[Il 30 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Bosco Lucarelli. [...] Ma se la Regione vuole essere un organo autonomo e, soprattutto, se la Regione vuole essere un organo di decentramento, perché anche quando emette provvedimenti legislativi, intende essere un elemento di decentramento, è necessario che essa assorba funzioni attualmente assegnate allo Stato, e non assorba o distrugga quelle che sono attribuite agli enti locali preesistenti. Noi siamo contrari ad un centralismo di Stato — centralismo che non ha a che vedere con l'unità dello Stato, perché l'unità dello Stato è una cosa sacra, mentre il centralismo è un difetto che va corretto — noi vogliamo che la Regione sostituisca il centralismo di Stato, vale a dire che si sostituisca allo Stato in certe materie di indole amministrativa, di indole tecnica, come sono i problemi agrari, i problemi dei lavori pubblici, in cui essa vede più da vicino necessità e circostanze dei luoghi, circostanze che già il legislatore ha visto quando per il passato ha fatto leggi speciali per la Basilicata, per la Calabria, per la Sardegna ed ha riconosciuto che vi erano condizioni di vita speciali che richiedevano provvedimenti speciali. Ora, quello che è stato fatto transitoriamente per questa o per quella Regione, noi, in fondo, lo facciamo definitivamente con un organo stabile, nell'interesse di tutte le Regioni italiane, di modo che la legge in questi problemi tecnici risponda ai bisogni effettivi delle popolazioni. Ora, volendo noi fare della Regione un organo di decentramento statale, dobbiamo evitare di farne un organo accentratore dei poteri delle Province e magari dei poteri dei Comuni. Credo che nessuno pensa di toccare i Comuni nella loro libertà, che nessuno pensa di toccarli nelle loro facoltà; anzi penso che tutti tendano ad accrescere i poteri e le mansioni di questo organo vivo, che ha la rappresentanza locale effettiva degli interessi della popolazione vivente in un determinato territorio. Ma io penso che anche un altro ente vada rispettato, e questo ente è la Provincia; perché se noi nella Regione vediamo un organo di accentramento dei poteri della Provincia, allora noi ad un accentramento statale, avremmo sostituito un accentramento regionale e non avremmo risolto il problema del decentramento.
In fondo, la Provincia, anche come organizzazione, è conservata nel testo della Commissione dei settantacinque, ma è conservata in una maniera che, secondo l'interpretazione di alcuni autorevoli membri, rappresenta un qualche cosa di più della Provincia attuale. Infatti l'articolo 107 dice: «Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale». Quindi sembra da questo articolo che la Provincia debba avere facoltà maggiori di quelle che non abbia, appunto per il decentramento statale, ed essendo l'organo della Regione vedrebbe aumentare, attraverso gli aumentati poteri della Regione, anche i poteri propri.
E l'articolo 120[i] mette a fianco di queste circoscrizioni amministrative una Giunta nominata da corpi elettivi. Il che fa supporre che coloro che hanno stesi questi articoli hanno inteso vedere la circoscrizione provinciale non semplicemente come una circoscrizione puramente materiale, burocratica, ma hanno voluto mettere a fianco l'elemento elettivo, vivificatore che desse a questo organismo una vita, un pensiero, una attività. Ora, se così fosse, in fondo la differenza sarebbe molto più tenue di quello che a prima vista non paia. Però, d'altra parte, non è possibile non tenere conto del pensiero, non tenere conto dei voti che la maggioranza delle province italiane ha fatto.
Io sono un Presidente di deputazione provinciale e non vorrei essere sospettato di venir qui a fare una difesa d'ufficio. Un po' i miei anni, i quali non mi fanno sperare ascensioni ulteriori, mi sono garanzia della sincerità del mio dire. Ma l'essere Presidente di una deputazione provinciale mi ha messo nella circostanza di vedere, di sentire, di vivere l'organismo della Provincia.
Qui da molti si è detto — esagerando in un senso — che la Provincia è qualche cosa di quasi inesistente, un ufficio burocratico per i folli e per gli esposti. Altri l'ha magnificata come un organo di grande vitalità. Forse hanno esagerato gli uni e gli altri, perché anche in quello che sembra un piccolo servizio amministrativo qual è quello dei folli, vi sono — per esempio — implicate tante altre questioni le quali, secondo me, suggeriscono la necessità che a fianco del burocrate vi sia una deputazione provinciale, una giunta (o come la volete chiamare) che sia espressione di popolo e che possa usare quella libertà che il mandato elettorale le dà. Perché nella materia dei folli, la Provincia non ammette e non esclude nessuno dal manicomio; è un servizio, ma i pazzi vanno al manicomio attraverso un'ordinanza dell'autorità giudiziaria e ne sono dimessi dopo un certificato medico che li fa uscire dalla casa. La provincia non ha che una funzione sussidiaria: quella di anticipare le spese per rifarsi su coloro che hanno l'obbligo degli alimenti; e quando si va a quest'obbligo degli alimenti, che riguarda quasi sempre tutta piccola gente, gente minuta, e si va attraverso le informazioni catastali, attraverso le informazioni dei carabinieri, attraverso — direi — tutto uno spionaggio amministrativo a rilevare la consistenza di queste piccole famiglie, spesso obbligate per un terzo o quarto grado di parentela che hanno con gli interessati, allora entra l'elemento equitativo per evitare giudizi inutili e molte volte pregiudizievoli sia alle parti che all'amministrazione provinciale; e queste transazioni non ve le farà nessun burocrate, perché il burocrate ha il timore di essere sospettato, perché il burocrate non ha la visione dei bisogni e degli interessi del popolo; queste transazioni non ve le può fare che un corpo elettivo che senta le necessità e i bisogni dei suoi amministrati.
E anche per gli esposti si presentano tanti problemi. La legge sugli esposti avrebbe bisogno di un grande rimaneggiamento. Quando voi pensate che al 14° anno finisce l'assistenza a questi poveri esseri abbandonati, quando voi pensate che legalmente a 14 anni bisognerebbe prendere una giovinetta, nel periodo più pericoloso della sua vita, e gettarla sul lastrico perché non conosce i suoi genitori; quante volte l'amministrazione provinciale supera la legge e non consegna questi piccoli esseri finché non trovano un padre onesto che assicuri loro moralità e sanità fisica e un pane per il resto della loro vita!
Senza parlare degli altri obblighi assistenziali che si innestano alla Provincia e che domani potrebbero essere modificati, come per esempio l'assistenza ai tubercolotici, ai tracomatosi, ecc.
Ma c'è qualche cosa di più: c'è il diritto d'iniziativa che una Deputazione provinciale valida sa sfruttare. Io non so come vadano le altre Province, ma so che nella mia Provincia l'amministrazione provinciale è in mezzo a tutti i bisogni locali: qualunque problema si presenti, convoca i rappresentanti dei partiti, convoca le autorità locali, i sindaci di determinate zone per problemi collettivi; e quindi è tutto un lavoro che il burocrate non fa perché disimpegna solamente il suo ufficio e non sente quelli che sono i bisogni della popolazione. Ritornando più indietro, al servizio delle strade, mi permetto di far osservare che si è detto come il servizio delle strade fosse un qualche cosa di poco importante. Forse quelli che parlano così hanno la visione di quelle Regioni in cui la strada è un problema risolto, e si tratta quindi solo di manutenzione. Ma noi del Mezzogiorno d'Italia — e mi rivolgo ai deputati di tutti i partiti — sappiamo che cosa sia il problema della viabilità e le nostre strade per la trasformazione e la valorizzazione delle campagne; sappiamo come questo problema della strada è molto lontano da una qualsiasi soluzione e che non è solamente problema di manutenzione ma di studio delle singole zone per creare arterie stradali, per creare i mezzi onde sviluppare queste vie che sono la vita delle nostre popolazioni. Nel Mezzogiorno d'Italia, almeno nella mia Provincia, abbiamo una rete completa di vie mulattiere che rispondeva ai bisogni di due secoli fa, quando il trasporto era fatto con i muli. Oggi queste vie dovrebbero essere tutte carrozzabili se non addirittura camionabili. Questo è un problema gravissimo che travaglia tutto il Mezzogiorno d'Italia.
Amici delle altre Regioni venite a vedere ed a studiare il nostro problema, non attraverso i libri, ma nella vita vissuta in mezzo al popolo e vi convincerete dei nostri bisogni e delle nostre aspirazioni. E ritornando alla Provincia: come è possibile che la Costituente non tenga presente la voce che viene da tante parti, da tanti partiti diversi, quando, se sono esatte — e non v'è ragione da dubitare — le notizie date dal Congresso delle Province di Firenze, dal referendum indetto dal Ministero della Costituente, ben il 75 per cento delle risposte fu per la conservazione della provincia come ente autarchico? Ed al Congresso di Firenze la grande maggioranza dei convenuti si espresse sull'ordine del giorno Migliori, Presidente della deputazione provinciale di Milano, che chiedeva la conservazione della Provincia come ente autarchico e che ebbe 48 voti favorevoli, 11 contrari e 8 astenuti. Dagli atti del Congresso si vede che i voti degli 8 astenuti e degli 11 contrari si riferiscono ad altre ragioni e considerazioni. Né è stato isolato il voto del Congresso di Firenze, cui hanno partecipato i due terzi delle Province italiane, perché esso fu preceduto dal congresso di Modena dei rappresentanti delle amministrazioni dell'Emilia, e fu preceduto dal Convegno delle amministrazioni provinciali del Veneto che si presentarono, con memorie del professore Guicciardi, al Congresso con una preparazione organica. Abbiamo avuto poi, e l'hanno ricevuto tutti i Deputati in questi giorni, il voto dell'Unione delle Province lombarde dell'8 ottobre 1946 che richiamandosi al voto del Congresso di Firenze lo approvava e raccomandava alla Costituente. E nel mese di gennaio — è inutile che vada a ricordare la data, che ha poca importanza — a Bologna vi fu un'altra riunione di rappresentanti delle Province e la maggioranza affermò la conservazione della Provincia come ente autarchico. E nel febbraio in due riunioni tenute a Venezia, mi pare il 6 ed il 22 febbraio, l'Unione delle Province Venete ha riaffermato il voto che la Provincia fosse conservata come ente autarchico.
Dagli atti della Commissione dei settantacinque risulta che per piccola maggioranza fu approvata la proposta di soppressione della Provincia come ente autarchico; i deputati del nostro Gruppo, nella quasi totalità, votarono per la conservazione della Provincia.
Se noi dobbiamo in questo momento fare opera di collaborazione e di pacificazione fra i partiti, per presentare al popolo una Carta costituzionale che sia l'espressione del maggior numero di consensi, è necessario venire ad una transazione. E quindi penso che anche coloro, che erano contrari alla conservazione della Provincia come ente autarchico, debbano fare sacrificio della loro idea perché l'ente Regione venga creato ed entri nelle simpatie del popolo, perché le riforme in tanto sono fruttifere, in quanto trovano alimento e vita nel consenso popolare.
Ora, si può fare una questione: come possono coesistere Provincia e Regione?
Il problema fu posto al Congresso di Firenze; la deputazione provinciale di Firenze in una pregevole relazione, che poi formò il sustrato della votazione sull'ordine del giorno Migliori, presidente della deputazione provinciale di Milano, armonizzava questi due enti. Ed io penso che, se si seguisse quella linea, cesserebbero molte contestazioni fra Provincia e Provincia. La deputazione provinciale di Firenze proponeva che al centro della Regione fosse un Consiglio regionale ed una presidenza regionale, come organo normativo, ma che organi di esecuzione fossero e restassero le amministrazioni provinciali; evitandosi, così, una duplicazione di organi amministrativi e l'insorgere di contrasti.
D'altra parte, i rappresentanti delle province venete al Congresso di Firenze facevano considerare che mal si affermava che, creando la Regione, si sarebbero avute quattro burocrazie; perché la Regione, se deve essere ente decentratore, deve decentrare il potere centrale dello Stato nelle materie tecniche e amministrative; per cui, parte della burocrazia statale deve fatalmente rifluire nella Regione. Allora, non sono quattro le burocrazie, ma tre: Comune, Provincia e Regione; perché nelle materie demandate alla regione la burocrazia centrale non entra più; altrimenti, come parlare di decentramento e di autonomia? Ritenere che contemporaneamente agli organi regionali, per le stesse materie, debbano sussistere organi centrali, significa, di fatto, negare il decentramento amministrativo.
[...]
Carboni. [...] Un altro argomento, che desidero trattare, e sul quale l'onorevole Bosco Lucarelli ha espresso testé un pensiero coincidente col mio, è quello della Provincia. Il progetto di Costituzione conserva alla Provincia soltanto il carattere di circoscrizione territoriale e l'abolisce come ente autarchico. L'onorevole Bosco Lucarelli, dichiarandosi favorevole alla conservazione della Provincia quale organo autarchico, ha manifestato l'opinione che tale sia pure l'intenzione della Commissione dei settantacinque, perché l'articolo 107 del progetto stabilisce che: «Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale» (nel che l'onorevole Bosco Lucarelli ha visto un allargamento della sfera di competenza della Provincia), e perché nell'articolo 120 si prevede l'istituzione di Giunte provinciali nominate dai Corpi elettivi. Sennonché il concetto della Commissione è precisamente l'opposto: quello cioè di sopprimere la Provincia come ente autarchico. La Regione è prevista come ente di decentramento organico di alcune funzioni dello Stato; la Provincia, nel progetto di Costituzione, è considerata invece soltanto come circoscrizione territoriale, nella quale si decentrano burocraticamente i servizi della Regione e dello Stato, e le Giunte provinciali non sono concepite come organi deliberanti, ma di semplice vigilanza, informazione, esecuzione.
In tal modo il progetto di Costituzione procede in parte contro la direttiva segnata nel secondo comma dell'articolo 106, perché, mentre attua il decentramento amministrativo dallo Stato alla Regione, nell'ambito di quest'ultima applica il sistema opposto, concentrando nella Regione le funzioni amministrative sinora disimpegnate autarchicamente dalla Provincia. Non vale opporre che nel progetto si parla di circoscrizione amministrativa, perché questa è intesa come territorio nel quale distribuire i servizi amministrativi dello Stato e della Regione, che avranno propri uffici negli attuali capoluoghi e forse anche in centri secondari di ciascuna provincia. Avremo in ciascun capoluogo di Provincia, per esempio, l'Intendenza di Finanza, l'Ufficio di Questura, ecc.; potremo avere al di sotto del capoluogo di provincia uffici dell'amministrazione dell'Interno, delle Finanze, ecc. Però tutto questo sarà, come dicevo, decentramento burocratico, non decentramento organico.
Si dice che la provincia è un ente troppo angusto per attuare un vasto decentramento amministrativo. E l'osservazione è indubbiamente esatta — e perciò ho dichiarato di consentire nell'opportunità della creazione della Regione — ma non vale come argomento contro la conservazione della Provincia non in sostituzione ma in coesistenza con la Regione.
Maggiore considerazione merita un altro argomento, che è stato molto dibattuto anche al di fuori di questa Assemblea. Si è detto da più parti che le Regioni hanno una struttura organica, etnograficamente, storicamente, economicamente, geograficamente, e che le Province sono invece creazioni artificiali. Non ripeterò quello che si è controbattuto su questo tema da coloro che hanno sostenuto la tesi favorevole alla conservazione delle Province. Dirò soltanto che quelle due affermazioni (della Regione come entità organica e strutturale e della provincia come creazione artificiale accettate generalmente con soverchia facilità) debbono essere sottoposte ad un esame approfondito, e ricorderò che, mentre si afferma e si vanta tanto la struttura organica della Regione, noi siamo assediati giornalmente dalle richieste delle popolazioni di zone delle varie Regioni d'Italia le quali aspirano ad essere distaccate ed a formare Regioni a sé stanti, il che dimostra che il sentimento regionale è più una parvenza che una realtà; e ricorderò pure che da quasi tutte le Province ci giungono voti per la loro conservazione.
Sono talvolta voti dei capoluoghi di provincia, i quali possono essere determinati da una spiegabile ambizione cittadina, possono talvolta, come diceva l'onorevole Lussu ieri, essere voti organizzati dal fronte elettorale dell'anti-autonomismo, ma il più delle volte sono l'espressione sincera delle popolazioni dei Comuni e delle campagne, ispirati da quella innegabile realtà che è il sentimento di solidarietà provinciale.
Non è il caso di ricordare ancora una volta quello che Minghetti diceva nel 1861 a difesa del suo progetto di riordinamento amministrativo basato sulla coesistenza delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Ma voglio aggiungere che, se Minghetti nel 1861 poteva affermare che le Province non sono creazioni artificiali, oggi, nel 1947, cioè a circa un secolo di distanza, si deve tener conto che nel lungo esercizio delle funzioni autarchiche le Province hanno acquistato, se pure non l'avevano originariamente, una propria individualità.
Resta a considerare se le Province hanno un contenuto di funzioni che ne giustifichi la conservazione.
Qui hanno parlato Presidenti di deputazioni provinciali, hanno parlato uomini esperti della vita locale della nostra Italia, e tutti coloro che sono passati per le amministrazioni provinciali sanno che esse, nel lungo lasso di tempo dalla loro creazione ad oggi, e per effetto della sempre crescente espansione delle funzioni e dei servizi pubblici, hanno vasti compiti da assolvere, che non si limitano a quelli originari del ricovero dei pazzi, dell'assistenza agli esposti, della manutenzione delle strade. (Interruzione al centro).
L'anonima interruzione rivela il malvezzo di ricercare in ogni espressione di sentimento, in ogni manifestazione di pensiero un secondo fine egoistico! Io vi dichiaro, amici e colleghi, che, parlando come parlo, ubbidisco soltanto alla mia convinzione che il progetto non sia aderente ai bisogni del Paese. Io sono fortemente preoccupato; credo che questa mia preoccupazione sia condivisa da moltissimi di noi ed aspiro soltanto ad una cosa, che dalle nostre preoccupazioni, da queste nostre discussioni esca la soluzione migliore, non nell'interesse di questo o di quel partito, non nell'interesse elettorale di Tizio o di Caio, ma nell'interesse della Nazione.
Dunque, colleghi, dicevo che le Province hanno oggi una loro individualità ed una funzione da compiere.
Ma, si obbietta: se manteniamo la Provincia, alla Regione quali funzioni daremo?
Anche questa obbiezione si supera facilmente.
Il progetto assegna alle Regioni i seguenti compiti: funzioni legislative; funzioni di controllo sugli enti locali; esercizio di servizi decentrati dallo Stato, cioè di natura statale ed eccedenti l'ambito comunale; esercizio di servizi di carattere locale, già esercitati dalla provincia. Ed in questa maniera si è congegnato un organo pletorico e pesante. Io penso che la coesistenza delle Province con le Regioni potrebbe essere realizzata conservando alle Regioni le funzioni di controllo, quelle normative regolamentari o di semplice attuazione delle leggi dallo Stato, i servizi amministrativi decentrati dello Stato purché eccedenti l'ambito provinciale; ed assegnando alle Province, oltre alle funzioni di carattere locale eccedenti il comune e che già sono esercitate da esse, quelle statali eccedenti l'ambito comunale, ma inferiori all'ambito regionale.
Così si potenzierebbero le attuali Province e si snellirebbero le Regioni, che nella pletorica organizzazione del progetto, non sembrano sufficientemente idonee a realizzare quella semplificazione dell'amministrazione che è uno degli obbiettivi del decentramento, ad ovviare al difetto della lentezza e della pesantezza dei servizi, che, se non vado errato, l'attuazione del progetto provocherebbe nella Regione press'a poco così come ora si manifestano nello Stato.
Permettetemi di aggiungere poche parole per rispondere a coloro che hanno osservato che la conservazione della Provincia come ente autarchico determinerebbe un dannoso aumento della burocrazia ed una eccessiva pluralità delle assemblee elettive. La moltiplicazione della burocrazia è un'apparenza più che una realtà, perché il mantenimento della Provincia quale ente autarchico importerà in più la conservazione dei funzionari addetti agli organi deliberanti. Quelli addetti ai servizi esecutivi non saranno eliminati dall'abolizione delle Province, ci sarà di essi sempre bisogno, con un trasferimento di dipendenze dalla Provincia alla Regione.
D'altro canto, se si conserveranno gli organi e gli impiegati provinciali, si avrà una riduzione nei quadri burocratici regionali.
Comunque, non saranno poche centinaia di impiegati in più in tutta Italia, a costituire motivo di danno. E, per quello che riguarda la pluralità eccessiva delle assemblee deliberanti, sono lieto di sapere consenziente il simpaticissimo amico onorevole Conti, del quale ho letto che in seconda Sottocommissione egli osservò giustamente che la pluralità delle assemblee elettive non è un inconveniente in regime di democrazia, ma serve invece a favorire la formazione dei quadri direttivi della Nazione.
[...]
Canepa. Onorevole Presidente, io sono ossequente al monito, che lei ieri giustamente rivolgeva all'Assemblea, di brevità; è tempo di accorciare, per quanto possibile, questa discussione, che altrimenti va alle calende greche; e sarò brevissimo anche perché non entrerò nella vexata quaestio della Regione. Mi limiterò ad un semplice sintetico ricorso all'Assemblea contro la sentenza di condanna a morte della Provincia, pronunziata dalla maggioranza, da una scarsa maggioranza della Commissione. Dico condanna a morte perché non è un essere vitale, ma una semplice larva quella dell'articolo 107 alinea: le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale; nonché quella dell'articolo 120 alinea: nelle circoscrizioni provinciali sono istituite giunte nominate dei corpi elettivi nei modi ecc., giunte che non avranno un bilancio, non servizi propri, non si sa quali saranno i loro poteri. I loro dipendenti saranno nominati dalla Regione a cui obbediranno. Indi, la parola larva che ho detto mi pare sia veramente appropriata.
Ora, io credo che questa abolizione della Provincia sia un errore gravissimo, di danno incalcolabile, perché lasciamo da parte la origine, di cui altri hanno parlato (in alcune Regioni come nel Piemonte e nella Lombardia e nel Meridione, la provincia ha illustri tradizioni storiche. In altre, invece, è nata all'epoca del Risorgimento) ma certo è che dappertutto ha messo radici profonde. Questo non lo può negare chiunque abbia vissuto la vita provinciale. Perché ha messo radici profonde? Perché la Provincia è un Consorzio di Comuni, non è altro che questo; e cioè la Provincia fa quello che un Comune per sé non potrebbe fare: gli istituti scolastici, gli istituti sanitari, biblioteche popolari e via; e serve di tramite fra un Comune e l'altro. Quanti Comuni di campagna sarebbero ancora inaccessibili altroché per impervi sentieri, se non fosse stata la Provincia a dotarli di strade carrozzabili; e le strade non basta farle ma bisogna mantenerle, ed è la Provincia la sola che possa compiere questo ufficio. Perché è vano dire: «lo potrà fare la Regione». No! Perché i bisogni si sentono da chi vive a contatto della popolazione. Al capoluogo della Provincia dalle valli e dai monti affluiscono i contadini, gli abitanti in genere; ivi è il tribunale e la intendenza di finanze; ivi si tiene il mercato, ivi è quel piccolo centro di vita a cui gli abitanti della campagna accedono senza spesa e senza perdita di tempo. Mentre il giorno che dovranno andare al capoluogo della Regione dovranno spendere l'uno e l'altro, e ne saranno lontani. Oggi imprecano contro la burocrazia romana, domani imprecheranno contro la burocrazia del capoluogo della Regione, e non mai contro gli uffici della Provincia perché con quelli acquistano, per le ragioni che ho detto, un specie di sorta di famigliarità e in qualche modo li controllano: ciò che non possono fare per il centro lontano.
Dicevo che avvicinare gli amministratori agli amministrati, i dirigenti alle popolazioni, è un'opera essenzialmente democratica; anzi, questa è la vera democrazia: è democrazia a beneficio di quelle popolazioni rurali le quali sono prive delle attrattive della città. Diceva un vecchio politico: «bisognerebbe pagarli perché stiano in quei paesi». Vivono una vita misera, povera; ed è dunque ad essi che dobbiamo rivolgere i nostri pensieri e le nostre cure. E quando si presenta una riforma occorre domandare in primo luogo se ad esse sarà giovevole o dannosa. Quanto all'abolizione della Provincia non v'è dubbio che sarà dannosa. Io mi spiegherò con un esempio. Sulla fine del secolo scorso e sul principio di questo a Rovigo e poi a Parma è nata una provvida istituzione: la Cattedra ambulante di agricoltura, la quale adagio adagio si è estesa a molte Province. Nella mia Provincia natia, che allora si chiamava di Porto Maurizio (poi un giorno Mussolini, non potendo fare l'Impero, tanto per fare qualche cosa, l'ha chiamata la provincia d'Imperia), in questa mia Provincia la cattedra ambulante di agricoltura ebbe uno sviluppo veramente meraviglioso, perché raggiunse due fini: aumento della produttività del terreno e dirozzamento del contadino.
Il titolare della cattedra teneva prima la conferenza in piazza ai contadini e poi dava loro, nei poderi, insegnamenti pratici: come si pota, come si innesta, come si concima, come si tiene la stalla. Ed i contadini imparavano.
Questo non potrà essere fatto dall'ente Regione, perché esiste una differenza notevole, dal punto di vista agrario, fra Provincia di pianura e Provincia di montagna. L'agricoltura di Cuneo, ad esempio, non ha nessuna affinità con quella di Vercelli.
Ora, bisogna che fra il titolare della cattedra e il contadino si stabilisca la stessa relazione che tra insegnante ed allievo; che si conoscano a vicenda, che l'insegnante controlli con frequenti visite se il contadino ha capito e segue le buone regole. Tutto ciò non può farsi che nel ristretto campo della provincia.
Purtroppo, le cattedre ambulanti furono abolite dal regime fascista, perché i titolari nelle conferenze non volevano inneggiare al fascismo; e furono sostituite dagli ispettorati agrari, i quali svolgono la loro azione fra le carte, in ufficio, lontani dalle realtà concrete delle popolazioni rurali. Se le cattedre non fossero state abolite, oggi per gli approvvigionamenti alimentari, non ci troveremmo nelle condizioni in cui versiamo.
Molti mesi fa io presentavo un'interrogazione al Ministro per l'agricoltura e le foreste, perché aiutasse la provincia a ricostituire le cattedre ambulanti di agricoltura. Mi è stato risposto che la questione è allo studio. Son passati lunghi mesi e si studia ancora, si studierà in eterno, fino a quando le Province, ricostituiti i loro bilanci, potranno esse provvedere ai loro interessi che sono interessi di tutta la nazione.
Uberti. Le Regioni potranno ricostituirle più presto che non lo Stato.
Canepa. Ma non certo più presto che le Province. Concludo portando un altro esempio, questo non tratto più dai paesi piccoli, ma da una Nazione che è maestra a tutti in tema di democrazia e di federalismo: la Svizzera, nei giorni scorsi, ha commemorato il centenario della morte di un suo distinto figlio, Alessandro Vinet, uomo politico e scrittore. In tale occasione, nei discorsi e negli articoli commemorativi, è stato osservato che si viene compiendo quello che egli aveva presagito. Si viene compiendo lentamente, ma irresistibilmente, lo spezzamento dei cantoni, il Canton diventa demi-canton, un tiers de canton.
È proprio l'opposto di quello che facciamo noi.
È la Regione che diventa Provincia e noi vogliamo fare diventare la Provincia, Regione.
Non credo che occorra aggiungere altro, perché questa tesi mi pare che sia profondamente sentita da voi e raccomando alla Commissione dei 75 di volerle fare buon viso, perché, altrimenti, noi questo Titolo non potremo accettarlo.
È a questa condizione, a condizione cioè che si mantenga in vita un istituto vitale, che noi daremo voto favorevole alla Regione. (Applausi).
[...]
Mastino Pietro. [...] Io credo di poter accennare a questo punto — penso sia mio obbligo l'accennarvi — alla questione della Provincia, di fronte a quella della Regione. Ritengo che il problema debba essere enunciato in termini chiari; ed a mio avviso i termini sono quelli che provengono dalla visione e dal concetto della Regione come noi la intendiamo, o meglio, come io la intendo. Intendo la Regione come un ente che abbia, nell'unità della Patria, carattere istituzionale. Intendo che si proceda all'istituzione di un organo nuovo, che adempia a determinate funzioni anche politiche. Ora, se si tratta di istituire un organo nuovo che risponda a queste funzioni, l'organo avrà la necessità di esplicarsi in una zona territorialmente vasta, sufficiente per l'esercizio della propria funzione; la Provincia dovrebbe rimanere invece come sede decentrata per i servizi.
Badate che io non ho motivi speciali per sostenere questa tesi; appartengo ad una cittadina che è capoluogo di Provincia; io appartengo ad una cittadina in cui potrà anche darsi eventualmente che taluno possa trovare motivo di critica nei miei riguardi per il fatto che, anziché affermare soltanto la necessità del mantenimento delle Province, riconosco lealmente come la Provincia debba sì esercitare una funzione, ma quella subordinata, alla quale ho accennato.
Premesso questo, soggiungo che non trovo giusti gli argomenti espressi in quest'Aula dall'onorevole Togliatti, il quale si è — ed è naturale, politicamente, che ciò si faccia — preoccupato dello stato d'allarme diffuso nei vari capoluoghi di Provincia. È naturale. Provate a togliere ad un qualunque paese un po' delle sue prerogative, provate, direi, a diminuire la statura, l'importanza di qualunque cittadina — provate a diminuire, intendo dire, questa importanza per ragioni giuste — e ciò non di meno incontrerete subito le infiammate proteste della cittadina colpita. Questo è naturale. Questo non è giusto, ma è naturale da parte delle città, lese non nei diritti essenziali ma negli interessi che sono loro propri.
A cura di Fabrizio Calzaretti