[Il 20 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la votazione degli ordini del giorno sui seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».]

Presidente Terracini. L'ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Sono stati presentati altri ordini del giorno, che debbono ancora essere svolti. Tuttavia, non so se sia opportuno di procedere subito allo svolgimento di tutti, in quanto alcuni di essi pongano questioni che si ritrovano in articoli, nel cui merito dobbiamo ancora entrare.

Ritengo che sia opportuno limitarsi ora agli ordini del giorno che hanno carattere generale; quelli nei quali vengono trattate questioni specifiche credo sia bene riservarli (sia per quanto riguarda il loro svolgimento, come per la votazione) al momento in cui affronteremo gli articoli nei quali dette questioni vengono esaminate.

Debbo osservare inoltre che molti di questi ordini del giorno non mi sembrano pertinenti a problemi costituzionali e precisamente alla determinazione costituzionale della struttura e del funzionamento della Magistratura.

Se per connessione si intende il fatto che in questi ordini del giorno si pongono questioni che toccano il problema del funzionamento e della struttura di determinati organi giurisdizionali, la connessione c'è, ma essa deve essere valutata in relazione al quesito se si tratti o no di questioni costituzionali. Io penso che molti e forse tutti i colleghi dell'Assemblea sono giunti di già a questa convinzione: che una parte di questi ordini del giorno troverà ottimamente sede allorché la futura Camera legislativa discuterà dell'ordinamento e della struttura giudiziaria, ma che in questo momento essi non dicono nulla che interessi l'Assemblea. Ve ne è poi qualcuno di questi ordini dei giorno che si riferisce addirittura ad aspetti così particolari del funzionamento della Magistratura che forse non potrebbero essere esaminati neanche quando si discutesse all'Assemblea legislativa del riordinamento generale della Magistratura ma soltanto allorché vi fossero poste questioni del tutto particolari.

Io voglio comunque decidere fin da questo momento se sia opportuno porre in discussione tutti questi ordini del giorno e quindi dare la parola ai presentatori: è una questione che verrà risolta nel momento in cui di questi ordini del giorno daremo lettura. Ma io vorrei che i colleghi che li hanno presentati accedessero alle proposte che farò o alle decisioni che mi riservo di prendere in proposito, mosso unicamente dalla preoccupazione non di evitare che si dica ciò che si deve dire, ma che si dicano cose che in questo momento non hanno ragione di essere dette e che potrebbero essere più utilmente dette in altra sede. Dopo queste considerazioni, l'onorevole Merlin Umberto ha facoltà di svolgere il seguente ordine del giorno:

«L'Assemblea Costituente riafferma:

che base e fondamento di un regime democratico deve essere la autonomia e la indipendenza assoluta della Magistratura, la quale non deve dipendere da alcun altro potere dello Stato;

che, per assicurare tale indipendenza, bisogna vietare la istituzione di giudici sia speciali, sia straordinari, che il più spesso nascondono organi che il potere esecutivo si crea per giustificare, almeno nelle apparenze, i suoi atti di prepotenza, violatori delle libertà fondamentali del cittadino;

che la eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge sarebbe cosa vana senza la unicità della giurisdizione civile, penale ed amministrativa e che, in particolare, va mantenuta la Cassazione unica, come supremo giudice di diritto, e va evitato qualsiasi trasferimento delle sue funzioni ad altro organo con conseguente menomazione dei diritti dei cittadini;

che, per assicurare la indipendenza dei magistrati, occorre dare ad essi la libertà dal bisogno;

che il reclutamento dei magistrati deve essere fatto solo per concorso o per titoli, con divieto ai magistrati di appartenere a partiti politici o ad associazioni segrete;

che la giuria popolare va abolita avendo fatto pessima prova in tutte le materie che vennero sottoposte al suo giudizio;

che, infine, ad accentuare il carattere giurisdizionale della Corte costituzionale, a coordinare l'attività delle due Supreme Corti e ad evitare la possibilità di conflitti, è giusto che la Corte costituzionale sia presieduta dal Primo Presidente della Cassazione.

«Accettando i principî affermati in queste premesse,

delibera

1°) che nella nuova Costituzione sia garantita alla Magistratura piena autonomia e perfetta indipendenza;

2°) che siano aboliti i giudici speciali o straordinari e sia affermato il principio della unità della giurisdizione civile, penale, amministrativa;

3°) che conseguentemente sia mantenuta la Cassazione Unica per tutte le materie civili e penali;

4°) che sia rimessa all'ordinamento giudiziario la questione della giuria popolare;

5°) che sia data ai magistrati una posizione economica adeguata alle loro funzioni, alla loro dignità ed al necessario prestigio».

Merlin Umberto. Io accolgo subito il desiderio espresso dal nostro illustre Presidente, e mi limiterò a svolgere i punti più importanti del mio ordine del giorno. Dico anzi che un mio intervento, dopo tanti discorsi di autorevoli colleghi, potrebbe anche essere o sembrare superfluo. Ho un'unica scusa, per la quale mi permetto di rivolgermi ai colleghi in questo momento e alla chiusura della discussione generale. La scusa è questa: che, per quanto per pochi mesi, ho vissuto al Ministero di giustizia, ho lavorato in quel dicastero, ho studiato il grave problema della Magistratura, ho conosciuto da vicino anche i desideri dei magistrati. E quindi mi sembra quasi di rendere un doveroso omaggio a questi benemeriti servitori dello Stato, esprimendo il mio parere su questo delicato ed importante argomento.

Il mio ordine del giorno è abbastanza complesso, e riguarda soprattutto quella che è la funzione della Magistratura, quelli che sono i doveri e i diritti di quello che venne definito il terzo potere dello Stato.

Nella Carta statutaria noi dovevamo occuparci di questo problema, non solo perché se ne occupano tutte le carte statutarie, ma perché è chiaro che se noi della Costituzione vogliamo creare i muri maestri e il tetto, dobbiamo anche ben fissarne le fondamenta; e dobbiamo necessariamente regolare e disciplinare gli organi che saranno incaricati domani di applicare e difendere, se occorra, contro tutto e contro tutti, quei diritti che la nuova Carta statutaria assicura a tutti i cittadini.

Io non do una grande importanza alla distinzione del nome «ordine» o «potere»; a me basta che rimanga ferma la libertà e la indipendenza della «funzione». Ora è quasi superfluo ch'io ricordi ai colleghi che noi abbiamo votato già tutti gli articoli, che assicurano le libertà fondamentali dei cittadini: la libertà personale, la libertà di stampa, la libertà di organizzazione, la libertà di professare la propria fede religiosa e di diffonderla, la libertà di organizzarsi nei partiti che ciascuno creda di scegliere, concorrendo con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Questo complesso di diritti forma la «democrazia costituzionale». Avremmo perduto perfettamente del tempo, e avremmo scritto degli articoli che rimarrebbero lettera morta, se noi non assicurassimo anche la libertà e l'indipendenza all'organo che sarà chiamato a difendere questi diritti contro tutti. Sempre, nella storia di ogni popolo, in qualunque momento, la democrazia ha potuto resistere, vivere e prosperare, se ha saputo contare su una Magistratura libera e indipendente; e la democrazia, invece, è crollata come un ramo secco, dove la Magistratura è stata soltanto serva del potere esecutivo.

La Magistratura è la garanzia effettiva della libertà e dei diritti dei cittadini.

Come noi dobbiamo assicurare questa indipendenza alla Magistratura e in che modo? Ci si è domandato: contro chi? Forse contro lo Stato? No, mai contro lo Stato, ma contro uno dei poteri dello Stato, contro quello che più spesso è tratto, per mala volontà di uomini o per lo strapotere di un partito, ad uscire dai limiti della sua sfera d'azione. Troppo spesso è accaduto nei secoli che «vicino a un principe che viola la legge è rarissimo che non vi sia un giurista, il quale assicuri di non esservi nulla di più legittimo, dimostrando sapientemente che la violenza è giusta», perché non si senta irrefrenabile l'aspirazione di formare dei magistrati superiori per moralità, cultura e perfetta indipendenza di giudizio. Onde, se vogliamo assicurare la libertà ai cittadini, bisogna che la Magistratura sia assolutamente libera e indipendente; e l'articolo 97 pare che non contraddica a questo principio quando dice che «la Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente».

Qualche riserva è stata fatta da qualche banco, ma io credo e spero (lo ha detto qui con parola più autorevole della mia un uomo da tutti noi stimato per la sua indipendenza, per il suo carattere, per la sua fede: l'onorevole Conti), che l'Assemblea possa votare all'unanimità questo articolo che è uno dei capisaldi del nuovo Statuto.

Non c'è bisogno che io vada divagando nel vasto campo delle discipline politiche per riaffermare cose che costituiscono patrimonio e conoscenza comune.

Tutti sanno che la tripartizione dei poteri dello Stato non è una creazione artificiosa né dei cultori di diritto pubblico, né della filosofia o delle scienze politiche.

Essa è una realtà, risponde alla diversità delle funzioni, che possono anche confondersi nella stessa persona, ma che esistono.

Già in Aristotele si parla di potere legislativo, esecutivo e giudiziario, e Montesquieu ha ricalcato le vie di Marsilio da Padova e di Machiavelli.

Ora, fin dalle più antiche costituzioni — io alludo per esempio a quella degli Stati Uniti d'America, che ha preceduto anche la rivoluzione francese — si scriveva che «la separazione dei poteri è la prima condizione di un governo libero».

Alcuni dicono: «Ma volete mettere un potere contro l'altro? Volete offendere la sovranità dello Stato che deve essere unica?».

Rispondo: il principio della separazione dei poteri non rinnega l'altro della sovranità una ed indivisibile, ma postula invece una sana ed utile collaborazione. Ciascun potere nei suoi limiti e nei suoi confini. Questo è lo Stato democratico ed è il contrapposto dello Stato totalitario. Come lo Stato democratico autolimita i suoi poteri nei riguardi della famiglia e dell'individuo, così esso fissa i limiti dell'esecutivo, del legislativo e del giudiziario. E ciascuno di questi tre poteri, osservando le sfere della sua competenza, è di necessità portato alla sana collaborazione, con che viene rafforzata e non indebolita la unità della sovranità dello Stato.

Io per primo riconosco ed ammetto che la teoria fondamentale del Montesquieu abbia nel corso del tempo subìto anche delle trasformazioni e delle modificazioni e che, pur avendo avuto sempre (come insegna il nostro illustre collega Orlando) una notevole influenza nel campo di queste discipline, tuttavia abbia anche subìto delle attenuazioni. Ma è certo, onorevoli colleghi, che se noi non diciamo francamente di essere tutti d'accordo su questo punto, noi creiamo dei dubbi, delle incertezze e delle confusioni a tutto danno della «democrazia» che vogliamo invece rafforzare e difendere.

Credetelo, io rispetto l'opinione contraria, rispetto anche i dubbi che possono essere stati sollevati; ma in questo campo non si può volere e disvolere. Non si può, per esempio, volere una indipendenza a metà ed ammettere, viceversa, un controllo per l'altra metà.

O la si vuole piena ed intera questa indipendenza, e la si riconosce come un dovere e un interesse dello Stato, o se no, un po' alla volta, si riduce la libertà dei magistrati e si cade nell'arbitrio.

Parliamoci chiaro: che cosa si domanda ai magistrati? Si domanda forse ai magistrati di essere dei giudici «futuristi», dei giudici i quali applichino leggi che non sono state ancora approvate? Voi capite benissimo che questo sarebbe un pericolo gravissimo perché si sovvertirebbe tutto l'ordine giuridico dello Stato e si creerebbe l'abuso dove, viceversa, noi vogliamo la sicurezza del diritto di ciascuno.

Voi, quando dubitate dei magistrati, forse non li conoscete a sufficienza. Essi non sono né conservatori né retrivi. Sono, sì, conservatori in quanto, per forza di cose, applicando la legge che esiste, vogliono rispettare l'ordine giuridico costituito, ma non sono dei conservatori se voi e il Parlamento farete delle leggi progressiste, la riforma agraria, la riforma industriale; se faremo sopratutto delle leggi chiare, delle leggi ben fatte, delle leggi meditate e non improvvisate, delle leggi con linguaggio giuridico esatto e con terminologia precisa, i giudici osserveranno la legge e l'applicheranno in tutta la sua estensione! (Approvazioni).

Del resto, che paura avete della Magistratura? Badate che nel corso dei secoli mai si sono avuti colpi di Stato da parte dei magistrati! I colpi di Stato son venuti da ben altro potere e precisamente dal potere esecutivo. La Magistratura qualche volta ha piegato anche la schiena, ma io vorrei dire a questo proposito, ripetendo quello che ha detto l'onorevole Conti in quest'Aula, che, se noi proprio con animo sereno vogliamo giudicare quella che è stata la Magistratura anche durante il regime fascista, non potremmo dire onestamente che essa sia stata semplicemente composta di uomini schiavi. Se noi antifascisti trovavamo conforto nella nostra pena, se noi avevamo qualche funzionario dello Stato al quale confidare le nostre tribolazioni e dal quale avere qualche aiuto, se sopratutto nel nostro esercizio professionale noi andiamo ricordando quello che hanno fatto i magistrati, noi dobbiamo riconoscere che c'era sì da parte del gerarca avvocato l'illecita intromissione, con la quale egli spesso pretendeva delle sentenze ingiuste, ma, fatta qualche rara eccezione, i magistrati non ne hanno scritto delle sentenze ingiuste! E il cittadino, anche in quel periodo di tempo, ha potuto affidare ai magistrati il suo patrimonio ed il suo onore senza avere il pericolo che gli si negasse giustizia! E gli avvocati anche antifascisti hanno potuto liberamente parlare nelle aule dei tribunali.

Ora pare — ripeto — che la Costituzione a questi principî si ispiri; ma una subordinazione almeno parziale della Magistratura al potere esecutivo e legislativo io la trovo in questi quattro punti: istituisce giudici speciali in ogni materia, meno che in quella penale; stabilisce che metà dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura, e fra questi anche un Vicepresidente, che sposta la maggioranza a danno dei magistrati, siano eletti dalle Assemblee legislative; dispone in linea generale e limita a proprio beneplacito la tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi verso gli atti della pubblica amministrazione; sospende l'esecuzione d'una sentenza irrevocabile.

Ora, o colleghi, per non cadere in questi inconvenienti, bisogna correggere qualche articolo. La Costituzione, com'è proposta, merita ad esempio correzione all'articolo 97 che riguarda il Consiglio Superiore della Magistratura. Questo Consiglio è presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto da due Vicepresidenti: uno è il Primo Presidente della Corte di Cassazione, il secondo è nominato dall'Assemblea Nazionale; poi vengono i membri eletti per metà dai magistrati e per metà ancora dall'Assemblea Nazionale.

Ora basta tirare le somme per vedere che in questa maniera noi approveremmo non il Consiglio della Magistratura, ma un altro Consiglio, perché in quel Consiglio i magistrati sarebbero in minoranza. L'Assemblea Nazionale, che è un'Assemblea politica, verrebbe a disporre del Consiglio Superiore della Magistratura. E qui io voglio ricordare una cosa: siccome tutto migliora, noi dobbiamo, prima di accingerci a modificare quello che è lo stato di fatto e di diritto attuale, tenere conto delle conquiste che la classe dei magistrati ha ottenuto; noi non possiamo dimenticare che oggi è in vigore una legge, quella del 31 maggio 1946, n. 511, che porta la firma di De Gasperi, porta la firma di Corbino, ma porta anche la firma del Guardasigilli Togliatti.

Ora, se vi è stata una legge democratica, una legge la quale sia venuta incontro alle aspirazioni dei magistrati nel modo migliore, è questa e io ne faccio lode precisamente a colui col cui nome questa legge si appella, all'onorevole Togliatti perché, evidentemente, come Guardasigilli fu lui che l'ha preparata, l'ha fatta approvare e l'ha fatta diventare legge dello Stato. Con questa legge sono istituiti i Consigli giudiziari in ogni Corte d'appello, è istituito il Consiglio Superiore della Magistratura, tutti eletti dai magistrati. In ogni Corte d'appello si riuniscono i magistrati per la nomina del Consiglio distrettuale e per il Consiglio Superiore votano tutti i magistrati d'Italia.

Ora, è vero che voi mi potete rispondere che questo Consiglio Superiore della Magistratura in atto non ha tutti i poteri che noi, con l'articolo 97, gli daremmo. Ma intanto, o signori, c'è questo: tutti i giudizi disciplinari contro i magistrati sono decisi da tribunali composti di magistrati: l'ammonimento, la censura, la perdita di anzianità, la rimozione e destituzione sono decisi da tribunali composti esclusivamente di magistrati. Sono provvedimenti delicatissimi che non vengono affidati ad estranei, ma a magistrati. Ma anche sulle promozioni, le assegnazioni e i trasferimenti è il Consiglio Superiore che dà il suo parere e voi ne comprendete tutta la importanza.

Voi capite benissimo che non c'è Ministro e non c'è stato Ministro dal momento della nostra liberazione ad oggi che non abbia tenuto in massimo conto questo parere. Nessuno ha promosso un magistrato trascurando il parere del Consiglio Superiore. Ed allora, volete oggi dare meno di quanto i magistrati abbiano già ottenuto?

Allora ecco la proposta che io faccio: io tengo fermo che questo Consiglio Superiore della Magistratura sia presieduto dal Presidente della Repubblica. È una innovazione identica a quella della Costituzione francese, articolo 83.

Io spero e confido che i magistrati accetteranno questo loro capo, sentiranno anzi l'onore, l'orgoglio che il loro massimo Consiglio sia presieduto proprio dal Capo dello Stato.

Io domando semplicemente che sia tolto il secondo Vicepresidente che non ha ragione di essere; sia lasciato un solo Vicepresidente e cioè il Primo Presidente della Corte Suprema e sia data la maggioranza, leggera, se volete, ma maggioranza, ai magistrati e che gli altri membri siano eletti dall'Assemblea Nazionale sia pure, ma siano eletti in certe categorie, ex magistrati, avvocati, non che abbiano sospeso la professione, ma che la abbiano abbandonata del tutto e che si siano fatti cancellare dall'albo degli avvocati, perché solo così questi uomini potranno compiere con piena indipendenza il loro dovere, ed infine professori di università. Ecco la collaborazione in atto. Tra questi uomini eccelsi per studio, per ingegno, per capacità, sorgerà piena e facile la più cordiale fusione di intenti e di opere.

È una proposta semplicissima, ma è una proposta che viene incontro ai desideri dei magistrati.

Io non so anche qui, perché noi, che cerchiamo nelle nostre leggi di accontentare, se è possibile, tutti i legittimi interessi della classe cui il provvedimento si riferisce, non dovremmo tener conto dei desideri dei magistrati e venire incontro in questa maniera ai voti che essi hanno espressi anche in Assemblee recenti, tenute qui a Roma. Diamo dunque soddisfazione a queste domande che, a parer mio, sono legittime.

Oltre a questo, quattro punti io intendo toccare. Io domando: 1°) che non possano essere istituiti giudici speciali o straordinari per nessuna materia; 2°) che la Corte di Cassazione sia unica nello Stato ed abbia sede in Roma e che essa abbia il compito di assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge da parte degli organi giurisdizionali; 3°) che le questioni della giuria popolare siano rimesse alla legge sull'ordinamento giudiziario; 4°) che la Corte Costituzionale sia presieduta dal Primo Presidente della Corte di Cassazione.

Brevissimamente su ciascun punto.

Sapete voi quanti sono in Italia i giudici speciali? Se voi andate in biblioteca e consultate il Caliendo, che oggi se non erro è Primo Presidente della Corte di Appello di Roma, voi trovate che i giudici speciali in Italia sono 300. Voi credete forse che io scherzi? Ebbene, vi prego di leggere quel volume e di consultarlo, e voi vedrete che non c'è stata mai una legge in Italia con cui si sia riformato questo o quello istituto, la quale legge o per ragioni tecniche, o per necessità, o per alleviare i magistrati dalle loro fatiche o per inserire esperti nel Collegio giudicante (ciò che ammetto anche io, ma che può essere fatto anche accettando il mio principio) non abbia creato un giudice speciale. In questa maniera, evidentemente, si viene ad offendere l'indipendenza della Magistratura, perché è chiaro che non si rispetta un organo se gradualmente gli si sottraggono le sue naturali funzioni.

Posso ammettere la necessità di rispettare il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, ma nessun altro giudice speciale o straordinario deve ammettersi.

Io vi ricordo semplicemente questo: nel corso della storia di ogni popolo, la creazione del giudice speciale è stata sempre un atto di prepotenza del potere esecutivo, con cui questo potere ha cercato di giustificare, almeno nelle apparenze, i suoi atti contro la libertà, ed è per questo che io prego la Camera di voler accogliere l'emendamento che io propongo e che serve a garantire ancor più le libertà fondamentali del cittadino.

Ho creduto opportuno di insistere sulla Corte di Cassazione unica. Su questo argomento ho letto un ordine del giorno firmato da autorevolissimi colleghi, i quali vogliono ristabilire le Corti di Cassazione territoriali. Mi inchino a quello che è stato il contributo giuridico degli illustri magistrati di Torino, di Firenze, di Napoli, di Palermo, sopratutto di Napoli, la cui Cassazione ha una tradizione giuridica eccelsa. Mi inchino, ma non si dica: noi siamo contro la Cassazione unica perché questa è stata creata dal regime fascista. Storicamente è vero, ma basta conoscere per esempio il pensiero di Ludovico Mortara, che ha preceduto il fascismo e che non è stato certo fascista, e di tutti i giuristi, che sono una vera coorte, che hanno insistito sulla necessità della Cassazione unica, per non dover tener conto di quella osservazione. In Italia esisteva la Cassazione penale unica fin dal 1889; non c'era ragione perché non vi fosse anche la Cassazione unica civile.

Anche se cronologicamente la Cassazione unica civile è stata istituita dal fascismo nel 1923, il fascismo ha raccolto quello che già era stato elaborato dai giuristi in epoca anteriore. Ma io vi porto la mia modesta esperienza, che è quella di un avvocato senza pretese, che ha cominciato la professione giovanissimo e l'ha incominciata con le cinque Cassazioni territoriali.

Ebbene, non c'era causa in cui io citassi la cassazione di Firenze, nella quale l'avversario non mi controbattesse citandomi la cassazione di Napoli o di Firenze o di Palermo. Voi mi direte che ciò si verifica anche con la Cassazione unica a Roma attraverso le varie sezioni. Ma io vi rispondo che ciò si verifica per lo meno in misura assai inferiore. Anzi si può dire che durante tutto il periodo in cui è durata la presidenza di D'Amelio, la Cassazione unica ha mantenuto una lodevole uniformità di pareri e di decisioni.

Questa uniformità è una utilità evidente, perché chi conosce le sottigliezze del diritto e chi soprattutto sa il pochissimo tempo che hanno i giudici, specialmente quelli di grado inferiore, per rendere le loro sentenze, capisce quanto valga per loro una direttiva costante della Corte regolatrice. La dottrina sia libera e si evolva in piena libertà, ma la Corte regolatrice sia quanto più è possibile costante per dare una guida sicura ai giudici inferiori.

Vi dirò ora molto brevemente della giuria. Anche qui, io reco la mia esperienza. Io sono contro la giuria popolare. Anche se io rispetto il parere di coloro i quali hanno manifestato un'opinione diversa, non posso non affermare che in Italia oggi non c'è più un giurista che sostenga la giuria popolare: sono tutti contrari ed anche coloro che sono favorevoli riconoscono tutte le manchevolezze dei giudici popolari. Difettano i requisiti dei giudici, le modalità di esercizio delle loro funzioni, la natura delle decisioni che ne promanano e soprattutto manca la saldezza della pietra angolare su cui dovrebbe poggiare il giudizio: e cioè una precisa e netta separazione del fatto dal diritto.

Non esiste questa distinzione tra fatto e diritto: è una finzione perfetta. Manca nei giurati la competenza, il senso critico, la freddezza d'animo. È viva in loro la passionalità, l'emotività, tanto che è facile persino che essi piangano; e quando il giurato piange è finita: l'imputato è assolto. (Ilarità a sinistra).

Maffi. Che peccato!

Merlin Umberto. È davvero un peccato, perché non si rende giustizia. E poi c'è la faccenda della scheda: la scheda del giurato che non ha capito niente, la scheda del giurato che non ha nemmeno saputo vergare un sì o un no, la scheda bianca, le scheda mal scritta o sgorbiata.

Mancini. Ma, da che mondo è mondo, il dubbio è per il reo.

Merlin Umberto. Per i reati che hanno un'importanza lievissima, ci può essere un primo giudizio, un secondo giudizio, la Cassazione: ma, per le Assise dove si decide della vita di un cittadino, non vi è alcuna possibilità di rimedio.

Ma poi senta, collega Mancini: io rispetto la sua opinione, ma sa lei il fascismo a chi ha principalmente dovuto il suo rafforzamento, per lo meno iniziale? Proprio alle Corti d'assise ed ai giudici popolari che hanno assolto tutti gli assassini fascisti ed hanno in questa maniera glorificato proprio coloro che hanno ucciso i suoi compagni di fede, ed anche i miei. (Commenti).

C'è qui infatti il collega Costa che può darmene fede. Nel mio Polesine 13 assassini fascisti a danno dei socialisti (Interruzioni) ed un altro assassinio a danno di un popolare. Ebbene, tutti gli imputati assolti dal giudici popolari.

Mancini. Basile è stato assolto adesso.

Merlin Umberto. Ed è stato assolto proprio da giudici popolari. Ed anche quando voi farete anche un reclutamento il più severo possibile, arriverete allo stesso risultato, perché il giurato, comunque reclutato, non può essere un buon giudice.

Vi dico un ultimo argomento. Io sono favorevole evidentemente all'articolo che dice che i magistrati non possono partecipare a partiti politici o ad associazioni segrete. È inutile che ne dica le ragioni. Non capirei neanche che, soprattutto nei piccoli centri, un magistrato potesse, il giorno prima di un'udienza, battagliare alla sezione del partito cui appartiene, partecipare magari ad un comizio, discutere con quel calore che è tutto proprio degli italiani (pare che i nostri dissensi politici debbano manifestarsi sempre rumorosamente e che la politica sia palestra di odi feroci). Ebbene, come si concepirebbe che quell'uomo stesso andasse il giorno dopo a sedere come giudice e giudicare un democristiano o socialista o liberale, cioè proprio coloro che aveva il giorno prima definito suoi acerrimi nemici? (Commenti). Non parliamo poi delle associazioni segrete. Io non credo e non voglio credere che in Italia siano risorte. Non ce ne sarebbe ragione, perché un regime libero non dà neanche il pretesto perché i cittadini debbano riunirsi in conventicole segrete; ma peggio che mai poi un magistrato potrebbe appartenere ad esse. Ed allora noi cadremmo in questa bella situazione: ai magistrati, divieto di appartenere a partiti e ad associazioni segrete, ma ai giurati del popolo, che sono quelli che decidono dei più gravi delitti, questo sarebbe consentito.

Un ultimo punto, e la mia esposizione è finita. Io domando nel mio ordine del giorno che sia assicurata ai magistrati una posizione economica adeguata al loro grado ed alla elevatezza delle loro funzioni. Non sono avvezzo alle adulazioni, ma sento il dovere di dire che i magistrati si sono conquistata in Italia tale una chiara fama di onestà e di correttezza, che riconoscerlo è un dovere. Si può dire che la vita dei magistrati si svolge in un quadro così modesto, con mezzi economici così palesemente limitati, che ogni malevolenza ed ogni alito di sospetto ne restano disarmati. Ma tutto ha un limite, e la condizione in cui vivono i magistrati è talmente inferiore alla dignità del loro ufficio ed al prestigio che devono godere, che esprimere alla Costituente un voto per ovviare a ciò, è un dovere. Nel mio breve passaggio nel Ministero di via Arenula ho studiato il progetto della istituzione di una Cassa nazionale dei magistrati, che del resto non era mio, ma era stato già preparato dal Ministro Togliatti e fatto proprio dal Ministro Gullo. Io qui non voglio tediare la Camera nel dire le ragioni per cui questo progetto non ha potuto essere attuato, ma dico che in quanto la nostra Carta costituzionale afferma o affermerà che i magistrati si distinguono per diversità di funzioni e non di grado, sganciata la Magistratura dal rimanente personale dello Stato, spero, confido, che sia possibile dare ad essi, con questo congegno o con un altro analogo, quella sistemazione economica che permetta di dire che noi abbiamo dato loro la massima delle libertà: la libertà dal bisogno.

Queste sono, onorevoli colleghi, le ragioni semplici, con le quali io ho svolto il mio ordine del giorno. La mia parola ha voluto essere più che tutto un atto di omaggio alla Magistratura italiana degna delle sue tradizioni. I magistrati, io ne sono sicuro, con la loro fermezza e con la loro indipendenza, daranno il più valido contributo allo sviluppo ed al rafforzamento della nostra democrazia. Ed io preferisco magistrati liberi che qualche volta dichiarino incostituzionale un decreto del potere esecutivo, a magistrati servi, i quali con la loro viltà sarebbero indegni di servire il nuovo Stato che stiamo faticosamente creando. (Applausi Molte congratulazioni).

Presidente Terracini. L'onorevole Mannironi ha presentato il seguente ordine del giorno, che reca anche le firme degli onorevoli Guerrieri Filippo, Ciampitti, Tozzi Condivi, Scalfaro e Cappi:

«L'Assemblea Costituente ritiene che nella prossima riforma della legislazione penale sia istituito il giudizio di appello anche per i reati di competenza di Corte di assise, secondo le modalità da stabilirsi con la legge».

Ho l'impressione che sia uno di quegli ordini del giorno, i quali, perché non possono comunque tramutarsi in nessuna disposizione specifica da inserire nel testo costituzionale, non avrebbero ragione di essere presentati e svolti.

Ad ogni modo, se l'onorevole Mannironi si impegna a svolgerlo in maniera rapidissima, gli do facoltà di parlare.

Mannironi. Io sono abitualmente breve; però desidero far rilevare che l'argomento contenuto nel mio ordine del giorno fa parte anche di alcuni emendamenti ed è stato già illustrato, mi pare, dall'onorevole Rubilli.

L'argomento, peraltro, del quale mi devo occupare è, a parer mio, di natura squisitamente costituzionale. Si è detto qui e fuori di qui da taluno, che in questa parte del progetto costituzionale si siano voluti inserire molti principî, che non sarebbero strettamente costituzionali. Penso che, in ogni caso, l'abbondare in questa parte del progetto nel definire determinati principî ed affermazioni non sia inutile, perché in sostanza noi ci stiamo preoccupando di creare la struttura del potere giudiziario e di garantire, per altre vie, le libertà del cittadino. Ad evitare che domani facili maggioranze parlamentari possano modificare certi principî, che riteniamo di carattere fondamentale, mi pare che l'unico rimedio debba proprio consistere nell'agganciare questi principî alla Costituzione. Ora io intendo brevemente illustrare le richieste contenute nell'ordine del giorno, che tendono a fare affermare il principio, secondo il quale, nella legislazione italiana, debba esistere sempre il secondo grado di giurisdizione e debba esistere anche nei giudizi di Corte di assise, nei quali oggi il giudizio di appello non è ammesso.

Gli onorevoli colleghi che si sono occupati di studi di diritto sanno che da lungo tempo si è discusso nella dottrina se dovesse essere ammesso o no l'appello.

Dai sostenitori dell'abolizione dell'appello si è detto che, se l'appello è ammesso per reati minori, lo si dovrebbe a maggior ragione ammettere anche per i reati più gravi, quali quelli di competenza della Corte di assise; e si è aggiunto che, per evitare che i giudizi più gravi si dilunghino in inutili fasi dilatorie, meglio sarebbe abolire l'appello.

Onorevoli colleghi, voi capite quanto un ragionamento di questo genere possa essere pericoloso. Il diritto di appello è qualcosa, che è connaturata all'uomo e rientra nelle sue esigenze naturali e legittime. Il magistrato che interpreta la legge e l'applica al caso specifico, si preoccupa sempre di una cosa fondamentale: di accertare l'effettiva responsabilità dell'imputato. Ora questo giudizio di accertamento della responsabilità è proprio quello che costituisce la sostanza della giustizia e l'opera della Magistratura. Qualunque sforzo e qualunque tentativo possa essere fatto in questo senso, allo scopo di garantire e meglio assicurare la libertà del cittadino e allo scopo di scoprire la verità giudiziale e di impedire, in sostanza, che un'ingiustizia sia fatta, mi pare sia proficuo, utile e necessario. In tutti i tempi e presso tutti i popoli è esistito un giudizio di appello. Mi pare di aver letto che Platone si considerava soddisfatto di una sentenza e di un giudizio solo quando era passato attraverso tre vagli.

Senza dilungarmi troppo e senza sfoggio di inutile erudizione, voglio tralasciare di richiamare i precedenti del diritto romano e medievale. Comunque è certo questo: che il diritto di appello, fin dalle epoche più remote, è stato, direi, reclamato dalla coscienza di tutti i popoli, che di una cosa sola sempre si sono preoccupati; di garantire in tutte le maniere la libertà del cittadino, per evitare che questa libertà potesse essere violata e, in qualche modo, compromessa o coartata da giudizi erronei o da giudizi affrettati e irreparabili. Il giudizio di appello, onorevoli colleghi, è fondato su un concetto popolare, che è pieno di buon senso e di logica: quando si dice che quattro occhi vedono meglio di due, si afferma una verità sacrosanta. Ora il giudizio di appello porta proprio a questo; a far in modo che uno stesso fatto od una serie di fatti, che hanno costituito oggetto di esame e di giudizio da parte di un giudice, possano in un secondo tempo essere riesaminati da altro giudice diverso, lontano dal fatto, dal tempo e dal luogo del delitto, in modo che possa avere quella maggiore serenità di giudizio, che è la garanzia più sicura per la bontà e la correttezza del giudizio stesso.

Per combattere questa tesi del giudizio di appello anche per i reati di competenza delle Corti di assise, si adducono generalmente due motivi. Uno è di carattere formale. Si dice che non è consentito il giudizio di appello per i reati di competenza delle Corti di assise, in quanto tale giudizio è pronunciato da un giudice che è già di appello. Mi pare che questa sia una obiezione di natura formale, facilmente superabile. Non è necessario che il giudizio di primo grado per i reati gravi sia affidato ad un giudice di appello; può benissimo essere affidato ad altro giudice. E, d'altra parte, seppure fosse vero che il primo grado è affidato ad un giudice di appello, nulla esclude che una seconda fase di giurisdizione sia affidata ad altri giudici di appello, che sono sì di pari grado, ma di diversa giurisdizione. Si potrebbe, in sostanza, adottare il criterio già seguito quando la Cassazione cassa una sentenza e rinvia il giudizio per il riesame ad un altro giudice di appello, la cui sentenza resta definitiva.

L'altro argomento di merito e più grave, che si adduce contro l'opportunità del giudizio di appello per i reati gravi, lo si fa consistere nel fatto che i reati di Corte di assise sono di competenza della giuria popolare. E poiché la giuria è sovrana in tale suo giudizio, non si può consentire che un altro giudice superiore sia in diritto di giudicarne l'operato.

Qui si potrebbe riaprire nuovamente e a lungo la discussione sulla questione della giuria. Per quello che mi riguarda personalmente vi dirò che sono anch'io contrario alla giuria popolare, così come lo sono molti avvocati che hanno fatto l'esperienza del giudice popolare. In quest'Aula abbiamo potuto ascoltare il parere di autorevolissimi colleghi, che sono lustro del Foro e sono considerati meritatamente dei maestri. Io vorrei però dimostrarvi che l'ammettere oggi il principio dell'appello anche per i reati di Corte di assise, non porta come conseguenza all'abolizione della giuria. Vi sono dei colleghi che hanno proposto un emendamento tendente a far sopprimere il giudice popolare; vi sono altri colleghi che hanno chiesto che questo argomento sia rimandato al legislatore ordinario. Ora, se voi vi orientaste in questo senso e decideste di demandare al legislatore di domani la decisione sulla giuria popolare o se voleste anche fin d'ora conservarla, pare a me che oggi possiate, senza contraddirvi, affermare il principio della necessità del secondo grado di giurisdizione anche per i reati di Corte d'assise.

Quando voi parlate di giudice popolare, credo che non dobbiate cristallizzarvi a quell'ordinamento di giurati che vigeva nella legislazione passata; credo che anche quelli che sono sostenitori tenaci della giuria popolare, debbano ammettere che la giuria è suscettibile di modificazioni e di perfezionamenti e che, per esempio, la giuria popolare non escluda la necessità della sentenza motivata.

In sostanza, con questo si tornerebbe al parere ed all'opinione espressi da un autorevolissimo politico e studioso di diritto, quale era Giuseppe Pisanelli. Egli era uno dei più tenaci difensori della giuria popolare, come ebbe a manifestarsi nelle discussioni avvenute alla Camera nel 1874; ma fu anche autore di un libro nel quale sosteneva che tutte le sentenze dovessero essere motivate, comprese quelle dei giurati. Egli disse tra l'altro che «nessuno può dubitare che l'obbligo imposto al giudice di rendere ragione della sua sentenza è una delle maggiori garanzie della innocenza in quanto la motivazione era, ad un tempo, sussidio e freno per i magistrati, ecc.».

E si potrebbero richiamare qui anche altri principî fondamentali, enunciati dal Pisanelli in quel suo pregevole libro.

Ora, onorevoli colleghi, se anche voi siete dei tenaci assertori della giuria, potete e dovrete ammettere che questa giuria non debba essere considerata come un oracolo. Nessuno può essere ritenuto infallibile: neppure i giurati popolari. Anche a loro perciò bisogna imporre l'obbligo della motivazione del giudizio, perché soltanto in tal modo avremo dato la possibilità di esercitare un utile controllo anche su di loro e sui loro giudizi. Così soltanto si potrà inspirare, nelle cause più gravi, la necessaria fiducia nel popolo, che guarda all'operato della giustizia e della Magistratura, e vuole essere però in grado di controllarlo.

Badate, il pubblico, il popolo non si preoccupa tanto di sapere che giustizia è fatta o che è fatta rapidamente; si preoccupa, anzitutto, di sapere che la giustizia è stata fatta bene e di essere messo nella condizione di accertare veramente se bene è stata fatta.

Ora, questo accertamento soltanto per una via si può esercitare ed è attraverso l'esame della motivazione che il giudice pone a base del proprio giudicato. Ora, ripeto, se anche voi vi preoccupate della esistenza dell'istituto della giuria nella legislazione di domani, credo che vorrete essere concordi in questo, nel riconoscere la necessità della motivazione in ogni sentenza. Non sarà inutile ricordare che già un po' in questo senso vi siete pronunciati, onorevoli colleghi, quando avete approvato l'articolo 8 della Costituzione.

In tale articolo è detto che «non è ammessa forma alcuna di detenzione né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria». Ora, la giuria può rientrare, deve rientrare in questa dizione generica di «autorità giudiziaria» e quindi mi pare che il concetto generale dell'obbligo della motivazione in tutte le sentenze, comprese quindi quelle di assise, debba ritenersi sancito fin da quando si è approvato l'articolo 8. Ad ogni modo, il ripeterlo o il precisarlo con apposito emendamento, sarà sempre utile e opportuno.

La motivazione delle sentenze, onorevoli colleghi, è d'altra parte la base di ogni giudizio di appello ed è la base anche dei giudizi di Cassazione. Perché, se la Cassazione fosse soltanto chiamata a giudicare sull'applicazione retta della legge, indipendentemente dall'esame di ogni giudizio sul fatto, o dal criterio che il giudice ha seguito anche nell'accertamento del fatto, credo che sarebbe messa, direi, in una condizione di inferiorità. Sarebbe messa nella condizione di emanare giudizi assolutamente parziali, che non potrebbero investire l'intero giudizio, e quindi non potrebbero offrire quelle sicure garanzie di cui il popolo ha bisogno per tranquillarsi dell'esito delle sentenze, specie di condanna nei reati gravi.

La Costituente francese, in una agitata seduta del maggio 1790, si era proposto questo quesito: devono esistere oppur no due gradi di giurisdizione? E la maggioranza aveva votato e risposto affermativamente a questo quesito.

Credo, onorevoli colleghi, che questa stessa preoccupazione vorrete avere voi. Credo che faremo opera utile e saggia se fra i principî fondamentali della nostra Costituzione fisseremo anche noi questo principio del doppio grado di giurisdizione per tutti i giudizi: principio che non mira a priori ad abolire la giuria popolare, ma mira soprattutto a garantire la libertà dei cittadini e ad una migliore amministrazione della giustizia.

Questa libertà del cittadino, come sapete, può essere insidiata non soltanto da atti illegali e illegittimi dei privati, ma può essere menomata, trasformata, ridotta anche da atti del potere legislativo, del potere esecutivo, e, purtroppo, anche da atti del potere giudiziario.

Ora, per evitare che errori commessi siano irreparabili, per evitare che ingiustizie anche per un solo nostro simile siano commesse irrimediabilmente, mi pare che la garanzia del giudizio di appello sia la conquista migliore o una delle conquiste principali che realizzeremo, in concomitanza con tutti gli altri principî affermati nella prima parte della Costituzione e tendenti tutti a salvare la libertà dell'uomo e del cittadino. (Applausi).

Presidente Terracini. L'onorevole Crispo ha presentato il seguente ordine del giorno, che reca le firme anche degli onorevoli Rodinò Mario, Rubilli, Bonomi Ivanoe, Cortese Guido, Gabrieli, Bellavista, Caccuri, Moro, Jervolino, Sullo, Candela, Murgia, Martino Gaetano, Turco, Carboni Enrico, Franceschini, Sansone, Mazza, De Unterrichter Jervolino Maria, Badini Confalonieri, Bastianetto, De Caro Raffaele, Ciampitti, Micheli, Siles, Lucifero, De Martino, Condorelli, Rognoni, Fabbri, Lizier, Morelli Renato, Corbino, Corsini, Gui, Bettiol, Zotta, Abozzi, Cappi, Gasparotto, Villabruna, De Mercurio, Basile:

«L'Assemblea Costituente,

considerato che il problema del collocamento a riposo dei magistrati non ha avuto finora una uniforme soluzione: si passò, difatti, dal regime che ignorava i limiti di età alla legge 14 luglio 1907, n. 511, che determinava il limite di età ad anni 75 per i consiglieri di cassazione e i magistrati di grado superiore; successivamente alla legge 19 dicembre 1912, n. 1311, che riduceva a settanta anni il limite di età per i consiglieri di cassazione, mantenendolo a 75 anni per i magistrati di grado superiore; infine alla norma vigente che determina i limiti di età al 70° anno per tutti i magistrati;

considerato che il problema del limite di età dovrà formare oggetto di esame nella elaborazione della legge di ordinamento giudiziario, alla quale, in esecuzione della Costituzione, dovrà attendere il nuovo Parlamento;

ritenuta l'opportunità in tale sede di adeguare la condizione dei magistrati a quella dei professori universitari (per i quali una legge in corso di pubblicazione determina il limite di età al 75° anno);

considerato che, intanto, è opportuno e necessario sospendere il collocamento a riposo dei magistrati al 70° anno di età;

invita il Governo a prorogare la legge attualmente in vigore, per la quale il Ministro di grazia e giustizia è autorizzato a trattenere in servizio i magistrati che abbiano raggiunto il 70° anno di età fino alla nuova legge sull'ordinamento giudiziario, collocandoli fuori ruolo».

Onorevole Crispo, questo suo ordine del giorno è uno di quelli che rientrano nella categoria dei non pertinenti né direttamente né indirettamente alla materia in esame.

Crispo. Onorevole Presidente, il mio ordine del giorno ha effettivamente un rapporto semplicemente occasionale con l'ordinamento giudiziario. Lo scopo mio e degli altri colleghi firmatari è infatti soltanto quello di fare una segnalazione all'Assemblea; segnalare, cioè, che vi è una legge con la quale si prorogava fino al 31 dicembre 47 la legge del 28 gennaio 43 sulla sospensione del collocamento a riposo del personale giudiziario, di cui appunto è cenno nel mio ordine del giorno.

Noi chiediamo che questa legge, la quale dovrebbe, come ho detto, cessare di aver vigore con il 31 del prossimo dicembre, sia invece prorogata. Le ragioni della nostra richiesta sono due. La prima è che innanzitutto, quando la legge dovrà occuparsi del nuovo ordinamento giudiziario, dovrà anche disciplinare questa materia dei limiti di età in rapporto al collocamento a riposo dei magistrati, il che non è stato per ora mai fatto.

Ma vi è anche un'altra ragione ed è che è in corso una legge relativa al collocamento a riposo dei professori d'università, nella quale sembra che verrà fissato il limite di 75 anni. Sotto questo aspetto quindi, il limite di settanta anni potrebbe costituire una sperequazione. Noi chiediamo pertanto una proroga di un anno, fino a quando cioè non sarà entrato in vigore il nuovo ordinamento giudiziario.

È questa la raccomandazione che noi facciamo al Ministro della giustizia.

