[Il 17 dicembre 1946, nella seduta antimeridiana, la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.]
Il Presidente Terracini avverte che nella riunione odierna la Sottocommissione dovrà decidere sulla proposta di costituzione di due nuove Regioni: la Daunia e il Salento.
Fa presente poi ai colleghi l'opportunità che non siano informati i giornali sulle decisioni relative alla costituzione di nuove Regioni, perché tali decisioni non sono definitive e, se fossero rese note, potrebbero dar luogo a perturbamenti nelle zone interessate.
Fuschini condivide pienamente il pensiero espresso dal Presidente e propone che la Sottocommissione sulle richieste di formazione di nuove Regioni non prenda deliberazioni, anche se non definitive, ma si limiti a emettere soltanto pareri.
Lussu è contrario alla proposta dell'onorevole Fuschini, tanto più che nella passata riunione è stato approvato il criterio di adottare decisioni, anche se di carattere non definitivo.
Il Presidente Terracini mette ai voti la proposta dell'onorevole Fuschini.
(Non è approvata).
Cannizzo osserva che nel progetto sulle autonomie locali, se è stata contemplata l'ipotesi della costituzione di nuove Regioni, non è stata però prevista la possibilità che le zone territoriali delle nuove circoscrizioni regionali, in un secondo momento, tornino ad unirsi alle vecchie Regioni da cui si erano distaccate. Il principio della possibilità di ricostituire le Regioni dovrebbe essere stabilito in un apposito articolo, che dovrebbe precedere quello sulla costituzione delle Regioni.
Il Presidente Terracini osserva che la questione accennata dall'onorevole Cannizzo è senza dubbio assai importante. Ritiene però che debba esser presa in esame quando la Sottocommissione sarà chiamata a discutere sull'articolo 23.
Codacci Pisanelli aggiunge alcune considerazioni a quelle fatte nella precedente seduta.
La richiesta della Capitanata o Daunia di costituirsi in Regione può ritenersi senz'altro fondata, giacché si tratta di una terra di oltre 7000 chilometri quadrati di superficie con 580.000 abitanti. Il numero degli abitanti, senza dubbio notevole se considerato in se stesso, non è più tale se viene considerato in rapporto all'estensione di questa zona territoriale e alla densità della popolazione nel restante territorio della Puglia. Difatti nella Capitanata si hanno 76 abitanti per chilometro quadrato, mentre nelle altre zone territoriali pugliesi la densità della popolazione è di oltre 130 abitanti per chilometro quadrato. La Capitanata però si presta ad essere intensamente popolata, specialmente se vi si potrà addivenire ad una radicale riforma del sistema di coltivazione dei terreni. Nella zona, infatti, esistono grandi latifondi, coltivati estensivamente, che sarà necessario appoderare con costruzione di numerose case coloniche. Le poche che fino ad oggi vi sono state costruite hanno già consentito di raggiungere una produzione cerealicola assai più abbondante di quella che normalmente si ottiene in altri terreni privi di abitazioni rurali.
Dal punto di vista economico la Daunia si distingue nettamente dalle altre zone pugliesi sia per la coltura agraria destinata quasi prevalentemente alla produzione del grano, sia per una notevole parte dei terreni tenuti a pascolo, che consentono l'allevamento del bestiame ovino. La coltura legnosa specializzata vi ha scarsissima importanza. La Daunia ha anche alcuni porti, come quello di Manfredonia, per cui le potrebbe essere garantita una sufficiente autonomia.
La Daunia ha chiesto di essere staccata dalla terra di Bari, a cui dovrebbe essere conservato il nome di Puglia. La zona territoriale barese, a differenza di quella della Daunia, non è già pianeggiante ma collinosa, e in essa si ha la prevalenza della coltura dell'ulivo e del mandorlo. Sul litorale, ricco di città costiere e in cui quindi sono assai sviluppati il traffico marittimo e la pesca, è anche molto estesa la coltura della vite e degli ortaggi.
Di assai diversa natura è la zona del Salento, che scarseggia di terre fertili, in quanto in gran parte composta di rocce affioranti. La proprietà terriera, a differenza di ciò che si ha nella Daunia, vi è estremamente frazionata. La popolazione, assi numerosa — la densità è 156 abitanti per chilometro quadrato — ha vissuto sino dall'inizio del secolo in condizioni assai misere, che però oggi sono notevolmente migliorate, perché appunto all'inizio del secolo nella zona in questione fu introdotta la coltura del tabacco, la quale non solo consente di ricavare dai terreni un maggior reddito, ma permette anche di dare lavoro a un rilevante numero di persone durante la stagione invernale. La coltura del tabacco, specie per il lungo periodo di oltre un anno necessario affinché le foglie di questa pianta possano essere sottoposte al processo di fermentazione, richiede infatti l'impiego di numerosi operai specializzati. Ciò ha determinato una profonda trasformazione sociale nella zona del Salento.
Un'altra caratteristica di tale zona è data dal fatto che la popolazione vi è distribuita in piccoli centri assai vicini gli uni dagli altri, talché deve percorrere un breve cammino per recarsi a lavorare sui campi. Ciò consente alla popolazione locale di non perdere molto tempo e di darsi con maggior lena ai lavori agricoli: il contrario, dunque, di quanto avviene nelle altre zone della Puglia, ove la popolazione agricola, vivendo in grandi paesi assai distanti fra loro, è costretta ogni giorno a percorrere lunghi tratti di cammino per recarsi a lavorare in campagna.
A Capo Santa Maria di Leuca sta ora sorgendo una vera e propria cittadina, che dovrà ospitare oltre 10.000 orfani dei dispersi di guerra, ai quali sarà data la possibilità non solo di istruirsi, ma anche di trovare un conveniente lavoro. Tale iniziativa consentirà un notevole impiego della mano d'opera locale e già ha fatto sorgere qualche industria, come, ad esempio, quella per la produzione del cemento, che prima mancava in questa zona. Si stanno pure compiendo i lavori necessari per la costruzione di un piccolo porto: così il carbone, indispensabile per la produzione del cemento, potrà arrivare direttamente a destinazione per via di mare. È inoltre da tener presente che gli istituti di istruzione per gli orfani dei dispersi in guerra fra un ventennio potranno essere utilizzati per i numerosi abitanti del Salento, i quali mostrano una particolare propensione per gli studi, come è provato dal fatto che l'analfabetismo fra essi, un tempo alquanto sviluppato, è oggi assai diminuito.
L'aspirazione del Salento a costituirsi come Regione autonoma è assai antica. Una richiesta in tal senso fu avanzata sin dal 1860, all'epoca, cioè, dell'unificazione d'Italia. Gli abitanti della zona hanno sempre tenuto a chiamarsi Salentini; «Salentine» furono chiamate le ferrovie costruite nella zona da una società all'inizio del secolo. L'aspirazione del Salento a costituirsi in Regione è stata sempre sostenuta senza chiasso o violente manifestazioni esteriori, ma con fermezza e decisione, perché la popolazione locale è stata sempre amante dell'ordine e ha un innato rispetto dell'autorità costituita. Gli abitanti del luogo sono convinti che la loro aspirazione non possa nuocere all'unità del Paese, raggiunta dopo tante fatiche e sanguinose lotte, a cui gli stessi Salentini hanno partecipato, e che essi quindi vogliono che ad ogni costo sia mantenuta.
Porzio dichiara di non ritenere valide le ragioni addotte dall'onorevole Codacci Pisanelli in favore della costituzione delle nuove Regioni della Daunia e del Salento. La Regione è sempre un'entità geografica, tradizionale, politica, economica ed etnica, ed egli non crede possibile costituire nuove Regioni nella Puglia, che è stata sempre ed è una sola Regione.
In un'ora così grave per il Paese si è voluto dare allo Stato un ordinamento su base regionale; ma, affinché questo ordinamento possa dare quei risultati che tutti si augurano, occorre la costituzione di Regioni veramente vitali, ossia fornite di un'effettiva consistenza economica, politica, sociale. Ciò non è possibile raggiungere dividendo e suddividendo il territorio nazionale in circoscrizioni regionali sempre più numerose e ristrette, col che si rischia poi di frantumare l'unità italiana, che è costata tante lotte e tanti sacrifici.
Per queste considerazioni dichiara che voterà contro le proposte di costituzione delle nuove Regioni pugliesi.
Nobile, pur essendo contrario alle autonomie regionali, sarebbe favorevole alla costituzione delle nuove Regioni pugliesi, perché riguardo al Mezzogiorno che può considerarsi un'unica Regione in cui si parla sostanzialmente con poche varianti di accento un solo dialetto, il napoletano, ritiene che l'ordinamento dello Stato su base regionale sarà tanto meno pericoloso per l'unità nazionale quanto più numerose e piccole saranno le nuove Regioni. Sarebbe davvero un grave pericolo per il Paese se, con poche Regioni assai estese, si venisse di fatto a ricostituire il Regno di Napoli sotto l'apparenza di un ordinamento regionale autonomo.
Codacci Pisanelli ritiene di aver dimostrato adeguatamente come nella Capitanata, nella terra di Bari e nel Salento esistano notevoli differenze di struttura economica e aggiunge che in queste tre zone si hanno varie tonalità nel dialetto, il che sta a provare una diversa origine etnica delle popolazioni locali.
Quanto al fatto accennato dall'onorevole Porzio, che la costituzione di nuove Regioni nell'ambito dell'attuale circoscrizione regionale pugliese possa riuscire dannosa all'unità italiana, tiene a dichiarare che quelle popolazioni hanno un tale concetto del principio unitario del Paese che non amano nemmeno sentir parlare dei problemi del Mezzogiorno come problemi a sé stanti e li considerano soltanto come problemi italiani.
Il Presidente Terracini osserva che, per sostenere la richiesta di autonomia di una data zona territoriale, si usa porre in evidenza come essa sia diversa, per le sue caratteristiche economiche, dai territori adiacenti da cui dovrebbe essere distaccata; il che fa proprio pensare che stia acquistando un particolare valore il concetto della uniformità della struttura economica che una Regione dovrebbe avere. Ma questo concetto è errato, perché l'autosufficienza, e quindi l'autonomia, di un determinato territorio non può aversi se non con la molteplicità delle sue caratteristiche economiche: sono sempre le terre in cui siano possibili diverse attività quelle che possono costituire dei veri e propri organismi da un punto di vista politico e sociale. È proprio per la caratteristica che ne è stata posta in evidenza che, a suo avviso, non dovrebbe essere accolta la richiesta della Daunia di costituirsi in Regione: una zona territoriale esclusivamente agricola, priva di ogni attività industriale, non potrà mai essere autonoma proprio perché non può avere che una produzione di carattere uniforme.
Circa l'intervento dell'onorevole Nobile, osserva che esso è in contrasto con quanto, in altre occasioni, lo stesso onorevole Nobile ha affermato a proposito delle varie disposizioni contenute nel progetto sulle autonomie locali.
Lussu desidererebbe sapere da parte di quali organismi rappresentativi dell'attuale provincia di Foggia sia stata avanzata la richiesta di costituire la Daunia in Regione.
Codacci Pisanelli risponde che la richiesta è stata fatta dalla Deputazione provinciale di Foggia e da due Deputati della circoscrizione elettorale di Bari e di Foggia.
Uberti dichiara di essere contrario alla costituzione della Daunia in Regione, perché non è suffragata da una sufficiente espressione della volontà popolare.
Lussu per la stessa ragione fa identica dichiarazione.
Il Presidente Terracini mette in votazione la proposta di costituzione della Daunia in Regione.
(Non è approvata).
Invita la Sottocommissione a pronunciarsi sulla richiesta di costituzione della Regione del Salento.
Uberti vi è favorevole, perché per addivenire a tale costituzione si hanno sufficienti ragioni: l'estensione territoriale della zona che comprende tre Province, le speciali condizioni economiche e soprattutto la decisa volontà della popolazione, espressa dalla maggioranza delle rappresentanze politiche.
Fabbri vi è invece contrario, perché la separazione di una zona territoriale, che possa anche essere autosufficiente, da una data Regione può riuscire dannosa alla restante parte della Regione stessa. Nel caso specifico si pensa ad avvantaggiare il Salento, ma non ci si preoccupa dei danni che potranno essere causati al resto della Puglia. Ciò è contrario al criterio adottato per giustificare il nuovo ordinamento dello Stato su base regionale: si è detto sempre, infatti, che l'autonomia alle Regioni non può essere concessa che là dove una data estensione territoriale presenti una complementarietà di caratteristiche tale da rendere le nuove Regioni veramente vitali ed efficienti.
Lussu è favorevole alla costituzione della Regione del Salento, perché la consigliano tre elementi: la volontà della popolazione locale, l'autosufficienza economico-finanziaria e la situazione geografica della zona interessata.
Codacci Pisanelli rileva che in passato le condizioni della Puglia erano effettivamente tali da rendere indispensabile che essa fosse costituita in una sola Regione: difatti lo scarso sfruttamento dei terreni non avrebbe consentito per ragioni economico-finanziarie la costituzione di diverse Regioni in quell'ambito territoriale. Ma oggi la situazione è cambiata, nel senso che non conviene più mantenere la presente unità regionale della Puglia. In ogni modo, fra i diversi motivi che consigliano di addivenire alla costituzione della Regione del Salento non bisogna dimenticare questo che, con il distacco di tale zona dal resto della Puglia, non si avrebbe più una sola Regione di così eccessiva lunghezza com'è l'attuale Regione pugliese. Né va dimenticato che, se la città di Brindisi dovesse continuare a far parte di una stessa Regione con centro la città di Bari, il porto di Brindisi, che è uno dei più sicuri sul litorale adriatico, sicuramente non verrebbe sfruttato.
Per queste ragioni è favorevole alla costituzione della Regione del Salento, che fra l'altro è stata richiesta non solo da lui, ma anche da altri Deputati di vari partiti, della circoscrizione elettorale di Lecce, Brindisi e Taranto e, specificatamente, dagli onorevoli Cicerone, Grassi, Stampacchia, De Maria, Vallone.
Il Presidente Terracini osserva che i due ultimi argomenti prospettati dall'onorevole Codacci Pisanelli non suffragano la sua tesi. L'estensione della Puglia poteva essere nel passato un motivo per indurre a costituire più Regioni nell'ambito dell'attuale circoscrizione regionale pugliese; non più oggi, col grande sviluppo dei mezzi di comunicazione. Circa il traffico dei porti, poi, rileva che sarebbe oltremodo dannoso allo sviluppo economico della Nazione se le Regioni tentassero con proprie disposizioni interne di deviare le correnti del traffico dalle loro vie normali. Non è già per migliorare soltanto le condizioni economiche delle Regioni, ma anche e soprattutto per avvantaggiare l'economia unitaria del Paese che oggi si vuole instaurare un ordinamento dello Stato su base regionale. Ciò, a suo avviso, non dovrebbe mai essere dimenticato.
Codacci Pisanelli fa osservare al Presidente che, con il suo accenno alla lunghezza del territorio pugliese, egli mirava soltanto a dare un'idea della profonda diversità esistente non solo nel carattere delle popolazioni, ma anche nell'economia delle varie zone territoriali comprese nell'attuale circoscrizione regionale della Puglia.
Quanto alle correnti del traffico, è d'accordo col Presidente che esse non debbano essere distolte dalle loro vie naturali; ma la via naturale del traffico nel caso attuale non è quella che conduce a Bari, bensì quella di Brindisi, che è stato sempre il porto più sicuro e frequentato sul litorale adriatico, sin dai tempi dell'antica Roma. Solo durante la dittatura fascista fu costruito il porto artificiale di Bari, per far deviare verso di esso la corrente del traffico che naturalmente convergeva al porto di Brindisi. Sarebbe opportuno che ciò oggi non si ripetesse più, tanto più che il porto di Bari in gran parte è stato distrutto durante gli ultimi avvenimenti bellici.
Il Presidente Terracini mette in votazione la preposta di costituire la Regione del Salento.
Nobile dichiara di astenersi dalla votazione.
(È approvata).
Il Presidente Terracini avverte che ora è in discussione la proposta di costituire la Regione della Romagna e la Regione emiliano-appenninica.
Fuschini osserva innanzi tutto che nell'articolo 22 del progetto sulle autonomie locali, in cui si stabilisce che le Regioni sono costituite secondo la tradizionale ripartizione geografica dell'Italia, sarebbe stato opportuno indicare accanto all'Emilia anche la Romagna e ciò perché ritiene che in un documento di tanta importanza quale sarà quello della nuova costituzione dello Stato, non possa farsi a meno di menzionare la Romagna come una Regione a sé stante, visto che effettivamente ha una sua tradizione, una sua storia e alcune sue proprie caratteristiche inconfondibili.
Ciò premesso, conviene ricordare che l'esistenza della Regione emiliana si è affermata non senza gravi discussioni e contrasti. Essa risale al 1859, quando, cioè, Luigi Carlo Farini, nominato dittatore delle province di Modena e di Parma, col nome di Emilia volle indicare la Regione che era posta sotto il suo comando. In ogni modo, lo stesso Farini, quando ebbe l'incarico di amministrare, insieme alle Province anzidette, anche la Romagna, fece sempre distinzione tra questa e l'Emilia.
Ma non sono tanto le ragioni storiche a giustificare la richiesta da parte della Romagna di costituirsi in Regione a sé stante. Difatti, secondo il principio più volte affermato nel corso della discussione sul progetto delle autonomie locali, affinché una Regione possa essere costituita occorrono ragioni principalmente amministrative, politiche ed economiche. Ora, se si consideri la Romagna intesa nel senso più lato, ossia quel territorio comprendente la Romagna propriamente detta, cioè le Province di Ravenna, di Forlì e il circondario di Imola, nonché le Province di Bologna, di Ferrara e di Rimini, si vedrà subito che essa costituisce un'unità organica sia dal punto di vista economico, sia da quello amministrativo e politico.
Si tratta infatti di un territorio notevolmente esteso; in cui si è raggiunto un grande sviluppo agrario ed è in corso un'importante attività industriale. È una zona in cui la popolazione è riuscita a conseguire un alto grado di floridità economica. Il sistema agrario della Romagna è prevalentemente mezzadrile. La mezzadria romagnola, però, non deve essere confusa con le forme di conduzione agraria esistenti nel parmense, nel piacentino e nel reggiano, perché esse si applicano per proprietà terriere che in tali località hanno una grande estensione, mentre la mezzadria romagnola riguarda il podere di media grandezza che in Romagna appunto costituisce la normale proprietà fondiaria e che è il più intensamente produttivo.
Le industrie della zona, dato il suo carattere prevalentemente agrario, non hanno raggiunto un grande sviluppo: in ogni modo quelle attualmente esistenti hanno per lo più attinenza con l'agricoltura.
In merito all'altra richiesta riguardante la costituzione di una Regione emiliana appenninica, osserva che, mentre le Province di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì gravitano verso l'Adriatico, lo stesso non si può dire per quelle di Modena, Parma, Reggio e Piacenza, i cui traffici, com'è noto, sono orientati verso il Tirreno. Appunto per questo è stata fatta presente la necessità di unire la Lunigiana, con il porto di La Spezia, alle Province di Modena, Reggio, Parma e Piacenza. Del resto, anche nei tempi passati i lunigiani hanno sempre cercato di avere rapporti commerciali, attraverso l'Appennino, con le Province di Modena e di Parma e in genere con la Valle Padana. La Spezia oggi desidera che il suo magnifico porto possa anche servire a scopi mercantili. La popolazione lunigiana ritiene che nell'ambito di un hinterland che vada dal litorale costiero al Po, la via più breve e più comoda per giungere sino al mar Tirreno sia quella che conduce alla Spezia. In ogni modo la richiesta della Provincia della Spezia di essere aggregata alla Regione emiliano-appenninica è stata avanzata dalla Deputazione provinciale e dal Comune della Spezia, dall'Associazione degli agricoltori dell'alta Lunigiana e dal circondario di Pontremoli. Si può dire che quasi tutta la popolazione del posto abbia manifestato chiaramente nei modi più vari la stessa aspirazione.
Qualche resistenza al riguardo è stata fatta soltanto da parte di alcuni Comuni della Provincia di Massa e Carrara. È da notare, infine, che con la costituzione di una Regione emiliano-appenninica nessun danno verrebbe agli interessi della Romagna, i cui traffici commerciali sono orientati verso l'Adriatico. Quanto alla Regione ligure, essa, per la sua attività commerciale, industriale, economica, non può temere alcuna concorrenza.
La Rocca dichiara, secondo notizie che gli sono pervenute da Genova, che con l'accoglimento della proposta dell'onorevole Fuschini relativa all'unione della Provincia della Spezia con la zona territoriale emiliano-appenninica, la Regione ligure sarebbe indotta a richiedere l'annessione della provincia di Alessandria. Il criterio secondo cui si dovrebbe addivenire alla costituzione della Regione emiliano-appenninica è dunque uno dei più pericolosi, perché potrebbe indurre altre Regioni a chiedere un allargamento dei propri confini con inevitabile danno di altre.
Il Presidente Terracini osserva che l'onorevole Fuschini ha iniziato la sua esposizione relativamente alla proposta di costituire una Regione romagnola basandosi sul fatto della storicità di tale Regione, comprendente soltanto le Province di Ravenna e Forlì e il circondario di Imola, ma in seguito ha auspicato la costituzione di una Regione che, pur dovendo assumere il nome di Romagna, non ha mai avuto nulla a che fare, da un punto di vista storico, con la Romagna propriamente detta. Era inutile, quindi, fare riferimento a una tradizione storica per appoggiare la tesi della costituzione di una Regione romagnola che, nel passato, non è stata mai tanto estesa da comprendere anche le Province di Bologna, di Ferrara e di Rimini.
Circa poi la proposta relativa alla costituzione di una Regione emiliano-appenninica, è da rilevare che l'onorevole Fuschini, sia pure in forma spontanea, ha usato una parola che può riuscire assai pericolosa nel momento presente in cui, gettando le basi del nuovo ordinamento regionale dello Stato, più vivi si fanno i timori o le speranze delle varie popolazioni interessate. Difatti, l'onorevole Fuschini ha parlato di un hinterland, di cui il comune della Spezia avrebbe assoluta necessità. Tale parola appartiene alla fraseologia usata per i conflitti internazionali e davvero non è opportuno riesumarla per la costituzione di nuove Regioni. Non si può inoltre giustificare la creazione di una nuova Regione col fatto che una data città portuale abbia bisogno di un vasto retroterra. Se ciò fosse vero, la Regione ligure dovrebbe chiedere l'annessione della Svizzera perché appunto, com'è noto, la Svizzera rappresenta una delle basi principali da cui muove la corrente dei traffici commerciali che fa capo al porto di Genova.
Infine, la possibilità oggi di costituire un hinterland non dipende più, come nel passato, dalla costituzione soltanto delle strade, ma anche di un'apposita rete ferroviaria. Ora, secondo quanto è già stato deciso dalla Sottocommissione e sicuramente sarà approvato dalla Assemblea Costituente, ogni decisione in materia di costruzione di strade ferrate sarà demandata — e ciò è giusto — allo Stato, non già alle Regioni. Per parlare quindi di un hinterland a proposito del porto della Spezia si dovrebbe prevedere l'ipotesi della costruzione di una vasta rete ferroviaria nella zona territoriale emiliano-appenninica. Ma per fare ciò occorrerebbero ingenti spese che soltanto lo Stato potrebbe sostenere. Inoltre, il criterio secondo cui si dovrebbe addivenire alla formazione della Regione emiliano-appenninica per costituire un hinterland a favore della città della Spezia è quanto mai pericoloso, come giustamente ha osservato l'onorevole La Rocca, anche perché potrebbe indurre altre città portuali a chiedere di diventare centro di nuove Regioni con inevitabile danno delle Regioni finitime. Anche Savona, sull'esempio della Spezia, ha in un primo tempo chiesto che si costituisse una Regione che avrebbe dovuto comprendere le Province di Cuneo e di Alessandria. Per fortuna tale richiesta, evidentemente assurda, non ha avuto seguito. In materia di costituzione di nuove Regioni non bisogna guardare soltanto agli interessi particolari, ma anche, e soprattutto, a quelli di ordine generale.
Lami Starnuti dichiara, quale rappresentante politico della provincia di Massa e Carrara, che le osservazioni fatte dal Presidente contro le proposte e le argomentazioni dell'onorevole Fuschini lo trovano completamente consenziente e gli risparmiano di esaminare il problema dal punto di vista dal quale lo ha esaminato l'onorevole Terracini. Farà quindi delle osservazioni diverse, che riguardano particolarmente una Regione che lo interessa più da vicino: la Lunigiana, cioè la Provincia di Massa e Carrara, nella quale ha trascorso tutta la sua vita politica e della quale egli è ora il rappresentante all'Assemblea Costituente.
Osserva che il progetto dell'onorevole Micheli, porterebbe alla Provincia di Massa e Carrara un gravissimo nocumento, perché, alla divisione potrebbe seguire la distruzione della Provincia medesima. Se da Massa e Carrara fosse tolta tutta l'Alta Lunigiana, la Provincia sarebbe ridotta a quattro Comuni di appena 110-115 mila abitanti e quindi potrebbe non avere più ragione di essere. La Provincia di Massa e Carrara, costituita fin dalle origini dello Stato italiano, comprendeva, prima, anche la intiera Garfagnana, che le fu sottratta nel 1923, per essere aggregata alla Provincia di Lucca. Il Governo di allora disse che la Provincia di Massa e Carrara sarebbe stata compensata dell'amputazione con l'aggregazione di quella parte della Provincia di Lucca che è vicina e che ha con Massa e Carrara la maggiore affinità perché anche essa è una zona marmifera — l'oratore intende parlare della Versilia — ma vi fu chi pose il veto a questa trasposizione e così Massa e Carrara fu amputata di oltre un terzo del suo territorio, senza avere alcun compenso. Con la proposta presentata dall'onorevole Fuschini si vuol procedere ora a un'altra grave amputazione? La Provincia di Massa e Carrara è destinata quindi a sparire? O si potrà compensarla con l'aggregazione della Versilia? Si risponderà probabilmente che la Sottocommissione ha deciso di sopprimere le Province come persone giuridiche; ma egli replica che la Provincia rimane in ogni caso come circoscrizione amministrativa e che la circoscrizione provinciale sarà non soltanto una circoscrizione amministrativa regionale, ma anche una circoscrizione amministrativa dello Stato, così come è ora. Di conseguenza, se il territorio della circoscrizione di Massa e Carrara dovesse ridursi di tanto, le due città correrebbero il pericolo di perdere l'Intendenza di finanza, l'Ufficio delle ipoteche, la Camera di industria e commercio, il Provveditorato agli studi e fors'anche il Tribunale.
Accenna a questi pericoli, non perché li ritenga certi e inevitabili, ma per ripetere quanto già disse; cioè che questi rimaneggiamenti dovrebbero essere rimandati a un secondo tempo, affinché le Regioni possano fissare le circoscrizioni minori tenendo presenti le eventualità di distacchi e di aggregazioni.
In ogni caso, gli sembra che non si possano creare situazioni non scevre di pericoli senza una preventiva accurata istruttoria e senza una preventiva manifestazione di volontà da parte delle popolazioni interessate.
A Massa e a Carrara il problema non è mai stato ampiamente trattato, come riconosce del resto lo stesso onorevole Micheli. La medesima osservazione può farsi, secondo consta all'oratore, per l'Emilia e per Genova.
L'oratore non sa quali siano le manifestazioni della volontà della popolazione di La Spezia; ma non ha difficoltà ad ammettere che in strati più o meno larghi di quelle popolazioni vi sia la tendenza ad una unione regionale con l'Emilia, nella speranza che, distrutta la marina da guerra, la Spezia possa diventare un grande porto mercantile per effetto di questa sua congiunzione amministrativa con l'Emilia, come se questa congiunzione fosse veramente necessaria e utile allo scopo, come se non fossero vere le osservazioni del Presidente, come se davvero le merci provenienti da Modena, Parma, Piacenza, Reggio non potessero giungere a La Spezia anche in caso di diversa circoscrizione amministrativa e avessero invece bisogno di scavalcare dogane per toccare il loro sbocco naturale. La circoscrizione regionale amministrativa non avrà alcuna influenza sull'incremento mercantile del porto di La Spezia, tanto più che i porti rimarranno, anche con la riforma, intieramente allo Stato.
Per quanto si riferisce all'Alta Lunigiana, è certo che le manifestazioni di Pontremoli a favore del progetto Micheli sono manifestazioni concrete; ma egli le interpreta a buon diritto più come un desiderio di legame con Parma, Modena, Piacenza e Reggio. Aggiunge che, se vi sono a Pontremoli delle manifestazioni ufficiali rappresentative come quella costituita dal telegramma del sindaco socialista della città, non vi sono state manifestazioni ufficiali del resto dell'Alta Lunigiana, la quale non è soltanto Pontremoli ma è anche Fivizzano, Aulla, Tresana, Villafranca, Licciana, Podenzana, Mulazzo, Filattiera, Zeri e Comano. Tutte queste popolazioni non si sono ancora pronunciate; e se è da riconoscersi che larghe correnti sono sfavorevoli al nuovo progetto, manca una precisa formale manifestazione che esprima veramente la volontà della maggioranza di quelle popolazioni. Bisogna sollecitare questa manifestazione.
Comunica di avere portato il problema in un convegno di parte socialista nell'ottobre di questo anno, ma la questione non poté essere discussa a fondo in tutti i suoi aspetti, perché il tempo dedicato a quel convegno fu assorbito da altri argomenti. Si propone di riprendere la discussione di questo problema nelle vacanze natalizie, quando egli ritornerà nella zona. Egli desidera che le popolazioni conoscano in tutti i suoi aspetti questo problema amministrativo ed esprimano il loro pensiero a ragion veduta: egli sente il dovere, come loro rappresentante politico, di soddisfare nei limiti delle possibilità e della giustizia quelli che saranno i loro desideri; ma devono essere desideri veramente manifestati dalla generalità o dalla maggioranza delle popolazioni interessate e non interpretazioni o reminiscenze storiche di qualche gruppo di studiosi o di qualche piccolo cenacolo.
Dichiara di parlare in questo modo per dare alla Sottocommissione l'impressione della pericolosità del problema nei termini ora posti dall'onorevole Micheli e soprattutto per richiamarla, anche se il richiamo è superfluo, a quel senso del dovere che tutti hanno di rispettare la volontà delle popolazioni.
Qui manca una seria, una profonda istruttoria ed è necessario farla. Dichiara di non avere avversioni preconcette contro la Regione emiliana-lunese, se non quella tale pregiudiziale che egli ha posta contro ogni modificazione attuale e immediata delle Regioni tradizionali, ritenendo egli — e lo ha detto ampiamente in una precedente seduta — che le modificazioni e le variazioni dovrebbero essere studiate in un tempo successivo, come è previsto dall'articolo 23 del progetto.
Respinta dalla Sottocommissione quella pregiudiziale, egli rifiuta ora il suo voto, perché il problema non è sufficientemente istruito.
Se la funzione del Deputato ha un'autorità, la ha in quanto traduce ed esprime i sentimenti e i desideri delle popolazioni che il Deputato rappresenta. Anche in obbedienza a questo principio fondamentale si chieda alle popolazioni, di cui si vuole modificare i confini amministrativi, quello che esse pensano al riguardo. Quando la maggioranza degli interessati si sarà dichiarata favorevole alla creazione della Regione emiliana-lunese, egli darà la sua opera e il suo voto al soddisfacimento di questo desiderio.
Conti ritiene che i fautori del concetto unitario dell'ordinamento statale non abbiano ancora considerato nel suo aspetto essenziale il problema dell'autonomia regionale, e attribuiscano perciò a coloro che propugnano la costituzione dell'Ente regione pensieri e propositi e spropositi che non debbono esser loro attribuiti. Vi è una quantità di malintesi e di osservazioni false o errate. Per intendersi bene, bisogna ricordare che l'affermazione dell'unità italiana è del partito repubblicano. Tuttavia i repubblicani sono stati sempre fautori di un ordinamento dello Stato su base federalistica o almeno di Regioni autonome.
Per evitare errori di valutazione del pensiero autonomista, è opportuno affermare ancora una volta che il concetto fondamentale dell'autonomia è essenzialmente e anzitutto quello della divisione del lavoro. Si tratta poi di vedere come popolazioni delle Regioni che hanno interessi loro propri possano davvero e finalmente curarli; il che non è avvenuto nel passato, a causa dell'accentramento statale sotto la monarchia sabauda. Bisogna dare agli stessi interessati la possibilità di far fronte alle proprie esigenze. È questo il punto di partenza da cui occorre muoversi per arrivare alla soluzione del problema autonomistico.
I discorsi che si fanno sulle delimitazioni territoriali sono fuori posto. Il territorio regionale ha importanza secondaria: ne ha una primaria la competenza a fare. Così, quando si parla di un hinterland per il porto della Spezia, non bisogna equivocare. Il problema da risolvere è in questi termini: si tratta di vedere se con la costituzione di una nuova Regione certi interessi agricoli, commerciali, industriali e di comunicazioni, di trasporti possano essere soddisfatti meglio di quanto possa avvenire senza tale costituzione.
Quanto alla questione dell'autonomia della Regione romagnola, della quale in questo momento si discute, dice che essa può essere trattata rifacendosi anche alla tradizione storica. Il distacco della Romagna dall'Emilia è giustissimo e si impone anche perché si tratta di riparare ai torti che questa Regione subì ad opera del dittatore Luigi Carlo Farini. Se quell'uomo non avesse agito con vera prepotenza in Romagna, questa Regione probabilmente avrebbe mantenuto le sue tradizionali caratteristiche storiche e avrebbe continuato ad avere i suoi rapporti con Ferrara e con Bologna, come li aveva avuti per aver fatto parte dello Stato Pontificio.
La questione posta in decisione può dunque essere risolta con deliberazione favorevole per le ragioni esposte. Ma fra le diverse osservazioni, che egli non condivide, fatte dall'onorevole Lami Starnuti, ve ne è una che lo trova completamente consenziente, ossia quella relativa alla necessità di interpellare le popolazioni interessate.
È questo un principio che deve essere osservato sempre, in caso di costituzione di nuove Regioni. Esso risponde a una fondamentale esigenza democratica. L'Assemblea Costituente, prima di stabilire definitivamente quali dovranno essere le nuove Regioni italiane, dovrebbe conoscere l'effettiva volontà delle varie popolazioni locali. È questa l'unica via per giungere ad una consistente e salda autonomia delle Regioni.
Concludendo, ripete: soltanto quando ogni Regione potrà curare i propri interessi, soddisfare le proprie esigenze, vivere in libertà come ogni privata persona, sarà possibile parlare veramente di unità nazionale.
A cura di Fabrizio Calzaretti