[Il 27 giugno 1947 l'Assemblea Costituente inizia l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».]

Presidente Terracini. [...] Passiamo all'esame dell'articolo 107:

«La Repubblica si riparte in Regioni e Comuni.

«Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale».

L'onorevole Canepa ha già svolto l'emendamento presentato con l'onorevole Pera, tendente a sostituire l'articolo 107 col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie, Comuni».

Così pure sono stati svolti i due identici emendamenti sostitutivi dell'articolo 107, presentati dagli onorevoli Recca e Rescigno:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

L'onorevole Jacini ha presentato il seguente emendamento sostitutivo:

«Il territorio dello Stato si ripartisce in Regioni, Provincie e Comuni».

L'onorevole Jacini ha facoltà di svolgerlo.

Jacini. Onorevoli colleghi, una spiacevole coincidenza di pubblico servizio mi ha impedito di trattare qui alcuni concetti in sede di discussione generale. Io mi rendo conto che in sede di emendamento non si possa ulteriormente svolgerli in forma adeguata.

Vorrei semplicemente richiamare uno o due dati di fatto che possono interessare. Il principale è questo: da alcune parti (e molto autorevolmente, mi pare anche da parte dell'onorevole Nitti) è stato detto che il concetto della Regione in Italia non ha notevoli basi tradizionali, all'infuori del famoso tentativo del Minghetti, che naufragò nel 1861.

Orbene, io — per ragioni, dirò così, familiari — sono in grado di smentire quest'affermazione.

Vi fu dal 1870 in avanti, anzi, per essere più esatti, dal 1870 al 1890, un uomo, già collega del Minghetti nel Ministero Cavour, il quale sventolò per suo conto e sostenne la bandiera della Regione con gli stessi termini e con le stesse modalità con le quali oggi la sostiene il partito al quale ho l'onore di appartenere. Quest'uomo fu Stefano Jacini, mio nonno.

Io non posso svolgere qui lungamente citazioni che tedierebbero l'Assemblea. Tuttavia è necessario che vi legga poche parole che Stefano Jacini scriveva nel 1870 nella sua lettera agli elettori di Terni: Sulle condizioni della cosa pubblica in Italia dopo la guerra del 1866, e che poi andò ripetendo e sviluppando nei suoi successivi lavori fino al 1890.

Le idee di Jacini erano queste: allargamento del suffragio universale e decentramento regionale. Vi leggo quanto scriveva:

«Veniamo ora all'idea che si riferisce alla riforma amministrativa. Il maggior numero degli affari di pubblica amministrazione, banditi dal centro del Governo e dal Parlamento nazionale, a chi potrebbero essere deferiti?

«Ai corpi amministrativi e rappresentativi delle Regioni, che si dovrebbero costituire. Sì, certamente; se si vuol decentrare davvero in Italia la pubblica amministrazione, senza distruggerla, non bisogna gravare le odierne Provincie di attribuzioni superiori alle loro forze. Conviene lasciare le Provincie come sono, e presso a poco colle attribuzioni che hanno; ma associarle, per gli affari più rilevanti, ricostituendole nelle Regioni create dalla natura e in gran parte dalle tradizioni. Le quali Regioni avranno abbastanza di vita per assumere molta parte del potere oggi confidato al Governo centrale ed al Parlamento nazionale, e per esercitarlo più proficuamente; cosicché il regionalismo, che è indistruttibile, e penetra oggi di contrabbando nel Parlamento per viziarne le funzioni, diventerà uno strumento di progresso e di prosperità, atteggiando quelle leggi e quei regolamenti che non debbono essere essenzialmente unitari, alle tradizioni, al genio speciale, ai bisogni diversi delle varie parti d'Italia, e facendo cessare il malcontento che le odierne violenze, generate dall'esagerazione dell'unitarismo, portano irrimediabilmente seco».

È proprio l'impostazione del problema quale l'abbiamo posta noi oggi.

Egli diceva inoltre, venti anni dopo, in Pensieri sulla politica italiana, frasi di questo genere:

«Il parlamentarismo, un sistema tutto composto di equilibrio e di forze equipollenti, ha fatto ottima prova in Inghilterra... dove fiorisce il decentramento istituzionale: cosicché il Parlamento è ivi chiamato a decidere solo dei grandi interessi dello Stato, un'infinità di pubblici interessi sviluppandosi indipendentemente per forza propria.

«Invece la Francia... diede l'esempio, seguito poi dagli altri popoli latini, di un sistema parlamentare all'inglese, ma senza le istituzioni inglesi, con la responsabilità indiretta e immediata dei Ministri verso i rappresentanti della nazione. Mentre poi tutta quanta la pubblica amministrazione del Paese viene a far capo al Governo centrale, vale a dire a quei Ministri appunto. Di lì un connubio mostruoso fra il regime parlamentare, che non è concepibile disgiunto dal decentramento, e l'accentramento amministrativo: il che doveva diventare una fonte, inesauribile di pubbliche spese, un modo inevitabile di falsare la vita pubblica, una causa permanente di instabilità di governo e una fonte di corruzione».

Io vi risparmio il resto della citazione che si potrebbe prolungare per pagine e pagine. Mi basti quanto ho citato per dimostrare che l'idea era fino da allora viva nella tradizione italiana; che essa non si identificava con quella primitiva del Minghetti, la quale ricalcava le circoscrizioni degli antichi stati e perciò era stata sentita come pericolosa per l'unità nazionale, ma invece creava le vere e proprie Regioni, con attribuzioni analoghe a quelle che noi stiamo appunto attuando.

E la cosa rispondeva ad uno stato d'animo largamente diffuso, perché Stefano Jacini non era un uomo isolato, ma interpretava larghe correnti del pensiero nazionale. È quindi evidente che questa tradizione si è trasfusa fino ai nostri giorni e si basava allora sullo stesso stato d'animo con il quale noi oggi la sosteniamo.

Il secondo concetto, che non ho possibilità di svolgere, ma che mi limito ad accennare, è questo. Mi pare che in tutta la nostra discussione si sia troppo poco precisata la distinzione, che deve essere netta, fra decentramento amministrativo, Regione e federalismo. Sono tre concetti completamente diversi. Il decentramento amministrativo muove dal centro, è opera del potere centrale, e perciò non risponde all'essenza della Regione, che è germinazione spontanea dell'anima popolare. Il decentramento amministrativo è un fatto che muove dal centro e che si protende verso la periferia: noi vogliamo invece l'organizzazione autonoma della Regione in se stessa.

Il federalismo è molto diverso: è il concetto di sovranità trasferito nelle Regioni, e attuandolo, sorge veramente il pericolo che venga a mancare quell'unità dello Stato di cui l'Italia ha urgente bisogno, specie nelle difficoltà attuali.

Un concetto federalistico — e il più bell'esempio che si possa citare è quello del federalismo svizzero — sarebbe in Italia profondamente deleterio, perché la Svizzera ha una rappresentanza dei Cantoni in seno alla Confederazione, ma non la proiezione del potere centrale nei Cantoni, di modo che mancano allo Stato, come tale, le antenne per agire alla periferia; e ciò, specialmente in un grande Stato come il nostro, sarebbe assolutamente deleterio.

Inoltre, secondo il tipo federale svizzero, non è concepibile un Governo centrale, se non pressoché apolitico; in Svizzera i consiglieri federali sono nominati, si può dire, a vita e fanno soprattutto dell'amministrazione. Noi vogliamo invece che l'amministrazione la facciano le Regioni, ma che la politica la faccia lo Stato. E perciò bisogna che allo Stato sia conservata una relativa forza la quale, attuandosi il sistema federalistico, verrebbe grandemente diminuita.

Onorevoli colleghi, non voglio prolungare questa discussione; ma mi pare di avere inquadrato due punti che si devono tener presenti. Il primo riguarda la ripartizione proposta col mio emendamento: «Il territorio dello Stato si ripartisce in Regioni, Provincie e Comuni». Essa corrisponde ad una antica tradizione, viva in seno al Parlamento ed all'opinione pubblica italiana sin dall'epoca del nostro Risorgimento. Il secondo punto consiste in ciò: che il nostro tipo regionale tende a distaccarsi nettamente sia dal decentramento amministrativo promosso dal centro ed introdotto coattivamente alla periferia, sia dal sistema federativo, che sottrae il principio di sovranità allo Stato per ripartirlo fra vari stati ossia fra le Regioni che vengono fra loro federate. (Approvazioni al centro).

Presidente Terracini. L'onorevole Chieffi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni.

«Le Provincie ed i Comuni sono enti autarchici territoriali con proprie rappresentanze elettive, che realizzano un più vasto decentramento amministrativo statale e regionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

Chieffi. Diversi sono i colleghi che hanno presentato emendamenti all'articolo 107 del progetto di Costituzione: a me sembra ragionevole introdurre nella Costituzione che la Provincia è un ente autarchico con rappresentanza elettiva. Quali motivi sussistono per indicare esplicitamente che la Provincia è un ente autarchico con rappresentanza elettiva? Vi può essere un ente autarchico anche senza la rappresentanza elettiva? Abbiamo visto durante il ventennio fascista i Comuni conservare la caratteristica di enti autarchici; ma a reggerne l'amministrazione veniva nominato il podestà. Così, d'altra parte, abbiamo visto i presidi di Provincia sostituirsi alle deputazioni provinciali. La legge comunale del 1865 riconosceva una propria personalità giuridica alla Provincia, ed a capo della deputazione provinciale doveva essere il Prefetto. La legge successiva del 1889 toglieva la presidenza della deputazione provinciale al Prefetto e l'affidava ad un membro elettivo. Ora, ecco perché io dico che la rappresentanza elettiva non è una caratteristica propria e sempre costante dell'autarchia. L'ente autarchico deve disporre di mezzi propri, ossia deve avere un proprio patrimonio. Non bisogna dimenticare che il patrimonio delle Province è stato creato attraverso il sacrificio dei cittadini che vivono in quel determinato territorio, attraverso il pagamento delle tasse e attraverso le donazioni che vi possono essere state. Ora, il voler limitare la Provincia ad una circoscrizione territoriale, come fa il progetto di Costituzione, snatura completamente il significato dell'ente autonomo che ha un proprio patrimonio. La Provincia, nelle configurazioni attribuitegli dal nostro diritto pubblico, appare come una circoscrizione amministrativa dello Stato e come ente autarchico rivolto all'esplicazione di determinate attività di un dato territorio. Spesso si fa confusione quando si parla della Provincia e delle funzioni ad essa inerenti. Talvolta si crede che la deputazione provinciale sia un ufficio della Prefettura, e la Giunta provinciale amministrativa e l'ufficio del medico provinciale siano organi della Provincia come organo amministrativo ed elettivo.

Dirò senz'altro che la Provincia come organo di circoscrizione statale, cioè la Prefettura, deve scomparire; mentre deve rimanere la Provincia come ente autarchico, che, oltre agli attuali poteri ed attribuzioni — quali strade, matrimoni, brefotrofi — deve avere parte delle funzioni, oggi di competenza della Prefettura, cioè, la Provincia può divenire, ed esempio, il centro di assistenza sanitaria per la circoscrizione territoriale provinciale.

La dizione dell'articolo 107, così com'è formulata, è frutto di compromesso tra i membri della Sottocommissione; già in occasione della prima relazione alla seconda Sottocommissione l'onorevole Ambrosini ha posto in evidenza la necessità di non sopprimere la Provincia come ente autonomo; egli diceva che non si doveva ad un accentramento sostituirne un altro, col passaggio di tutti i poteri del capoluogo di Provincia al capoluogo della Regione. La formula, così com'è nel Progetto non può essere da noi approvata.

D'altra parte, grave è l'incongruenza che si denota nella formulazione dell'articolo 120 del Progetto, quando si parla della costituzione della Giunta in ogni circoscrizione provinciale o ufficio di decentramento regionale. Quali sono le modalità per la formazione di questa Giunta, quali i poteri? È evidente che i membri della Commissione si sono trovati in così profondo dissidio, da rimandare tutto alla legge della Repubblica. Anche qui dobbiamo dedurre che, dal contrasto verificatosi in seno alla seconda Sottocommissione, è nata una formula ambigua, che non risponde alle richieste ed alle esigenze manifestatesi in tutte le Province, che tendono a realizzare un maggiore decentramento, conservando però la natura di ente autarchico per assumere parte dei poteri che oggi sono di competenza della Prefettura.

In Sardegna, ove il problema autonomistico è sentito da tutte le popolazioni, sono sorti profondi contrasti quando si è trattato di discutere sul mantenimento o meno della Provincia; ed il dissidio più profondo è sorto tra le province settentrionali di Sassari e Nuoro e quella di Cagliari.

L'amico Lussu ha affermato che coloro i quali sono per la conservazione della Provincia appartengono ad una oligarchia federale d'interessi, minacciante l'autonomia regionale. Io dico, caro Lussu, che proprio coloro i quali sostengono la soppressione della Provincia minacciano inconsapevolmente di compromettere l'autonomia; perché il problema «Provincia» è forse più profondamente sentito, di quanto, in alcune Regioni non sia il problema «Regione».

La conservazione della Provincia come ente autonomo ha importanza notevole per la riforma che vogliamo realizzare attraverso la Regione: occorre fare conoscere questo nuovo istituto senza eccessive divisioni, nello spirito di solidarietà e di collaborazione.

D'altra parte, l'onorevole Lussu ha riconosciuto al partito al quale appartengo il merito, specialmente per virtù di Don Sturzo, di aver fatto sua l'idea autonomista; ebbene, Don Sturzo non si è pronunziato contro la soppressione della Provincia, ma ha affermato la necessità di riconoscere ad essa ben altre funzioni e la rappresentanza permanente degli interessi comunali. Non si può negare a quest'uomo, che ha battagliato per tanti decenni per questa idea, uno spirito antiautonomista, anche quando s'è manifestato per la conservazione della Provincia. (Interruzione dell'onorevole Lussu).

Concludo questa breve esposizione, affermando che è vivo l'interesse e l'attesa in tutte le Province, perché esse vengano conservate come enti autarchici con rappresentanza elettiva.

Ho fatto un accenno allo statuto progettato per la Sardegna. Anche qui si è verificato un profondo contrasto, quando si è trattato di discutere sulla conservazione o meno della Provincia; a questo riguardo la Consulta regionale è ricorsa ad una formula ambigua, poiché ha ammesso che la Provincia venga mantenuta per un primo tempo, salvo poi all'Assemblea regionale, una volta eletta, modificarne la struttura e i poteri.

Riesamineremo la questione quando l'Assemblea Costituente sarà chiamata a discutere e deliberare sullo Statuto sardo; dirò soltanto che si è dovuta aggirare la posizione, e trovare una formula di compromesso, senza di che non avremmo potuto presentare il progetto che oggi è all'esame dell'apposita Commissione. Termino, dato che su questo argomento sono parecchi i presentatori di emendamenti; quasi tutti si sono limitati a richiedere la inserzione della Provincia fra gli enti che devono far parte del territorio dello Stato. Il mio emendamento ha un'altra portata, perché sostengo che, oltre a conservare la natura di ente autarchico, la Provincia deve costituzionalmente avere una propria rappresentanza elettiva. Solo così facendo, si rende un servizio alle autonomie regionali, che debbono realizzare una sincera e concreta collaborazione fra le diverse Province e che invece potrebbero venire pregiudicate da un nuovo accentramento nel capoluogo della Regione.

Presidente Terracini. L'onorevole Caroleo ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si compone di Provincie, Circondari e Comuni.

«I Circondari sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e provinciale».

Ha facoltà di svolgerlo.

Caroleo. Con questo emendamento avevo fatto della Provincia un organo di decentramento politico, quando erano sorte molte preoccupazioni sulla denominazione di «Regione» per il nuovo ente.

Le preoccupazioni erano soprattutto di fratture e di rivalità nella compagine nazionale.

Ora, sulla questione non è più possibile discutere, perché l'organo Regione, in via di massima, ha già avuto l'approvazione di questa Assemblea. Resta però sempre il problema sulla quantità di poteri da conferire all'ente Provincia, della cui sopravvivenza ormai qui molti avvertono la necessità. Ma nel mio emendamento si parla anche di circondari ed io voglio proporre agli onorevoli colleghi se non sia il caso di meditare bene sull'opportunità di mantenere, per tali enti, quella soppressione che fu decisa dal fascismo; il quale partiva dal concetto che non si dovessero creare nello Stato degli enti che all'occasione potessero trovarsi in disaccordo con il centro, chiamato a tutto governare e ad avere tutto facilmente sottomano.

I circondari, specialmente nelle province del Mezzogiorno, adempirono a una loro viva funzione. Basta tener conto di quello che è l'attuale decentramento della giustizia, che ha proprio per caposaldo il circondario. In ogni circondario è collocato un tribunale. Anche il nostro ex Ministro Gullo ha creato di recente in Calabria un nuovo tribunale a Crotone, che una volta era capoluogo di circondario. Quindi bisogna tener ben presente questa che può essere una necessità in senso generico.

Ma io voglio richiamare pure l'attenzione della Commissione su qualche cosa di particolare: c'è l'articolo 125 del Progetto, il quale consente che 500.000 cittadini possano chiedere l'istituzione della Regione. Faccio una considerazione specialmente con riferimento alla Calabria. Abbiamo tre Province, di cui ciascuna ha seicentomila e più abitanti. Naturalmente, se non si raggiungerà l'accordo sulla sede del capoluogo regionale, ciascuna di queste tre Province sarà nelle condizioni previste dall'articolo 125 e quindi potrà chiedere di essere elevata a Regione.

Allora domando ai componenti la Commissione quali saranno gli organi di collegamento per i servizi statali fra la Regione e la periferia, fra lo Stato e la periferia? Dovremo al posto degli antichi circondari creare tante Province? Sostituire una denominazione all'altra? Ciò non mi sembrerebbe conveniente, e penso che, per lo meno, i circondari dovrebbero avere la possibilità di risorgere come organi di decentramento amministrativo per quelle nuove Regioni che venissero istituite in base all'articolo 125.

Anche questo emendamento, che è in ritardo rispetto all'orientamento, che già l'Assemblea ha preso in ordine all'istituzione dell'ente Regione, oggi può servire solo come suggerimento.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Russo Perez:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Provincie e Comuni. Un gruppo di Provincie può costituire la Regione, Ente autonomo con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione».

L'onorevole Russo Perez ha facoltà di svolgerlo.

Russo Perez. Io posso risparmiare all'Assemblea l'illustrazione del mio emendamento, perché esso corrisponde all'ordine del giorno che avevo presentato e che è decaduto, non essendomi trovato nell'Aula al momento opportuno. L'ordine del giorno diceva:

«L'Assemblea Costituente ritiene che, ferme restando le autonomie già concesse alla Sicilia, Sardegna, Trentino Alto-Adige e Valle d'Aosta con forme e condizioni particolari, altri gruppi di Provincie potranno, mediante normali provvedimenti legislativi, essere costituiti in Regioni secondo le norme del Titolo V della Costituzione, quando esse ne avranno sentito ed espresso il bisogno mediante la richiesta di tanti Consigli comunali che rappresentino almeno i due terzi delle popolazioni interessate e tale proposta sia stata approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse».

Il mio concetto è che, invece di essere l'Italia condannata, sia ammessa alla regionalizzazione.

Presidente Terracini. L'onorevole Veroni ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie, Circondari e Comuni.

«Le Provincie e i Circondari sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

Veroni. Mi associo a quanto è stato detto dall'onorevole Caroleo.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Codignola:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si articola in Regioni e Comuni, enti autonomi forniti di propri poteri e funzioni, nei limiti e con le garanzie della presente Costituzione.

«Lo Stato attua il decentramento dei propri servizi mediante le Provincie o altre circoscrizioni amministrative, ovvero delegandone l'esecuzione agli enti autonomi.

«La Regione può avvalersi, per l'espletamento dei propri compiti originari o delegati delle circoscrizioni di decentramento statale».

Non essendo presente l'onorevole Codignola, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

L'onorevole Bruni ha già svolto il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Circondari e Comuni».

L'onorevole Romano ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regione, Provincie e Comuni.

«Nei capoluoghi di Provincie hanno sede gli Ispettorati amministrativi e provinciali».

Ha facoltà di svolgerlo.

Romano. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l'emendamento da me proposto si può scindere in due parti. La prima parte trova riscontro negli emendamenti proposti da altri colleghi, dove si insiste perché sia mantenuta l'istituzione della Provincia come ente autarchico e si vuole evitare che, attraverso un decentramento, si cada nell'accentramento. Con la seconda parte dell'emendamento si vuol far sì che attraverso il decentramento, non si vada nel disordine amministrativo, in quel disordine amministrativo che potrebbe portare ad una forma quasi di anarchia amministrativa, specie nei luoghi dove si è meno politicamente maturi.

L'orientamento a favore dell'autonomia regionale si è sempre più sviluppato durante la discussione generale.

Ciò dimostra che, anche nei settori più contrari alla concezione autonomistica, si è affermato il convincimento che la malattia della nostra società è radicata nell'eccessivo accentramento, che si è attuato in tutte le manifestazioni della vita sociale ed economica.

Ma, per evitare questo accentramento, si creano altri pericoli, e quindi si sente il bisogno che il decentramento si applichi anche nei dettagli.

Come la società ha dilagato nella massa e nell'agglomerato indistinto, favorendo il formarsi dello Stato accentrato, burocratico, assoluto, totalitario, così l'apparato burocratico dello Stato accentrato ha avvinto gli individui in modo sempre più uniformante ed inevitabile, paralizzando ogni giorno a vista d'occhio le forze della spontaneità.

Da tutti, quindi, si è sentito il bisogno di desistere da ogni accentramento, da ogni agglomerato, e questo bisogno ha investito tutti gli aspetti della vita umana.

Oggi si guarda con preoccupazione al pigiarsi degli uomini nelle grandi città e nei grandi impianti industriali, si guarda con raccapriccio alla eccessiva proletarizzazione delle masse, che lega l'anima e la dignità del lavoro attraverso la produzione meccanizzata.

Tutto insomma oggi contribuisce ad avvicinarci sempre più al decentramento, nel senso più vasto della parola, allo spostamento di gravità sociali dall'alto al basso, alla correzione di esagerazione nell'organizzazione, alla creazione di nuove forme di industrie non proletarie, alla formazione di una proprietà di produzione e di una proprietà di domicilio contrastante con l'accentramento di produzione.

Questo bisogno è quanto mai sentito anche nell'ordinamento dello Stato. Giulio Simon diceva che libertà significa decentramento: questo la ragione di essere dell'autonomia, che deve essere applicata anche nei dettagli. Facendo scomparire la Provincia si corre il rischio di creare l'accentramento nel decentramento.

Considerando la Regione appunto come ente locale di decentramento amministrativo, si presenta la questione della conservazione o meno della Provincia.

Nell'articolo 107, comma secondo, del progetto di Costituzione si legge: «Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale».

Quindi la Provincia dovrebbe scomparire come ente autarchico territoriale, dotato di proprie personalità.

Però lo stesso Progetto all'articolo 120 corre ai ripari e dice: «La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative a mezzo di uffici nelle circoscrizioni provinciali, che può suddividere in circondari per ulteriore decentramento. Nelle circoscrizioni provinciali sono istituite Giunte nominate dai Corpi elettivi, nei modi e coi poteri stabiliti dalle leggi della Repubblica».

Con questa disposizione si riconosce la necessità di mantenere un contatto più immediato con i bisogni locali; ed allora tanto vale mantenere la Provincia, che, attraverso una lunga tradizione ha assunto una fisionomia propria e vive nel cuore degli italiani.

Si è detto da qualcuno che la Provincia si occupa soltanto di strade, di manicomi, di brefotrofi. Anzitutto, questo non è esatto perché alla Provincia fanno capo i Consorzi provinciali antitubercolari, le Federazioni provinciali dell'Opera nazionale maternità ed infanzia, i Comitati antimalarici ed altre attività amministrative.

D'altra parte, non sarebbe giustificata la soppressione della Provincia per la considerazione delle limitate funzioni, le quali possono allargarsi facendo della Provincia il principale elemento dell'autonomia locale.

Deve rilevarsi che in alcune Regioni vi sono centri che si contendono il primato e che, elevando a sede dell'ente Regione una delle città concorrenti, si pongono le altre in condizioni di inferiorità. Con l'elevazione a capoluogo di Provincia molti centri si sono sviluppati in edilizia, nel campo commerciale ed industriale. Con la soppressione della Provincia essi perderebbero ogni importanza, mentre si inizierebbe un periodo di decadenza, con gravi danni di molteplici interessi. Attuandosi l'autonomia regionale, la pratica dimostrerà come per alcuni servizi non sarà sufficiente l'unico ufficio regionale. Esempio: lavori pubblici. Vi sarà un ufficio tecnico nel capoluogo della Regione, come Palermo; ma se i lavori debbono eseguirsi in provincia di Siracusa, sarà necessario lo spostamento dei funzionari da Palermo a Siracusa, onde la necessità di uffici distaccati. Quindi, per ragioni di distanza, molti uffici non si potranno sopprimere, ed allora la Provincia continuerebbe ad esistere di fatto. Non so poi spiegare perché da qualche collega si sostiene di mantenere in vita solo le Province esistenti prima del fascismo, quasi come se quelle sorte durante il ventennio fascista avessero demeritato.

Va anche rilevato che nel Progetto non è detto, e non lo si poteva dire, e neppure si intuisce dai principî generali, se saranno lasciati gli uffici statali esistenti nelle Province: Intendenza di finanza, Genio civile, Ispettorati agrari provinciali, Questure, Uffici sanitari provinciali. Questi io penso che non si potranno portare alla Regione, giacché, così facendo, si creerebbe, come ho detto, un accentramento nel decentramento. Ciò deve avere preoccupato anche i compilatori del Progetto, che nell'articolo 120 hanno parlato di suddivisione circondariale. Questo però costituirebbe altro eccesso non giustificato dai migliorati mezzi di comunicazione rispetto al tempo in cui esistevano i circondari.

In verità, l'incertezza della sorte di tutti gli uffici statali esistenti nei capoluoghi di Provincia ha messo in grave preoccupazione migliaia di famiglie, le quali con paura pensano ad eventuali trasferimenti che costituirebbero dei veri disastri familiari in tempi tanto difficili, in cui trovare una casa non è problema di facile soluzione. Non è giusto tacere di questi gravi inconvenienti, anzi è doveroso chiarire e tranquillizzare tutta una categoria di funzionari. Non so pensare al passaggio di detti uffici statali alle dipendenze della Regione, perché allora si moltiplicherebbe la burocrazia.

Nell'attuazione di questo primo grande esperimento dell'autonomia è prudente andare cauti, conservando tutto quello che l'esperienza del passato consiglia di conservare giacché, come diceva il Gioberti, in tutte le riforme occorre un allacciamento tra il vecchio e il nuovo, in quanto nel collegamento è la vitalità di ogni riforma.

Altro interrogativo grava sulla sorte dei funzionari delle Prefetture.

È ben vero che questa materia non può trovar posto in sede di costituzione e che dovrà essere disciplinata dalle leggi ordinarie dell'ordinamento amministrativo.

Ma è giusto che di questa materia si possegga in anticipo la visione generale ed organica, fissando in sede costituzionale quei principî, ai quali il legislatore futuro dovrà attenersi. Tutti sappiamo che il prefetto in ogni tempo è stato sempre la longa manus del Governo centrale; tutti sappiamo che spesso, e specie durante il fascismo, al prefetto venivano attribuiti poteri, in virtù dei quali era consentito ingerirsi in tutti i rami dell'amministrazione, assumendo così una funzione odiosa e poliziesca; tutti sappiamo dei frequenti contrasti tra l'autonomia del Comune e lo strapotere prefettizio; ma tutto questo non giustifica la soppressione radicale di un organismo, che, come ogni medaglia, ha il suo rovescio.

Fare scomparire lo strapotere del prefetto è una urgente necessità, ma togliere ai comuni una guida tecnico-amministrativa è un pericolo. In molti piccoli comuni non si sa neppure impiantare il bilancio, l'unica luce alle volte è il segretario comunale, il quale finisce per sostituirsi in pieno agli amministratori. Spesso nei piccoli centri l'attività amministrativa reca l'impronta dei rancori, degli odi personali; nei grandi Comuni si infiltra la nota dell'affarismo. Tutti questi inconvenienti consigliano un controllo di legittimità che richiede esperti della vita amministrativa, cioè funzionari preparati, che devono anche essere strumenti di formazione della capacità tecnica-amministrativa.

Se è vero che deve evitarsi che l'autorità controllante soverchi di diritto e di fatto l'autorità controllata; se è vero che autarchia significa diritto di agire in modo autonomo per l'amministrazione degli interessi impersonati nell'ente, con l'esclusione dell'ingerenza degli organi centrali, tutto questo però presuppone che alla cura di detti interessi si provveda correttamente in modo legittimo ed opportuno. Onde la necessità di mantenere alcune forme di controllo per impedire che gli amministratori comunali e provinciali esplichino la loro attività in modo contrario agli interessi che rappresentano.

Se è giusto non far sopravvivere i controlli di merito, non può farsi a meno dei controlli di legittimità nella triplice forma di controlli preventivi, di controlli repressivi e di controlli sostitutivi.

Si attui pure una larga autonomia nelle amministrazioni locali, ma se queste dimostrano di non meritarla o di non saperla usare, è indispensabile l'intervento dell'organo di controllo. Questi controlli potrebbero svilupparsi a mezzo di ispettorati amministrativi da crearsi, utilizzando il personale delle Prefetture, nelle singole Province.

Gli ispettori amministrativi statuiranno sulla legittimità degli atti compiuti degli enti autarchici, Comune e Provincia. Contro le statuizioni di ispettori provinciali si potrà ricorrere ad organi di controllo regionali, costituiti da elementi in prevalenza elettivi con l'intervento di funzionari reclutati tra quelli oggi appartenenti al Ministero dell'interno.

Si assicurerebbe in tale maniera il rispetto della legge e si eviterebbero deviazioni pericolose. (Approvazioni).

Presidente Terracini. Gli onorevoli Canevari e Canepa hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica si riparte in Provincie e Comuni.

«Le Provincie possono costituirsi in Consorzi o in Regioni, enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî e le norme che saranno stabilite dalla legge.

«Lo Stato italiano promuove e sviluppa le autonomie locali ed attua nei suoi organi un largo decentramento amministrativo, secondo le norme che sono demandate alla legge».

L'onorevole Canepa ha facoltà di svolgerlo.

Canepa. Si tratta di una materia ormai trita e ritrita, su cui ciascuno ha già potuto esprimere la propria opinione.

La mia idea l'ho già detta svolgendo un altro emendamento a sostegno della Provincia. Rinuncio ora allo svolgimento di questo emendamento e mi auguro che il mio esempio sia seguito anche da altri.

Presidente Terracini. L'onorevole Rivera ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e comuni».

«Inserire, dopo il primo comma, il seguente:

«Le Regioni, le Provincie ed i Comuni sono costituiti e delimitati secondo le tradizioni e la storia antefascista con i capoluoghi tradizionali, salvo variazioni deliberate per referendum popolare, da indire non prima di due anni dalla entrata in vigore della Costituzione».

Non essendo presente l'onorevole Rivera, s'intende che abbia rinunciato a svolgerli.

Presidente Terracini. L'onorevole Dominedò ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica si ripartisce in Regioni, Provincie e Comuni».

«Sopprimere il secondo comma, trasferendone il contenuto all'articolo 120-bis».

L'onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerli.

Dominedò. Dopo quanto è stato detto dai precedenti colleghi, posso essere estremamente breve.

L'emendamento al primo comma riflette una questione di sostanza, cioè che non si crei, per avventura, un accentramento regionale e, inoltre, che le nuove Regioni sorgano in un'atmosfera di concordia con le antiche Province. Non reputo di dover indugiare ulteriormente su ciò.

Per quanto riguarda l'emendamento al secondo comma, esso è dettato dalla considerazione che, se poniamo nel primo comma la ripartizione del territorio dello Stato in Regioni, Province e Comuni, mi sembra che successivamente l'enucleazione delle norme relative alle Regioni, alle Province e ai Comuni debba, secondo un evidente disegno architettonico della Costituzione, snodarsi attraverso le norme sulla Regione, sulla Provincia, sul Comune.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. D'accordo.

Dominedò. Conseguenza pratica di questa esigenza è di sopprimere il secondo comma dell'articolo 107, trasformandolo in norma sulla Provincia, sia vista come ente autarchico, sia come organo di decentramento statuale, da inserire fra la Regione e il Comune; cosicché tutto l'articolo 107 si ridurrebbe all'enunciazione del primo comma della ripartizione in Regioni, Province e Comuni.

Nulla esclude un ulteriore passo per cui eventualmente questa enunciazione possa essere fatta addirittura nell'intitolazione del Titolo, in esame, nel qual caso salterebbe del tutto l'articolo 107.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. D'accordo.

Presidente Terracini. L'onorevole Camposarcuno ha presentato i seguenti emendamenti:

«Al secondo comma aggiungere: secondo l'ordinamento che verrà stabilito dalla legge».

«Aggiungere il seguente comma:

«Possono crearsi nuove Provincie con decreto del Presidente della Repubblica, su richiesta del Consiglio regionale e con le modalità che saranno stabilite dalla legge».

L'onorevole Camposarcuno ha facoltà di svolgerli.

Camposarcuno. L'articolo 107 tratta, fra l'altro, della ripartizione della Repubblica in Regioni e Comuni. Io tralascio di trattare la questione se, tra la Regione e il Comune, debba inserirsi l'elemento Provincia, anche perché altri colleghi di ogni settore hanno già autorevolmente discusso in merito e l'Assemblea Costituente ha tutti gli elementi per decidere. Osservo però che, tanto nel caso in cui la Provincia sia mantenuta nell'attuale forma di ente autarchico, come nel caso in cui essa sia invece trasformata in organo di decentramento amministrativo statale e regionale, alla Provincia deve essere data indubbiamente una nuova configurazione con la creazione dell'ente Regione.

Deve allora esservi una norma di legge che stabilisca, nell'un caso come nell'altro, come debba essere configurato questo ente Provincia. E perché sia chiaro che il nuovo ordinamento deve essere attuato in base ad una disposizione legislativa, io ho chiesto che al secondo comma sia aggiunta la dicitura: «secondo l'ordinamento che verrà stabilito dalla legge».

Per quanto riguarda poi il mio emendamento aggiuntivo, osservo che il progetto di Costituzione, all'articolo 125, stabilisce in qual modo si possano creare le nuove Regioni. Ma, se non erro, nel Progetto manca una disposizione che stabilisca in qual modo si possano eventualmente creare le nuove Province, sia sotto forma autarchica che sotto forma di decentramento amministrativo.

Ho proposto pertanto di aggiungere all'articolo questo comma: «Possono crearsi nuove Provincie...

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma non è qui che va trattata tale questione.

Camposarcuno. E dove, onorevole Ruini?

Dicevo, adunque, «Possono crearsi nuove Provincie con decreto del Presidente della Repubblica, su richiesta del Consiglio regionale e con le modalità che saranno stabilite dalla legge».

Naturalmente, per vedere quando si verifichino le condizioni che consentano di creare le nuove Province, ho proposto che questo articolo rimandi alla legge di stabilire le modalità.

Presidente Terracini. L'onorevole Zanardi ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«I Comuni costituiscono la base del rinnovamento democratico della vita italiana».

Ha facoltà di svolgerlo.

Zanardi. Onorevoli colleghi, in questa discussione si è parlato molto di Regioni e di Province e si sono dimenticati quasi completamente i Comuni, che costituiscono l'organo amministrativo più antico e più italiano.

Io ho ascoltato l'onorevole Ambrosini, il quale veramente è un poeta della sua tesi, che io ammiro, come si deve per gli uomini in buona fede, ma non posso aderire ai suoi principî.

Però, debbo dare una risposta all'onorevole Conti, il quale ci ha detto che noi siamo dei «piatti riformisti», e all'onorevole Piccioni, il quale ha affermato che noi ci siamo dimenticati delle promesse elettorali, cioè di dare le autonomie locali. Orbene, a nome di coloro che sono amanti della vita comunale, io posso qui affermare che in ogni momento della nostra vita pubblica abbiamo sempre domandato l'autonomia della vita comunale dai Prefetti, che sono gli arbitri della vita dei nostri Comuni. Orbene, i Prefetti potranno essere organi statali, ma non devono controllare la vita comunale, che è affidata soltanto alla legittima rappresentanza del corpo elettorale, come avviene oggi. Nell'interesse del Comune, i Prefetti non debbono per nulla entrare nella vita amministrativa.