Grassi. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà, in veste di Guardasigilli.

Grassi. Debbo anch'io osservare che, come ha avvertito l'onorevole Presidente, l'ordine del giorno presentato dall'onorevole Crispo e dagli altri colleghi non è pertinente alla Costituzione. Non sarebbe dunque questa la sede, ma, trovandomi qui ed essendo chiamato in causa, non posso esimermi dall'assicurare l'onorevole Crispo e gli altri membri dell'Assemblea che, pur non pensandosi a prorogare la legge, non essendo questa una cosa possibile, il Governo si preoccupa della situazione in cui vengono a trovarsi i magistrati settantenni, non solo per le loro condizioni economiche ma anche perché il Ministero della giustizia non ha potuto procedere, durante gli anni della guerra a tutte le necessarie promozioni. Sono per conseguenza in corso adesso dei provvedimenti al riguardo, i quali spero potranno soddisfare le esigenze manifestate dall'onorevole Crispo e dagli altri firmatari dell'ordine del giorno.

Assicuro l'onorevole Crispo che il Governo provvederà a favore dei magistrati che dovrebbero essere collocati in riposo entro il 1948 e lo prego pertanto di ritirare l'ordine del giorno.

Presidente Terracini. Onorevole Crispo, ritira il suo ordine del giorno?

Crispo. Lo ritiro.

Presidente Terracini. Sta bene. Ci sarebbe ora un ordine del giorno dell'onorevole Adonnino relativo alla Corte costituzionale, che penso sarebbe più opportuno venisse svolto quando saremo in sede di discussione del titolo relativo.

Adonnino. Onorevole Presidente, a me sembra che il mio ordine del giorno sia pertinente nella discussione attuale. A mio parere, l'argomento della Corte costituzionale è infatti strettamente connesso con quello della Magistratura, con quello di tutto l'ordinamento giudiziario.

Presidente Terracini. Onorevole Adonnino, a me pare che basta la lettura del suo ordine del giorno per convincersi che quello che ho detto non è errato:

«L'Assemblea Costituente, considerato che la Corte Costituzionale ha il carattere di suprema moderatrice dei poteri dello Stato, delibera che alla sua composizione debbano concorrere tutti e tre i poteri in cui si esplica la sovranità dello stato».

Non comprendo perché lei debba preferire di svolgerlo adesso anziché al momento in cui affronteremo l'esame della Corte costituzionale.

Adonnino. Secondo me, onorevole Presidente, l'argomento della Corte costituzionale è assolutamente e inscindibilmente connesso anche con l'argomento della Magistratura e di tutto l'ordine giudiziario. Ed in questo senso io intenderei, nei limiti concessimi, trattarlo: è un punto sintetico e conclusivo di vari punti che desidererei svolgere.

Presidente Terracini. Ha facoltà di parlare, nei limiti concessi dal Regolamento.

Adonnino. Onorevoli colleghi, dato il punto al quale la discussione è giunta, non è consentito che esprimere idee determinate su punti specifici; tutti gli argomenti generali e fondamentali ormai sono stati ampiamente trattati, e perciò non vi è che da richiamarsi semplicemente ad essi.

Però a me pare che un punto importante e fondamentale in tutta questa discussione non è stato completamente trattato e lumeggiato, cioè quello della futura Corte costituzionale. Infatti, chi di noi finora ha parlato ampiamente e compiutamente della Corte costituzionale? Appunto perciò credo che se ne debba dire qualche cosa.

Fino a ieri, penultimo giorno della discussione, l'onorevole Zotta ha toccato un punto basilare relativo ad essa, e precisamente questo: qual è il carattere di questa Corte costituzionale? Che cosa si deve deferire ad essa e quali sono i rapporti tra la Corte costituzionale e la Corte di cassazione? Dunque vedete, onorevoli colleghi, che si tratta di un punto molto importante, in cui poi si accentra gran parte della Costituzione; proprio questo istituto nuovo costituisce una delle principali caratteristiche di tutta la Carta costituzionale.

Dicevo poco fa, accennandone brevemente, che questo è un punto strettamente connesso anche con l'indipendenza della Magistratura, perché, dato che io concepisco la Corte costituzionale come un derivato di tutti e tre i poteri della sovranità: potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario, è evidente che essa suppone in maniera assoluta l'indipendenza della Magistratura. Noi abbiamo parlato degli altri due poteri, ma dell'indipendenza della Magistratura si deve fare un punto fondamentale, e assolutamente rispettato perché se no cadrebbe il concetto stesso che io mi faccio, e che vi sottopongo, della Corte costituzionale.

Dunque, come è organizzata genericamente l'indipendenza della Magistratura nel nostro progetto di Costituzione? Qualche osservazione schematica e brevissima. In primo luogo, nell'articolo 94 si parla di una funzione giudiziaria. Ora io dico: perché si deve parlare della funzione prima di determinare l'organo? Si dovrebbe parlare, come è già stato proposto, di potere giudiziario. Ma io osservo che nell'articolo 94 si dice subito che la funzione giurisdizionale è «espressione della sovranità». Ora, onorevoli colleghi, che cosa significa «espressione della sovranità»? Qualunque atto dello Stato in sostanza è espressione della sovranità; anche quando il più umile dei carabinieri arresta un delinquente, egli adopera un potere che è espressione della sovranità. Perciò mi pare che non si debba solo dire «espressione della sovranità», ma si debba dire «espressione immediata e diretta della sovranità».

Se si fissasse l'organo e si caratterizzasse come «organo sovrano» si potrebbe obiettarmi: la sovranità è indelegabile e perciò, quando si dice che un organo è sovrano, non c'è bisogno di dire «direttamente e immediatamente». Siccome però qui non si parla di un organo, ma si parla di una funzione, e si dice che essa è «espressione della sovranità» mi pare che sia assolutamente necessario dire che ne è manifestazione «diretta ed immediata». Solo così noi poniamo il potere giudiziario sullo stesso piano degli altri due poteri, il legislativo e l'esecutivo.

E allora noi veniamo a proporci il problema: la Corte costituzionale (e mi ricollego subito alla Corte costituzionale, come vedete) che cosa è? Se abbiamo questi tre poteri sullo stesso piano, piano elevato, al disopra del quale nulla vi è, la Corte costituzionale che cosa rappresenta? Rappresenta qualcosa di più elevato ancora? Non è possibile, perché qualcosa di più elevato degli organi sovrani non c'è.

E allora come si può concepire? La concepirei, (e mi riferisco al mio ordine del giorno) come organo di collegamento di tutti e tre i poteri sovrani, come organo che è l'emanazione e la sintesi di essi e che tutti e tre li armonizza.

Dunque non è un quarto potere, non è un qualche cosa di superiore ad essi, ma è una sintesi armonizzatrice di tutti e tre.

Questo concetto fondamentale mi pare che ci debba essere guida nel definire i poteri della Corte costituzionale.

Ma prima, ritorniamo brevemente al concetto della giustizia quale noi la vogliamo per tutto il popolo, e che deve essere giustizia vera: è stato già detto che questa giustizia si fonda sui due concetti fondamentali: unicità della giurisdizione e indipendenza assoluta della Magistratura. Anche la materia dell'unicità della giurisdizione ha stretta attinenza con la Corte costituzionale: vedremo infatti più innanzi che l'Alta Corte costituzionale, pure essendo emanazione dei tre poteri dello Stato ed organo centrale che tutti tre li armonizza, costituisce sempre una giurisdizione, e le sue funzioni sono di carattere prettamente giurisdizionale; è un'eccezione dunque al principio dell'unicità della giurisdizione, e, da un punto di vista teorico, dovrebbe essere l'unica eccezione. Vedremo in seguito come si giustifica teoricamente la sua esistenza nella nostra Costituzione. Qui basti aver rilevato il suo carattere giurisdizionale; e basti rilevare che la sua esistenza non infirma per nulla la necessità assoluta dell'unicità della giurisdizione ai fini della vera giustizia.

Ed è in relazione a ciò che occorre esaminare, sia pure fugacemente, se tale unicità sia raggiunta ed attuata nel progetto che ci sta dinanzi. Non mi pare che lo sia. È vero che è ammesso il ricorso per cassazione contro tutte le decisioni di giurisdizioni speciali. Ma ciò non significa unicità di giurisdizione; significa invece soltanto unicità d'interpretazione della legge da parte di tutte le giurisdizioni, anche molteplici e varie. La verità è che la giurisdizione non è unica, come teoricamente dovrebbe essere, ma varie importanti giurisdizioni speciali sono conservate.

Si dice che ci sono delle ragioni per la conservazione o per la creazione di certe giurisdizioni speciali. In fatto di giurisdizioni speciali, in sostanza, credo che — indipendentemente dai molti argomenti portati pro e contro — due sono gli argomenti fondamentali su cui esse si basano. Un argomento ingiusto, da respingere, e un argomento veramente serio e giusto, da accogliere. L'argomento da respingere è che in sostanza il mantenimento o la creazione delle giurisdizioni speciali è voluto principalmente dai partiti e dall'interesse degli uomini politici. Parlo dell'influenza che sulla giustizia, principalmente attraverso speciali giurisdizioni appositamente create, cercano di esercitare i partiti politici e gli uomini politici per loro particolari interessi, e non dell'influenza delle grandi correnti di idee politiche e sociali che guidano la vita del Paese. Queste esercitano le loro influenze psicologiche, e specialmente culturali, su tutti gli uomini, specialmente di pensiero e di studio, che vivono nel Paese, e non se ne possono astrarre o isolare; e perciò, anche su tutti i magistrati ordinari nei limiti — s'intende — dell'ossequio alle leggi; onde non hanno bisogno di ricorrere alla creazione artificiosa di giurisdizioni speciali per influire sulla giustizia. Come grandi correnti di idee e di cultura, del resto, non potrebbero nemmeno creare giurisdizioni speciali. Le giurisdizioni speciali le creano i partiti e gli uomini di parte che positivamente agiscono ed operano nella sfera politica. E costituiscono così il più grave pericolo per la giustizia, come, del resto, costituiscono il più grave pericolo per l'amministrazione della cosa pubblica. Quando Silvio Spaventa nel 1880 pronunciò, dinanzi all'Associazione costituzionale di Bergamo, quel celebre discorso che viene ancora ricordato come fondamento della nostra giustizia amministrativa, cominciò il suo dire ricordando una precedente riunione tenutasi pochi mesi prima a Napoli, nella quale erano intervenuti i più autorevoli uomini politici italiani, i quali tutti avevano concordemente rilevato e proclamato, il più grave pericolo per le istituzioni del nascente Stato italiano essere costituito dall'illegittima ingerenza dei deputati nell'amministrazione.

La stessa cosa si può dire ora della possibile influenza di deputati e di partiti sull'amministrazione della giustizia, influenza che può principalmente esercitarsi mediante la creazione di giurisdizioni speciali.

Ricordo l'episodio del discorso di Silvio Spaventa, onorevoli colleghi, perché in esso si trattava dei deputati... del 1880! Comunque il principio, la vera spinta, la vera molla delle giurisdizioni speciali è questa.

Ma c'è un'altra ragione, che è una ragione giusta e logica e perfettamente accoglibile, dell'esistenza delle giurisdizioni speciali, cioè che in tante materie speciali — e nei tempi moderni tutte le materie si vanno sprofondando sempre più nella specializzazione — il giudice ordinario non è adatto, perché il giudice ordinario ha un sistema rigido, dagli spigoli netti, dal sillogismo rigoroso quale s'addice al vigile senso del diritto, e non può essere pronto a quegli apprezzamenti duttili, elastici che sono richiesti da tanti ambienti e da tante materie speciali. Prendiamo, ad esempio, la materia amministrativa, in cui prevale l'interesse pubblico, pur commisto con l'interesse individuale. In essa più che il criterio rigido del giudice ordinario, occorre la duttilità dell'amministratore, del giudice proveniente dall'amministrazione il quale ha viva la sensibilità di tanti interessi contrastanti, e dell'interesse collettivo in ispecie.

Ecco la ragione fondamentale per cui le giurisdizioni speciali sono necessarie. È una ragione profondamente diversa, da quella che giustifica l'esistenza della Corte costituzionale, giurisdizione speciale anch'essa, come vedemmo, richiesta però al fine dell'equilibrio e dell'armonia fra i tre fondamentali poteri della sovranità. Ora, per un compiuto parallelo tra queste varie speciali giurisdizioni, e per l'esame del grado di indipendenza che a ciascuna di esse devesi assicurare, è mestieri indagare come il progetto le configuri e le congegni.

A quali criteri, a quali principî il progetto si informa? Vediamo brevemente qui la struttura e l'indipendenza che dà alle giurisdizioni speciali; vedremo dopo, a confronto, quelle della Corte costituzionale. Il progetto, in primo luogo, riconosce la giurisdizione ordinaria. In questa giurisdizione ordinaria si propone poi di creare delle sezioni speciali con l'intervento di tecnici per le materie speciali, che dovrebbero avere speciali giurisdizioni. Passi pure, ma io devo dire che non è una cosa che mi soddisfi completamente. Ho parlato con illustri magistrati che moltissime volte nella loro carriera si sono trovati in questi collegi composti da giudici e da laici, e mi hanno detto che le due parti non si fondono, non avviene una composizione intima fra l'una e l'altra, in modo da dar vita a un organismo nuovo, differente dai due organismi originari. I giudici restano giudici, i laici restano laici. Le questioni giuridiche sono decise soltanto dai giudici, come se i laici non ci fossero; le questioni tecniche vengono decise dai laici come se i giudici non ci fossero.

Non è dunque, una soluzione che possa lasciare completamente tranquilli.

Tanto vero che lo stesso progetto conserva certe giurisdizioni speciali. Conserva in primo luogo il Consiglio di Stato. Va bene. Ma gli organi della giustizia regionale, della giustizia amministrativa locale, perché non li conserva? E non solo: conserva il Consiglio di Stato, ma lo conserva come adesso è, cioè niente affatto indipendente dal potere esecutivo. Ricordiamo: il Consiglio di Stato pur avendo funzionato in maniera ottima — e qui ha ricevuto l'autorevolissima lode di tutti coloro che ne hanno parlato, lode alla quale io intendo toto corde associarmi — è formato in una maniera che non dà assoluta tranquillità. Il reclutamento è fatto — per una parte almeno — su nomina del Consiglio dei Ministri e non su concorso regolare; i Presidenti di sezione sono nominati dal Consiglio dei Ministri. Molti incarichi distribuisce ed assegna il Governo. Adunque, ci sono tali e tante interferenze da parte del potere esecutivo nel Consiglio di Stato, che tranquillità completa non credo possa esservi.

La Corte dei conti è pure conservata. Ma il progetto non parla degli organi di giurisdizione contabile locale che si dovrebbero pure richiamare.

E per la Corte dei conti è da fare la stessa osservazione che si è fatta per il Consiglio di Stato. Ed anzitutto, anche per essa e per il suo ottimo funzionamento, è da ripetere la lode più ampia. Ma, anche per essa, la lode massima non toglie che, a cagione della sua odierna struttura, che non si dice, nel progetto, di voler modificare, le più gravi perplessità debbano manifestarsi. Il personale della Corte è reclutato per concorso, indetto, oltre che fra avvocati e procuratori, fra elementi provenienti dalla pubblica amministrazione. Ed i vincitori, appena entrati in carriera, non sono giudici, ma semplici funzionari, i quali, ciò nonostante, collaborano con i collegi giudicanti in operazioni preparatorie e pur senza intervenire nelle decisioni. In seguito acquistano la qualità di magistrati. Ma, anche qui, come nel Consiglio di Stato, i consiglieri possono essere nominati, per metà, senza concorso tra elementi estranei, per deliberazione del Consiglio dei Ministri; e dal Consiglio dei Ministri stesso sono designati i Presidenti di sezione e il Primo Presidente. Continue ingerenze ha poi il Governo nell'amministrazione dell'Istituto, e nel conferimento di molteplici incarichi retribuiti.

Ora questo tipo di struttura, per cui questi organi importantissimi sono permanentemente soggetti alle influenze del potere esecutivo, e perciò delle fluttuanti maggioranze parlamentari e dei partiti e degli uomini politici, non può non essere profondamente modificato.

Vi è poi ancora un terzo campo di cui non ho sentito proprio parlare nessuno. In queste materie tanto difficili, anche se si discutesse per anni, ci sarebbe sempre qualche punto dimenticato e qualcuno che potrebbe sempre sollevare questioni nuove. Dico, della giustizia fiscale. A me pare un ramo così importante che lo ritengo più importante della stessa giurisdizione ordinaria. Tutti quanti sappiamo che la giustizia ordinaria può coinvolgere questo o quel cittadino, e vi possono essere cittadini che mai hanno avuto a che fare con essa. Ma la giustizia fiscale è un'ombra che segue chiunque e con la quale chiunque ha da fare e alla quale nessuno si sottrae. In questo momento, specialmente, in cui così gravi tributi gravano, e debbono gravare, sulle nostre misere spalle. Orbene, in che stato è questa giustizia tributaria? Voi mi insegnate che c'è un caos completo. Vi sono certi rami in cui vi è un solo grado di giurisdizione; vi sono certi rami in cui ve ne sono sei: tre speciali e tre ordinari; non solo, ma quello che è assolutamente inesistente è l'indipendenza: la maggior parte dei giudici fiscali sono nominati dalle stesse amministrazioni, e così sono giudici e parti.

Ora, è possibile che nella Costituzione a tutto questo non si accenni nemmeno? La Commissione nominata dal Ministero della Costituente si propose questo problema. Naturalmente non è possibile scendere nei minimi particolari, ma qualche norma direttiva fondamentale bisogna darla, ed io credo che sarebbe opportuno dire che è conservata la giurisdizione speciale e che ha le necessarie garanzie di indipendenza.

Quarto settore di giurisdizione speciale: la giustizia militare. Vi sono certi reati che sono tipicamente e specificamente militari. Un furto, che sia commesso da un soldato o che sia commesso da un borghese, è sempre furto, ma quando parliamo dell'insubordinazione, quando parliamo della diserzione, dell'abbandono di posto, abbiamo reati tipicamente militari. Ed allora, anche in tempo di pace, perché sottrarli a quelli che possono meglio indagare l'anima del militare che li ha commessi, e che meglio sono in grado di capire le necessità dell'organismo che da essi è leso? Per quale ragione ci devono essere i tribunali militari per il tempo di guerra e non anche per il tempo di pace?

Presidente Terracini. Onorevole Adonnino, con ogni sforzo, non riesco a vedere in qual modo il problema dei tribunali militari entri nel tema in esame. L'avverto di ciò perché lei ha a disposizione ancora solo quattro minuti.

Adonnino. Onorevole Presidente, io comprendo le sue preoccupazioni per lo svolgimento dei lavori, ma tali preoccupazioni Ella per gli altri oratori non le ha avute. Ella vede bene del resto che io vado svolgendo un confronto fra la Corte Costituzionale — che è la materia del mio ordine del giorno — e le altre giurisdizioni speciali, dunque sto perfettamente al tema. Finalmente: vogliamo fare un patto? Io ho nove emendamenti, e se Ella non mi permette di svolgerli ora, avrò diritto ad un quarto d'ora per ciascuno per svolgerli dopo. Cioè avrò due o tre ore di tempo. Rinuncio ad esse, se posso brevemente svolgerli ora. Vede quale generosa rinuncia?

Presidente Terracini. Onorevole Adonnino la prego di attenersi alla materia del suo ordine del giorno e di concludere.

Adonnino. Resto nel mio tema. Trattandosi di elementi interdipendenti, debbo considerarli tutti, se no, non posso compiutamente esporre come concepisco la Corte costituzionale.

Abbiamo così accennato ai quattro settori principali di giurisdizioni speciali, in contrapposto alla speciale giurisdizione costituita dalla Corte costituzionale. Possiamo cominciare a delineare le fondamentali differenze che caratterizzano le une e l'altra. Le une agiscono ciascuna dentro un determinato settore; l'altra non ha un settore proprio (tranne per i giudizi sulle accuse alle alte cariche dello Stato, attività accessoria e secondaria) ma garantisce l'osservanza dei limiti posti ai poteri della sovranità, sta, cioè, in un piano superiore a quello delle altre giurisdizioni speciali che restano entro l'ambito del potere giurisdizionale. Altre giurisdizioni speciali vi sono, e l'onorevole Merlin vi ha detto che sono numerosissime; vi sono molteplici collegi arbitrali, vi sono i Consigli di Prefettura, i Consigli di leva, le attribuzioni giurisdizionali dei Ministri. Il progetto dice che di esse si dovrà fare una revisione entro cinque anni; e che per crearne di nuove occorrerà la maggioranza assoluta dei membri delle due Camere. Norme, queste, insufficienti di certo. A me pare che un progetto organico e completo possa essere questo: alla base, la giurisdizione ordinaria, sia pure con delle sezioni specializzate per speciali materie; poi i quattro settori già esaminati di giurisdizioni speciali: amministrativa, contabile, fiscale, militare; e, all'infuori di esse, stabilire una netta direttiva tendente al divieto di creare nuove giurisdizioni speciali. E siccome a rendere veramente efficace tale direttiva è insufficiente la remora proposta nel progetto, cioè la maggioranza assoluta dei membri delle Camere, io propongo che si renda più grave tale remora richiedendo la maggioranza dei due terzi dei membri delle Camere e il parere del Consiglio Superiore della Magistratura ed altresì della Corte costituzionale. A di sopra di tutte, e a garanzia dei limiti posti all'attività dei vari poteri dello Stato, la giurisdizione della Corte costituzionale. Entro tre anni, revisione delle giurisdizioni speciali ora esistenti, permettendone la conservazione solo se approvata da una maggioranza di due terzi dei membri delle Camere, e su parere del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte costituzionale. Questo mi parrebbe un complesso architettonico, del quale i piloni fondamentali sarebbero i tre poteri dello Stato, in cui le varie giurisdizioni ordinarie e speciali, comprese nell'ambito del potere giudiziario, sarebbero regolate dalla Cassazione e i tre poteri sarebbero regolati dalla Corte costituzionale.

Vengo agli ultimi due punti dell'ampia materia della Magistratura, che si ricollegano direttamente al mio tema della Corte costituzionale, come elementi essenziali di un'organica concezione di essa. Cioè: l'indipendenza assoluta delle giurisdizioni tutte ordinarie e speciali; e la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura. Se il potere legislativo e l'esecutivo potessero influire sulle varie giurisdizioni componenti l'ordine giudiziario, vano sarebbe affidare alla Corte costituzionale il compito di garantire i limiti dell'azione dei tre cennati poteri. Dunque necessità d'indipendenza assoluta di tutto il potere giudiziario; l'indipendenza e l'autogoverno delle giurisdizioni speciali debbono essere identiche a quelle della giurisdizione ordinaria. Altrimenti cade il disegno architettonico sopra delineato, e in cui è caratterizzata la figura della Corte costituzionale. Per necessaria conseguenza le norme regolatrici delle giurisdizioni speciali debbono essere incluse nella legge sull'ordinamento giudiziario che regola la giurisdizione ordinaria; l'ammissione a tutte le giurisdizioni deve avvenire mediante concorso, pure ammettendo ai concorsi per le giurisdizioni speciali solo le categorie adatte psicologicamente per provenienza, per abito mentale, per preparazione culturale; l'autogoverno di tutta la Magistratura deve essere completo, considerando la Magistratura formata sia dalla giurisdizione ordinaria, sia dalle speciali; i magistrati debbono definitivamente lasciare la amministrazione di provenienza; quelle giurisdizioni che formano ora parte integrante di un più vasto organismo amministrativo debbono da esso distaccarsi, anche come sede. Questo è il sistema fondamentale, per il quale potremo dire di attuare veramente l'indipendenza della magistratura.

Se aggiungiamo che il Consiglio Superiore della Magistratura deve essere composto, secondo la mia proposta, per un terzo di magistrati scelti fra le alte cariche, per un terzo di magistrati eletti fra tutti i magistrati di Italia nelle diverse categorie e per l'altro terzo fra insegnanti universitari ordinari di diritto, possiamo concludere che la Magistratura sarà veramente indipendente e completamente avulsa dagli altri organi dello Stato, nella sua organizzazione, nel suo capo, nella sua direzione.

Né è da temere di creare una «casta chiusa». Sarebbe chiusa alle deleterie influenze delle maggioranze e dei partiti; ma bene aperta alla benefica influenza delle grandi correnti di pensiero e di sentimento politico e sociale, che ogni giudice assorbirebbe nella vita sua quotidiana e nei suoi studi, e che lo avvierebbero alle più moderne concezioni, pur dentro i limiti del rigoroso ossequio alle leggi.

Tutto ciò posto, che cosa è la Corte costituzionale? È l'espressione dei tre organi dello Stato: il giurisdizionale, l'esecutivo e l'amministrativo; veglia sulla costituzionalità delle leggi; risolve i conflitti d'attribuzione fra i poteri dello Stato; giudica sulle accuse alle alte cariche dello Stato.

Qualcuno ha proposto che la materia, che devesi devolvere alla Corte costituzionale, sia devoluta invece alla Corte di cassazione. No; secondo il mio concetto, che cioè, sono tutti tre gli organi del potere e della sovranità dello Stato quelli da cui promana la Corte costituzionale, non si può ad essa sostituire la Cassazione, perché questa sarebbe rappresentante di uno solo dei poteri, mentre nella Corte costituzionale abbiamo i rappresentanti di tutti e tre i poteri.

E qui sorge il problema grave posto dall'onorevole Zotta. Senza dubbio l'attività della Suprema Corte costituzionale è attività giurisdizionale. Si tratta di applicare una legge, la legge costituzionale, all'attività degli organi dello Stato. Dunque — e del resto l'ho già dimostrato in tutto il mio dire — la Corte è una giurisdizione speciale.

Ma se noi in altro articolo diciamo che contro tutte le decisioni delle giurisdizioni speciali si può ricorrere in Cassazione, allora anche le decisioni della Corte costituzionale sarebbero denunciabili in Cassazione.

L'onorevole Zotta proponeva di attribuire la risoluzione di tutti i conflitti di giurisdizione alla Corte costituzionale.

I conflitti di giurisdizione sono giurisdizione interna, nell'interno della Magistratura, almeno come io l'ho delineata, cioè composta di un tutto unico, in cui entrano la Magistratura ordinaria e la Magistratura speciale. Allora è mestieri che i conflitti tra giurisdizioni, tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale, li affidiamo alla Corte di cassazione.

Unica norma, invece, che si può porre, è questa: che le sentenze dell'Alta Corte costituzionale non debbano essere denunciabili alla Corte di cassazione. Noi sganciamo così la Corte costituzionale e le sue decisioni dalla sottomissione al potere giudiziario. Ma, intanto, ho detto che la Corte Suprema costituzionale è emanazione dei tre poteri dello Stato: il legislativo, l'esecutivo ed giudiziario.

Come allora essa deve essere composta? Essa è certo una giurisdizione speciale.

Però richiamo quanto dianzi ho detto, comparando la Corte costituzionale a tutte le altre speciali giurisdizioni; nelle sue decisioni ha la caratteristica di essere l'organo equilibratore e armonizzatore dei tre supremi poteri della sovranità dello Stato, organo reso necessario dal carattere rigido della nostra Costituzione. Questa che è la sua giustificazione teorica, costituisce, insieme, la sua caratteristica.

È cioè un organo di giurisdizione speciale, separato da tutte le altre forme di giurisdizione e di esse più alto. È sullo stesso piano dei tre poteri dello Stato, e allora, considerando le sue relazioni con essi, considerando il suo precipuo carattere giurisdizionale, deve apparire nella sua composizione una preponderanza del potere giudiziario e una partecipazione degli altri due poteri: cioè deve essere composta, come io propongo che si componga, per metà di magistrati nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura, cioè da tutti i magistrati; per un quarto di magistrati nominati dal potere esecutivo, cioè dal capo del potere esecutivo su designazione del Consiglio Superiore della Magistratura e per l'ultimo quarto da membri nominati dall'Assemblea. Dunque noi avremmo, nella Corte costituzionale, la rappresentanza diretta di tutti i poteri dello Stato di cui la Corte è emanazione ed a cui essa deve servire di garanzia. Ma c'è una parte preponderante alle altre, la parte che riguarda il potere giurisdizionale. L'indipendenza della Magistratura, così come noi l'abbiamo garantita, e come, secondo me, si deve riconoscere anche alle Magistrature speciali, è così garantita anche all'Alta Corte costituzionale, di fronte al potere politico.

Questa è, onorevoli colleghi, la concezione generale che io ho di questa materia e che sottopongo al vostro esame. Io non parlo per le persone che siamo e per l'ora che volge, ma mi preoccupo, come ognuno di noi si deve preoccupare, del nostro buon nome e della nostra responsabilità di fronte all'avvenire. Noi ci troviamo nel punto conclusivo e fondamentale di tutta la Costituzione. Se questo punto si risolve bene, tutta la Costituzione riuscirà; se questo punto si risolve male tutta la Costituzione fallirà. Ognuno di noi dovrebbe sentire impellente ed imperativa una voce che lo induca a dire apertamente il suo pensiero o attraverso una votazione nominale o con dichiarazioni di voto, tenendo ben presente quello che sarà il giudizio che il futuro darà su ciascuno. Ed allora veramente potremo spogliarci delle scorie dei nostri interessi di individui o di membri di un partito, potremo dimenticare le nostre ideologie e pensare che l'ideologia fondamentale più alta e più vera è proprio in questo campo, in cui maggiormente l'uomo si eleva, tanto da avvicinarsi a Dio, e che questo è il campo in cui si attua la vera democrazia, con la giustizia per il popolo tutto, per le minoranze, per i miseri, per i deboli. (Applausi).

