La nascita della Costituzione

Relazioni e proposte presentate nella Commissione per la Costituzione
III Sottocommissione

 

RELAZIONE

del deputato PESENTI ANTONIO

SU

L'IMPRESA ECONOMICA NELLA RILEVANZA COSTITUZIONALE

 

Per quanto non voglia invadere il campo altrui, non mi è possibile trattare l'argomento che mi è stato affidato dalla terza Sottocommissione senza riferirmi ad alcuni principi generali da cui derivano gli altri più particolari riferentesi al mio tema.

1. — LIMITI DELLA FORMULAZIONE COSTITUZIONALE

La Costituzione non è un programma: essa definisce principi generali che regolano rapporti e situazioni sociali già esistenti. Però in tempo di rapida trasformazione sociale e di creazione di un nuovo assetto quale è il caso del nostro Paese, in cui si stanno creando rapporti e situazioni sociali nuove, non ancora definite, si può, senza cadere nella astrattezza e mantenendo alla formulazione delle norme costituzionali il carattere proprio di obbligo giuridico, sancire dei principî che anticipino la realtà sociale che si sta creando. È possibile sancire alcuni principî cioè la cui realizzazione rappresenti una esigenza morale e giuridica della coscienza popolare e la cui attuazione non sia al di fuori della realtà sociale del nostro Paese e del nostro tempo.

Prendiamo come esempio l'affermazione del diritto al lavoro, come diritto soggettivo che si trova espressamente nella Costituzione dell'U.R.S.S. (art. 118) e nel progetto francese 1945 (art. 26) e che appare indirettamente in altre Costituzioni (jugoslava, articolo 32). Da un punto di vista di fatto è chiaro che soltanto un'organizzazione sociale basata sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione e su di un piano economico dell'investimento e della produzione può assicurare la realizzazione di tale principio, inteso appunto non come affermazione morale ma come obbligo giuridico dello Stato a procurare lavoro al cittadino.

Da questo deriva, forse, che tale principio non debba essere sancito in una Carta costituzionale moderna di uno Stato basato sulla proprietà privata? Mi pare di no. Io penso che tale principio debba essere sancito anche nella Carta costituzionale nostra. Il principio del diritto al lavoro in una società in cui sia ammessa la libertà di investimento dei mezzi di produzione diventa un obbligo generico, una indicazione in favore di una politica di piena occupazione e di spesa pubblica, cioè di intervento dello Stato nella vita economica, con varie forme tendenti, nel loro complesso, al raggiungimento di tale meta, per quanto essa sia possibile nel sistema capitalistico di produzione e ciò in netto contrasto con i criteri informatori della politica economica della società capitalistica di concorrenza che hanno ovunque prevalso nel passato. Questo principio, qualora venga sancito nella Costituzione, oltre a costituire una precisa indicazione di politica economica e affermare una esigenza della coscienza popolare moderna, ha inoltre conseguenze giuridiche importanti. Da esso, e non da altri, può derivare il principio del diritto al riposo retribuito, del diritto alla protezione sociale, intesa non come organizzazione assicurativa mutualistica di carattere privato — sia pure con riconoscimento e controllo statale — ma come preciso obbligo della società di garantire un minimo di vita e di difesa sociale a chi, per colpa non sua o per inabilità, non ha il lavoro a cui avrebbe diritto. Ecco perché anche nella nostra società è bene affermare il diritto al lavoro. Se esso nella sua forma principale non è immediatamente attuabile, esso sta alla base di diritti sussidiari, sostitutivi che possono essere immediatamente realizzati.

2. — IL DIRITTO DI PROPRIETÀ

Ciò premesso — e spero che l'esempio abbia chiarito i limiti che a mio parere sono da dare alle formulazioni della Carta costituzionale — è indubbio che, alla base di ogni formulazione di carattere economico, deve stare una chiara definizione del principio di proprietà. Io credo che tutti convengano nella formulazione di una norma che, riconoscendo il principio della proprietà privata, non lo esprima secondo la vecchia formulazione del diritto romano, ma ponga delle limitazioni diverse e che appaiono più o meno delle Carte costituzionali moderne anche se esse non sono di Paesi a regime socialista o tendenzialmente socialista. Infatti simili formulazioni noi le troviamo non solo nelle Costituzioni dell'URSS o della Jugoslavia ma anche nel progetto francese e già prima nelle Costituzioni del dopoguerra (Weimar, articoli 34-35). La formulazione può seguire due metodi diversi: o partire dall'affermazione generale del principio del diritto alla proprietà privata, aggiungendo poi le limitazioni che a questo principio sono da porre nell'interesse dell'intera società, cioè della Nazione, oppure, analiticamente, affermare e garantire le diverse forme di proprietà che sono andate costituendosi nella società moderna o che sono in via di costituirsi.

Il primo metodo, che si scosta meno dalla tradizione, si riscontra nelle nuove Carte costituzionali dei Paesi vecchi (Francia, per esempio), il secondo nelle Carte costituzionali dei Paesi come l'URSS e la Jugoslavia. Il risultato sostanziale è lo stesso: il riconoscimento della nuova situazione sociale, di rapporti economici nuovi che devono essere garantiti, difesi, salvaguardati.

Quali sono i limiti sostanziali alla proprietà privata che esistono di fatto nella società contemporanea e che corrispondono, oltre che ad una esigenza economica dell'interesse nazionale, anche ad una esigenza della coscienza popolare? È bene ricordarli perché ad essi corrispondono forme diverse di impresa. In breve ci si può richiamare alla funzione sociale della proprietà, riconosciuta da tutte le Carte costituzionali, ma è chiaro che questa formulazione eccessivamente generica trova la sua concretizzazione in fatti specifici, in limiti comuni a tutte le forme di proprietà e nella distinzione di forme particolari di proprietà che corrispondono a forme particolari di imprese economiche.

La prima limitazione effettiva è che oggi tutta la proprietà — e quindi qualsiasi impresa economica — deve sottostare alle limitazioni poste dalla politica economica nazionale, si esplichi essa in un piano organico di produzione cioè in un piano economico oppure soltanto in piani di intervento parziali. Di ciò del resto abbiamo esempio anche nella realtà economica italiana — e fossero essi maggiori e più efficienti per il bene del Paese — nel C.I.R., nel «Piano di importazioni», nella Commissione centrale dell'industria, e più notevoli essi sono anche in Paesi che pure hanno struttura sociale simile alla nostra. Questa limitazione deve essere affermata da una Carta costituzionale moderna come una realtà, non solo inseparabile della nostra costituzione economica, ma corrispondente ad una esigenza della coscienza popolare e al principio della funzione sociale della proprietà. Essa potrebbe affermarsi con una formulazione positiva «nella sua funzione sociale la proprietà deve uniformarsi alle direttive della politica economica nazionale stabilita dallo Stato, ai piani economici fissati dagli organi statali» o negativa «... non può sottrarsi, ecc.», o in modo ancora più forte: «la vita economica del Paese è regolata dallo Stato nell'interesse della Nazione mediante un piano economico di produzione a cui devono uniformarsi i singoli soggetti economici». A questa limitazione di carattere generale sono soggette tutte le forme di proprietà (e quindi di impresa) siano esse statali, nazionalizzate, cooperative, sotto il controllo pubblico o privato, di grande o di piccola dimensione. Questa limitazione è espressa nelle Carte costituzionali in modo netto e deciso, in quella sovietica e in quella jugoslava (art. 15), ma si trova in molte altre Carte costituzionali del dopoguerra. L'altro principio fondamentale che pone un limite alla proprietà privata e dal quale deriva il fondamento dell'organizzazione sindacale della protezione e della assicurazione sociale, è dato dal fatto che la produzione non ha fine a se stessa, ma serve per assicurare una vita degna e possibile al popolo italiano: la produzione serve cioè per l'uomo e non l'uomo per la produzione. La base dell'intervento del lavoratore nella produzione sta proprio qui. Perché l'impresa basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione non serva solo per creare profitti, indipendentemente dall'interesse nazionale, ma per creare prodotti e lavoro, perché la produzione sia potenziata, occorre che le masse lavoratrici partecipino direttamente alla direzione della vita economica, cioè dell'impresa economica qualunque forma questa abbia. E ciò come formulazione generale deve risultare anche dalla Carta costituzionale (questo principio è genericamente espresso oltre dalle solite Costituzioni anche dall'articolo 38 del progetto francese). Sotto questo aspetto la proprietà privata trova due limiti:

a) nell'affermazione che il lavoratore attraverso le sue organizzazioni sindacali deve garantire al lavoro condizioni umane di retribuzione e quindi di vita, nei limiti alla durata e alle condizioni di lavoro posti per legge;

b) nel riconoscimento del diritto al lavoratore come fattore fondamentale della produzione di intervenire nella direzione del processo produttivo assieme al proprietario dei mezzi di produzione.

Essendo due casi distinti, sarebbe bene che fossero espressi con due diverse formulazioni. Queste non farebbero altro che sancire una realtà sociale in atto e corrispondere ad un principio democratico vivo ed operante nella coscienza popolare del Paese. La seconda affermazione sta infatti alla base del riconoscimento giuridico dei Consigli di gestione o di impresa.

3. — LE DIVERSE FORME DI IMPRESA

Non c'è differenza tra forma di proprietà e forma di impresa e pertanto dalla realtà sociale che esprime parecchie forme di proprietà e dal principio della funzione sociale della proprietà, deriva il diritto dello Stato di avocare a sé, sotto diverse forme — statizzazione, nazionalizzazione, controllo — quelle forme di proprietà o di impresa la cui dimensione relativa possa costituire un pericolo per la società, per l'interesse dell'economia del Paese o possa rendere di fatto inefficienti i limiti generali posti al diritto di proprietà nell'interesse della Nazione.

Nella realtà sociale italiana contemporanea abbiamo forme diverse di proprietà a cui corrispondono necessariamente forme diverse di impresa. Esse abbisognano tutte di un riconoscimento e di una particolare tutela giuridica.

Abbiamo la proprietà statale demaniale che non sarebbe male ricordare nella Carta costituzionale, perché sia posta sotto la tutela dell'intera cittadinanza. Non sempre il cittadino la tratta come cosa sua, anzi molto spesso la considera cosa di nessuno e non la difende. Abbiamo l'impresa statizzata: monopoli di Stato, ferrovie, per citare gli esempi più importanti. Questo tipo di impresa, che corrisponde ad una particolare forma di proprietà, non differisce dal punto di vista funzionale dall'impresa privata produttiva, e pertanto non deve essere sottratta ai due limiti fondamentali che riguardano tutte le forme di proprietà e di impresa, ma è bene che essa sia distintamente ricordata e distintamente tutelata. Abbiamo ancora un fenomeno sociale molto importante, che rappresenta una forma particolare di proprietà e quindi di impresa, non ancora definita dal nostro diritto costituzionale, mentre lo è in altre Carte costituzionali moderne (esempio: Francia, art. 36; Weimar, art. 156); ma che è una realtà sociale che noi dobbiamo affrontare e risolvere democraticamente con l'unico principio moderno: quello cioè della nazionalizzazione. È la proprietà e l'impresa che per la sua dimensione o la sua posizione monopolistica assume un interesse rilevante nella vita economica nazionale, sicché rappresenta non più un interesse privato o di privati ma un interesse nazionale e come tale deve essere posto sotto il controllo della Nazione. Sono le imprese (e la proprietà delle imprese) esercenti servizi pubblici (telegrafi, telefoni) o di pubblica utilità (acquedotti, ecc.); sono le proprietà e le imprese riguardanti le fonti essenziali di energia (miniere, petroli, elettricità) che in genere assumono anche forme monopolistiche, è la proprietà e l'impresa che per la sua dimensione, per la sua posizione di monopolio e per la sua connessione nella vita economica del Paese assume tale importanza da cambiare di qualità: divenire una forma particolare di proprietà e d'impresa che non è ammissibile, rimanga forza potente in mano a privati cittadini. Non voglio fare esempi concreti della realtà italiana, poiché ciò potrebbe anche dividere le opinioni dei presenti. Il principio nella sua generalità è accettato da tutti: quando l'impresa assume queste caratteristiche deve essere nazionalizzata. Con questa parola si possono intendere realtà diverse: la Carta costituzionale si deve limitare a fissare il principio: la pratica attuazione sarà devoluta a leggi speciali, particolari, che si richiamino appunto a questo principio fondamentale stabilito dalla Costituzione. Queste leggi potranno stabilire e la nazionalizzazione in senso proprio di alcune imprese, cioè il passaggio della proprietà allo Stato e la gestione di esse attraverso forme particolari o di statizzazioni (nella forma indicata precedentemente, esempio; telefoni) o di nazionalizzazione, con autonomia di impresa, in forme diverse, dipendenti dalla situazione nazionale e della storia nazionale (esempio: nazionalizzazioni in Inghilterra, in Francia, delle miniere e delle banche — in Italia esiste l'I.R.I. la cui riforma potrebbe creare una forma particolare di nazionalizzazione). In ogni caso la caratteristica della nazionalizzazione di fronte alla statizzazione dovrebbe consistere in una più larga autonomia dell'impresa con proprio Consiglio di amministrazione in modo da evitare ogni burocratizzazione e mantenere l'agilità caratteristica dell'impresa industriale.

Da questo stesso principio potrebbe derivare una forma più tenue di controllo possibile ed esistente di fatto, non giungente ad una vera e completa nazionalizzazione che comporta il passaggio della proprietà allo Stato, ma forme miste, in cui il capitale di comando sia in mano dello Stato e a forme di controllo limitate ad esami di bilanci aziendali e a fissazioni di tariffe.

Non credo opportuno esaminare in questa sede e le varie ipotesi e le varie possibilità di concreta realizzazione di tali principi, in quanto credo che tale non sia il compito della Carta costituzionale. Voglio solo rilevare che questo principio così generale della limitazione sociale della proprietà e dell'impresa e che può assumere varie forme concrete, vale non solo nel campo dell'economia industriale, ma pure nel campo dell'economia agraria: la proprietà e l'impresa assenteistica o latifondista o oltre certe dimensioni, trova con questa generica enunciazione la possibilità di una sua modificazione e del susseguente fondamento giuridico dell'intervento dello Stato per una specifica riforma agraria.

Ma non sono queste sole le forme d'impresa e di proprietà d'interesse nazionale che la Costituzione dovrebbe ricordare e tutelare. È interesse nazionale tutelare oltre che la proprietà e l'impresa di Stato o nazionalizzata, l'impresa e la proprietà Cooperativa, e l'impresa e la proprietà privata, in special modo quella di media e piccola dimensione.

L'impresa cooperativa rappresenta un tentativo sociale di difesa dei lavoratori che uno Stato democratico non può trascurare e deve anzi proteggere. Un riconoscimento della funzione sociale di questa forma di proprietà e d'impresa posto nella Carta costituzionale dovrebbe essere alla base di una legislazione particolare, a favore delle cooperative. Infine non è male che nella Carta costituzionale sia riaffermata l'utilità sociale dell'impresa artigiana e media e ne sia assicurata la protezione da parte dello Stato.

Tutte queste realtà sociali, tutti questi interessi di rilevanza nazionale che io ho sommariamente ricordato potrebbero trovare la loro formulazione nella Carta costituzionale in pochi articoli nei quali il concetto d'impresa viene necessariamente a confondersi con quello di proprietà: il che del resto è in tutte le Carte costituzionali o progetti di esse.

Senza nessuna pretesa per quello che riguarda la forma, ma solo per indicare la posizione dei vari concetti nella loro conseguenza logica, credo opportuno di formulare una serie di proposizioni soltanto per ciò che si riferisce al mio argomento:

a) la proprietà è il diritto di usare, di godere, di disporre dei beni garantiti a ciascuno dalla legge;

b) la proprietà dei mezzi di produzione può essere privata, cooperativa o di Stato. Lo Stato riconosce e garantisce e tutela la proprietà privata e l'iniziativa economica privata. Lo Stato e tutti i cittadini hanno il dovere di difendere la proprietà statale demaniale, la proprietà delle collettività pubbliche, la proprietà degli Enti pubblici e delle imprese statali e nazionalizzate;

c) la proprietà privata non può essere espropriata che per legge;.

d) il diritto di proprietà non potrà essere esercitato in contrasto con l'utilità sociale, con le direttive e i programmi economici stabiliti dallo Stato o in modo da arrecare pregiudizio alla proprietà altrui, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana col deprimere il livello di esistenza al di sotto del minimo stabilito dai bisogni umani essenziali;

e) ogni proprietà che nel suo sviluppo ha acquistato o acquista, sia per riferirsi a servizi pubblici essenziali o a situazioni di monopolio o a fonti di energia, o a dimensioni relativamente rilevanti, caratteri tali da assumere un aspetto di preminente interesse nazionale, deve diventare proprietà della collettività nazionale o essere posta sotto il diretto controllo della Nazione;

f) per garantire lo sviluppo economico del Paese e per assicurare nell'interesse nazionale l'esercizio del diritto e delle forme di proprietà previste dalla legge, lo Stato assicura al lavoratore il diritto di partecipare alle funzioni di direzione dell'impresa, siano esse aziende private, pubbliche o sotto il controllo della Nazione;

g) lo stato riconosce la funzione sociale:

delle imprese gestite direttamente o indirettamente dalla Nazione;

delle imprese cooperative;

delle imprese private direttamente gestite dal proprietario.

Nell'interesse della Nazione ne assicura lo sviluppo e la protezione.

Credo che nel complesso tali norme siano sufficienti per esprimere e proteggere la realtà sociale del nostro tempo e corrispondere alle esigenze della nostra coscienza popolare.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti