[Il 27 luglio 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione tratta il tema delle autonomie locali partendo dalle relazioni degli onorevoli Ambrosini e Perassi.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della seduta.]

Ambrosini, Relatore. [...] Bisogna distinguere la provincia come ente autarchico e come circoscrizione amministrativa. Resterà la provincia come ente autarchico? E qui c'è da domandarsi: se la Regione verrà ad avere dei compiti, taluno dei quali può essere sottratto a quelli degli enti locali, dato che la provincia come ente autarchico ha compiti ben limitati, quali di questi le resterebbero? Ancora: se si applica maggiormente il principio e la tendenza a formare consorzi tra comuni, anche limitatamente a determinati scopi e a singoli interessi, quale è il campo di azione che resterebbe alla provincia? Ed allora, data questa situazione, varrebbe la pena di conservarla o non sarebbe più utile sopprimerla come ente autarchico?

[...]

Riguardo al Comune, non può esser dubbio che si tratta di un ente intangibile perché è proprio quello in cui si accentrano tutti i bisogni locali, che sono i bisogni rudimentali per i quali è nato questo aggregato, per i quali esso ha acquistato un insieme di poteri e di organi, la personalità giuridica e un diritto di ordinanza.

[...]

Zuccarini. [...] Il problema del comune è oggi in Italia il primo che si deve affrontare. Il comune, nella sua struttura essenziale può restare quello che è?

In questa Sottocommissione occorre stabilire anche, soprattutto, quali limiti di competenza e di attività si vogliano assegnare al comune. I comuni devono avere tutti lo stesso regolamento, la stessa struttura? O si deve invece dare ai comuni quella autonomia, che consenta loro di modificare la propria struttura interna, secondo le varie situazioni e necessità ed anche secondo le diverse entità; secondo, ad esempio, che siano di mille o di due milioni di abitanti? Non basta dire che si vuol riservare ai comuni certe facoltà; bisogna vedere se i comuni possono darsi, ciascuno, una struttura diversa, secondo i bisogni. Ci sono comuni rurali, comuni in parte rurali ed in parte urbani; ci sono dei grossi agglomerati, che devono avere una costruzione diversa.

Questa parte, a suo avviso, doveva essere affrontata anzitutto. Stabilito cosa devono essere i comuni, cosa possono fare, in quale raggio di azione possono svolgere la loro attività, si potrà pensare al raggruppamento dei comuni nella regione.

Quando si incomincia con lo stabilire di voler creare la regione, viene la domanda se essa debba essere un libero raggruppamento di comuni o di consorzi di comuni.

Il problema della provincia si pone anche così: finora si è avuta una circoscrizione ben limitata, molte volte contraria agli interessi locali che dovrebbe tutelare e rappresentare, e soprattutto con limitate attribuzioni. Ora, nella nuova struttura dello Stato, la provincia potrà costituirsi in altra forma, come consorzio di comuni per i servizi più larghi destinati agli interessi comuni?

Quando sia stabilito quali libertà si vogliono riservare al comune e quali funzioni esso deve avere nella vita nazionale, allora si può anche parlare della regione.

La regione deve essere delimitata, organizzata quasi, dallo Statuto, oppure, stabiliti alcuni criteri di massima sui limiti di competenza dei comuni? Si intende, ad esempio, lasciare ai comuni la facoltà di modificare la loro struttura, di avere cioè nella regione una diversa consistenza, più larga o più ristretta, secondo le necessità?

[...]

Einaudi [...] afferma che, se si vuole istituire la regione, si deve abolire la provincia, perché, se si aggiungesse la regione alla provincia, si moltiplicherebbero gli uffici e i gravami fiscali.

[...]

Lussu. [...] Si afferma convinto che la provincia debba sparire perché, oltre che inutile, è dannosa. Chi ha fatto parte dei consigli provinciali sa che la provincia si occupa solo delle strade, dei manicomi e di poche altre cose: tutto fa la prefettura. La vita e la morte della provincia sono nelle mani del prefetto — il barone — che è il rappresentante dello Stato centralizzatore, con la sua burocrazia che sopprime ogni possibilità di vita, stronca ogni iniziativa con un boicottaggio permanente.

Si deve riconoscere che le popolazioni del Mezzogiorno e delle isole sono terribilmente arretrate: perciò uomini intelligenti esulano da quei paesi. La corruzione, l'ignoranza, l'analfabetismo derivano non in piccola misura dal prepotere dei baroni imposti dal Governo centrale. Se non scomparissero le prefetture, tanto varrebbe conservare lo Stato centralizzatore: non si realizzerebbe alcun progresso.

[...]

Concludendo, si domanda ancora se debba esistere un organo intermedio fra la regione e il comune, se la provincia cioè debba essere o meno soppressa e, se soppressa, se debba o meno essere sostituita. Non ritiene giustificato il fermento che si manifesta in molti capoluoghi di provincia per il timore di perdere di prestigio con la soppressione della provincia; il prestigio le città principali lo hanno indipendentemente dall'essere o meno un capoluogo di provincia; viene loro dai traffici, dai commerci, dalla posizione geografica, ecc.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti