La nascita della Costituzione
Relazioni e proposte presentate nella Commissione per la Costituzione
II Sottocommissione
RELAZIONE
del deputato LEONE GIOVANNI
SUL
POTERE GIUDIZIARIO E SULLA CORTE DI GARANZIA COSTITUZIONALE
A) POTERE GIUDIZIARIO
I.
PREMESSA
La disciplina costituzionale del potere giudiziario deve, innanzi tutto, obbedire ad un criterio di concentrazione sintetica atta ad imprimere alle norme che saranno emanate quell'unità di carattere sistematico che deve informare tutta la Carta costituzionale. Con la intuitiva riserva che l'estensione delle norme concernenti il potere giudiziario sarà adeguata agli sviluppi che assumeranno le altre parti della Costituzione; resta inteso che dovrà riservarsi a tali norme uno spazio idoneo a regolare, in maniera compiuta, integrale ed organica, i principî generali sulla definizione, organizzazione e guarantigie del potere giudiziario.
Vero è che da più parti, e soprattutto da quegli studiosi e politici che nobilmente sentono l'ansia verso nuovi orizzonti di una disciplina costituzionale del potere giudiziario, si auspica una regolamentazione ampia di tale aspetto della riforma costituzionale, quasi da profilarsi perfino l'aspettativa di una specie di rinnovata legge di ordinamento giudiziario. Nei confronti di questa aspettativa conviene subito rilevare — quasi a mò di prefazione alla presente relazione — che non è corretto né opportuno aderire a un simile orientamento. Non è corretto perché non rientra nel potere costituente il compito di passare alla formulazione di una completa disciplina legislativa di tutta una materia, dovendosi la carta costituzionale limitare a fissare quei principî che in apicibus spetta ad un'Assemblea costituente determinare. Non è opportuno perché le norme, che, in derivazione o in applicazione delle regole generali fermate nella Carta costituzionale, saranno formulate, dovranno essere precedute da un ampio ed adeguato dibattito.
L'aspettativa innanzi segnalata, tuttavia, dev'essere presa in attenta considerazione soprattutto per il fondamento che la sorregge: l'ansia, cioè, di un popolo che tenta le vie della sua rinascita democratica e, che tra le tante cose distrutte, ha visto messe più volte in pericolo la sovranità e l'indipendenza del potere giudiziario e, pertanto, aspira a vederne garentiti l'organizzazione e l'esercizio in maniera definitiva, che non siano pertanto soggetti a quelle oscillazioni ed a quei mutamenti che le alterne vicende della politica potrebbero determinare. Esaminata in questa luce, l'aspettativa di cui ci occupiamo deve sfociare in un duplice profilo:
a) occorre assegnare alla disciplina del potere giudiziario un complesso di norme che tenga conto della preoccupazione del Paese di vederne compromessa in avvenire la vita indipendente, raggiungendo un'estensione che superi possibilmente (e, comunque, non resti al disotto) le Costituzioni contemporanee, che di regola riservano uno spazio angusto a tale capitolo;
b) nell'eventualità che si decida di consegnare al Paese una costituzione rigida e che, in conseguenza, si crei la distinzione fra norme costituzionali e norme ordinarie; occorre assegnare le norme di principale interesse per la disciplina del potere giudiziario alla sfera delle norme costituzionali (così la legge sullo stato giuridico dei magistrati).
II.
SISTEMA E DISTRIBUZIONE DELLA MATERIA
Lo norme che, a parere del relatore, troveranno posto nella Carta costituzionale in tema di potere giudiziario dovranno imperniarsi sui seguenti punti:
a) definizione del potere giudiziario;
b) guarantigie del potere giudiziario;
c) problema delle giurisdizioni speciali.
A) Definizione del potere giudiziario.
I. — L'opinione degli studiosi e dei politici si orienta nel senso di sostituire alla terminologia dello Statuto Albertino «ordine giudiziario» l'altra «potere giudiziario» (vedasi, in tal senso, la relazione contenuta nel volume I della Relazione all'Assemblea Costituente della Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, pag. 232 e segg.).
La nuova terminologia risponde alle seguenti esigenze:
a) innanzitutto ricolloca la funzione giudiziaria, l'esercizio della giurisdizione cioè, nella sua indiscutibile posizione di potere dello Stato. È tradizione liberale e democratica considerare la giurisdizione come uno dei potori statali, da tener distinto dagli altri due poteri (legislativo ed esecutivo). Non è neppure da prendere in considerazione, nel clima nel quale la Costituente va svolgendo il suo storico compito, la tesi secondo la quale l'esercizio della giurisdizione si attua per conto o alle dipendenze del potere esecutivo. A tal fine alla dichiarazione dello Statuto albertino che la giustizia emana dal Re (art. 68) non è da sostituire neppure quella analoga che faccia emanare la giustizia dal Presidente della Repubblica. È, invece, più corretto fissare il principio che la giustizia si esercita in nome della legge, che rappresenta l'astratta configurazione della dipendenza del giudice soltanto dalla legge.
Con la proposta nuova terminologia si ribadisce (il che potrebbe apparire superfluo, ma non del tutto inutile) l'autonomia del potere giudiziario, che viene così ancora più nettamente stagliato nella sua essenza in confronto degli altri poteri statali;
b) in secondo luogo slega l'organizzazione del potere giudiziario da quelle adeguazioni agli altri rami delle amministrazioni pubbliche che, da una parte, sono del tutto inutili (se non umilianti: converrà rilevare, a tal proposito, l'opportunità, da esaminare in sede di regolamentazione dello stato giuridico dei magistrati, di abolire la gerarchia dei gradi impiegatizi), e dall'altra rendono impossibile, o per lo meno ostacolano moltissimo, quell'auspicata, tanto invano attesa, realizzazione della indipendenza della magistratura. Quando si sarà integralmente distaccata l'organizzazione della magistratura dall'adeguazione alle altre amministrazioni pubbliche e si sarà diffusa la considerazione del corpo giuridiziario conio potere statale, sarà più agevole predisporre un trattamento economico della magistratura che (pur non rinnegando le giuste aspettative degli altri dipendenti dello Stato) tenga conto della particolare, altissima funzione giudiziaria e della necessità (che deve costituire un urgente e vitalissimo interesse dello Stato) di veder garentita l'indipendenza economica della magistratura, che è l'insopprimibile premessa della sua indipendenza funzionale;
c) legittima, infine, quella definizione di natura costituzionale delle leggi concernenti lo stato giuridico dei magistrati, della cui opportunità si è sopra discorso.
II. — Premessa la necessità di assumere la nuova terminologia, passiamo a studiare la definizione di tale potere.
Ai fini di questo profilo occorre stabilire se sia opportuno definire il contenuto del potere giudiziario. Al naturale orientamento in senso affermativo osta sovratutto la enorme difficoltà di definire l'essenza della giurisdizione, nel che si incarna il potere giudiziario. Non è questa la sede adatta a prospettare le incertezze ed i dissensi sulla definizione della giurisdizione, che costituisce uno dei capitoli più tormentati del diritto processuale, anzi del diritto pubblico in genere.
L'ostacolo, tuttavia, può essere superato considerando che una Carta statutaria non ha il dovere di definire in maniera definitiva ed integrale il concetto di giurisdizione, potendosi accontentare di darne la definizione meglio rispondente a quella concreta visione della funzione giurisdizionale che è diffusa nel popolo. Orbene, utilizzando anche le conclusioni a cui è pervenuto la dottrina processuale, può identificarsi la giurisdizione nell'interpretazione e nell'applicazione del diritto. In questa definizione, peraltro sufficientemente semplice ed elementare (il che appare un indiscutibile pregio, se è vero che la formulazione delle norme statutarie deve obbedire ai criteri della più larga intellegibilità), restano compresi gli aspetti vari della giurisdizione, e cioè: a) la facoltà di decisione (notio); b) la facoltà di coercizione (imperium); c) la facoltà di documentazione; e si colloca perfino la cosidetta giurisdizione volontaria di così discussa natura.
Alla definizione dell'essenza del potere giudiziario occorre far seguire una norma che delimiti gli organi del potere giudiziario. L'opportunità di tale norma si ricollega alle disposizioni delle leggi di ordinamento giudiziario, che hanno cura di definire gli organi dell'allora denominato ordine giudiziario (vedasi in proposito l'art. 4 del Regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12).
Un istituto che reclama una sistemazione netta, scevra di quegli equivoci che attualmente lo contornano, è quello del pubblico ministero. Nella legislazione vigente può dirsi configurato come organo del potere esecutivo (in verità non mancano orientamenti scientifici diretti ad assegnargli natura giurisdizionale); ma con un certo complesse di garanzie che lo accosta molto agli organi del potere giudiziario. Su questa linea un passo decisivo è stato compiuto dal Regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, che riduce il potere di direzione del Ministro della giustizia (art. 69 ordinamento giudiziario Regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12) ad un potere di vigilanza (art. 39) ed estende ai magistrati del pubblico ministero la guarentigia dell'inamovibilità.
Ma — per una visione chiara del problema — occorre discostarsi per ora da tali aspetti della disciplina del pubblico ministero, che costituiscono, pur nella loro indiscutibile importanza, applicazioni o derivazioni da un principio; e riportare la discussione al tema dei rapporti tra i tre tradizionali poteri. Orbene, su questo punto occorre innanzitutto premettere che separazione non vuol dire distacco netto: una costituzione che voglia essere sana e vitale deve disciplinare gli inevitabili rapporti tra i poteri, in maniera da una parte di non confonderli e dall'altra di non tenerli chiusi in reparti staccati ignorantisi tra di loro. È indispensabile, cioè, congegnare la costituzione in modo che ciascun potere abbia, in certi limiti, il diritto di controllare l'attività dell'altro.
Questa premessa conduce a ritenere indispensabile presso il potere giudiziario un organo del potere esecutivo, che si porga come il momento di collegamento tra i due poteri.
Occorre tener conto, inoltre, di un altro importante profilo.
Delimitando l'indagine al settore della giustizia penale (che è, poi, quello preminente), non può negarsi che il pubblico ministero, in quanto promotore e dominus dell'azione penale, rappresenta la pretesa punitiva dello Stato (o, se si vuole, il diritto soggettivo statale alla punizione del reo); fa valere, cioè, innanzi all'Autorità giudiziaria l'interesse dello Stato alla punizione del reo. Ora questa funzione rientra nell'ambito di attività del potere esecutivo, che, invece di procedere direttamente alla punizione del reo, si autolimita, chiamando a giudicare su tale pretesa il potere giudiziario. Se è così, non si comprende una riconduzione del pubblico ministero nella sfera di funzioni e prerogative del potere giudiziario. In quanto parte (sia pure in un senso formale, sia pure sui generis, sia pure con doveri di obiettività e imparzialità), il pubblico ministero non può avere la stessa natura dell'organo giudicante.
Né si potrebbe tentare di disancorare il pubblico ministero da questa sua funzione; giacché, se ciò accadesse, resterebbe non solo snaturata la sua funzione, bensì annullata la stessa ragione della sua esistenza.
Questa impostazione porta a ribadire con maggiore chiarezza ed energia il carattere di organo del potere esecutivo nel pubblico ministero con la conseguenza di delimitarne i poteri, sottraendogli pertanto tutte quelle funzioni che sono tipicamente giurisdizionali (come, ad esempio, il potere di istruire, in via sommaria, il processo). Al pubblico ministero, in questa nuova visione, potrebbero attribuirsi i poteri di:
a) promotore dell'azione penale;
b) capo della polizia, non solo giudiziaria; ma in genere di tutta la polizia. In tal modo si viene a predisporre una direttiva imparziale della polizia, impersonata in un magistrato;
c) organo di sorveglianza per l'applicazione delle leggi;
d) organo esecutivo delle sentenze penali.
È evidente che, così congegnata la funzione del pubblico ministero — mentre è opportuno che il reclutamento sia attuato con gli stessi criteri che si adotteranno per la nomina dei magistrati del potere giudiziario — non può mantenersi l'inamovibilità e dovrà ripristinarsi una scala gerarchica che farà capo al Ministro della giustizia.
B) Guarentigie del potere giudiziario.
Quando si parla di guarentigie del potere giudiziario si enuncia un principio che può apparire di comune accettazione. Basterà, infatti, consultare tutte le costituzioni contemporanee per accertare che in nessuna manca l'affermazione che i giudici sono indipendenti e non sono soggetti che alla legge.
Ma è necessario non accontentarsi di tale vaga affermazione, la quale non è raro anneghi in applicazioni in aperto contrasto al principio medesimo. È indispensabile quindi predisporre un'organizzazione del potere giudiziario che ne garantisca l'indipendenza dagli altri poteri e dallo stesso fluttuare degli eventi politici sia nel momento formativo (nomina dei giudici), sia nell'esplicazione del potere, sia nello sviluppo della carriera.
I. — Per quanto concerne il primo momento (nomina dei giudici) occorre porre una prima norma: quella che stabilisce la scelta degli organi del potere giudiziario mediante concorso. Tale sistema, naturalmente, è all'antitesi del sistema elettivo. Non occorrerà spendere molte parole per dimostrare come in genere, ed in Italia in ispecie, quest'ultimo tipo di assunzione dei magistrati sia il meno idoneo a costituire un sano ed indipendente potere giudiziario. Basterebbe, a tal fine, pensare da una parte all'impossibilità di esaminare, in sede elettorale, la capacità tecnica degli aspiranti e, dall'altra, all'asservimento del magistrato al potere politico. Si sconsiglia, perciò, di far posto a magistrature elettive anche nei limiti delle più modeste funzioni giudiziarie.
Un altro principio occorre stabilire, correlativamente al precedente: quello dell'assunzione mediante concorso. A questo punto, però, si deve domandare se convenga delimitare anche la forma del concorso (per esame). In verità nel quadro dell'attuale organizzazione degli studi, la forma del concorso per esame appare la più idonea a realizzare un criterio di giustizia nella scelta. Ma, d'altra parte, non può escludersi sia che in determinati momenti possa apparire consigliabile anche un concorso per titoli, sia che, in un nuovo ordinamento degli studi (nei quali la laurea ed in genere la carriera universitaria riconquistino la loro dignità e la loro efficacia), il concorso per titoli possa perfino apparire come una forma più perfetta di scelta dei magistrati.
Per questi motivi si consiglia di non specificare la forma del concorso per l'assunzione dei magistrati.
Cade qui opportuno l'esame del problema delle magistrature onorarie. In tesi astratta non si dovrebbe dar luogo a simili forme di magistrature sia perché non sempre hanno dato buon risultato, sia perché l'altezza della funzione giudiziaria esige che questa non possa essere affidata che a persone scelte con i massimi criteri di selezione ed adusati al delicato esercizio del potere giudiziario. Per questo si propone l'abolizione delle magistrature onorarie.
Ma, ove, per motivi pratici (fiscali), occorresse ancora mantenerle, sarebbe opportuno delimitarle (com'è attualmente) alle magistrature minori.
Disciplinandosi la forma di scelta degli organi del potere giudiziario, è opportuno pure in sede di carta statutaria stabilire, per lo meno in linea generale, che la nomina della commissione di concorso viene sottratta al potere esecutivo, contribuendosi in tal modo alla ulteriore garanzia di indipendenza del potere giudiziario. Le Commissioni di nomina ministeriale possono, sia pure in limiti ridotti, subire l'ispirazione politica mentre è indispensabile che la nomina delle medesime venga riservata allo stesso potere giudiziario.
Basterà la consacrazione di tale principio, lasciandosi alla legislazione ordinaria l'ulteriore disciplina della formazione delle Commissioni di concorso (composizione, qualità dei componenti, partecipazione di professori universitari, ecc.)
Conviene, infine, elencare gli organi del potere giudiziario, secondo quella scala che è ormai tradizionale nella nostra organizzazione giudiziaria. Riferendoci per tale punto all'articolo 118 dell'ordinamento, più volte citato, del 1941 possono elencarsi gli organi secondo l'ordine che tracceremo alla fine del presente paragrafo.
Conviene, però, su tale punto procedere ad una essenziale innovazione. L'ordinamento giudiziario del 1941 parlava di «gradi» della magistratura. Questa nomenclatura rispecchiava una visione gerarchica, che è incompatibile con la essenza della funzione del potere giudiziario. La diversità di sfera di giurisdizione (limiti di giurisdizione in senso proprio o limiti di competenza) non può identificarsi con la diversità di potere. È canone universalmente accettato dalla dottrina quello dell'unità della giurisdizione: potere giudiziario in senso pieno ed assoluto è sia quello del conciliatore che quello della Corte di cassazione. Da ciò discende il ripudio del concetto gerarchico del potere giudiziario e la conseguente esclusione di una ripartizione per gradi.
In conformità a tale principio conviene introdurre una visione nuova del potere giudiziario, che va pertanto distinto in organi e non in gradi, completandosi, pertanto, quello sganciamento, di cui si è innanzi discorso, dalla equiparazione agli impiegati dello Stato. Con ciò si determina pure una nuova visione del potere giudiziario, nel cui ambito non vi è gerarchia, ma solo delimitazione di sfera di attribuzione. Allo stesso modo nell'ambito del potere legislativo non esiste una delimitazione gerarchica, bensì di funzioni. L'esistenza di una gerarchia nell'ambito del potere esecutivo non vale a orientare in senso contrario, essendo proprio della essenza del potere esecutivo una rigorosa organizzazione gerarchica.
Gli organi del potere giudiziario possono essere così stabiliti:
1°) uditori giudiziari;
2°) aggiunti giudiziari;
3°) giudici, pretore;
4°) consigliere d'appello, primi pretori;
5°) consigliere di cassazione;
6°) primo presidente di Corte d'appello presidente di sezione della Corte Suprema di cassazione;
7°) primo presidente della Corte Suprema di cassazione.
II — Le guarentigie che devono accompagnare l'esercizio del potere giudiziario si concentrano nel tradizionale principio della inamovibilità. Questa va intesa in duplice senso: come divieto della privazione delle funzioni e dello stipendio e come divieto di trasferimento autoritario. Tale principio va, naturalmente, tenuto fermo, prevedendosi tuttavia i casi in cui, per giustificato motivo, l'inamovibilità può non essere osservata. I casi sono previsti tassativamente dalle vigenti leggi di ordinamento giudiziario (articolo 2 e segg. Regio decreto-legge 31 maggio 1946, n. 511); e non pare opportuno riprodurli in una carta statutaria, essendo più consigliabile rinviarne la disciplina alle leggi di ordinamento giudiziario.
Conviene, infine, estendere l'inamovibilità a tutti gli organi del potere giudiziario, compresi pertanto gli uditori e gli aggiunti.
III. — Per quanto concerne la indipendenza del potere giudiziario nei confronti dei problemi di carriera, occorre predisporre una disciplina tale da distaccare del tutto la carriera degli organi del potere giudiziario dal potere esecutivo. Quando si parla di carriera s'intende riferirsi sia alla assegnazione della sede del magistrato sia alle promozioni.
L'assegnazione e gli spostamenti di sede sono attualmente di attribuzione del potere esecutivo; le promozioni sono circondate, in verità, da un complesso di notevoli garanzie di indipendenza, salvo per quanto concerne le designazioni dei capi di Corte devolute al governo. Occorre, pertanto, fare un passo avanti e creare una disciplina della carriera giudiziaria integralmente indipendente. In particolare:
a) l'assegnazione ed i mutamenti di sede è opportuno riservarli allo stesso potere giudiziario, in particolare al consiglio giudiziario ed al consiglio superiore;
b) le promozioni devono tutte (comprese le nomine dei capi di Corte) essere riservate al potere giudiziario, che può esercitare tale prerogativa o mediante Commissioni nominate dal Consiglio Superiore o mediante lo stesso Consiglio Superiore.
È chiaro che l'aumentato potere del Consiglio Superiore conduce a disciplinarne rigorosamente la nomina, che dovrà essere del tutto (o per lo meno in gran parte) elettiva. Per la parte elettiva conviene chiamare alla composizione del Consiglio, in osservanza del principio democratico, anche un consigliere di appello ed un giudice.
IV. — Appartiene al sistema di guarentigie concernenti l'esercizio del potere giudiziario la disciplina del potere disciplinare. È evidente, infatti, che l'eventuale attribuzione al potere esecutivo della facoltà di imporre sanzioni disciplinari assoggetterebbe i magistrati a quel vincolo di soggezione dell'esecutivo, che infirmerebbe l'indipendenza, del potere giudiziario.
Un gran passo su questa strada è stato già fatto col più volte citato Regio decreto-legge 31 maggio 1946, n. 511 (art. 13 e segg.); ma occorre annullare la norma dell'articolo 13, che stabilisce: «Il Ministro per la grazia e giustizia esercita l'alta sorveglianza su tutti gli uffici giudiziari, su tutti i giudici e su tutti i magistrati del pubblico ministero». Un regime — che si vuol costruire — di assoluta indipendenza del potere giudiziario non è compatibile con la sorveglianza di un organo del potere esecutivo. Questo potere di sorveglianza dev'essere trasferito al presidente del Consiglio Superiore, che è il primo presidente della Corte di cassazione.
Di conseguenza tutta la materia disciplinare deve restare nell'ambito del potere giudiziario, conservando al Ministro la facoltà di richiedere la promozione dell'azione disciplinare (art. 27 del citato decreto-legge).
C) Problema delle giurisdizioni speciali.
Il problema, è di particolare interesse perché, a modo di vedere del relatore, tocca uno degli aspetti più delicati della funzione del potere giudiziario.
Lo Statuto Albertino coll'articolo 71 («Niuno può essere distolto dai suoi giudici naturali, non potranno perciò essere creati tribunali o commissioni straordinarie») già poneva il divieto di creazione di tribunali straordinari; ma — a parte il significato dell'aggettivo «straordinario» — è noto che quel divieto non fu mai osservato e che, in particolare, in materia civile, amministrativa e penale furono, specie in regime fascista, creati numerosi tribunali speciali e perfino straordinari (basterà ricordare il tristemente famoso tribunale speciale per la difesa dello Stato).
La stessa legislazione postfascista, sia pure in relazione alle condizioni eccezionalissime del Paese, non ha avvertita la necessità di ripristinare l'osservanza di quel principio. Basterà ricordare il tribunale straordinario per il delitto di rapina (esteso di recente anche ad altri reati), sulla cui composizione e sul cui funzionamento potrebbero formularsi non pochi rilievi (ma non è questa la sede opportuna).
Il quadro delle giurisdizioni nel nostro Paese (senza tener conto per ora di quelle amministrative) è così vasto che — a parte le rilevanti difficoltà per gli stessi tecnici di saperne delineare le differenze ed i limiti — la giurisdizione ordinaria rischia di restarne sommersa. In materia penale, ad esempio, se si considera l'enorme ambito della giurisdizione militare (la quale attrae la competenza anche dei reati connessi) pure in tempo di pace e la recente giurisdizione del tribunale straordinario sopra ricordato, si constata che alla cognizione del giudice ordinario restano riservati i reati di minore gravità e anche di meno delikata indagine; con quanto prestigio per il potere giudiziario, è facile immaginare.
Può dirsi, pertanto, che nell'attuale disciplina delle giurisdizioni penali in Italia il divieto di creare tribunali straordinari si presenta come una sopravvivenza meramente teorica.
Occorre, invece, tornare decisamente a quel principio, che, in una Costituzione rigida e col controllo della Corte di Giustizia costituzionale, riuscirà finalmente a farsi rispettare; enunciandolo però in termini più rigorosi e di più ampia efficacia. La nuova definizione del principio deve tener conto dei seguenti punti:
a) Occorre abolire ogni giurisdizione speciale, e non solo straordinaria; compresa la giurisdizione militare, la quale può essere consentita soltanto in tempo di guerra.
Naturalmente, poiché per particolari indagini tecniche è consigliabile in alcuni processi utilizzare il contributo di particolari soggetti, deve consentirsi una composizione particolare del Collegio in tali situazioni.
b) Occorre risolvere definitivamente il problema della Corte di assise. Non è questa la sede per esporre compiutamente le opposte opinioni su tale Corte. Ma pare che nessun serio motivo — tranne un certo spirito demagogico, contro il quale occorre reagire — possa legittimare una composizione collegiale mista, in cui o prevale l'elemento tecnico sacrificando quasi sino al massimo il principio della decisione collegiale o provale l'elemento laico sacrificando la visione giuridica del caso. È più opportuno, invece, ricondurre la competenza della Corte di assise nell'ambito della competenza del tribunale.
c) Occorre abolire tutti quegli organi speciali in materia civile o affine, come il Commissariato per gli usi civici, ecc.
Per quanto concerne le giurisdizioni amministrative il problema è particolarmente delicato. Non pochi motivi indurrebbero alla soppressione. Senonché, accanto al rispetto della tradizione (della quale, quando non sia stata foriera di conseguenze deleterie, occorre tenerne conto nella formazione di una Carta costituzionale) si prospetta la distinzione tra giurisdizione di diritti soggettivi e giurisdizione di interessi legittimi, nella quale si riscontra la differenziazione tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa. Occorre, tuttavia, tener conto della deroga a tale criterio di differenziazione rappresentata dalla giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato.
Può, del pari, giustificarsi il mantenimento della Corte dei conti sul presupposto che — pur trattandosi di giurisdizione su diritti soggettivi — essa «completa la funzione di controllo della gestione finanziaria dello Stato.
Per delimitare la competenza delle giurisdizioni amministrative basterà rinviare alle leggi vigenti.
III.
GARANZIE GIURISDIZIONALI PER IL CITTADINO
Sarebbe incompleta la disciplina del potere giudiziario se in questa sede non si consacrasse pure la garanzia del cittadino nei confronti del diritto alla giurisdizione.
Tale garanzia assume vari aspetti:
a) eguaglianza dei cittadini di fronte al potere giudiziario: eguaglianza che si concreta nel divieto di escludere dal diritto di adire il potere giudiziario alcuni cittadini o categorie di cittadini;
b) eguaglianza delle cause nei confronti dello sviluppo della giurisdizione: eguaglianza che si concreta nel diritto di poter utilizzare per tutte le cause tre gradi di giurisdizioni, tranne eccezioni, da determinare espressamente, per le cause di infima importanza;
c) pubblicità dei dibattimenti penali (tranne casi tassativi di eccezione), che costituisce garanzia di osservanza della legalità attraverso il controllo dell'opinione pubblica;
d) garanzia dell'assistenza difensiva, con particolare riguardo all'imputato nel periodo istruttorio (basterà a tal riguardo ricordare l'inspiegabile divieto del codice militare dell'assistenza del difensore durante l'istruzione);
e) obbligo della motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali: con tale specificazione si sottraggono all'obbligo della motivazione, com'è nella tradizione, i provvedimenti puramente ordinatori o regolamentari.
L'obbligo della motivazione corrisponde, in regime democratico, al diritto dell'interessato (e della società in genere) a conoscere il fondamento di un provvedimento giurisdizionale.
POTERE GIUDIZIARIO
Art. 1.
Il potere giudiziario provvede alla interpretazione e applicazione del diritto.
Le sentenze si emanano in nome della legge.
Art. 2.
L'ammissione alle funzioni giudiziarie si consegue mediante concorso.
(Le attribuzioni onorarie di funzioni giudiziarie possono essere stabilite solo per i conciliatori ed i vice pretori).?
Art. 3.
Oltre i requisiti di capacità tecnica e morale, nessun limite può essere stabilito per l'ammissione ai concorsi.
Art. 4.
Le commissioni di concorso sono nominate dal Consiglio Superiore della Magistratura, secondo le norme contenute nella legge sull'ordinamento giudiziario.
Art. 5.
Il potere giudiziario è esercitato da:
1°) uditori giudiziari;
2°) aggiunti giudiziari:
3°) giudici, pretori;
4°) consiglieri d'appello, primi pretori;
5°) consigliere di cassazione;
6°) primo presidente di Corte di appello, presidente di sezione della Corte Suprema di cassazione;
7°) primo presidente presso la Corte Suprema di cassazione.
Gli organi del potere giudiziario non possono essere privati dalle funzioni e dallo stipendio e non possono essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altra funzione, salvo i casi espressamente previsti nella legge sull'ordinamento giudiziario.
Art. 6.
Le assegnazioni ed i mutamenti di sede degli organi del potere giudiziario sono disposti nell'ambito del distretto della Corte di appello dal Consiglio giudiziario e fuori di tale ambito da una particolare sezione del Consiglio Superiore.
Le promozioni alle funzioni superiori si conseguono mediante concorso per esame e per titolo, mediante concorso per titoli e per merito distinto o per merito a seguito di scrutinio, secondo le norme della legge di ordinamento giudiziario.
Le Commissioni sono composte di magistrati e di un professore ordinario di università e sono nominate da una particolare sezione del Consiglio Superiore.
La promozione a primo presidente del tribunale, primo presidente della Corte di appello, presidente di sezione di cassazione e primo presidente della cassazione è disposta dal Consiglio Superiore.
Art. 7.
Il Consiglio Superiore della Magistratura è composto dal primo presidente della Corte Suprema di cassazione, che lo presiede, da quattro membri estranei all'organizzazione del potere giudiziario, nominati due per ciascun ramo del Parlamento, e da undici membri effettivi e sei supplenti.
I componenti effettivi devono essere: cinque primi presidenti di Corte di appello o presidenti di sezione di cassazione, tre consiglieri di cassazione o magistrati di grado equiparato, un consigliere di appello, un giudice.
Le norme per le nomine dei membri elettivi e per il funzionamento del Consiglio Superiore saranno contenute nella legge di ordinamento giudiziario.
Art. 8.
Il primo presidente della Corte Suprema di cassazione esercita l'alta sorveglianza di tutti gli uffici giudiziari e su tutti gli organi giudicanti del potere giudiziario.
Il procedimento disciplinare a carico degli organi del potere giudiziario viene promosso, su richiesta del Ministro per la grazia e giustizia o di ufficio, dal pubblico ministero presso il tribunale o le Corti disciplinari.
Il tribunale e la Corte disciplinare sono composte da magistrati ed esercitano le loro funzioni secondo le norme della legge di ordinamento giudiziario.
Art. 9.
Il pubblico ministero veglia all'osservanza delle leggi; promuove l'azione penale e, nei casi previsti, l'azione civile e provvede all'esecuzione delle sentenze penali. In tutti i casi in cui ha diritto di promuovere l'azione o di partecipare al processo può impugnare i provvedimenti del giudice.
Art. 10.
La polizia è sotto la direzione del pubblico ministero.
Tranne nel caso di flagranza, gli organi di polizia non possono procedere all'arresto di alcuna persona. Il pubblico ministero e gli organi di polizia possono disporre il fermo di chiunque sia sospetto di un reato e devono dare comunicazione dell'arresto in flagranza o del fermo entro ventiquattro ore al giudice. Nel caso di mancata convalida, lo stato di cattura non può durare.
Art. 11.
Il pubblico ministero e gli organi di polizia possono procedere a tutti gli accertamenti che reputano opportuni.
L'istruzione spetta solo al potere giudiziario.
Art. 12.
Il Ministro per la grazia e giustizia esercita la vigilanza e la direzione sugli organi del pubblico ministero.
Art. 13.
La legge di ordinamento giudiziario è norma costituzionale.
Art. 14.
Non possono essere croati tribunali straordinari o speciali.
Possono istituirsi con legge per determinate materie sezioni speciali presso i tribunali ordinari con partecipazione di estranei al potere giudiziario in misura non superiore ad un terzo.
I tribunali militari possono essere istituiti solo in tempo di guerra.
Sono soppresse tutte le giurisdizioni straordinarie e speciali esistenti.
Art. 15.
In materia civile la giurisdizione è esercitata dal conciliatore, dal pretore, dal tribunale, dalla Corte di appello e dalla Corte Suprema di cassazione.
In materia penale la giurisdizione è esercitata dai medesimi organi, escluso il conciliatore.
Tali organi, escluso il conciliatore ed il pretore, sono collegiali.
Art. 16.
Nessun divieto o limite può essere posto all'esercizio del diritto di agire in sede giudiziaria.
Art. 17.
In ogni causa devono essere osservati tre gradi di giurisdizione. La legge, tuttavia, può stabilire il divieto del solo grado di appello in alcune cause civili di competenza del conciliatore, ed in alcune cause penali per reati contravvenzionali punibili con la sola pena pecuniaria.
Nessuna sentenza può essere sottratta al controllo della Corte Suprema di cassazione.
Per le sentenze emanate da qualsiasi autorità giudiziaria precedentemente alla presente Costituzione non soggette ad impugnazione sarà consentito, con le forme e nei termini stabiliti con legge speciale, il ricorso per cassazione.
Art. 18.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Art. 19.
I dibattimenti in materia penale sono pubblici. La legge può consentire lo svolgimento non pubblico del dibattimento nei casi previsti dall'articolo 423 del Codice di procedura penale.
Art. 20.
In ogni causa le parti hanno diritto all'assistenza di un difensore.
All'imputato dev'essere riconosciuto il diritto all'assistenza difensiva anche durante l'istruzione.
Art. 21.
Sono mantenute le giurisdizioni amministrative nei limiti di competenza fissati nelle leggi vigenti.
B) CORTE DI GARANZIA COSTITUZIONALE
I. — È universalmente riconosciuto che la rigidità di una Costituzione costituisce un vano strumento di difesa dei principi fondamentali d'organizzazione della vita di un popolo se non è accompagnata dalla creazione di un apposito organo che vigili alla osservanza della stessa e la garantisca contro ogni tentativo d'annullamento. Controverso, pertanto, non è il punto della necessità, più che opportunità, della creazione di un simile organo; bensì quello della scelta dell'organo più appropriato a simile funzione. In questo riguardo tre sono le soluzioni che più concretamente possono profilarsi: a) attribuzione al potere legislativo del compito di osservare e far osservare la Costituzione; b) attribuzione del potere di garanzia della Costituzione al più alto organo giudiziario (Corte di cassazione); c) attribuzione ad una Corte di garanzia costituzionale.
La prima ipotesi è da scartare senz'altro, dovendo l'organo preposto alla vigilanza del rispetto del limite costituzionale degli atti legislativi o esecutivi essere al disopra degli eventuali poteri interessati. E poiché la incostituzionalità può inficiare un atto del potere legislativo, è evidente che a questo può chiedersi di autolimitarsi, ma non anche di giudicare della legittimità della propria attività.
Ciò posto resta da scegliere tra le due altre ipotesi: Corte di cassazione o Corte di garanzia costituzionale. Nessun motivo osterebbe, in sostanza, ad una soluzione che affidasse il controllo della costituzionalità degli atti del potere legislativo e del potere esecutivo alla Corte di cassazione. Ma — a parte il non decisivo rilievo dell'immensa mole di lavoro che si verrebbe in tal modo ad imporre al supremo organo giudiziario sì da intralciarne il lavoro di ordinaria giurisdizione — va considerato essere preferibile che una Corte predisposta per l'osservanza dei limiti di costituzionalità sia al difuori di ciascuno dei tre tradizionali poteri; e, naturalmente, al disopra; mentre, dal punto di vista della sua costituzione, sarebbe opportuno chiamare a farne parte, insieme con alti magistrati, uomini di scienza ed anche personalità del mondo politico tratte o dai varii organismi politici del paese o dal novero di quelli che, pur avendo appartenuto al mondo politico attivo, siano per la loro autorità o per il loro prestigio svincolati da interessi di partiti o gruppi.
Si ritiene, pertanto, opportuno proporre la creazione di una Corte di garanzia costituzionale.
II. — Affermata la necessità della creazione di una Corte costituzionale, occorre prendere in esame il delicatissimo problema dei limiti delle attribuzioni di tale organo. È questo un campo nel quale si proiettano tutti i riflessi della nuova struttura statale. Per questa ragione, in questa fase di lavoro diviso per zone separate, il presente schema non può essere che vago e frammentario. Tuttavia, procedendo per supposizioni, in riferimento anche a quanto si va svolgendo in campi di studio diversi, può prospettarsi il seguente quadro di situazioni riferibili alla funzione della Corte costituzionale:
a) conflitto tra norme costituzionali e norme ordinarie generali o regionali (sul presupposto di un potere legislativo delle regioni possiamo distinguere le norme, sia pure con terminologia provvisoria e pertanto impropria, in norme generali e norme regionali);
b) conflitto tra norme ordinarie generali e norme ordinarie regionali (conflitto che può incidere nella competenza per materia o per territorio, per così dire, dell'ente regionale in materia legislativa);
c) conflitto tra gli atti del potere esecutivo e norme costituzionali (da tenersi distinto da conflitto tra atti del potere esecutivo e norme ordinarie, il quale resterà di competenza della giurisdizione amministrativa o, nel caso di assorbimento di questa, della giurisdizione ordinaria). In questo conflitto assumono un posto centrale tutti i casi di violazione del fondamentale diritto di libertà del cittadino, che verranno consacrati nella Costituzione.
Per la corretta formulazione dell'articolo 1 — la quale, nell'annesso progetto, è pertanto provvisoria — è indispensabile conoscere quale nuova organizzazione e disciplina sarà predisposta del potere legislativo. È evidente, infatti, che la istituzione di una Corte di garanzia costituzionale presuppone una gerarchia delle fonti, alla quale può farsi riferimento per delimitare la sfera d'attribuzione della Corte medesima.
Non si reputa opportuno proporre l'istituzione di Corti costituzionali regionali, sia perché essa sarebbe incompatibile con la visione alta ed augusta di una Corte unica centrale, sia perché potrebbe condurre ad una divergenza di decisione tra diverse Corti regionali (per esempio in materia regolata in maniera identica o analoga da due o più regioni), che varrebbe certamente (a parte gli altri profili) a svalutare la funzione regolatrice della Corte costituzionale.
La incostituzionalità, pertanto, degli atti legislativi o amministrativi regionali, nei limiti d'attribuzione della Corte costituzionale, sarà portata a conoscenza di questa.
III. — Terzo punto concernente la Corte costituzionale è quello della legittimazione ad agire. La Costituzione austriaca del 1930 (con le successive modifiche) — che rappresenta uno dei modelli più rispettabili di organizzazione della Corte costituzionale — riconosceva il potere di «domandare» l'incostituzionalità di una legge (art. 140) a seconda dei casi; alla Corte Suprema di giustizia o alla Corte di giustizia amministrativa (caso dell'incostituzionalità di una legge federale o di un Paese); al Governo federale (caso dell'incostituzionalità delle leggi del Paese); al Governo d'un Paese (caso dell'incostituzionalità di leggi federali); mentre per i regolamenti il potere di domanda (art. 139) veniva riconosciuto ai tribunali (caso d'illegittimità dei regolamenti delle autorità federali o del Paese); al Governo federale (illegittimità dei regolamenti delle autorità dei Paesi); al Governo dei paesi (illegittimità dei regolamenti delle autorità federali).
In sostanza, nella Costituzione austriaca il diritto di attivare l'intervento della Corte costituzionale (tranne i casi di iniziativa d'ufficio) spettava unicamente ai Governi o ad altre autorità. Nessun potere d'iniziativa veniva riconosciuto al cittadino. Ora su questo punto, a criterio del relatore, bisogna allargare la sfera d'iniziativa, attribuendo tale potere anche al cittadino. Ciò sia per obbedire ad un'esigenza di attuazione larga del principio democratico, sia per svincolare la tutela del diritto del cittadino dal giudizio di un organo, che può in buona o in mala fede sacrificarlo mediante il mancato esercizio del potere d'iniziativa. Con tale allargamento si produce — questo è indubbio — un lavoro che può essere perfino immenso al nuovo organo costituzionale; ma si afferma certamente (e questo dovrebbe bastare a giustificare l'estensione) una più reale ed autentica garanzia della costituzionalità della vita nazionale.
Conviene, infine, prospettare un'ultima situazione: l'opportunità cioè di istituire un organo promotore del processo di costituzionalità, che dovrebbe avere una funzione analoga a quella del pubblico ministero nei procedimenti giurisdizionali. All'obiezione secondo la quale in tale organo si verrebbe ad accentrare un enorme potere, che mal si addirebbe ad uno Stato di libertà, si risponde agevolmente, considerando che la facoltà d'iniziativa — mentre costituisce il massimo elemento di garanzia di costituzionalità — non può in alcun modo essere intesa come un vero e proprio potere, bensì come una potestà, nella quale non può ravvisarsi alcun contrasto con un'organizzazione liberale dello Stato.
Ciò posto, può delinearsi il seguente schema di quelle che vengono, con un termine non molto improprio, chiamate le «parti» nel processo di costituzionalità delle leggi:
1°) organi supremi del potere esecutivo: Capo dello Stato, Capo del Governo, Ministro nella cui sfera d'amministrazione rientra la materia controversa; organo del potere esecutivo regionale;
2°) organo del potere legislativo (una delle due Camere); organi legislativi regionali;
3°) pubblico ministero presso la Corte costituzionale;
4°) organi giudiziari, i quali potranno esercitare il potere di iniziativa quando venga in questione la costituzionalità di una norma o di un atto del potere esecutivo in sede di procedimento di loro cognizione;
5°) cittadini o enti aventi interesse alla dichiarazione di incostituzionalità di una norma o di un atto del potere esecutivo.
Occorre, naturalmente, riconoscere il diritto della Corte costituzionale di esaminare d'ufficio la costituzionalità di una norma, quando tale esame si presenta come pregiudiziale per una decisione da emanare.
Non si reputa opportuno concedere a quisque de populo, a titolo di azione popolare, il diritto di adire la Corte; giacché — a parte il rilievo che dell'opinione pubblica devono farsi interpreti gli organi legittimati ad agire e lo stesso pubblico ministero presso la Corte medesima — è chiaro che un tale principio potrebbe condurre ad un eccesso di lavoro per la Corte tale da paralizzare quasi il funzionamento.
IV. — Il quarto punto da risolvere attiene all'efficacia della decisione (che ben può chiamarsi sentenza) della Corte costituzionale.
È evidente che la sentenza che riconosce l'incostituzionalità della norma o dell'atto amministrativo ne pronuncia l'annullamento; com'è evidente che, trattandosi di nullità assoluta (carattere dichiarativo della sentenza), a rigore l'efficacia della sentenza retroagisce (ex tunc e non ex nunc). Da ciò, con la reviviscenza della norma o della situazione procedente, discende anche la caducità di tutti gli atti compiuti in forza delle norme o dell'atto annullato medio tempore. Questa soluzione, se giuridicamente impeccabile, è dal punto di vista dei riflessi pratici pericolosa e può apparire iniqua: da una parte, come esattamente si rileva, non sempre è rispondente agli interessi della collettività il far rinascere in vita una norma abrogata; dall'altra può l'annullamento ex tunc portare non indifferenti squilibri nella vita nazionale.
Per risolvere la delicata situazione non è neppure consigliabile l'opposto principio (accolto dalla Costituzione austriaca) dell'annullamento ex nunc, valevole cioè dal giorno della pubblicazione della sentenza; e neppure il criterio, suggerito da qualche studioso italiano, e dedotto dalla disciplina di diritto amministrativo di situazioni analoghe, di attribuire all'organo legislativo che emanò l'atto annullato il diritto di chiedere alla Corte costituzionale (che, prima della pubblicazione, gli avrà notificato la decisione di annullamento) di sospendere l'efficacia dalla decisione per un certo periodo (il cui limite massimo dovrebbe essere fissato nella Costituzione) tale da permettere l'emanazione di un nuovo atto legislativo con norme retroattive atte ad adeguare la situazione alla pronuncia di annullamento.
Questo criterio è da scartare — a parte il rilievo della sua complicata organizzazione, che conduce a stabilire dei rapporti quasi sotterranei tra Corte costituzionale ed organo legislativo — perché non è da pensare che la pubblicazione di una sentenza della Corte costituzionale possa venir sospesa per un periodo che potrebbe essere lunghissimo, dovendo questo adeguarsi al lento funzionamento dei congegni di creazione delle leggi; con un conseguente maggiore svantaggio per la stabilità delle situazioni sottoposte alla norma in discussione.
In questo groviglio di difficoltà e di opposte, rispettabili esigenze, non resta altra soluzione che attribuire alla Corte costituzionale il potere, nell'annullare ex tunc la norma o l'atto amministrativo, di stabilire un regolamento delle situazioni disciplinate dalla legge o dall'atto dichiarato nullo per il tempo intercorrente fra l'emanazione di questi e la pubblicazione della sentenza; con la riserva che, nel caso di azione promossa da cittadini o enti, la dichiarazione di nullità nei confronti dei medesimi opera con piena efficacia retroattiva.
Occorre, infine, nel disciplinare la funzione della Corte costituzionale, tener conto di un'importantissima esigenza: quella di evitare che la possibilità illimitata nel tempo di impugnare norme o atti amministrativi importi instabilità della legge o dell'atto, la quale, a parte le notevoli ripercussioni sulla vita di relazione, minerebbe lo stesso prestigio della legge o del potere esecutivo, conducendo così ad uno stato di incertezza e di sfiducia pericolosissima specie per uno Stato che rinasce. Da ciò la necessità di delimitare entro un termine perentorio il potere d'impugnativa.
V. — Abbiamo fin qui discorso della Corte costituzionale come garanzia della costituzionalità della legislazione e perfino di alcuni atti del potere esecutivo. Dobbiamo ora occuparci delle funzioni che a tale Corte potrebbero essere assegnate in tema di responsabilità politica (o, meglio, costituzionale) dei più alti organi del potere esecutivo. Sull'opportunità o meno di attribuire un controllo ad un organo estraneo alle Camere sulla condotta di detti organi non è agevole trovare una via di scelta. La Costituzione austriaca — alla quale ci siamo già riferiti — riconosce (art. 142) alla Corte questo diritto. In senso opposto potrebbe apparire consigliabile conservare il diritto di giudicare la condotta dei più alti organi del potere esecutivo (e, quindi, di destituirli) alle due Camere, trattandosi di un giudizio che — anche quando appare di stretto contenuto giuridico — non è mai scevro, per lo meno per quanto concerne le conseguenze, di riflessi politici, talora decisivi per la vita del Paese.
La disciplina di tale potere di sindacato della condotta dei più alti organi del potere esecutivo dovrà essere studiata in un momento più maturo della elaborazione della Costituzione, specie per i notevoli riflessi che derivano da tutta l'organizzazione della vita statale.
Va rimandata, del pari, ad un momento successivo la questione dell'opportunità di attribuire alla Corte costituzionale il potere di giudicare della conformità alle norme costituzionali della attività dei partiti.
VI. — Conviene, infine, assegnare alla Corte costituzionale il potere di intervenire, su domanda, in via preventiva, per risolvere conflitti tra potere legislativo e esecutivo regionale e potere legislativo o esecutivo centrale. Naturalmente, com'è stato esattamente proposto, la decisione della Corte costituzionale varrà come interpretazione obbligatoria della Costituzione.
CORTE DI GARANZIA COSTITUZIONALE
Art. 1.
La Corte di Giustizia costituzionale garantisce la costituzionalità delle leggi, dei regolamenti e degli atti amministrativi emanati dagli organi centrali o regionali.
Art. 2.
La Corte di Giustizia costituzionale decide su domanda:
1°) del Presidente della Repubblica;
2°) del Presidente del Consiglio dei Ministri;
3°) di un Ministro, quando si tratti di norma o di atto concernente la sfera d'amministrazione cui è preposto;
4°) dal Capo del potere esecutivo regionale;
5°) di uno dei due rami del Parlamento o da un organo legislativo regionale;
6°) del pubblico ministero presso la Corte medesima;
7°) di un organo del potere giudiziario, quando si tratti di questione pregiudiziale di un procedimento di cognizione del medesimo;
8°) di un cittadino, o di un ente, ancorché non riconosciuto, quando si tratti di norma o di atto del potere esecutivo concernente un diritto, una potestà o una facoltà garantiti da una norma costituzionale.
Nei casi previsti dai numeri 3°, 4°, 5° (seconda parte) e 8° per esercitare il diritto di domanda occorre avere interesse alla dichiarazione di nullità.
Gli organi legislativi centrali e regionali agiscono per mezzo di particolari Commissioni.
Art. 3.
La Corte di Giustizia costituzionale è composta di:
un presidente;
otto membri ordinari;
quattro supplenti.
La Corte giudica con la composizione di nove membri.
Tre dei membri devono essere scelti tra i magistrati con funzioni non inferiori a consiglieri di cassazione equiparati, escluso il primo presidente della cessazione.
Due membri della Corte di Giustizia costituzionale devono essere scelti tra i professori ordinari di materia giuridica delle Università che abbiano non meno di dieci anni d'insegnamento di ordinario.
I magistrati ed i professori universitari cessano delle funzioni e dall'impiego.
Gli altri membri devono possedere i requisiti di eleggibilità a deputato.
Il presidente ed i membri ordinari e supplenti sono eletti dai due rami del Parlamento e dai Capi delle deputazioni regionali, riuniti in assemblea nazionale, col sistema della votazione segreta e con la maggioranza dei due terzi. In caso di tre votazioni, da tenersi ciascuna a distanza di due giorni, che non raggiungano la predetta maggioranza, si procede ad una quarta votazione segreta con maggioranza semplice.
Per i giudici della Corte di Giustizia costituzionale non vigono limiti di età.
Il presidente ed i giudici durano in carica dieci anni e sono rieleggibili. Possono, tuttavia, venir dispensati delle funzioni in caso di malattia che ne comprometta il libero esercizio su richiesta del Capo dello Stato o del Governo o di un quarto dei deputati o dei senatori. La dispensa viene pronunciata dalla medesima Corte di Giustizia costituzionale.
Art. 4.
Il pubblico ministero presso la Corte di Giustizia costituzionale viene eletto col medesimo sistema dei membri della Corte di cui all'articolo procedente; e viene scelto dai magistrati con funzioni non inferiori a consigliere di cassazione, sostituto procuratore generale di Cassazione o equiparate o tra i professori ordinari di Università di materia giuridica che abbiano non meno di dieci anni d'insegnamento di ordinario.
Valgano nel resto le disposizioni contenute nell'articolo precedente.
Art. 5.
Sono eleggibili alle funzioni di presidente, giudici e pubblico ministero anche magistrati e professori già collocati a riposo.
Non sono eleggibili:
1°) il Capo dello Stato, i Ministri e i Sottosegretari;
2°) i deputati, i senatori, i deputati regionali;
3°) i Capi del potere esecutivo, regionali e provinciali;
4°) coloro che siano stati deputati, senatori, deputati regionali, Capi del potere esecutivo regionale o provinciale da non oltre quattro anni.
Art. 6.
Al presidente, ai giudici ed al pubblico ministero viene assegnato, a vita, anche dopo la cessazione delle funzioni, il trattamento economico pari al primo presidente della Corte Suprema di cassazione.
Art. 7.
L'azione di nullità deve essere proposta nel termine perentorio di tre mesi dalla pubblicazione della norma o dalla conoscenza dell'atto amministrativo.
Art. 8.
La sentenza che dichiara nulla la legge, il regolamento o l'atto amministrativo viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
La dichiarazione di nullità ha vigore dal giorno in cui è entrata in vigore la legge, il regolamento o l'atto annullato. Con la medesima sentenza la Corte può disporre un regolamento particolare da valere dal momento di entrata in vigore della legge, del regolamento o dell'atto annullato fino a sei mesi successivi alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Tale regolamento non ha efficacia nei confronti del cittadino o dell'ente interessato alla dichiarazione di nullità.
La sentenza che rigetta la domanda viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
Una domanda rigettata non può essere riproposta neppure da altro soggetto, tranne, in questo ultimo caso, per un diverso motivo di nullità.
Art. 9.
La Corte di Giustizia costituzionale su domanda risolve conflitti in via preventiva, nel caso che i medesimi sarebbero di competenza in sede giudiziaria della medesima.
La sentenza viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale e vale come interpretazione vincolante della Costituzione. In tal caso non potrà essere esperita successivamente azione di nullità neppure da altro soggetto, tranne per un diverso motivo di nullità.
Art. 10.
Con successiva legge di carattere costituzionale saranno stabilite le norme per il funzionamento della Corte.
Innanzi alla Corte è ammessa l'assistenza di un difensore, che sarà un avvocato iscritto nell'albo dei patrocinanti presso la Corte Suprema di cassazione, ovvero un deputato nazionale o regionale, ovvero un senatore.
Tutti gli atti innanzi alla Corte sono esenti da bollo o altro carico fiscale.
Art. 11.
Nel caso di domanda di nullità di un atto amministrativo proposta ai sensi del n. 8 dell'articolo 2 la domanda non è ammissibile se non stati esperiti i ricorsi amministrativi in via gerarchica.
Art. 12.
La Corte di Giustizia costituzionale decide in maniera inoppugnabile sulla propria competenza.
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A cura di Fabrizio Calzaretti