Presidente Terracini. L'onorevole Bertini ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L'Assemblea Costituente afferma la necessità:

1°) che il potere giudiziario sia posto in grado di tutelare prontamente ed efficacemente la libertà e i diritti dei cittadini e che l'esercizio della funzione giurisdizionale sia regolato secondo le supreme esigenze della giustizia in uno stato di diritto, mediante magistrati che godano della più netta e congrua indipendenza ed autonomia di funzioni, nonché di un trattamento decoroso e pienamente adeguato alla delicatezza e difficoltà dei compiti di loro spettanza;

2°) che non si abbia più oltre a ritardare la riforma dei Codici in modo organico e conforme allo spirito ed alle garanzie del nuovo reggimento politico e sociale dello Stato;

3°) che sia portato un riparo alle ormai inveterate e deplorate insufficienze della giustizia penale, provvedendola di tutti i mezzi strutturali, processuali ed economici, a cominciare dall'istituzione di un corpo speciale di polizia alla diretta dipendenza dell'autorità giudiziaria;

4°) che si ribadisca il principio dell'assoluta incompatibilità dei magistrati con l'appartenenza a qualsiasi partito od organizzazione politica o segreta, in vista sia del compito di inderogabile imparzialità inerente alla delicatezza delle loro mansioni, sia del conforme affidamento che il pubblico deve riportare in ogni circostanza per la condotta del magistrato in tutti i suoi atti;

5°) che il Governo, in coerenza ai principî ora indicati, non abbia a rallentare o a lesinare più oltre quelle misure di riparazione atte a ristabilire la Magistratura nella piena sicurezza della sua posizione, della sua efficienza e del suo avvenire».

Ha facoltà di svolgerlo.

Bertini. Onorevoli colleghi, non simpatizzo per i duplicati, e questa è garanzia che non tratterò, per quanto mi sarà possibile, nessuno dei temi su cui ormai, non in un punto solo ma sotto vari aspetti, si è esercitata la competenza dei miei colleghi.

Rilevo — mi piace dirlo qui nella discussione sulla Magistratura — che a Bologna per discutere di questo tema, si sono tenute assemblee del ceto forense e di tutti i magistrati e gli articoli della Carta costituzionale, che sono oggi in discussione, hanno formato oggetto di imparziali ed anche vivaci, ma sempre rette, osservazioni. Tralascio quindi, di ripetere il pensiero dei convenuti alle adunanze di Bologna, i quali ebbero la deferenza di affidare a me l'incarico, che li presiedetti, di recare l'eco delle loro discussioni e dei loro voti in quest'Assemblea.

Rilevo, ad onor del vero e per brevità, che i voti svolti o caldeggiati in queste importanti riunioni, hanno trovato, nel testo della Carta costituzionale, pieno accoglimento, il che, in massima, lascia vedere non dico l'entità, ma la similarità di vedute non solo fra l'ordine giudiziario e l'ordine forense, di cui io qui potrei dirmi il portavoce, ma in molti casi la unità di pensiero fra i membri della Commissione che preparò la Carta costituzionale.

È vero che sono stati presentati notevoli emendamenti sovra i quali la discussione specifica potrà essere opportunamente portata.

Intanto, io rilevo che l'indipendenza della Magistratura non può confondersi con la creazione di una casta chiusa, ma deve essere intesa come una salutare tendenza a mantenere nell'unità dello Stato il funzionamento libero e conveniente di tutti gli ordini, che, come il potere giudiziario, sono investiti di una loro speciale autonomia. Questa autonomia di funzione, di carriera, di disciplina deve essere sempre mantenuta rigorosamente. E se potremo raggiungere meglio questo fine attraverso gli emendamenti che sono stati presentati e che saranno poi illustrati, io credo che la Carta costituzionale, per questa parte, potrà ottenere il consenso e l'approvazione della Magistratura.

Peraltro, io pongo a me stesso un problema. Voglio essere pratico come lo fu il relatore onorevole Conti nella seduta di sabato scorso. Signori, voi me lo insegnate, questa è una carta morta che vuole però dare vita ad organismi i quali traggano dallo scritto l'interiore vitalità, senza della quale non potrebbero svolgersi gli intendimenti ed i propositi dei proponenti della Carta su cui ci soffermiamo. Ora, qui si tratta di adattare al nuovo ordinamento stabilito in questo documento quella che deve essere la realtà viva, il funzionamento, la condizione della Magistratura.

E se io vi dovessi dire una parola sullo stato d'animo della Magistratura in questo momento, almeno di quella che io ho occasione più facilmente di avvicinare, non potrei nascondervi che la Magistratura oggi vive in uno stato di abbattimento, di incertezza. Molte cause contribuiscono a ciò. Accenno alle maggiori, che credo non siano sfuggite all'opera di chi presiede alla giustizia; non gli deve essere così sfuggito questo stato d'incertezza in cui vive la Magistratura, perché da ciò derivano inconvenienti nell'amministrazione della giustizia, dei quali, giorno per giorno, si accusano i magistrati, e non si accusa invece il difettoso funzionamento degli organi giudiziari; tutto si fa risalire oggi alla Magistratura, ed è pubblicamente qui da riprovare quanto spesso avviene nel Paese allorché alla Magistratura si fanno attacchi ingiusti. Su di essa si manifestano dubbi le si addossano responsabilità e si crede di poter giocare con la Magistratura come con qualsiasi corpo politico adattabile, cioè se ne accetta l'opera e la si giudica favorevolmente solo quando dà ragione o arriva ad assoluzioni facili compiute in uno stato d'animo che non è né di libertà né di dignità. (Applausi al centro).

Signori, io vi parlo con molta franchezza e con quella imparzialità che mi deriva dall'osservare i fatti con uno stato d'animo il più indipendente, il più autonomo. Credo di rilevare queste condizioni particolari della Magistratura, aggiungendo che il Governo di oggi, il Governo di domani, lo Stato italiano per dire tutto in una parola, ha l'obbligo di preparare fin da ora tutti gli elementi i quali servano a far entrare la Magistratura nel contatto vivo di quegli elementi che rappresentano la sostanza scritta del documento che noi ora discutiamo. Perché da oggi al giorno in cui la Carta costituzionale sarà emanata, il tempo è breve, e come faremo, perciò, se fin da oggi non si compie questo compito di fattiva e sapiente preparazione?

Bisogna anzitutto pensare al trattamento economico dei magistrati, bisogna subito provvedere perché non si può dire sempre a questa gente: «aspettate». Intanto l'inverno viene ed i magistrati non hanno di che riscaldarsi nelle aule e nei luoghi dei loro raduni. I magistrati vivono in una posizione di disagio anche per mancanza di personale efficiente. Si è creato da parte dei Governi precedenti un sovraccarico di funzioni, anche speciali, a carico della Magistratura e non si è pensato che questo sovraccarico gravava su un personale che era già sproporzionato al vero lavoro in cui la Magistratura era già precedentemente impegnata. Quando io sento a proposito del progetto sulla stampa, che si è voluto stabilire il procedimento per direttissima, io mi metto a sorridere, perché si vede che nell'amministrazione della giustizia e specialmente in Italia si creano situazioni teoriche e non si pensa mai alla realtà che può soltanto essere assicurata con i mezzi esistenti. Ora c'è, è vero, il procedimento per direttissima, e stamane sentivo parlare di direttissima anche per le repressioni dell'attività fascista, ecc. Si farebbe molto meglio a rimettersi all'apprezzamento delle varie Procure per usare il procedimento più adatto e spedito, secondo le possibilità del lavoro giudiziario, anziché continuare a far leggi, come quella annonaria, in cui si è fatto un carico enorme di disposizioni transitorie, nuove, che regolano decreti precedenti; tanto che oggi in materia annonaria non sappiamo più da che parte volgerci, per cui sarebbe ora che il Governo pensasse a fare un testo unico che, coordinando le varie disposizioni, evitasse le anormalità che si verificano nella applicazione della legge, attraverso o ad agevoli e troppo facili soluzioni, o attraverso ad un rigorismo accompagnato da mandati di cattura qualche volta ferocissimi, dei quali si potrebbe fare a meno quando la norma legale non ne imponesse obbligatoriamente l'emissione. Se con tutto ciò si voglia far gravare sulla Magistratura un peso enorme di responsabilità, malgrado la incapacità delle sue forze nell'adempimento di tutto questo lavoro cui è costretta a sobbarcarsi, io non so; ma voi sapete che il decreto 10 agosto 1944 venne a stabilire mitigazioni in ordine al mandato di cattura, sia obbligatorio che facoltativo, e stabilì, nel caso di mandato di cattura facoltativo, un termine di 6-8 mesi, dopo i quali la detenzione dell'imputato sarebbe divenuta automatica nella sua terminazione.

Ebbene, quel decreto, la cui validità aveva limite circa tre mesi or sono, non è stato prorogato, e siamo, così, tornati a quelle gravissime disposizioni sul mandato di cattura che si erano volute evitare proprio col decreto 10 agosto 1944. Al Congresso di Firenze il Ministro informò che il provvedimento di proroga era in preparazione nel senso, però, di limitarla al fatto della terminazione automatica della custodia preventiva. In tale occasione io dovetti osservare al Ministro — e l'ho osservato anche informandolo privatamente — che la custodia preventiva sta in funzione del mandato di cattura facoltativo, perché soltanto in questo caso è applicabile.

Quindi, o voi ritornate alla integrità del decreto 10 agosto 1944 e farete opera giusta — vi dirò ora per quale ragione — o altrimenti voi, se togliete questa proroga, verrete a dare piena efficienza al codice fascista, con tutti i suoi inusitati rigori. Scegliete e provvedete, questo è il dilemma per chi regge oggi la giustizia.

Inoltre ho citato un inconveniente e vi dico subito in che consiste. Esso mi veniva segnalato la settimana scorsa da un dirigente di un importante ufficio di istruzione, il quale segnalava oltre l'inconveniente dell'enorme massa di processi che si arrestano per mancanza di personale e di altri mezzi necessari per provvedere alle istruttorie, altri inconvenienti gravissimi:

1°) che non si hanno a portata di mano gli imputati detenuti, che vengono frequentemente, anche per necessità, spostati da un carcere ad un altro, sicché quando il giudice istruttore li vuole interrogare, deve cercarli da tutte le parti e in tal modo l'istruttoria procede molto lentamente;

2°) non si vuol dare la libertà provvisoria, quando invece il decreto 10 agosto 1944 l'ammetteva. Ma le carceri sono piene zeppe e ne abbiamo avuto una eco anche ieri nella risposta del Ministro alle interrogazioni di alcuni colleghi, tra cui Pertini; e c'è di peggio: tutti trovano espedienti per ottenere una mitigazione e si danno malati per andare in case di cura, oppure trovano un mezzo qualsiasi per eludere il rigore in cui li taglierebbe dal mondo una situazione che è delle più incresciose.

Detto ciò, signori, non insisto: ho detto di voler essere breve e passo oltre. Mi limiterò a dire una parola che è strettamente aderente al tema di cui ci occupiamo; accennerò all'ordinamento giudiziario penale. Non parlo dell'ordinamento giudiziario civile, perché in questi giorni una Commissione nominata dal Congresso di Firenze sarà a Roma e mi auguro che su quel punto potremo avviarci su una buona strada e diminuire il collasso del lavoro incompiuto, che ormai affligge tutti i tribunali per le cause civili.

Parliamo dell'ordinamento penale; e mi riferisco alla nostra proposta per dare la possibilità al giudice istruttore o al magistrato di merito di servirsi della polizia giudiziaria addetta alle Questure.

Questo è un argomento che va affrontato apertamente e senza peli sulla lingua. Signori, molte delle istruttorie penali vanno male perché sono un monopolio della polizia, perché la polizia si diletta, per una sua abitudine o tendenza, a queste istruttorie. Si capisce anche la tendenza che c'è in ogni organo di allargare e di trattenere gelosamente quanto più è possibile la sua competenza su una determinata serie di attività.

Ma oggi c'è un latente conflitto, se non continuo, intermittente, fra le questure, la polizia giudiziaria, e le procure della Repubblica. Bisognerebbe invece qui mutare sistema. Il centro motore della polizia giudiziaria debbono essere le procure della Repubblica; non dovrebbe essere ammesso che le questure, come avviene quasi, direi, settimanalmente, se non giornalmente, trattengano per settimane, settimane e settimane i procedimenti, dopo l'arresto degli imputati, mentre la procura non ne sa nulla.

Accade, infatti, continuamente che noi ci si rivolga alla procura e la procura ci risponda che nulla risulta dalla sua rubrica, come è avvenuto in un processo per il quale da un mese e mezzo si fa la spola da una città all'altra e ancora si discute della competenza.

Ora, è ammissibile tutto ciò? Il principio, se veramente si vuole il senso della libertà applicato all'amministrazione della giustizia, nei rapporti di chiunque sia inquisito, deve essere questo: nei casi urgenti, si comprende che la polizia giudiziaria debba agire senza limitazione; ma in ogni modo essa deve informare subito la procura della Repubblica, con suo rapporto, del procedimento che si sta iniziando, perché è soltanto la procura della Repubblica che deve dirigere l'istruttoria o per lo meno iniziarla.

Sarebbe in tal modo evitato, seguendo cioè queste giustissime e ormai reclamate innovazioni, quello che succede oggi: che cioè i procedimenti pervengano alle procure già istruiti, dando, fra l'altro, luogo a tutta quella serie di questioni che nascono, che cioè gli interrogatori siano stati fatti sotto lusinghe o sotto minacce e con atti, con perizie che senza alcun dubbio esulano dalla competenza della questura. Avviene così che i fascicoli relativi ai processi si accumulino sui tavoli della questura; avviene così che si venga a ribaltare la causa o ad affrettarla oltre misura; avviene così che si commettano ingiustizie nel senso che si viene a condannare un imputato che meriterebbe di esser considerato innocente o che si consideri innocente un imputato che meriterebbe di esser considerato colpevole.

Il principio dunque che noi vorremmo vedere affermato nella Carta costituzionale e che io contemplo con uno specifico comma nel mio ordine del giorno è appunto costituito dalla proposta che la polizia giudiziaria passi direttamente alla direzione e alla competenza — salve le dovute norme di coordinamento — per tutto ciò che riflette al suo andamento e alla personificazione dell'organo che deve avere la responsabilità dell'istruttoria, all'autorità giudiziaria.

E non aggiungo altro, o signori, che dire altre cose significherebbe aggiungere cognizioni a chi ne ha già troppe. Non dico rispondendo, ma accennando a quello che, con molta franchezza, ebbe l'opportunità di dire l'onorevole Conti, io rilevo che la Magistratura in Italia è in realtà fondamentalmente onesta. È molto più onesta di quel che non pensi il Paese. Ma sapete chi è molte volte che circuisce la Magistratura e attenta alla sua integrità? I faccendieri; i faccendieri che si annidano nelle Questure e si annidano nel foro esterno del tribunale. Io ho dovuto lottare e lotto contro questi faccendieri, i quali, non so perché, riescono sempre a prevalere contro la condotta degli avvocati onesti.

Poi, io vorrei che si richiamassero — e questo potrebbe farlo il Ministro; e farà cosa ottima — i Consigli forensi ad essere più avveduti, più severi, più accurati nella ricerca di queste inframmettenze che un po' dappertutto, ma specialmente nei grossi centri, formano uno scandalo continuo. (Approvazioni). Si sente parlare di migliaia e migliaia di lire, vantandosi questi faccendieri di poter ottenere tutto per il loro tramite e, si sottintende, si ottiene dalla Magistratura, che si dà quindi come complice. Questo è un grossolano ma persistente millantato credito; verso la Magistratura, evidentemente, viene a crearsi nel Paese, per coloro che non ne conoscono la compagine e la condotta, un senso di sospetto, che è veramente doloroso, e di cui i magistrati, come si sono lagnati con me, hanno diritto di lagnarsi un po' dappertutto. Perciò io ravviso qui la necessità di raccomandare alla solerzia del Ministro della giustizia di voler richiamare le procure della Repubblica ed i Consigli forensi ad intervenire con tutta l'energia possibile, volgendo le loro ricerche su queste vere piaghe, sia pure esteriori alla giustizia, ma che però influiscono sull'opinione che fuori si ha di poter ottenere tutto attraverso la corruzione dei giudici. Facendo questo si potrà collaborare a risanare l'ambiente, come ce n'è tanto bisogno.

Un'ultima osservazione. Vorrei dire una parola sola sulla questione della appartenenza dei magistrati ai partiti politici. E dico subito che sono contrario all'appartenenza dei magistrati ai partiti politici per una ragione superiore, nella quale io voglio che si mantenga e sia riconosciuta la posizione del magistrato.

E a proposito vi dirò che per primi i magistrati desiderano di non avere questa facoltà di iscriversi ai partiti politici. Vi riferirò un episodio, col quale termino. In quelle assemblee che ho detto essere state tenute a Bologna sotto la mia presidenza, ad un certo momento, avvocati molto colti ebbero a sostenere l'adesione libera ai partiti da parte dei magistrati. Si discusse del «sì» e del «no», specialmente nel ceto forense; ma ad un certo momento si alzò un insigne magistrato, universalmente stimato a Bologna, ove ha svolto un compito di grande integrità e di grande equilibrio; ed egli — vecchio, ma ancora fresco di forze ed esempio di grande onestà; una onestà che egli fino alla povertà oggi mantiene ed ha mantenuto in tutta la vita — si alzò e con parola calma disse: «Signori, alle vostre domande io oppongo una questione: sareste voi sicuri che di tutte le sentenze che noi alla Sezione istruttoria abbiamo dovuto emanare — sentenze più o meno controverse, più o meno temute, più o meno gravi — si sarebbe fatta accettazione da parte del pubblico, se noi fossimo stati esponenti di un partito politico? Evidentemente tutti avrebbero creduto, in un caso o nell'altro, che il partito A o il partito B o il partito C, secondo la natura dei giudici che hanno contribuito a formare quei giudicati, abbia influito a determinare o l'assoluzione o la condanna».

Signori, ho finito. La giustizia deve essere come la moglie di Cesare: deve essere esente da ogni richiamo e da ogni ombra; e ciò perché c'è tendenza nel Paese a dire che il magistrato si compra perché la giustizia se la fanno i più ricchi e per i poveri la giustizia non c'è.

Lasciamo andare l'eccesso di questa frase. Noi, in Assemblea Costituente, discutendo su questo argomento, dobbiamo sforzarci di dare all'ordinamento della giustizia e ai magistrati, sacerdoti della giustizia, un trattamento, un ordinamento tale da poter dire che si è fatto quanto era possibile a che la giustizia sia la vera condizione della libertà e della imparzialità del giudice! (Applausi — Congratulazioni).

Presidente Terracini. L'onorevole Mastino Gesumino ha presentato il seguente ordine del giorno:

«L'Assemblea Costituente:

afferma che l'indipendenza dei magistrati, considerata non come privilegio loro concesso, ma come garanzia essenziale per i cittadini, impone sia costituzionalmente fissato l'assoluto divieto di essere iscritti ad un partito politico e di partecipare comunque a pubbliche manifestazioni politiche per tutti coloro che fanno parte dell'Ordine giudiziario,

delibera che:

1°) istituita la giuria popolare, sia demandata alla legislazione del futuro Parlamento la fissazione delle norme che ne disciplinino il funzionamento, ne organizzino la formazione e ne disciplinino la competenza, tenuto conto dei dati dell'esperienza e delle necessità che i giudici popolari abbiano i requisiti necessari, intellettuali e morali per l'esercizio della loro grave funzione;

2°) siano conservati i tribunali militari, il cui funzionamento e la cui competenza saranno regolati da leggi del futuro Parlamento;

3°) con la creazione del Consiglio superiore della Magistratura, sia attribuita al Governo la facoltà ispettiva nel funzionamento dell'amministrazione della giustizia, al fine di rendere possibile l'iniziativa dell'azione disciplinare da parte del Ministro responsabile, ed il controllo parlamentare».

Ha facoltà di svolgerlo.

Mastino Gesumino. Onorevoli colleghi, le molto concise osservazioni che io farò, dirette ad illustrare il contenuto del mio ordine del giorno, sono essenzialmente dirette alla precisazione di determinati concetti; perché, lungo questa appassionata discussione — certe volte di altissimo tono — che noi abbiamo fatta, io ho creduto, con sommessa modestia, di dovere rilevare che alcune volte, volendo seguire in tutti i possibili sviluppi i concetti espressi, si è dimenticato di partire dall'esatta posizione dei problemi.

Così, ad esempio, per quanto riguarda l'appartenenza o meno dei magistrati ai partiti politici. Sono perfettamente d'accordo col collega Bertini che il magistrato non debba appartenere a nessun partito politico. E non solo non dovrebbe appartenere a partiti politici, ma non dovrebbe partecipare pubblicamente a manifestazioni di carattere politico.

Ma questa mia affermazione è la diretta conclusione d'un principio che io credo debba essere univocamente posto.

Questa nostra faticosa impostazione del nuovo ordinamento giudiziario, che deve essere la base e, insieme, il coronamento della costruzione delle garanzie delle libertà dei cittadini, è diretta non a creare nell'ultima fase (autonomia della Magistratura, elevazione sociale e morale dei magistrati) un privilegio per la classe dei magistrati, ma è diretta soprattutto a creare la suprema garanzia per i diritti dei cittadini.

Badate, non si tratta d'una posizione puramente dialettica e formale. È posizione — secondo me — essenziale, perché noi in tanto dobbiamo creare questa suprema costruzione che dia ai magistrati l'autonomia e quasi l'autogoverno, in quanto questa autonomia e questo autogoverno rappresentino una garanzia ulteriore per i singoli cittadini.

Ogni autonomia ed ogni autogoverno devono cessare di funzionare quando da essi possa essere diminuito od in qualche modo offuscato il completo esplicarsi di tale garanzia.

Ora, se partiamo da questo principio, noi dobbiamo necessariamente dedurre (a prescindere da qualsiasi considerazione di ordine politico che io credo debba essere estranea alla discussione attuale di ordine esclusivamente tecnico-giuridico) che la partecipazione del Magistrato a un partito politico sminuisce la garanzia dell'assoluta indipendenza del giudice.

Questa garanzia infatti non deve essere solo costituita nell'ordine logico giuridico, ma dev'essere subiettivamente appresa da ogni cittadino. Ogni cittadino deve avere evidentemente, chiaramente, limpidamente la sensazione che il magistrato nel giudicare è estraneo a quella che può essere la passione di parte, o fazione di parte, o idealità politica, o lotta politica. Ora, come può questa garanzia che, come vi dicevo, deve essere apparente, deve essere certa, deve essere sicura, esistere quando il cittadino abbia visto partecipare a dimostrazioni politiche, magari contrarie alle sue idealità, il magistrato che poi deve giudicare della sua libertà e dei suoi interessi? Credo che evidente sia la risposta: il magistrato deve essere posto in una situazione tale da essere considerato non, come con frase abusata si dice, non sospettabile, come la moglie di Cesare, ma neanche adombrabile dal dubbio sulla sua purezza, nell'attimo supremo in cui esprime il suo giudizio. Identicamente — e in una sfera maggiore, anzi in una sfera più alta e comprensiva di tutte le nostre discussioni — io ritengo che l'autonomia dei magistrati, che si attui attraverso il Consiglio Superiore della Magistratura, debba essere limitata dalle necessità di garanzia verso i cittadini.

Ma, onorevoli colleghi, se noi concepiamo l'autonomia e l'autogoverno della Magistratura quasi come un debito dovuto alla Magistratura a prescindere da ogni altra considerazione, considerandola nell'ordine puramente logico ed astratto, come necessità deduttiva del principio che la Magistratura non deve, nell'esercizio della sua suprema missione, essere in qualsiasi modo influenzata dagli altri poteri; se questa concezione noi dovessimo condurre alle estreme conseguenze, considerandola a sé, io credo che una tale autonomia, così intesa nelle sue più late accezioni, non potrebbe essere accettata. Se noi invece partiamo dal principio, che, come detto, deve essere considerato come essenziale presupposto di tutto il problema, noi vedremo che non è possibile porre la Magistratura al di fuori, quasi al di sopra, della compagine dello Stato. Noi dobbiamo questa autonomia della Magistratura considerarla incuneata, compresa, articolata nell'insieme dell'organizzazione dello Stato.

Ora, siccome non è possibile che noi neghiamo la necessità del controllo del Parlamento sul governo della Magistratura, mi pare eccessiva la frase contenuta nell'articolo del progetto in cui è detto che il Consiglio Superiore della Magistratura ha autonomamente, con esclusione di qualsiasi ingerenza, il governo della Magistratura. Perché allora io vorrei chiedere: come si potrà esercitare il controllo parlamentare sull'opera della Magistratura, che pure è essenziale in ogni Stato ordinato e libero? L'onorevole Conti, nel suo così vasto, così completo, così appassionato discorso ha elencato, tra i poteri che attualmente spettano al Ministro per la giustizia, il potere ispettivo; ma il potere ispettivo, contenuto nelle leggi attuali, dovrebbe essere inquadrato nelle norme costituzionali che noi dobbiamo statuire. Ora, se le norme costituzionali stabilissero la facoltà esclusiva del supremo organo della Magistratura di autogovernarsi, evidentemente la facoltà ispettiva del Ministro della giustizia si dovrebbe esplicare sulle attività marginali dell'amministrazione giudiziaria o sull'attività dei cancellieri, e non mai sul governo della Magistratura. Ma questo è inammissibile in un retto Governo e in uno Stato democratico.

Quindi io propongo, nel mio ordine del giorno, che «con la creazione del Consiglio Superiore della Magistratura, sia attribuita al Governo la facoltà ispettiva nel funzionamento dell'amministrazione della giustizia, al fine di rendere possibile l'iniziativa dell'azione disciplinare da parte del Ministro responsabile ed il controllo parlamentare».

Non credo che questo possa, in alcun modo, nuocere alla creazione di quella nuova Magistratura autogovernantesi ed organicamente costituita come potere autonomo nella sfera delle sue competenze, che noi vogliamo istituire. Noi dobbiamo questa nuova Magistratura crearla in modo da non estraniarla dall'ambito dello Stato; perché, se è vero che la divisione dei poteri è uno dei principî che hanno regolato la creazione dello Stato moderno, è anche vero che non si può ritenere la divisione dei poteri essere un qualche cosa di meccanico, che funzioni automaticamente, al di fuori della realtà sociale, giuridica e politica.

Anche la Magistratura, concepita come organo sovrano dello Stato e, se si vuole, come potere dello Stato, deve essere inquadrata, essere amalgamata, essere inserita nella Costituzione in modo da potere essere compresa in tutto quell'insieme di controlli, che forma la garanzia suprema della libertà di tutti i cittadini.

Ed io, che vi ho promesso di essere rapidissimo, passo senz'altro alla discussione dell'argomento intorno al quale tanta vasta eloquenza è corsa in quest'Aula: l'argomento della istituzione delle giurie popolari.

Permettetemi che vi dica che anche su questo punto è bene che si precisino più esattamente i concetti. La maggior parte degli oratori, che hanno negato l'opportunità dell'istituzione della giuria popolare, l'hanno negata affacciando le grandissime deficienze che la giuria popolare ha manifestato finora; hanno cioè negato, discusso, dichiarato inammissibile non l'istituto, ma la giuria popolare così come ha finora funzionato.

Ma noi non possiamo partire dal presupposto che la giuria popolare debba necessariamente funzionare nel futuro come sempre ha funzionato nel passato; e che non sia possibile costituirla diversamente e creare della giuria popolare un organismo giuridico tale che funzioni senza i difetti che giustamente sono stati affacciati, in modo da potere inserire nell'amministrazione della giustizia un istituto circondato dal prestigio e dalla forza derivantigli dalle sue fonti naturali, popolari, dirette. Si sono prodotti, a sostegno delle diverse tesi, molti esempi. Permettetemi che vi dica che anche io potrei fornirvi esempi numerosi e citarvi casi diversi, avendo indossato la toga del procuratore generale nelle Corti d'assise, e successivamente, per molti anni oramai, indossato la toga del difensore; sicché ho potuto valutare, partendo dalle diverse concezioni, da un campo e dall'altro, e i difetti e i pregi dell'istituto. Io ho iniziato la mia missione di avvocato, difendendo la parte civile in un processo in cui erano imputati vari fascisti che avevano selvaggiamente assassinato nel piccolo paese di Portoscuso, due poveri pescatori. Si era all'inizio del movimento fascista, e tutte le bande armate, assoldate dal potere, che ancora non si era fortemente costituito, ma che cercava in tutti i modi di fortemente costituirsi, premevano alle porte dell'aula dove si svolgeva il processo, affinché gli imputati fossero assolti. Ogni mezzo terroristico fu usato; ma i giurati non piegarono, e condannarono.

Successivamente io difesi in Corte di assise, per tre mesi, alcuni imputati di aver ucciso il segretario politico di un piccolo comune. Le forze del fascismo erano allora in piena esplosione di violenza; ed anche allora tutti i mezzi furono usati perché gli imputati venissero condannati. Quattro testimoni di difesa furono arrestati. Il processo durò tre mesi. Il collegio di difesa dovette in gran parte abbandonare l'aula ed affidare la difesa ad uno solo degli avvocati. I giurati — con fermissimo animo — assolsero gli imputati ad unanimità di voti.

Per darvi un esempio dell'altro campo, vi dico che ancora echeggia nel mio cuore il pianto di una povera donna ottantenne che ho difeso davanti al tribunale. Era imputata di aver dato un litro di olio per un poco di grano. Io la difesi d'ufficio, disperatamente. Chiesi al tribunale che concedesse almeno, se non voleva accedere alla tesi dell'infermità mentale o della semi infermità mentale, la sospensione condizionale della pena.

Il tribunale non applicò la legge; ma applicò una circolare ministeriale che vietava la concessione della sospensione condizionale della pena, anche nei casi in cui la legge tale diritto attribuiva all'imputato condannato. Questo vi dico, perché è mia profonda convinzione che gli errori della Magistratura togata siano pari, nella linea morale e di fatto, agli errori che ha commesso l'antica giuria popolare. Dalla mia esperienza ho tratta la profonda convinzione che la giuria popolare ha in grado eminente quella dote essenziale che dovrebbero avere tutti coloro cui spetta il tremendo dovere di giudicare i propri simili: la particolare sensibilità derivante dall'essere il giudice prodotto dell'ambiente in cui il delitto nacque. Se un insegnamento profondo io ho tratto dalla mia vita e dalla mia passione di avvocato, l'insegnamento è questo: che allorquando si tratta dei più gravi delitti, soprattutto di quelli di sangue, non ci troviamo mai di fronte ad un fatto normale. Non è esatto che giudicare un ladro sia lo stesso che giudicare un assassino. Esiste tra i due giudizi una differenza essenziale. Nelle profondità stesse di ogni essere umano c'è un profondo ribrezzo per il sangue. Per superare questo ribrezzo, ed uccidere; per commettere questo atto che è tremendo per tutti, devono concorrere, insieme col crollo psicologico di tutte le barriere opposte dalla coscienza e dall'istinto, speciali situazioni di fatto, speciali condizioni ambientali, specialissime posizioni subiettive. Tutto deve essere valutato con sincerità e, direi, con naturalità, senza contorsioni dialettiche molte volte abili, troppe volte aberranti. La Magistratura ordinaria, attraverso la professione del giudicare, qualche volta perde la prontezza della facoltà di reagire con sensibilità umana al fatto umano.

Ed allora, per quali ragioni noi dobbiamo privare il cittadino di questo mezzo di giudizio, unicamente partendo dai difetti di funzionamento finora rilevati?

L'essenziale è che noi studiamo i mezzi per migliorarlo.

Affermiamo ora nella Costituzione il principio istitutivo della giuria popolare. Rimandiamo al futuro legislatore le norme, con cui questa funzione sarà disciplinata. Questa è la conclusione cui giungo nel mio ordine del giorno: della giuria popolare dovrà essere organizzata la formazione e disciplinata la competenza, tenuto conto dei dati dell'esperienza e della necessità che i giudici popolari abbiano i requisiti intellettuali e morali richiesti per l'esercizio di questa grave funzione.

Penso che una giuria diversamente organizzata, diversamente scelta, diversamente composta, possa contemperare i pregi della Magistratura togata coi grandissimi pregi della Magistratura popolare.

Una delle ragioni, per cui penso che la giuria popolare è da conservare, è anche la seguente: il modo egregio con cui funzionano i tribunali militari. Non credo che questo debba parer strano a chi ha pratica dei tribunali militari. È mia profonda convinzione, formatasi attraverso l'esperienza personale, che, sia in pace come in guerra, i tribunali militari funzionino con tanto profondo senso di giustizia proprio perché si attua in essi quella formazione speciale della selezionata ed idonea giuria popolare, che io invoco.

L'istituto della giuria popolare rappresenta pertanto una necessità di giustizia, non formale ma sostanziale, anche se rapportato al tribunale militare, che ha sempre dimostrato prontezza di reazione psicologica e profondo senso di umanità.

L'obiezione fondamentale mossa contro l'istituzione della giuria, cioè la inappellabilità delle sue sentenze, deriva anch'essa dal presupposto che la giuria debba rimanere tale quale è stata organata finora. Non è obiezione insuperabile, perché non è impensabile una sentenza della giuria popolare riesaminata da una sezione della Corte di cassazione, anche nel merito, e rimandata ad altra Corte di assise per il riesame.

Non si dica, come con superficialità si è detto, che ciò snaturerebbe la Corte di cassazione; perché non è esatto che la Corte di cassazione non giudichi mai sul merito, che la sua funzione si esaurisce sempre in una pura indagine di diritto. In tutte le materie che attengono ai conflitti di giurisdizione e di competenza, la Cassazione giudica necessariamente anche pel merito. Perciò l'obiezione giuridica non regge, essendo sempre possibile che la Cassazione riesamini, anche nel merito, i giudizi delle Corti di assise li annulli, e rimandi al giudizio di altra Corse di assise.

In quanto al sì ed al no, in cui si concentra tutto il giudizio dei giurati e che tanti clamori di disapprovazione ha suscitato in vari oratori, mi si consenta di dire che tutti i giudizi umani si concretano e si concludono in un sì od in un no. È la motivazione del sì e del no, quella che a noi sta a cuore. Anche qui si commette l'errore di dare come immutabile il funzionamento attuale della giuria, il quale non è altro che una trasformazione malfatta dell'antico funzionamento. Infatti anticamente i giurati si radunavano per il verdetto e discutevano in camera di consiglio per ore ed ore, in modo che il sì od il no era il frutto di una lunga meditazione e di una approfondita discussione.

In quanto alla motivazione, è possibile che voi, esperti giuristi, che qui siete convenuti da ogni parte d'Italia, vi fermiate di fronte ad un obiezione la quale può essere in molti modi, giuridicamente, superata? Come il magistrato togato può associarsi tecnici estranei alle sue file in certi giudizi, così non è impensabile che alla Magistratura popolare si aggreghi un giudice togato il quale partecipi al processo ed, in camera di consiglio, alle decisioni. Io non intendo presentare una conclusione, ma voglio prospettare una proposta unicamente per rilevare che le impossibilità affacciate da alcuni colleghi sono soltanto apparenti e non insuperabili, in quanto vengono dedotte da un dato di fatto inesatto ed aberrante. Si afferma la inaccettabilità della giuria popolare perché ha funzionato male; invece di studiare i mezzi e le forme perché funzioni bene. Vorrei aggiungere, e questo più che una affermazione, è un sentimento trepido, velato di angoscia, che tutta questa faticosa costruzione giuridica, tutta questa nostra Costituzione alla quale abbiamo collaborato con tanto appassionato amore, potrebbe risultare opera vana, costruita sulla sabbia. La garanzia suprema di tutti i diritti e di tutte le libertà, non consiste infatti nella formulazione sapiente di determinate norme, o nella creazione di determinati organi di tutela. Le une e gli altri, di solito, funzionano in periodo di pace, e non funzionano allorché la Nazione è squassata dalle tempeste interne od esterne, susseguentisi nella storia. Ora, vorrei dire ai magistrati che, al disopra e al di fuori delle garanzie organiche loro concesse, i cittadini avranno la garanzia suprema nella loro coscienza, nella loro rettitudine, nella loro fermezza. E vorrei dire a tutti gli italiani che non ci sarà ordinata amministrazione della giustizia, finché non risorga in tutti gli spiriti il senso del rispetto del diritto e l'ossequio alla legge, garanzia suprema di tutte le libertà, finché dal profondo di tutti i cuori non rinasca il santo orrore del sangue e finché non ci sentiremo nuovamente fratelli nell'amore a questa nostra Patria e nel comune dolore per le sue immense sventure. (Applausi Congratulazioni).

Presidente Terracini. Dichiaro chiuso lo svolgimento degli ordini del giorno. Gli altri che mi sono stati consegnati nel corso di questa seduta, a tenore del Regolamento, non danno diritto ai loro presentatori di svolgerli.

Un primo ordine del giorno è stato presentato dagli onorevoli Crispo, Quintieri Quinto, Rubilli, Candela, Villabruna, Rescigno, Martino Gaetano, Gabrieli, Bellavista, Cortese Guido, Sansone:

«L'Assemblea Costituente,

considerato che la funzione del Pubblico Ministero nel procedimento penale è intesa a realizzare la pretesa punitiva dello Stato;

considerato che tale funzione ha un suo proprio carattere, e che l'esercizio di essa costituisce il Pubblico Ministero nella posizione di parte, nel contrasto tra le esigenze della tutela sociale e quelle della difesa dell'imputato, mentre, in tale contrasto, l'opera del giudice è in funzione di sintesi;

ritenuto, infine, che il ripetuto esercizio di detta funzione conferisce un abito mentale che mal si adatta all'opera giurisdizionale

afferma

la necessità che la carriera del Pubblico Ministero sia tenuta distinta da quella della Magistratura giudicante».

È stato poi presentato dagli onorevoli Rossi Maria Maddalena, Noce Teresa, Bei Adele, Merlin Lina, Mattei Teresa, Gallico Spano Nadia, Basso Lelio, Mancini, Cevolotto, Martino Gaetano, Abozzi, Costa, Veroni, Rubilli, Bonomi Ivanoe, Sansone, Bellusci, Gasparotto, Lussu, Porzio, Facchinetti, Paolucci, Mazzoni il seguente altro ordine del giorno:

«L'Assemblea Costituente,

considerato che con l'articolo 48 è stato solennemente affermato nella nuova Costituzione italiana il diritto della donna ad accedere alle cariche elettive ed agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza rispetto all'uomo,

afferma che nessuna limitazione dovrà essere posta dalla legge all'accesso della donna alla Magistratura».

Darò ora lettura di altri due ordini del giorno presentati nel corso di questa seduta. Uno è firmato dall'onorevole Patricolo, del seguente tenore:

«L'Assemblea Costituente

afferma

che l'autonomia e l'indipendenza dei poteri dello Stato deve essere considerata come esigenza fondamentale di ogni regime democratico

delibera

che il potere giudiziario venga riconosciuto dalla nuova Carta costituzionale dello Stato come potere autonomo e indipendente, senza pregiudizio della facoltà di sindacato e di controllo spettante al Parlamento».

L'altro ordine del giorno è firmato dall'onorevole Mortati ed è del seguente tenore:

«L'Assemblea Costituente,

considerato:

che qualsiasi tipo di decentramento, il quale non voglia conformarsi allo schema federalistico, esclude ogni estensione di esso alla funzione giurisdizionale;

che, in ogni caso, contraddittorio sarebbe invocare il principio del decentramento dell'istituto della cassazione e limitarne poi l'applicazione al solo ripristino delle quattro Corti soppresse nel 1923, mentre esso imporrebbe, per ovvie esigenze di logica e di equità, l'assegnazione ad ogni regione di una propria cassazione;

che questa necessaria conseguenza del decentramento accrescerebbe fino all'assurdo i noti inconvenienti della pluralità delle cassazioni, pluralità sconosciuta alle legislazioni di tutti i paesi del mondo;

che l'ordinamento regionale, anziché giustificare tale pluralità, esige l'attuazione di una maggiore unitarietà dell'interpretazione della legge, onde evitare che le divergenze interpretative ostacolino il sorgere dei rapporti fra cittadini appartenenti alle diverse regioni;

che la constatazione delle difficoltà manifestatesi in pratica al conseguimento dell'unità della giurisprudenza pur dopo l'accentramento della cassazione possono consigliare l'adozione di mezzi tecnici onde evitare in avvenire le difficoltà stesse, non mai giustificare il ritorno ad un sistema, verso cui erano in passato rivolte le critiche generali, e che riuscirebbe utile solo ad alcuni appartenenti alla classe forense, non certo agli interessi della Nazione;

delibera:

che la Corte di cassazione debba essere unica per tutto il territorio della Repubblica».

Faccio subito rilevare che non si tratta di ordini del giorno simili a quelli che l'Assemblea ha preso in considerazione in sedute precedenti e sui quali è giunta ad una votazione. Relativamente a quest'ultimo Titolo della Costituzione, gli ordini del giorno si sono moltiplicati con due caratteristiche. La prima è che ognuno di questi ordini del giorno si propone di dare risoluzione a tutta una serie di questioni. Essi non sono ordini del giorno che enunciano un problema e ne propongono la soluzione, ma ciascuno di essi prende in esame diversi punti del problema generale offrendone la soluzione. La seconda caratteristica è che, dato che questi punti essenziali non sono innumerevoli, questi ordini del giorno toccano tutti gli stessi punti e propongono soluzioni analoghe o quasi.

Ciò crea una grave difficoltà per l'ordine delle votazioni. Se poi aggiungo che ciascuno di questi ordini del giorno propone all'Assemblea di pronunciarsi su ciò che è materia dei singoli articoli, precludendo così la presa in esame degli emendamenti, che sono numerosissimi, mi pare che si debba concludere che in realtà su questi ordini del giorno, quanto meno in questo momento, non si possa o non si debba votare. Altrimenti sorgerebbe in primo luogo la questione a quale ordine del giorno dare la precedenza nella votazione? In secondo luogo, se noi votassimo, a fine discussione generale e prima di esaminare gli articoli, tutti questi ordini del giorno, praticamente pregiudicheremmo tutta una serie di votazioni che comunque bisognerà fare successivamente. Queste votazioni iniziali degli ordini del giorno assumerebbero infatti un carattere preclusivo, e l'Assemblea avrebbe il diritto, quanto meno in quella parte che rimanesse in minoranza, di protestare contro questa formazione troppo sollecita e prematura di decisioni.

Sono del parere che noi possiamo votare questi ordini del giorno, se mai, mano a mano che incontreremo gli argomenti specifici che essi trattano.

Occorrerebbe che in precedenza, però, i presentatori dei vari ordini del giorno, che toccano problemi comuni, con soluzioni eguali, si mettessero d'accordo, per presentare un testo solo, in maniera da togliere all'Assemblea la preoccupazione della scelta dell'ordine del giorno da porre in votazione.

Non vorrei che, accingendoci poi a votare quegli ordini del giorno che presentano una analogia e che sono confondibili tra di loro, sorgesse la questione della precedenza.

In genere gli ordini del giorno trattano questi problemi:

1°) La giuria. A questo tema è dedicato un articolo sul quale è stata presentata tutta una serie, di emendamenti. Io credo che il modo migliore di pronunciarci sull'argomento è di votare sugli emendamenti e poi sull'articolo.

2°) L'indipendenza della Magistratura. Tutti coloro che hanno parlato, vi si sono a lungo soffermati.

Si ritiene necessario votare un ordine del giorno a questo proposito, o non è ben più consigliabile dare agli articoli della Costituzione per questo Titolo un tale contenuto, che assicuri di per sé questa indipendenza senza affermarla con una votazione che non porterebbe a nessun risultato concreto?

3°) La Corte costituzionale. Ho già fatto presente all'onorevole Adonnino che questo problema potrebbe essere esaminato quando passeremo al sesto Titolo di questa parte del progetto di Costituzione;

4°) Cassazione unica oppure Cassazioni regionali.

Nel testo del progetto non c'è nessun articolo che si riferisca al problema della Cassazione, ma vari emendamenti lo trattano e propongono. Io credo che sia opportuno rinviarne, al momento nel quale li esamineremo, la soluzione, e pertanto di decidere allora sugli ordini del giorno che propongono la Cassazione unica o le Cassazioni regionali.

5°) Ed infine abbiamo la questione del divieto della iscrizione a partiti politici da parte dei magistrati. Data la definita concretezza della questione, mi pare che sia assai meglio votare sull'articolo, anziché su un ordine del giorno, che dovrebbe poi essere a sua volta trasfuso in un articolo per acquistare valore costituzionale.

Per tutte queste considerazioni io sono del parere che (essendo stato utile ed interessante ascoltare in soprannumero, oltre agli oratori iscritti nella discussione generale, anche i presentatori degli ordini del giorno), giunti a questo punto, possiamo passare all'esame degli emendamenti.

Se non vi sono obiezioni, o se qualche presentatore di ordine del giorno non rivendica il diritto di porlo in votazione, propongo dunque all'Assemblea di passare all'esame degli emendamenti relativi all'intitolazione di questo titolo.

L'onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione a questo riguardo.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Aderisco pienamente alla proposta del Presidente.

(Così rimane stabilito).

[L'esame e la votazione degli emendamenti agli articoli, sono riportati a commento degli articoli ai quali si riferiscono.]

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti