differenziazione dei due rami del Parlamento, con un sistema diverso, per ciascuno di essi, del metodo di selezione, ma ricorrendo pur sempre al suffragio universale. Per tale riguardo sia l'uno che l'altro sistema sarebbero preferibili alla proporzionale.
E l'uno e l'altro avrebbero, sia pure in grado e forma diversa, comuni vantaggi. Il primo sarebbe di aprire la via ad una maggiore considerazione dell'elemento e del valore personale. Sia nel collegio più ristretto, che facilita più immediati contatti, sia nel seno di un numero relativamente esiguo di elettori di secondo grado, si baderebbe alla personalità dei candidati più che nell'anonimo e complesso fluttuare delle masse elettorali. È presumibile che i senatori avrebbero una certa statura.
Secondo vantaggio: con l'uno e con l'altro sistema si avrebbe la spinta al raggrupparsi dei partiti in concentrazioni od alleanze, e ciò sarebbe un avviamento a quell'avvicendarsi di due o tre formazioni politiche, che è stata la linea classica del sistema parlamentare, dove è nato, ed appare una condizione del suo normale svolgimento. Ai partiti, come sono in questi momenti, può o meno piacere l'immediato riflesso dei blocchi; ma la tendenza, in sé, non può essere condannata.
Naturalmente v'è contrasto e polemica fra i due sistemi. Contro il collegio uninominale vi è una ripugnanza invincibile dei più decisi proporzionalisti, che vedono contraddittoria ed assurda la coesistenza della proporzionale e del collegio uninominale, sia pure in due diverse Camere. Contro il suffragio indiretto vi è l'obiezione che è pericoloso mettere le elezioni in mano ai pochi grandi elettori, fra i quali si farebbe strada la camarilla e la corruzione. È la tesi su cui ha molto insistito l'onorevole Nitti.
Non ho altro da dire; vi ho esposto obiettivamente gli argomenti adducibili hinc inde. Come Relatore, il mio compito è di semplificare e chiarificare, localizzando e precisando le tendenze. Per conto mio sono pel collegio uninominale, e subordinatamente per il suffragio indiretto; non sono per la proporzionale.
Abbiamo visto così la prima parte dell'ultimo comma, così denso di questioni. Resta nell'ultima parte la questione dell'età per l'esercizio del diritto di voto. È previsto nel progetto che l'elettore per il Senato abbia 25 anni. L'onorevole Conti propone di scendere a 21 anni; al qual fine basterebbe cancellare l'indicazione dei 25 anni; perché si tornerebbe allora alla norma generale per ogni elezione che l'articolo della Costituzione fissa alla maggiore età. Comunque, il Comitato mantiene l'età a 25 anni, per quel concetto inerente al nome stesso di Senato, che questo corpo debba avere, per ogni riflesso, qualcosa di più qualificato come età. Debbo aggiungere che, se si arrivasse ad adottare il suffragio indiretto, allora (come è nell'emendamento Zuccarini) gli elettori di primo grado potrebbero essere tutti quanti gli aventi una maggiore età; ma i delegati dovrebbero avere 25 anni.
Avrei finito, se non vi fosse un'appendice di emendamenti, che concernono un numero di senatori designati — al di fuori del sistema elettorale — per diritto o per scelta del Capo dello Stato. Una combinazione del criterio elettivo con designazioni di questo genere non è sconosciuto ad altre Costituzioni.
Vi sono due ordini di emendamenti. Uno è per norme permanenti; l'altro per norme transitorie. Con disposizione permanente l'onorevole Russo Perez propone di lasciare al Capo dello Stato di nominare, a libera scelta, il terzo dei senatori. L'onorevole Rubilli riduce al quarto. Non è detto se tali elezioni siano a vita o per una sola legislatura. L'onorevole Alberti propone di dare al Capo dello Stato l'elezione a vita di cinque cittadini illustri.
Vi sono poi, nelle proposte, i senatori di diritto. Gli onorevoli Nitti ed Alberti pongono come tali gli ex Presidenti della Repubblica e del Consiglio dei Ministri; naturalmente a vita. L'onorevole Alberti mette, pei soli Presidenti del Consiglio, la condizione che abbiano, anche interrottamente, ricoperto la carica per un anno. È tutta una casistica — perdonate — su cui debbo richiamare la vostra attenzione. L'onorevole Nitti aggiunge come senatori di diritto le alte cariche dello Stato (primo presidente della Cassazione, presidente del Consiglio di Stato, presidente della Corte dei conti) i cui titolari sarebbero senatori finché durasse la loro carica. Inoltre sei professori eletti dal Consiglio superiore dell'istruzione e qui non si capisce per quanto tempo.
Vi sono poi le proposte d'ordine transitorio. Quella dell'onorevole Leone, Avanzini ed altri suggerisce di fare entrare di diritto (ma con possibilità di rinuncia) nel primo Senato alcuni elementi dei precedenti Parlamenti. Condizione, per tutti, dovrebbe essere di aver fatto parte della Costituente; così che si eliminerebbero i possibili residuati del tempo fascista. Oltre a detta condizione, sarebbero titoli per diventar senatori l'esser stati Presidenti di un Consiglio dei Ministri o di un'Assemblea, senatori o deputati per almeno tre legislature, compresa la Costituente. L'onorevole Nitti porta le legislature a cinque, ma ha detto nel suo intervento che si riserva di riesaminare e fissare altrimenti il numero.
Nel Comitato si sono manifestate diverse opinioni. Per quanto riguarda le norme permanenti è prevalsa l'idea che la qualità di senatore di diritto ed a vita sia da riserbarsi ai soli ex Presidenti della Repubblica, che per il posto da essi occupato non possono discendere, alla fine del loro mandato, nell'agone elettorale. Altro è degli ex Presidenti del Consiglio dei Ministri, pei quali vi sono state riserve, appunto perché possono, e ad essi si addice, chiedere il suffragio degli elettori; ed alcuno ha fatto presenti le conseguenze che si avrebbero per i Presidenti del Consiglio prima della liberazione di Roma. Non è sembrata ammissibile l'entrata in Senato, per diritto, di nessun altro elemento né come carica dello Stato, né come designazione d'un Consiglio superiore.
In quanto alla norma transitoria avete sentito qui esporre con tanta vivezza argomenti a favore, che sono, fra gli altri, di serbare al primo Senato repubblicano elementi sicuri e provetti, che altrimenti, per la loro età, non affronterebbero il disagio della lotta elettorale; la nomina, una volta tanto, per una sola legislatura, riempirebbe in parte il vano lasciato, per la prima immediata elezione del Senato, dalla non partecipazione della quota di senatori attribuita ai Consigli regionali, che non sarebbero a tempo costituiti.
La obiezione che con nomine di siffatto genere, a base non elettiva, si spezzerebbe la linea strutturale del Senato, è superata o almeno attenuata dal fatto che tali nomine avverrebbero per una sola volta, in via di assoluta eccezione. Si tratta di vedere se, dato il carattere transitorio di tale norma, la decisione su di essa sia da prendersi ora o da rinviarsi al momento in cui la Costituente formulerà le disposizioni transitorie della Costituzione.
Ho finito. Vi ho annoiato, ma era necessario esporvi un quadro completo di tutte le proposte. Dovevo — il che corrisponde al mio temperamento — essere chiaro e semplificatore. Ma gli emendamenti sono così numerosi, e le soluzioni così complicate ed aggrovigliate che ho fatto un grande sforzo per sistemarle e per darne la ragione. In base alla via che vi ho tracciato, voi, scegliendo nel senso che vorrete, potete in breve giungere a conclusione sul tema più discusso e tormentato della Costituzione. Se ciò avverrà ogni mio sforzo sarà compensato. (Vivi applausi).
Presidente Terracini. Onorevoli colleghi, occorre dare inizio alle votazioni sopra questa materia, tanto complessa ed importante. Vi sono due ordini del giorno, e gli ordini del giorno devono essere votati prima degli emendamenti sia per una ragione di regolamento, sia perché l'esito della votazione degli ordini del giorno può influire sull'ordine di votazione degli emendamenti e forse anche dettare la presentazione di emendamenti agli emendamenti.
Ritengo dunque che si debba passare senz'altro alla votazione di questi ordini del giorno; e intanto di uno di essi. Come loro avranno presente, i due ordini del giorno propongono rispettivamente all'Assemblea l'uno la costituzione del Senato sulla base del suffragio universale e con il sistema proporzionale, l'altro con il sistema uninominale. Sostiene il sistema uninominale l'ordine del giorno di cui l'onorevole Nitti è il primo firmatario: propone il proporzionale l'ordine del giorno che porta per prima la firma dell'onorevole Lami Starnuti.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Anche ammesso che gli ordini del giorno debbano avere la precedenza, vorrei pregare i presentatori di considerare se non sia opportuno seguire l'ordine logico, cioè esaminare le questioni secondo la traccia del testo. Vi è prima da stabilire se la composizione del Senato debba essere unica, o lasciata in parte ai Consigli regionali. Vengono poi le altre questioni. Quando saremo arrivati al punto di definire il sistema da seguire per il grosso dei Senatori, affronteremo i due ordini del giorno contrapposti. Quanto ho detto, più che una preghiera, è un rilievo di logica formale.
Laconi. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Laconi. Mi duole di non poter accogliere la proposta dell'onorevole Ruini. A nome dei presentatori del secondo ordine del giorno, di cui il Presidente ha dato lettura, sono costretto a dichiarare che riteniamo che la votazione del nostro ordine del giorno e, penso, di quello dell'onorevole Lami Starnuti — in quanto delinea la figura del Senato — sia pregiudiziale alla votazione di tutto l'articolo.
Piccioni. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Piccioni. Faccio osservare che se si segue questo ordine di votazione rimane pregiudicata preventivamente un'altra posizione che è quella contenuta nell'emendamento Perassi, poiché si verrebbe a contrapporre il sistema uninominale col sistema del suffragio universale diretto sia pure con la rappresentanza proporzionale. Ma c'è un terzo sistema che attraverso la discussione ha raccolto vasti consensi ed è quello, appunto, proposto dall'onorevole Perassi che contempla l'elezione di secondo grado.
Ora, si porrebbe una parte notevole della Camera in questa curiosa situazione, di respingere sia l'ordine del giorno che prevede il collegio uninominale sia l'altro che prevede la proporzionale con il suffragio universale diretto: mentre si può e si deve combinare il sistema proposto dall'onorevole Perassi con quello della proporzionale col suffragio universale diretto.
Mi pare che debba essere tenuta presente questa anomalia che si verificherebbe nel tipo della votazione che è stata proposta. Se occorre, presento un ordine del giorno in questo senso. Se non si segue più l'ordine logico degli emendamenti, ma la procedura della presentazione istantanea degli ordini del giorno, evidentemente siamo tutti liberi di presentare ordini del giorno al posto degli emendamenti. Ma fin qui si è seguito il concetto che gli emendamenti rispetto al testo avessero la precedenza, mentre gli ordini del giorno erano previsti soltanto per la conclusione della discussione generale.
Presidente Terracini. Gli ordini del giorno hanno sempre la precedenza nella votazione.
Piccioni. Ma dopo la discussione generale: non articolo per articolo.
Presidente Terracini. Un ordine del giorno può essere presentato in qualunque momento, salvo che, a seconda del momento, esso dà o no certi diritti ai presentatori, ad esempio quello di svolgerlo.
In secondo luogo l'ordine del giorno deve essere sottoscritto da un numero di firme, variabile in rapporto al momento in cui esso è presentato.
Ma in ogni caso, se un ordine del giorno è presentato quando ancora non si è passati alla votazione degli emendamenti, esso deve essere votato prima di questi.
D'altra parte, devo confessare che non ho ben compreso le obiezioni dell'onorevole Piccioni.
Così mi pare che una elezione di secondo grado potrebbe essere possibile anche se si adottasse, per ipotesi, il sistema uninominale.
Per richiamare un esempio noto, l'elezione del Presidente degli Stati Uniti d'America, che si costituiscono in quella occasione in un unico grande collegio, è un'elezione di secondo grado a collegio uninominale.
Perciò non calza la pregiudiziale di carattere logico posta dall'onorevole Piccioni.
Comunque, se egli presenta un terzo ordine del giorno, esso sarà posto in votazione, naturalmente se e quando gli altri ordini del giorno già presentati non abbiano ottenuto la maggioranza.
Lami Starnuti. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Lami Starnuti. Sono d'accordo con l'onorevole Laconi, sulla precedenza nella votazione degli ordini del giorno sugli emendamenti.
Comprendo le obiezioni dell'onorevole Piccioni, ma non mi paiono decisive.
L'ordine del giorno dell'onorevole Nitti ed il mio hanno una prima parte in comune, nella quale è affermato che l'elezione dei senatori deve avvenire a suffragio universale e diretto.
Piccioni. Dicendosi «diretto» si esclude l'elezione di secondo grado.
Lami Starnuti. Dico questo appositamente per marcare che la prima parte dei due ordini del giorno esclude la elezione a suffragio universale indiretto, esclude cioè le proposte dell'onorevole Perassi.
Poiché io domando fin d'ora che la votazione dell'ordine del giorno avvenga per divisione, l'Assemblea si dividerà anch'essa sulla prima parte di uno dei nostri ordini del giorno.
Coloro che sono per la elezione a suffragio universale diretto voteranno la prima parte dell'ordine del giorno dell'onorevole Nitti o del nostro.
Coloro che sono favorevoli alla proposta dell'onorevole Perassi voteranno contro.
Così la votazione non solo si semplificherà, ma avrà il suo naturale procedimento logico.
Per questo, associandomi alle osservazioni dell'onorevole Laconi, insisto perché i nostri ordini del giorno abbiano la precedenza nella votazione.
Lussu. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Lussu. Per la chiarezza della votazione, io credo indispensabile — non entro in merito — che il collega onorevole Perassi presenti l'emendamento sotto forma di ordine del giorno, perché io non aderisco all'opinione espressa dall'onorevole Presidente, che la questione del collegio uninominale possa comprendere anche quella del suffragio universale indiretto contenuto nell'emendamento Perassi. Mi pare invece il contrario.
Comunque, è bene che l'Assemblea abbia di fronte a sé i tre schemi.
L'onorevole Lami Starnuti ha ragione per la prima parte, ma non per la seconda.
Sarebbe opportuno che l'onorevole Perassi, ripeto, trasformasse il suo emendamento in ordine del giorno.
Presidente Terracini. Mi sembra che, se ci si pone su questo terreno, di trasformare, in ordine del giorno ogni emendamento, ci ritroveremo alla fine allo stesso punto di prima e cioè con tante proposte, che, avendo mutato di forma, restano uguali per il contenuto e la sostanza. Tanto vale dunque sottoporre intanto alla sorte del voto gli ordini del giorno già presentati. Se fossero poi tutti respinti, si potrebbe anche accogliere la suggestione dell'onorevole Lussu, salvo che a quel punto non si reputi più opportuno votare sulla base degli emendamenti. Quali questioni si allineano nel progetto della Commissione?
Prima questione: se i collegi nei quali debbono esser fatte le elezioni per la parte elettiva del Senato debbano essere di un solo tipo o di più tipi. Il progetto offre infatti due tipi di collegio. Mi pare che invece nell'ordine del giorno dell'onorevole Nitti ed in quello dell'onorevole Lami Starnuti la questione è, quanto meno implicitamente, risolta diversamente perché vi si parla di un solo modo di elezioni. Essi escludono cioè che vi possa essere dall'una parte un collegio costituito dai consigli comunali o dai consigli regionali, e dall'altra un secondo collegio costituito da elettori che votino o in forma diretta o in forma indiretta.
La seconda questione è appunto quella del suffragio diretto o indiretto. Ma in ambedue gli ordini del giorno si parla di suffragio diretto; e pertanto anche la seconda questione potrà trovare soluzione attraverso la votazione degli ordini del giorno già presentati.
Infine vi è la questione del sistema elettorale. Orbene nell'uno degli ordini del giorno si parla di collegio uninominale; nell'altro del sistema proporzionale. Le tre questioni sono così poste nei due documenti che abbiamo sott'occhi. Sarebbe sufficiente anche uno solo di essi per dare alla Assemblea la possibilità di decidere. Due forse ci offrono maggiori possibilità; ma un terzo sarebbe sicuramente superfluo. Comunque ne parleremo quando sarà deciso il destino dei due già presentati.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero chiarire che nell'ordine del giorno Nitti non è esplicitamente esclusa la rappresentanza delle Regioni, per mezzo del loro Consiglio. L'esclusione potrebbe ritenersi implicita. Vi sono alcuni che, ammessa quella rappresentanza speciale, sarebbero pel collegio uninominale. Come dovrebbero votare? Tutto consiglia di tornare all'ordine logico della votazione, punto per punto secondo lo schema del progetto. Se no avremo confusioni e possibili contrasti.
Presidente Terracini. I presentatori degli ordini del giorno hanno nulla da rispondere?
Laconi. Non abbiamo nulla da rispondere. Sono stati presentati degli ordini del giorno così come sono. L'onorevole Ruini, e gli altri, possono rendersi conto di quello che vogliono dire.
Presidente Terracini. Vorrei essere meno semplicista. Sono io, ora, a porre una questione: se i loro ordini del giorno, o meglio, uno dei due fosse approvato, significherebbe ciò che tutto l'articolo 55 nel suo testo attuale cadrà?
Laconi. È evidente che qualsiasi altra disposizione cade nella misura in cui contrasta con l'ordine del giorno approvato. (Commenti).
Presidente Terracini. Dovremo però poi discutere — io prevedo — per definire questa misura! È questa la ragione per la quale amerei vedere inserito in questi ordini del giorno anche solo un avverbio di quantità.
Per quello Nitti si potrebbe dire: «L'Assemblea Costituente ritiene che l'elezione dei componenti del Senato della Repubblica debba avvenire, per tutti i senatori, a suffragio universale»; per quello Laconi si potrebbe dire: «L'Assemblea Costituente afferma che il Senato sia completamente eletto col suffragio universale». In questa maniera, la misura è stabilita e non vi potranno poi essere discussioni.
Laconi. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Laconi. Signor Presidente, mi duole, ma il fatto è che l'ordine del giorno è in se stesso perfetto, e cioè dice quel che vuol dire e tace quel che vuol tacere. A forza di volergli far dire quello che non vuol dire, è chiaro che le questioni si confondono. Noi ci siamo voluti riferire integralmente al sistema di elezione, ma non abbiamo voluto pregiudicare, in quest'ordine del giorno, un'eventuale altra designazione di senatori, che venisse fatta per altra via, per esempio per diritto. Io penso che ciò risulti chiaro dal riferimento che vi è nell'ordine del giorno al sistema di elezione e che quindi non vi sia ragione di ulteriori chiarimenti.
Fuschini. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Fuschini. Signor Presidente, io mi rivolgo specialmente a lei perché ritengo che in questo momento non si possano presentare ordini del giorno, perché gli ordini del giorno si possono presentare solo durante la discussione generale. E ciò per disposizione tassativa del Regolamento che all'articolo 87 così dice:
«Durante la discussione generale, o prima che s'apra, possono essere presentati da ciascun deputato ordini del giorno concernenti il contenuto della legge, che ne determinino o ne modifichino il concetto o servano d'istruzioni alle Commissioni.
«Tali ordini del giorno sono votati prima che sia posto termine alla discussione generale.
«L'ordine del giorno puro e semplice ha la precedenza su tutti gli altri ordini del giorno».
Ora, la discussione generale l'abbiamo già chiusa ed abbiamo anche esaminati tutti gli ordini del giorno che sono stati presentati durante tale discussione. Mi pare, quindi, che non possiamo permettere presentazione di altri ordini del giorno in questo momento, in sede vera e propria di emendamenti. Abbiamo fatto uno strappo ieri per affermare una semplice cosa che non abbiamo voluto mettere in un articolo che si riferisce alla Camera dei Deputati, abbiamo cioè consentito, con deliberazione unanime della Camera, all'onorevole Giolitti di trasformare un suo emendamento in ordine del giorno. Questa è stata una cosa eccezionale. Noi dobbiamo riaffermare il principio sancito nell'articolo 87 del Regolamento, che cioè in sede di discussione di emendamenti non si possono presentare ordini del giorno, se non col consenso unanime dell'Assemblea.
Per questo ritengo che gli ordini del giorno presentati sia dall'onorevole Nitti, come dall'onorevole Laconi vanno considerati sotto il punto di vista con cui fu considerato l'ordine del giorno Giolitti; ma non possono anticipare una votazione, altrimenti devieremmo da quella che è la norma consuetudinaria e regolamentare per discutere tutto l'articolo creando una confusione dalla quale non sapremmo più liberarci.
Per questa ragione prego l'onorevole Presidente di esaminare la questione in base all'articolo 87 del Regolamento.
Lami Starnuti. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Lami Starnuti. Ieri, nello svolgimento del mio emendamento ricordai che la Assemblea nella seduta precedente, in materia di elezione dei deputati, aveva, con una chiarissima decisione, deliberato che la Costituzione non dovesse contenere riferimento ai sistemi elettorali, per consentire alla esperienza di suggerire le eventuali modificazioni senza costringere il Parlamento italiano ad addivenire alla revisione della Carta costituzionale. Osservai che la deliberazione dell'Assemblea circa l'elezione dei deputati doveva ritenersi valida anche per la elezione dei senatori. Di conseguenza dichiarai che trasformavo in ordine del giorno l'emendamento da me presentato. Su tutto questo l'accordo della Camera dovrebbe esistere e avrebbe dovuto esistere in anticipazione. Quando ieri feci questa dichiarazione, la Camera, direi, consentì col suo silenzio. (Commenti al centro). Il silenzio non dice niente in Assemblee come questa? (Commenti al centro).
L'ordine del giorno che io ho presentato essendo la trasformazione pura e semplice dell'emendamento proposto sull'articolo 55 del progetto, deve necessariamente avere la precedenza.
Laconi. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Laconi. Io credo che l'onorevole Fuschini se si riferisce all'articolo 87 del Regolamento, voglia anche lui far dire al Regolamento quello che il Regolamento non dice, cioè l'onorevole Fuschini vorrebbe che il Regolamento vietasse la presentazione di ordini del giorno durante la discussione di emendamenti. In realtà il Regolamento non dice questo.
Il Regolamento dice unicamente che ordini del giorno i quali modifichino o determinino il concetto informatore della legge o diano istruzioni alle Commissioni, possono essere messi in votazione secondo una determinata procedura. A me non risulta che il Regolamento stabilisca che non possano essere presentati ordini del giorno durante la discussione. (Interruzione dell'onorevole Fuschini).
Dicevo, il Regolamento non pone un qualsiasi divieto o una qualsiasi limitazione alla presentazione degli ordini del giorno (Commenti al centro); stabilisce soltanto una procedura... (Commenti al centro) ...per determinati ordini del giorno, i quali investano tutto il contenuto della legge, lo modifichino, o diano delle istruzioni alle Commissioni. Non vedo alcun'altra disposizione che possa interessare.
Presidente Terracini. Mi pare che l'articolo invocato dall'onorevole Fuschini non fosse l'87...
Fuschini. Sì.
Presidente Terracini. Allora, a questo proposito ha già risposto l'onorevole Laconi. Però l'articolo 77 dice in maniera molto precisa che si possono presentare ordini del giorno anche dopo chiusa la discussione generale, il che significa che possono essere anche messi in votazione. L'articolo 77, infatti, si esprime così:
«La presentazione di un ordine del giorno relativo all'argomento in discussione non dà diritto a discorrere dopo dichiarata chiusa la discussione.
«Però, anche dopo dichiarata la chiusura, il proponente di un ordine del giorno potrà svolgerlo per un tempo non eccedente i venti minuti, quando si sia iscritto prima della chiusura».
Tutto questo mi pare dica chiaramente che si possono presentare ordini del giorno anche dopo dichiarata chiusa la discussione senza la condizione che non sia incominciato l'esame degli emendamenti. Questo per prima cosa.
In secondo luogo, onorevole Fuschini, vi è l'articolo 92 che dice:
«A fronte sia di uno, sia di più emendamenti, non è ammessa la questione pregiudiziale o sospensiva, né l'ordine del giorno puro e semplice, né alcun altro ordine del giorno che non costituisca un emendamento, salvo il caso previsto dall'articolo 89».
Dunque, se un ordine del giorno costituisce emendamento, può essere presentato; se può essere presentato, potrà — credo — essere votato.
Ma aggiungo una considerazione di carattere generale. Noi abbiamo adottato per l'esame del progetto di Costituzione un sistema previsto dal Regolamento, secondo il quale, la discussione non avviene per articoli, ma per titoli e magari anche per più titoli riuniti. Ora non penso che così decidendo l'Assemblea abbia inteso rinunciare a tutte le facoltà conseguenti al metodo normale di discussione. Noi abbiamo infatti deciso di discutere per titoli, per dare un andamento più rapido ai nostri lavori e non per impedire ai membri dell'Assemblea di valersi di tutte le facoltà che il Regolamento loro consente.
Ma il Regolamento consente che su ogni articolo si presentino ordini del giorno; facendo la discussione per titoli, non ci siamo spogliati di questo diritto. E infine, onorevoli colleghi, non trascuriamo i precedenti. Da un sommario dei lavori del Parlamento italiano della tornata del 2 agosto 1921 si può ricavare un precedente. Dice questo testo:
«Chiusa la discussione generale si passa alla discussione degli articoli sul nuovo testo presentato ed è approvato dalla Camera un ordine del giorno Celesia ed altri, accettato dal Governo,» ecc.
Cioè, pur avendo chiusa la discussione generale ed essendo passati all'esame degli articoli, un ordine del giorno è stato presentato, accettato dal Governo e votato.
Non mi sembra, quindi, che se in questo momento noi poniamo in votazione ordini del giorno presentati dopo chiusa la discussione generale — allorché si erano già svolti gli emendamenti — veniamo meno alle norme del Regolamento.
Dominedò. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Dominedò. Signor Presidente, mi consenta due rilievi, estremamente brevi. Vorrei distinguere. Se gli ordini del giorno sono stati presentati prima della chiusura della discussione generale, cioè durante la medesima, lo spirito del Regolamento interviene in questo senso: che, chiusa la discussione generale; evidentemente essa non si debba rinnovare, là dove si passi all'esame dei singoli articoli e degli emendamenti relativi, mediante una votazione sugli ordini del giorno stessi. E, in questo senso, mi pare perentoria la disposizione del secondo comma dell'articolo 87, che mi permetto di sottolineare non già con l'intenzione di sottovalutare quanto ella ha detto, onorevole Presidente, bensì per tentare di cogliere lo spirito della norma: che cioè, chiusa la discussione generale, questa non può rinnovarsi sotto forma di ordine del giorno.
Quindi gli ordini del giorno presentati durante la discussione debbono essere votati alla fine della medesima, prima della chiusura.
Secondo rilievo: ma è concepibile che un ordine del giorno sopravvenga a discussione chiusa? Mi permetto di rispondere, seguendo in questo il Presidente, che ciò può avvenire, ma ad una condizione sola: alla condizione cioè che non sia violato lo spirito del Regolamento, già posto in evidenza, e che pertanto tale ordine del giorno non abbia la precedenza sugli altri emendamenti se non assumendo veste e sostanza di un emendamento specifico.
Soltanto così un ordine del giorno potrà avere la precedenza, il che conferma la tesi di partenza per cui; chiusa la discussione generale, non si vota e non si delibera se non in relazione a singoli emendamenti.
Questo dal punto di vista del rigore formale, in sede di interpretazione del Regolamento. Ché se poi, per avventura, dovessimo scendere nel merito della valutazione dei singoli ordini del giorno presentati all'Assemblea, allora evidentemente, dopo il criterio della logica formale, dovrebbe operare un criterio di logica sostanziale, venendosi così a graduare gli ordini del giorno in ragione del loro significato intrinseco. In questa ipotesi subordinata, io mi riserverei di dimostrare che il vero ordine del giorno che dovrebbe allora avere la precedenza sarebbe proprio quello che imposta organicamente e pregiudizialmente la Camera Alta su base regionale. Il che è confermato dalla circostanza che l'altro ordine del giorno, appunto perché di carattere secondario, risulta così frammentario che dovrebbe essere votato esclusivamente per divisione. (Applausi al centro e a destra).
Presidente Terracini. Mi permetta, onorevole Dominedò, che io le osservi che questo ordine del giorno, di cui lei parla, che porrebbe come pregiudiziale la base regionale del Senato, allo stato dei fatti non esiste. Sino a questo momento il ragionamento mio e di tutti i colleghi si è svolto intorno a quello che c'è, intorno a quello che è noto.
Ché se lei poi vorrà presentare un ordine del giorno sull'argomento, le dirò che in tal modo non farà che confermare il contenuto del testo della Commissione, che già propone la base regionale. Ma la precedenza spetta, lei lo sa, all'ordine del giorno che si discosta maggiormente dal testo e cioè dalla base regionale. E pertanto il suo ordine del giorno dovrebbe comunque essere votato dopo e subordinatamente all'esito delle votazioni che precederanno.
Dominedò. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Dominedò. Mi permetta, signor Presidente. Ho seguito attentamente la sua risposta, la quale concerne, se mai, la seconda parte del mio intervento, ma lascia del tutto scoperto, se non vado errato, quanto ho detto nella prima parte delle mie considerazioni, sulle quali mi permetto di richiedere la sua parola. Come motivo subordinato, e soltanto subordinato, io ho prospettato il motivo di logica sostanziale. E nel merito la precedenza che ella conferirebbe agli altri ordini del giorno, in quanto più allontanantisi dal testo, costituisce criterio applicabile agli emendamenti piuttosto che agli ordini del giorno. Ma con riserva di tornare sul tema, resto ancora in attesa di ricevere risposta alla prima parte del mio intervento.
Presidente Terracini. La risposta alla prima parte delle sue obiezioni, onorevole Dominedò, è l'articolo 92 del Regolamento, il quale dice:
«A fronte sia di uno, sia di più emendamenti, non è ammessa la questione pregiudiziale o sospensiva, né l'ordine del giorno puro e semplice, né alcun, altro ordine del giorno che non costituisca un emendamento, salvo il caso previsto dall'articolo 89».
Il che significa che un ordine del giorno, se ammesso, costituisce emendamento, e perciò si valuta alla stregua degli emendamenti. E allora l'ordine del giorno dell'onorevole Nitti deve avere la precedenza, poiché rappresenta l'emendamento più drastico all'articolo 55, in quanto mira a sopprimerne senz'altro il primo e secondo comma oltre che a modificarne il terzo.
Dominedò. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Dominedò. Non voglio tediare l'Assemblea... (Commenti).
Presidente Terracini. Per favore, onorevoli colleghi, facciano silenzio.
Dominedò. Perdonate. Non vorrei insistere eccessivamente dopo le sue cortesi parole, signor Presidente. Ma, visto che ella stessa pone questi ordini del giorno sul piano degli emendamenti, proprio come mi ero permesso di prospettare a termini dell'articolo 92 del Regolamento, domando allora per quale ragione, in conformità della mia tesi, questo ordine del giorno equivalente ad un emendamento non debba essere inserito in ordine di votazione là dove lo richiede la materia specifica, e cioè al secondo periodo del secondo comma e al terzo comma dell'articolo 55 del progetto di Costituzione, cui si riferisce l'emendamento stesso.
Presidente Terracini. Mi perviene questa comunicazione:
«I sottoscritti dichiarano di trasformare in ordine del giorno l'emendamento Perassi. Uberti, Piccioni, Valenti, Recca, Gronchi, Chatrian, Andreotti, Goccia, Manzini, Angelini, Baracco, Castelli Avolio, Carignani, Bacciconi».
Poiché fra i sottoscrittori non c'è l'onorevole Perassi, chiedo allo stesso se sia d'accordo.
Perassi. Sì, perfettamente.
Presidente Terracini. Abbiamo quindi tre ordini del giorno.
Fabbri. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Fabbri. L'avere assistito alla lunga discussione relativa all'ordine della votazione e la contemporanea presenza di emendamenti e di vari ordini del giorno che dei primi non hanno la forma ma spesso il contenuto, mi ha dato l'impressione di un problema difficilmente solubile, se restiamo esattamente sul terreno in cui la questione è stata posta, e cioè della rigida applicazione del Regolamento.
E allora, data la caratteristica tutt'affatto particolare di questa discussione, che si sostanzia nella creazione ex novo della Carta costituzionale, e nella fattispecie dell'istituto del Senato, io mi domando se un modo di soluzione rapido, semplice e soddisfacente per tutti non potrebbe essere costituito dall'adozione da parte della Presidenza della Camera di un metodo semplificativo che consentisse alla Presidenza stessa di porre all'Assemblea i quesiti singoli e successivi nella loro schematicità, in modo che l'Assemblea, di fronte a ciascun quesito, semplice, unitario, non involgente le altre questioni implicite o esplicite contenute nei vari ordini del giorno, potesse rispondere «sì» e «no».
Procedendo con questo metodo e logicamente, sulla base evidentemente del testo del progetto di Costituzione, io credo che, data l'elasticità mentale della nostra presidenza della quale io ho avuto, con i miei colleghi, ottima esperienza durante tutti i lavori preparatori formativi del testo di progetto in discussione, noi, potremmo praticamente arrivare a capo delle varie soluzioni senza che potesse accadere che vi fossero delle sorprese e che una maggioranza della Camera, pronunciandosi in un modo, temesse poi di avere implicitamente pregiudicata l'una o l'altra soluzione non chiaramente indicata nel testo dell'ordine del giorno o eventualmente nel testo di un emendamento. Noi dovremmo procedere secondo me — e in questo senso io faccio una proposta formale — con l'adozione di un metodo onde fosse consentito alla Presidenza di porre i singoli quesiti. Per esempio, vediamo il primo quesito cui penso: il numero dei rappresentanti al Senato in rapporto della popolazione deve essere alterato, o non alterato dalla esistenza della Regione? Con la risposta a questo primo quesito si risolve nettamente secondo me la questione della cosiddetta base regionale. E una volta che sia deciso che la proporzione numerica non deve essere alterata, evidentemente viene soppressa la questione dei cinque senatori e dei tre senatori e l'altra del cosidetto «limitatore» dell'onorevole Lussu relativamente alla Regione, ad esempio, del Molise, che ha una popolazione la quale potrebbe forse comportare al massimo il numero di due senatori, mentre con la soluzione dei 5 o dei 3, il criterio proporzionale viene ad essere alterato.
Avute le soluzioni una dopo l'altra, in forma schematica e unitaria, dopo il quesito che mi sono permesso di esporre in via di esempio ne potrebbe venire un altro: i senatori devono essere tutti indistintamente eletti, o vi possono essere dei senatori di diritto? Altra soluzione utile, dopo la quale viene logicamente una successione di quesiti per sapere quali debbano essere i senatori di diritto. E allora si parlerà del Presidente della Repubblica al cessar della carica, degli ex Presidenti del Consiglio, ecc. Con questo sistema, e data la mentalità del nostro Presidente dell'Assemblea, io credo che non si verificherebbe nessuna sorpresa, e che in poco tempo arriveremmo ad esaurire la materia dell'articolo, rimanendo senz'altro da farsi successivamente, dal punto di vista esclusivamente della pura forma, la redazione dell'articolo stesso in rapporto alle singole votazioni. In questo senso io faccio una proposta precisa; altrimenti ho il dubbio che non usciremo rapidamente dall'impaccio.
Rubilli. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Rubilli. Signor Presidente, io credo che a quest'ora, se non avessimo perduto troppo tempo a sofisticare fra ordini del giorno, emendamenti, articoli di Regolamento più o meno contrastanti, avremmo di già risolto le due questioni fondamentali che riguardano la costituzione del Senato e dalle quali credo che dobbiamo cominciare; venendo poi, mano mano, alle altre questioni o di dettaglio o di minore importanza.
Per la costituzione del Senato vi sono due questioni fondamentali: primo, suffragio diretto o suffragio indiretto; secondo, collegio uninominale o altro metodo di elezione.
Queste sono le due questioni fondamentali che avremmo di già risolto. Quindi pregherei la Presidenza di cominciare a mettere in votazione queste due questioni fondamentalissime con cui ci saremo sbarazzati in gran parte di tutta quanta la materia che riguarda la formazione della seconda Camera. Semplifichiamo, risolviamo e non perdiamo tempo; si capisce però con le forme regolamentari, mettendo in votazione gli ordini del giorno che alle dette due questioni si riferiscono.
Laconi. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Laconi. Se la proposta dell'onorevole Rubilli fosse tale, da accontentare tutta l'Assemblea, sulla base di questo schema così semplice, saremmo disposti ad aderire. La proposta dell'onorevole Fabbri ci porterebbe in un dedalo di questioni, sulle quali mal si orienterebbe chi non ha nozione precisa del coordinamento delle questioni.
Se la proposta dell'onorevole Rubilli non fosse accettata dalla Presidenza in questa sua semplicità o non trovasse l'assenso dell'Assemblea, saremmo disposti ad accettare che l'ordine del giorno Perassi venisse messo in votazione per primo.
Presidente Terracini. La proposta Fabbri della quale quella dell'onorevole Rubilli è chiarimento e, in parte, limitazione, non credo possa portare, se accolta ed applicata, alle confusioni temute dall'onorevole Laconi.
Se entriamo in questo criterio, di votare dei quesiti, vi è in questi una successione logica.
Il primo è se il Senato debba essere costituito solo per elezione oppure anche attraverso a nomine da parte del Presidente della Repubblica e con posti di diritto per cariche coperte.
Voci. No, no.
Presidente Terracini. Sì; questa è la prima questione: carattere elettivo o meno del Senato.
Voci. Non è così.
Presidente Terracini. La seconda questione è la seguente: accettato dall'Assemblea il principio che tutti i Senatori debbano essere eletti, dovranno esistere o no, secondo la proposta della Commissione, due settori elettorali — l'uno costituito dall'Assemblea regionale e l'altro o dai Consigli comunali o dai delegati di secondo grado oppure dagli elettori di base?
Terzo quesito: se per quel settore elettivo, diverso dal Consiglio regionale, dovrà valere il suffragio universale o quello limitato (per esempio, con la proposta di fissare a 25 anni l'età per l'elettorato attivo si viene a limitare il suffragio).
E successivamente: suffragio diretto o indiretto? Ed infine: collegio uninominale o sistema proporzionale?
Questi sono i vari elementi della questione. (Interruzioni dell'onorevole Rubilli e dell'onorevole Gasparotto).
Onorevole Rubilli e onorevole Gasparotto, occorre pur rispondere in qualche maniera a questi quesiti! Con nessuna abilità si potrà eluderli.
Comunque, vi sono due proposte: quella degli onorevoli Fabbri e Rubilli, di procedere alla votazione per quesiti; e quella transazionale dell'onorevole Laconi, di iniziare la votazione degli ordini del giorno da quello dell'onorevole Perassi; domando se qualcuno presenta altra proposta a questo proposito.
Lucifero. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Lucifero. Più che avere qualcosa da proporre o da domandare, devo dire che ho sentito con un certo stupore la proposta dell'onorevole Fabbri e quella dell'onorevole Rubilli; perché — va bene — modifichiamo il Regolamento; si può essere d'accordo a modificare il Regolamento; ma non possiamo improvvisare in piena discussione d'una legge una procedura nuova.
Questa procedura dei quesiti andrà bene in Corte d'assise, dove questi si propongono ai giurati, che rispondono sì o no; qui non siamo dei giurati; siamo uomini che esaminiamo i problemi nei loro vari aspetti. L'accettare un determinato criterio per l'elezione dei senatori non vuol dire avere l'articolo; noi dobbiamo decidere sull'articolo.
Quindi, mi pare che questa proposta, oltre ad essere completamente extra-regolamentare, non risolverebbe il nostro problema. Dopo la votazione sul quesito che l'elettorato spetta agli elettori dell'età di 25 anni, dobbiamo discutere sul modo col quale faremo quel tale articolo, che stabilisce questa norma, perché a seconda del modo come l'articolo sarà stato steso potrà avere un'applicazione od un'altra, un significato od un altro. Prego l'Assemblea, quindi, di rifarsi alla normale prassi seguita finora, cioè di discutere e votare secondo quanto stabilisce il Regolamento e di non improvvisare un'esperienza nuova che, tra l'altro, la mortificherebbe, perché dover rispondere sì e no come dei ragazzini a scuola su delle questioni così importanti e lasciare poi non so a chi la responsabilità della redazione del testo, non mi sembra degno di un'Assemblea Costituente.
Presidente Terracini. Volendo accettare il suo tono scherzoso, le faccio presente che molte volte allora lei è stato come un ragazzino a scuola, perché molte volte ha dovuto dire sì e no, partecipando alle normali votazioni.
Lucifero. Ma su di un testo, non su dei quesiti!
Presidente Terracini. Comprendo la sua considerazione, ma mi ero limitato a sottolineare il modo scherzoso col quale l'aveva esposta.
Lucifero. Sì, era un modo scherzoso!
Presidente Terracini. Poiché l'onorevole Laconi e mi pare anche l'onorevole Piccioni, che sono stati i due contendenti iniziali di questo torneo, concordano che venga posto in votazione per primo l'ordine del giorno dell'onorevole Perassi, passiamo a questa votazione.
Do lettura del testo dell'ordine del giorno Perassi sul quale avverrà la votazione:
«L'Assemblea Costituente ritiene che i senatori debbano essere eletti nel numero di tre per ogni Regione dal Consiglio regionale e per il resto da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nel Comune della circoscrizione elettorale di primo grado in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge».
Su questo ordine del giorno è stato chiesto l'appello nominale dagli onorevoli Avanzini, Cappi, Marzarotto, Recca, Leone Giovanni, Clerici, Bovetti, Firrao, Monterisi, De Caro Gerardo, Belotti, Bertone, Martinelli, Lizier, Ferreri e lo scrutinio segreto da parte degli onorevoli De Filpo, La Rocca, Martino Gaetano, Tonello, Mariani Francesco, Giua, Maffi, Ricci, Fantuzzi, Musolino, Chiarini, Bolognesi, Lombardi Carlo, Pastore Raffaele, Jacometti, Scotti, Faralli, Saccenti, Grazia, Fornara. A norma di Regolamento prevale quest'ultima richiesta.
Piccioni. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Piccioni. Io chiederei, data la complicazione strana che porta con sé il sistema dello scrutinio segreto — e soltanto per questo motivo — che la Presidenza avesse la bontà di dare lettura dei firmatari dell'ordine del giorno posto in votazione, che può servire come orientamento.
Presidente Terracini. L'onorevole Piccioni ha chiesto che venga data lettura del nome di tutti i firmatari dell'ordine del giorno Perassi. Hanno firmato gli onorevoli: Uberti, Chatrian, Gronchi, Piccioni, Valenti, Coccia, Andreotti, Angelini, Manzini, Baracco, Sullo, Castelli Avolio, Carignani.
Perassi. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Perassi. Vorrei che su quest'ordine del giorno la votazione avvenisse per divisione. La prima votazione si riferirebbe alla parte dell'ordine del giorno relativa all'elezione dei senatori da parte dei Consigli regionali, la seconda si riferirebbe alla parte concernente l'elezione del resto dei senatori di ciascuna Regione.
Presidente Terracini. L'onorevole Perassi propone che la votazione avvenga sulla prima parte dell'ordine del giorno che prevede l'elezione dei senatori da parte dei Consigli regionali, riservando ad una seconda votazione ciò che si riferisce all'elezione di secondo grado da parte di tutti gli elettori dei Comuni compresi nell'ambito regionale.
La proposta può essere accolta immediatamente ponendo due coppie di urne e votando contemporaneamente per la prima e la seconda parte dell'ordine del giorno. I colleghi facciano dunque attenzione. Essi dovranno dare due voti: il primo si riferisce alla proposta che tre senatori per ogni Regione siano eletti dai rispettivi Consigli regionali; il secondo alla proposta che il resto dei senatori spettante a ogni singola Regione venga eletto «da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nel Comune della circoscrizione elettorale di primo grado, in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge». Vorrei essere sicuro che tutti avessero compreso quello che voteranno.
Perassi. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Perassi. Coloro che hanno chiesto lo scrutinio segreto mantengono la domanda per tutte e due le votazioni o no?
Presidente Terracini. Poiché non hanno detto nulla in contrario, si presume di sì.
Presidente Terracini. Procediamo alla votazione a scrutinio segreto e per divisione delle due parti dell'ordine del giorno dell'onorevole Perassi di cui do nuovamente lettura:
«L'Assemblea Costituente ritiene che i senatori debbano essere eletti nel numero di tre per ogni Regione dal Consiglio regionale e per il resto da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nel Comune della circoscrizione elettorale di primo grado in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge».
La prima parte comprende le parole iniziali: «L'Assemblea Costituente ritiene che i senatori debbano essere eletti nel numero di tre per ogni Regione dal Consiglio regionale»; la seconda va dalle parole «e per il resto» sino alla fine.
Si faccia la chiama.
Molinelli, Segretario, fa la chiama.
(Segue la votazione).
Presidenza del Vicepresidente Conti
Presidente Conti. Dichiaro chiusa la votazione segreta ed invito gli onorevoli Segretari a procedere alla numerazione dei voti.
(Gli onorevoli segretari numerano i voti).
Presidenza del Presidente Terracini
Presidente Terracini. Esporrò i risultati di questa votazione segreta non con una semplice enunciazione di cifre. Ciò dimostra che non ho tutti i torti quando, prima di ogni votazione, prego i colleghi di fare attenzione a quello che dico e a quello che fanno. In questa votazione, evidentemente, alcuni colleghi o non hanno ben compreso o hanno male operato nel corso della votazione.
La situazione è la seguente, che nella prima coppia di urne, in cui si è votato sulla prima parte dell'emendamento Perassi, sono risultate più palle che non votanti registrati. (Ilarità). Onorevoli colleghi, se per ipotesi giungeremo all'annullamento di questa votazione con la necessità conseguente di restare qui altre due ore per ripeterla, credo che allora più nessuno avrà voglia di ridere.
Nella prima coppia di urne vi erano dunque dieci palle di più, che sono state tuttavia recuperate nella seconda coppia di urne. A quale risultato hanno condotto questi strani trasferimenti di palline dall'una all'altra coppia di urne? A questo risultato, che nella prima votazione si è avuta, fatto il computo delle palline bianche e palline nere, una differenza di 25 voti tra la maggioranza e la minoranza.
Dirò che la cifra di maggioranza è stata stabilita in 205 voti, dati i 408 votanti registrati. Il risultato nella prima coppia di urne è stato di 195 palline bianche e di 220 palline nere nell'urna bianca, con una differenza, che ho già indicato, di 25; mentre nell'urna nera si sono avute 198 palline nere e 213 palline bianche, con una differenza di 15. Per la seconda coppia di urne, la differenza sarebbe stata rispettivamente di 39 e di 49. Precisamente, nell'urna bianca 181 palline bianche e 220 nere; nell'urna nera, 178 palline nere e 227 palline bianche.
Che cosa ci dicono queste cifre? Che la differenza accertata fra maggioranza e minoranza è stata in tutte le urne superiore a quelle dieci unità che si sono così stranamente spostate dall'una all'altra di queste.
Ora, è evidente che ci sono state delle irregolarità in questa votazione, e particolarmente si è manifestata quella irregolarità che il Regolamento cita come la maggiore che possa verificarsi e che può dar luogo alla misura più radicale dell'annullamento della votazione.
Tuttavia, egregi colleghi, l'annullamento sta nella facoltà discrezionale del Presidente, al quale spetta di apprezzare le circostanze.
Orbene, secondo il mio criterio, la sola circostanza da apprezzare è questa: se il numero dei voti irregolarmente imbucato nelle urne sia superiore a quello che sarebbe necessario per modificare il risultato obiettivo dato dal confronto dei voti delle singole urne.
C'è da rammaricarsi dell'irregolarità; e c'è da rammaricarsi anche che i deputai non abbiano ancora imparato, dopo oltre quindici mesi di Assemblea Costituente, a votare. Ma è evidente che, nel caso concreto, le dieci palline normali non hanno la capacità, quand'anche le si computasse, di spostare la maggioranza, a raggiungere la quale entra in gioco una differenza superiore a 10: nel caso minore la cifra è infatti di 15, nel caso maggiore, di 49.
Sono queste le considerazioni che mi suggeriscono, o meglio che mi suggerirebbero, di dichiarare valida la votazione nonostante l'irregolarità che ho reso nota.
Penso che i membri dell'Assemblea concordino con queste mie considerazioni; tuttavia dichiaro che se una tale conclusione dovesse portare al rischio che da parte anche di pochi colleghi si sollevasse poi una eccezione sulla validità della votazione, la votazione dovrà essere ripetuta.
Personalmente ritengo che non ci sia possibilità di sollevare eccezioni, proprio per il potere convincente delle cifre: 10 è meno di 15, e immensamente meno di 49. Ma prego i colleghi, i quali avessero anche il più lontano dubbio sopra la regolarità della conclusione, di dirlo immediatamente, perché il dubbio di uno vale sulla bilancia più della certezza dei quattrocento.
Piccioni. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Piccioni. Sono spiacente di dover incomodare oltre il previsto l'Assemblea, ma mi pare che non si possa fare a meno di rilevare l'irregolarità della votazione. Il disposto dell'ultima parte dell'articolo 106 del Regolamento è al riguardo molto chiaro e molto esplicito. Dalla votazione è risultato che nella prima coppia di urne non c'è corrispondenza tra i votanti e i voti effettivamente raccolti dalle urne; nella seconda coppia di urne si verifica la stessa cosa in misura ancora maggiore. (Commenti). Sì, in misura maggiore; ce ne sono di più. (Proteste a destra).
I termini della questione, se sono bene informato e se ho ben capito quello che ha detto il Presidente dianzi, sono questi: le palline della prima votazione e della seconda non corrispondono al numero dei votanti. È esatto o non è esatto questo?
Voci. Non è esatto.
Piccioni. Quindi c'è una grave anomalia, perché non si è riscontrata la corrispondenza fra il numero dei votanti e il numero dei voti. (Commenti a sinistra).
Presidente Terracini. Facciano silenzio, per favore. Onorevole Piccioni, la prego di proseguire.
Piccioni. Questo si è verificato nella prima coppia di urne come nella seconda coppia di urne.
Ora si dice: ma la differenza è tale che non può influire sul conteggio finale e sulla maggioranza prevista in rapporto al numero dei votanti.
Io faccio osservare che è sintomo e indicazione di una — mi limiterei a dire — confusione, quanto meno, della volontà dei votanti; e in questa confusione della volontà dei votanti si può evidentemente intravedere una non perfetta chiarificazione della impostazione delle votazioni, anche nei confronti di quelli che per avventura avessero votato praticamente in maniera esatta.
Il sospetto è quindi lecito e legittimo; e poiché la differenza non è tale che possa vincere in radice un dubbio di questo genere, e poiché il Regolamento prescrive — per la serietà delle votazioni — che quando si rilevano delle irregolarità di questo genere, bisogna ripetere la votazione, io chiedo all'Assemblea, per la serietà delle sue deliberazioni, (Commenti) di ripetere senza altro la votazione.
Non è un problema di secondaria importanza; è uno dei fondamentali problemi che affronta la Costituente, quello della formazione del Senato. (Commenti a sinistra).
Presidente Terracini. Onorevoli colleghi, prego di fare silenzio!
Onorevole Piccioni, prosegua.
Piccioni. Mi pare di non chiedere nulla di eccezionale.
Rispondo alla precisazione fatta testé dallo stesso onorevole Presidente, quando ha detto che, se la ratifica di una votazione di questo genere non avesse incontrato i consensi unanimi dell'Assemblea, egli si sarebbe sentito in dovere di fare ripetere la votazione. È quello che chiedo a nome mio e del mio Gruppo.
Molinelli. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Molinelli. Mi richiamo alla perfetta buona fede che è certamente in ciascuno di noi. Basta meditare semplicemente sulle cifre aritmetiche di questa votazione per giudicare del suo risultato. Ci sono stati 408 votanti i quali hanno avuto quattro palline ciascuno, cioè 1632 palline. Ebbene, noi abbiamo trovato nelle urne 1632 palline. Questo è un primo dato, e non si può quindi parlare di una alterazione fraudolenta della votazione. (Proteste al centro).
Presidente Terracini. Nessuno ha fatto un cenno in questo senso. Non dica delle cose superflue.
Molinelli. Nella prima votazione sono risultate in totale complessivamente 826 palline, il che significa 10 palline in più delle 816 che avrebbero dovuto risultare. Nella seconda lo spostamento è di 806 e cioè 10 in meno, sarebbe dunque di cinque voti. Ora, se il risultato tanto della prima, quanto della seconda votazione dipendesse da questi cinque voti e cioè se l'attribuirli all'una piuttosto che all'altra parte ne spostasse l'esito, io comprenderei il caso di coscienza di coloro che dicono che si deve ripetere la votazione, ma questi cinque voti in nessun caso possono modificarlo, essendo risultate rispettivamente differenze di 15 e di 39 voti. Non mi pare quindi che sia il caso di insistere per ripetere una votazione che, a parte il lieve squilibrio che si verifica assai spesso in questi casi (Voci: no, no), non può essere contestata. C'è sempre qualcuno che per errore o per distrazione mette una pallina in un'urna piuttosto che in un'altra (Rumori al centro). Proprio poco fa, un collega mi ha confessato francamente di aver messo tutte e quattro le palline nelle prime due urne. Concludo, quindi, che secondo me, è inutile ripetere la votazione, non solo, ma che sarebbe anche dannoso il farlo perché istituirebbe il principio che si possa impedire una votazione segreta ogni volta che una parte ne abbia interesse. (Applausi a sinistra — Commenti al centro).
Targetti. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Targetti. Onorevoli colleghi. Io ho domandato la parola unicamente per fare un invito all'onorevole Piccioni perché, nella sua serenità, voglia considerare un lato solo della questione e, se lo considererà serenamente, dovrà convenire egli per primo della erroneità della sua richiesta, che dopo le dichiarazioni del nostro egregio Presidente, porterebbe a rinnovare la votazione.
Onorevole Piccioni, il punto della questione è uno solo: se fosse vero che per riconoscere irregolare una votazione e quindi riconoscere la necessità di ripeterla, bastasse il fatto materiale qui avvenuto, anche quando questo fatto non alterasse il risultato della votazione, vorrebbe dire lasciare all'arbitrio di chiunque di rendere preventivamente irregolari tutte le votazioni (Applausi a sinistra, — Rumori al centro).
Onorevoli colleghi. Io preferirei che a questi rumori incomposti venissero sostituite, a confutazione di queste mie elementari osservazioni, delle osservazioni anche più elementari, ma che avessero la sostanza di osservazioni e non fossero soltanto dei rumori. Onorevoli colleghi, voi non avete certo bisogno di nessun incitamento né da parte nostra né da parte di altri.
Pensate però che insistere in questo artificio palese e innegabile, non potrebbe essere che l'indice di una incapacità a rassegnarsi all'esito contrario di una votazione. (Applausi a sinistra — Commenti al centro).
Togliatti. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Togliatti. Onorevoli colleghi, desidero dire soltanto due parole per una breve dichiarazione. Sono d'accordo con i colleghi che hanno dimostrato che l'errore constatato nella disposizione delle palline nell'urna non infirma il risultato della votazione, e che quindi è uno sbaglio ripetere la votazione.
Desidero soltanto fare osservare una cosa: se noi ripetiamo questa votazione per un errore che non infirma il risultato della votazione anche qualora tutte le palline mal poste vengano spostate completamente a favore della parte perdente, se accettiamo questo principio, desidero fare osservare alla parte democristiana, che è più numerosa della nostra, che il risultato vero sarà che avremo introdotto un nuovo metodo, non del tutto leale certamente, di ostruzionismo, ricorrendo al quale si potrà con lieve sforzo e in qualsiasi caso rendere invalida e far ripetere qualsiasi votazione.
Noi siamo oggi in questa Assemblea partito di minoranza; desidero soltanto aggiungere che se questo precedente viene costituito, ce ne ricorderemo e non esiteremo a ricorrere a questo metodo anche noi. (Vivi applausi a sinistra — Proteste al centro — Commenti).
Piccioni. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Piccioni. Io non sento nessuna necessità di rispondere agli argomenti — direi, eccessivi — che ha adoperato il collega onorevole Targetti con ritorsioni dello stesso genere e sullo stesso piano; e neppure di raccogliere la previsione un poco minacciosa fatta or ora dall'onorevole Togliatti, perché mi sento sicuro e tranquillo di avere dalla mia parte la disposizione precisa del Regolamento.
E poiché la norma che regge le nostre discussioni e le nostre votazioni è esclusivamente quella del Regolamento, la cui interpretazione è affidata al Presidente e, in secondo grado, all'Assemblea, e poiché il Presidente stesso ha avuto lo scrupolo di rilevare che, a tenore di quanto dispone la norma regolamentare, se fosse stata sollevata da qualche parte una qualche eccezione di irregolarità, egli si sarebbe tenuto in dovere di fare ripetere la votazione, mi pare che il problema — tenuti presenti questi precedenti — si ponga in termini del tutto espliciti e chiari, tali da non poter essere confusi da speculazioni di parte o di chicchessia.
Aggiungo che, se i colleghi sostengono la reale efficienza conclusiva della votazione e sostengono quindi di avere la maggioranza da parte loro, mi pare si darebbe uno spettacolo più dignitoso all'Assemblea ed al Paese, se ci si sacrificasse a ripetere la votazione anziché perdere un'ora su contestazioni di questo genere. (Applausi al centro — Commenti a sinistra).
Dugoni. Sappiate perdere.
Piccioni. Questa conseguenza, cui oggi noi siamo arrivati a conclusione della votazione, è il risultato di un metodo, di cui — mi sia consentito dirlo — l'Assemblea ha abusato: il metodo dello scrutinio segreto. (Applausi al centro).
Presidente Terracini. Onorevole Piccioni, vorrei far presente che stiamo discutendo di una questione molto definita, di carattere tecnico. Non si allarghi troppo in una schermaglia di sapore politico.
Piccioni. Riferendomi a coloro che si richiamano alla tradizione in altri campi, devo dire che la tradizione parlamentare italiana era quella di restringere l'applicazione dello scrutinio segreto a casi perfettamente delimitati. (Interruzioni — Rumori).
Una voce a sinistra. L'avete chiesto voi. (Proteste al centro).
Dugoni. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Leggete il Vangelo. (Commenti).
Piccioni. Oggi lo scrutinio segreto si adotta per ogni questione, che non ha nulla a dire con quelle preventivamente previste dalla prassi parlamentare, con la speranza, ritengo, di confondere un po' le idee e di suggestionare in qualche modo la libera manifestazione del voto.
L'appello nominale, non c'è dubbio, in modo particolare per queste supreme decisioni, che dovrebbero valere per la vita costituzionale e politica, per lunghi decenni, del nuovo Stato democratico, dovrebbe rispondere più direttamente alla responsabilità personale, che ciascuno di noi deve assumere di fronte al Paese. (Applausi al centro — Rumori).
Presidente Terracini. Onorevole Piccioni, non vada fuori dell'argomento!
Piccioni. Concludo, facendo rilevare l'ultima parte dell'articolo 106 del Regolamento il quale dice: «quando però si verificassero irregolarità, e segnatamente se il numero dei voti risultasse superiore in qualche urna al numero dei votanti, il Presidente, apprezzate le circostanze, potrà annullare la votazione e disporre che sia tosto rifatta».
Presidente Terracini. Concluda, onorevole Piccioni! Lei ci sta leggendo un articolo che abbiamo tutti sotto gli occhi!
Piccioni. Ora mi pare che questa irregolarità prevista dal Regolamento è stata riscontrata nelle due coppie di urne. Ma il problema non va posto neppure in correlazione tra le due coppie di urne, perché sono due votazioni distinte e la votazione va considerata coppia per coppia, indipendentemente da quello che può essere il collegamento puramente occasionale e materiale della contestualità delle due votazioni. (Approvazioni al centro — Rumori a sinistra). Se in altre parole si fosse eseguita una sola votazione ci si sarebbe riferiti a quella irregolarità senza porla in riscontro con l'altra votazione. (Approvazioni al centro — Rumori a sinistra). Siccome si sono eseguite due votazioni, si vuol fare il controllo dell'una attraverso l'altra (Vivi rumori a sinistra), la qual cosa è assolutamente arbitraria. Perciò insisto... (Interruzioni a sinistra).
Presidente Terracini. Ma concluda, la prego!
Piccioni. Ma perché dovrei concludere così in fretta? C'è forse un limite di tempo stabilito dal Regolamento? Mi dica per quali ragioni sono tenuto a concludere con così estrema rapidità! (Applausi al centro — Rumori a sinistra). Se avete la maggioranza, perché avete tanta paura? (Interruzione dell'onorevole Malagugini).
Presidente Terracini. Onorevole Piccioni, lei mi ha posta una domanda, abbia la cortesia di attendere la risposta. Poiché lei ritiene di potermi interpellare direttamente, le dirò che lei dovrebbe finalmente concludere:
1°) perché ha già presa la parola in precedenza; e in una discussione di questo genere è sufficiente che ogni collega parli una volta sola;
2°) perché, se si parla cionondimeno una seconda volta, occorre farlo, non dico con rapidità (sono dieci minuti che lei ha la parola: ho l'orologio sotto gli occhi) ma almeno senza troppo diffondersi. (Approvazioni a sinistra).
Piccioni. Mi pare di non aver mai dato esempio personale di aver abusato del diritto di parola. Ci sono altri che hanno abusato di questo diritto, eppure non sono stati così immediatamente richiamati all'osservanza di non so quale norma regolamentare. (Approvazioni al centro — Rumori a sinistra).
In ogni modo concludo riaffermando e rilevando l'irregolarità formale delle due votazioni e chiedendo la ripetizione di entrambe le votazioni secondo quanto dispone il Regolamento e secondo quanto aveva detto ed impostato nella sua prima dichiarazione il Presidente dell'Assemblea. (Applausi al centro — Rumori a sinistra).
Lucifero. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Lucifero. Onorevoli colleghi, io non voglio soffermarmi su discussioni che escono da questo argomento, né su certe strane forme di fare allusione a coloro che hanno la maggioranza da parte loro, usate da chi è abituato ad averla sempre da parte sua, ed in quei casi sa molto bene servirsene. Ma visto che si è parlato da parte dell'onorevole Piccioni di contestazioni cavillose, io vorrei, non ripetendo il suo termine, dire: dove sono queste contestazioni? Il Regolamento parla molto chiaro e dice che il Presidente, «apprezzate le circostanze, potrà annullare», non «dovrà» annullare la votazione. E le circostanze non possono essere che una circostanza sola: quella cioè che le irregolarità riscontrate siano tali da poter modificare l'esito della votazione. (Applausi a sinistra e a destra — Interruzione dell'onorevole Piccioni — Commenti).
Onorevole Piccioni, io non l'ho interrotta. Quando lei, riferendosi a coloro che non condividevano la sua olimpica opinione, si è servito del termine... (Interruzioni — Proteste al centro). E quando lei si permette di essere di diversa opinione di quella schiacciante maggioranza che lei non ammette... (Rumori al centro).
Contestazione cavillosa — adesso lo dico io — è il volere sostenere che si possa annullare sempre la votazione; perché se noi ammettiamo tale prassi, onorevole Piccioni, io non so chi sarà il primo a servirsene, quando saprà di essere in minoranza, mettendo due palle in un'urna sbagliata per aspettare che i telefoni funzionino, perché li abbiamo visti funzionare molte volte. (Applausi a sinistra — Proteste al centro). E per la seconda parte: nelle due votazioni (questa era una votazione per divisione ed è stata fatta in un solo tempo) le palline c'erano tutte. Ci sono stati degli errori tecnici da parte di chi ha votato, ma non c'è stato nessun inganno, nessun imbroglio, né nessuna cifra può mutare le cose.
Onorevole Piccioni, io preferirei che la votazione si rifacesse, perché sono convinto che ora, soprattutto dopo il suo intervento, la nostra maggioranza sarebbe ancora maggiore. (Applausi a sinistra e a destra — Commenti al centro).
Piccioni. Questo si verificherebbe per il suo intervento?
Lucifero. No, per i suoi!
Molè. Chiedo di parlare per mozione d'ordine.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Molè. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io pongo il problema in maniera tale da evitare una inutile continuazione di questa discussione. Abbiamo sentito le varie opinioni, ma il Presidente, il quale in questo caso ha il diritto di valersi delle sue facoltà discretive, ha posto il problema in questi termini: io ritengo (e la sua opinione è la più autorevole, secondo me, la più esatta, anzi la sola esatta) che non ci sia irregolarità tale da annullare la votazione; ma se nell'Assemblea sorgessero voci per chiedere che fosse rifatta la votazione, io aderirei.
E allora che cosa dobbiamo fare? Invece di perdere ancora del tempo inutile in questa discussione (che tuttavia non è stata inutile fino ad ora, perché ci ha potuto far vedere a quali pericoli possono portare certi eccessi formalistici), se non vogliamo continuare una discussione inutile, diciamo al Presidente: si avvalga della sua facoltà discretiva. Dica: ritengo valida la votazione, e la questione è chiusa. Oppure, ritengo che sia opportuno che si rifaccia. E rifaremo la votazione.
Ecco quello che volevo dire.
Lussu. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Lussu. È nella tradizione parlamentare italiana che si possano muovere, sia pure nei termini della correttezza e della deferenza, delle critiche allo stesso onorevole Presidente dell'Assemblea. Di questa tradizione io mi permetto valermi per dire che il nostro onorevole Presidente oggi ha commesso un errore: il Regolamento gli dava il pieno diritto di apprezzare, secondo il suo esclusivo giudizio, l'esito della votazione. Non lo ha fatto ed ha creduto invece (e qui sta il suo errore) di fare appello all'opinione di noi qui presenti. Da qui l'intervento del collega onorevole Piccioni.
Se questo non fosse avvenuto, e l'onorevole Presidente si fosse avvalso del suo potere discrezionale e avesse dichiarato valida la votazione, neppure l'onorevole Piccioni, ne sono sicuro, avrebbe mosso un rilievo.
Io parlo poiché la mozione presentata dal collega Molè è in ritardo e, una volta manifestatasi l'opinione del collega Piccioni a nome del suo Gruppo, evidentemente il nostro Presidente non può più fare quello che aveva diritto di fare. Mi rivolgo, quindi, al collega onorevole Piccioni, facendo affidamento sulla sua buona coscienza. (Commenti).
Io per questa votazione ho una posizione particolare. Ecco perché mi sono permesso di parlare. Per ragioni note, e che non voglio ripetere, ero avverso alla seconda Camera, avverso al tipo di seconda Camera a collegio uninominale, avverso al tipo a suffragio universale e ho dovuto votare per disperazione l'emendamento Perassi, sostenuto dai colleghi democristiani.
Mi trovo quindi nella stessa identica situazione dei colleghi della Democrazia cristiana. Tuttavia, in coscienza, devo affermare che sarebbe ingiusto ed anche grave se noi oggi ripetessimo la votazione. Bisogna accettarla così come è avvenuta, perché è stato dimostrato che la votazione così come è avvenuta è chiara; non c'è nessuno spostamento.
E allora mi rivolgo al collega onorevole Piccioni e metto alla prova, anzi a dura prova, il suo spirito di comprensione (Commenti): con l'insistere, egli dimostrerebbe di possedere uno spirito fazioso. Io credo che se insistesse, non cadrebbe certamente in peccato mortale, ma in peccato veniale sì (Si ride).
Io faccio, pertanto, appello allo spirito cristiano del collega onorevole Piccioni. (Commenti al centro).
Scoccimarro. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Scoccimarro. Io desidero essere molto breve. Quale interesse ci induce a discutere così a lungo su un problema di questo genere? Semplicemente il fatto di non creare un precedente, perché, se non fosse questo, avremmo già fatto una seconda o una terza votazione e risolto ogni controversia.
C'è però un altro problema. L'onorevole Piccioni ha detto che la norma precisa del Regolamento gli dà il diritto di chiedere la ripetizione della votazione.
Io mi permetto di contestarlo. Quando il Regolamento dice che in qualche urna si trovi un numero di palline superiore al numero dei votanti, prevede che qualche collega — in buona o in mala fede — invece di servirsi di due palline si sia servito di tre o di quattro palline, prevede, cioè, che il numero delle palline di cui ci si è serviti nella votazione superi il numero dei votanti.
Ora, la norma del Regolamento presuppone l'ipotesi normale di una votazione con due urne, per cui è chiaro che se al conteggio si trova un numero di palline che superi il numero dei votanti, c'è qualcuno che ne ha usata qualcuna in più. Ma quando la votazione avviene contemporaneamente in due coppie di urne, l'affermazione del Regolamento deve valere non per una sola, ma per tutte e due le coppie di urne.
Ora, per tutte e due le coppie di urne la somma delle palline è uguale al numero dei votanti, perciò l'obbiezione dell'onorevole Piccioni non è giustificata e non interpreta giustamente lo spirito del Regolamento.
Come terza questione, e concludo, mi permettano i colleghi democristiani di non recare offesa alla loro intelligenza dubitando che anch'essi sono tutti convinti della validità del voto. Non posso concepire che ci sia un solo collega che, di fronte alle cifre, non sia convinto che nel voto c'è stata una maggioranza ed una minoranza chiaramente determinate e che tale rimangono indipendentemente dallo spostamento delle palline.
Questa è la sostanza. Per quanto riguarda il problema di forma, la tesi che io ho esposto per la interpretazione del Regolamento svuota di ogni valore la questione sollevata dall'onorevole Piccioni, per cui il voto dato dall'Assemblea non può essere contestato e rimane interamente valido. (Applausi a sinistra).
Selvaggi. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà (Commenti). Egregi colleghi, non si sollevano questioni di questo genere senza con ciò stesso impegnarsi di portarle a termine.
Selvaggi. Onorevoli colleghi, io non voglio entrare nel merito di questa dottissima disquisizione; mi limiterò ad esaminarla sotto l'aspetto pratico. Qualora venisse accettato il principio esposto dall'onorevole Piccioni, noi dovremmo considerare nulla questa votazione. Ma allora, come è stato già osservato, si creerebbe un precedente estremamente pericoloso, che cioè, in qualunque votazione, basterebbe da parte di chiunque mettere una pallina in un posto non esatto per ottenere l'annullamento della votazione stessa.
Io dico allora: non mettiamo neppure in discussione questo principio tanto pericoloso per il seguito dei lavori dell'Assemblea, ma domandiamo semplicemente se riteniamo valida o no questa votazione, il che possiamo fare con una semplice alzata di mano. Se in tal modo la votazione sarà annullata, noi la rifaremo, ma non si verrà ad infirmare il principio.
Presidente Terracini. Onorevoli colleghi, alcune osservazioni conclusive. Desidero innanzi tutto anch'io sottolineare che nessun obbligo vi è di annullare una votazione quando si siano verificate irregolarità del genere di quelle constatate questa sera: c'è semplicemente al riguardo una facoltà, il che evidentemente è ben diverso.
In secondo luogo, non si è mai dato — l'onorevole Piccioni stesso ha parlato di una prassi — nella storia delle Camera italiana, nonostante che irregolarità di questo genere si siano verificate, che si sia avuto l'annullamento di una votazione. Non è mai avvenuto: questa è la prassi fino ad oggi. Da essa ci si può anche dipartire, ma per intanto, chi si richiama a lei, sappia che fino ad oggi essa non registra alcun annullamento di una votazione.
Comunque, il disposto dell'articolo 106 mette in rilievo il caso di una votazione in cui il numero dei voti risultasse superiore a quello dei votanti. Ma, come bene ha osservato l'onorevole Piccioni, nel caso in questione noi abbiamo avuto una duplice votazione e, mentre in una si è verificata quell'anormalità, nell'altra si è verificato il caso inverso. Ne deriva che l'annullamento potrebbe dichiararsi solo per la prima votazione. Ma se la seconda votazione viene assunta come valida, come non ritenere valida anche la prima, che le è coordinata, nei dati e nelle irregolarità?
Mettere in causa soltanto la prima significherebbe violentare l'ordinamento logico delle cose.
C'è stata una richiesta molto amichevole dell'onorevole Lussu, fatta con il suo solito tono, sereno ed arguto, e rivolta all'onorevole Piccioni. D'altronde la votazione che abbiamo fatto ha tale importanza che occorre sia per il popolo italiano scevra da ogni più lontana ombra. Sta all'onorevole Piccioni ed ai suoi colleghi di Gruppo sciogliere la loro riserva o impegnarsi a chiedere esplicitamente una nuova votazione.
Gullo Fausto. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Gullo Fausto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si è detto che sarebbe pericoloso rifare la votazione, per le conseguenze che ne verrebbero fuori e che io non starò qui ad illustrare ulteriormente. Ma, in realtà, le paventate conseguenze sono la ragione stessa della norma del Regolamento, la quale deferisce appunto al Presidente — e al Presidente soltanto — la decisione della questione. Essa è pienamente giustificata da ciò che il Regolamento ha previsto che la votazione possa risultare irregolare o per malizia o per distrazione dei votanti, ed ha ritenuto opportuno deferire al Presidente, ed esclusivamente a lui, il potere di decidere. Ecco perché è in questo momento ch'io chiedo di parlare; nel momento in cui il Presidente ritiene di far dipendere la sua decisione da quella dell'onorevole Piccioni o del Gruppo democratico cristiano.
Io protesto, mi consenta, signor Presidente, contro questo invito che ella fa: il Presidente ha il potere, ma non lo può delegare a nessuno; è lui, e lui soltanto, che se ne può e deve avvalere.
Noi affermiamo ciò per garanzia dell'Assemblea. Sarebbe ingiustificabile che in questo momento il Presidente dovesse abdicare al suo potere. A ragion veduta il Regolamento affida a lui, e a lui soltanto questo potere, proprio per toglierlo all'Assemblea. Non è l'Assemblea che deve decidere; se decidesse l'Assemblea, verrebbero lesi gravemente i diritti della minoranza, non solo, ma anche i diritti della maggioranza, perché potrebbe accadere quello che l'onorevole Togliatti poco fa ha detto: che domani un gruppo di minoranza potrebbe senz'altro rendere vano il voto della maggioranza.
Signor Presidente, ella, ed ella soltanto, deve decidere. La discussione che si è fatta non si doveva fare. Mi lasci dire: lei non doveva consentire che si facesse questa discussione. (Commenti). E questo perché, ripeto, la norma è dettata per garantire i diritti dell'Assemblea; ed io, come facente parte dell'Assemblea stessa, non intendo rinunziare affatto ai diritti che mi assicura il Regolamento.
Signor Presidente, decida lei, indipendentemente dalle proteste dell'onorevole Tizio o dell'onorevole Caio.
Io ciò chiedo, perché intendo che siano garantiti i diritti miei e i diritti dell'Assemblea. (Vivi applausi a sinistra — Commenti).
Piccioni. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Piccioni. Rispondendo all'invito cortese di qualche collega e dell'onorevole Presidente dell'Assemblea, io devo fare una semplicissima precisazione: io ho esposto le osservazioni e le proteste che credevo emergessero dalla votazione, così come si è svolta. Le conclusioni — e in questo sono d'accordo con l'onorevole Gullo e con l'onorevole Molè — spettano, a tenore dell'articolo 106 del Regolamento, all'onorevole Presidente dell'Assemblea, il quale, apprezzate le circostanze, dirà e stabilirà se si debba far luogo o meno alla ripetizione della votazione.
Per conto nostro, dichiaro che saremo ossequenti a quella che sarà la decisione del Presidente. (Applausi al centro e a destra).
Presidente Terracini. Onorevoli colleghi, avendo apprezzato le circostanze in relazione alle irregolarità che si sono manifestate nella votazione testé indetta e conclusa, ritengo che il risultato constatato dagli onorevoli Segretari sia valido e pertanto comunico i risultati della votazione a scrutinio segreto.
Sulla prima parte dell'ordine del giorno Perassi il risultato è il seguente:
Presenti e votanti............ 408
Maggioranza.............. 205
Voti favorevoli........... 198
Voti contrari.............. 213
(L'Assemblea non approva).
Sulla seconda parte dell'ordine del giorno Perassi il risultato è il seguente:
Presenti e votanti............ 408
Maggioranza.............. 205
Voti favorevoli........... 181
Voti contrari.............. 220
(L'Assemblea non approva — Applausi a sinistra — Commenti al centro).
[Nel resoconto stenografico della seduta segue l'elenco dei deputati che hanno preso parte alla votazione.]
A cura di Fabrizio Calzaretti