In questa discussione i Comuni furono sempre dimenticati, ma io voglio ricordare a questa Assemblea che il Comune di Milano — diretto dal sindaco Caldara, mai dimenticato — ha perfino battuto moneta, e che noi, di Bologna, abbiamo avuto due navi, intitolate ad Andrea Costa e a Giosuè Carducci, che solcavano gli oceani. Quindi noi siamo capaci di riformare meglio le nostre città di quello che non sia la tarda burocrazia romana. (Interruzioni).

Il Comune è organizzato, prima di tutto — secondo le tradizioni del nostro partito — per l'assistenza scolastica. Noi abbiamo discusso per un mese circa sulla scuola, sul rinnovamento della scuola. Non vi è che un rinnovamento: quello di difendere la gioventù quando viene nella scuola e, quindi, di dare una assistenza scolastica più larga e più generosa; si deve dare il pane a tutti i bambini, senza bisogno di recitare il Pater noster o di cantare l'Internazionale. (Interruzioni).

Il Comune deve essere anche bene organizzato per l'approvvigionamento. Ho sentito l'amico e collega Cerreti che aveva stabilito una distribuzione differenziata del pane. Ma quello è un errore amministrativo perché, per avere il prezzo differenziato, ci vuole anche una distribuzione differenziata, perché nel negozio dove si vende il pane per tutte le categorie, indubbiamente, il commerciante, che non conosce mai la giustizia nel vero termine della parola, confonderà l'una e l'altra parte.

Orbene, la distribuzione differenziata del pane non può essere che opera dei Comuni, ed io non so perché 45 milioni di abitanti abbiano bisogno di tante tessere e di tante spese, dato che le tessere non servono altro che nelle grandi città, mentre nei nostri paesi, esse, di fatto, sono già abolite.

Noi, poi, abbiamo avuto — a Milano e a Bologna — una grande influenza anche nelle riforme legislative in Roma, ed il Governo centrale ha ascoltato spesso la nostra parola. L'Ente consumi, venuto a nuova vita, è stato fondato circa 30 anni fa in Comuni d'Italia che erano in mano al nostro partito.

E poi, un Comune deve, per essere bene amministrato, conoscere appieno il censimento dei locali che esso amministra. Dietro nostra iniziativa, l'onorevole Meda, il Ministro Meda, il vero e autentico Meda. (Si ride).

Rubilli. Il Meda anziano, volevi dire. Quello dei tempi nostri!

Zanardi. ...ha emanato un decreto-legge per una tassa progressiva sui vani. Orbene, l'onorevole Einaudi era contrario; ricordo che mi fece aspre critiche: disse che ero un empirico ed un flebotomo della vita economica del Paese. Ma ho il piacere di rispondergli che, con il censimento dei locali da noi proposto, oggi si potrebbero applicare le tasse in modo più giusto; con il censimento dei locali noi potremmo colpire i fondi rustici che sono liberi da imposte erariali e, mentre pagano le tasse le povere famiglie che vivono in sobborghi cittadini, nulla si paga là dove si raccolgono milioni di buoi e di vacche e di altri animali di notevole valore. In tal modo i nullatenenti pagano e quelli che guadagnano milioni sono liberi da ogni tributo. Quindi il censimento è giusto, nonostante il parere dell'onorevole Einaudi; ed il povero empirico ha ragione mentre l'illustre Einaudi va sempre cercando inutilmente i mezzi di applicare le tasse.

Già basterebbe la nuova imposta del 4 per cento. La più ingiusta che gli italiani abbiano mai pagata, perché succede che si paga una tassa che riguarda gli stabili che per ragioni diverse non danno redditi.

La tassa in parola doveva essere applicata soltanto ai terreni, non alle case, perché le case sono passive, mentre le campagne danno reddito altissimo.

Ora noi, confortati dal nostro grande Caldara, con l'aiuto del Ministro Meda, col consenso di uomini come Mariotti, come Greppi, abbiamo sempre sostenuto l'autonomia comunale, e perché siamo uomini pratici, abbiamo anche domandato che fosse applicata una autonomia finanziaria nel senso che le tasse reali dovevano essere date al Comune, e le personali essere lasciate allo Stato.

Di questo nulla si è fatto. Noi amici della vita comunale, dopo venticinque anni di esilio, siamo tornati ad amministrare i piccoli e i grandi Comuni, con quello spirito rivoluzionario del 1945, quando non vi era nessuna difficoltà a raccogliere delle persone che venivano ad offrire al Comune tutto quello che avevano più o meno onestamente guadagnato. Orbene è successo che — passata la festa gabbato lo Santo — mentre nel 1945 si potevano fare tutte le riforme possibili, oggi invece si trovano delle resistenze che allora non vi erano, perché quelli che allora agivano per paura, dopo due anni si sono liberati completamente dalla paura.

Io non insisto perché, prima di tutto, voglio stare al regolamento e credo di aver ormai raggiunto il limite del tempo che mi è assegnato. Soltanto, ritorno a questo concetto che per me è fondamentale: se vi devono essere le Regioni, le Province e i Comuni, noi avremo la minaccia che, invece di una burocrazia sola, ne avremo quattro per ogni città. A Milano, Genova, Torino, Bologna avremo quattro burocrazie: quella statale, quella regionale, quella provinciale e quella comunale. Domando se tale riforma possa essere sopportata da un Paese come il nostro, che è in dissesto e che non ha trovato la possibilità di difendere la propria moneta. (Interruzioni).

Nessuno finora mi ha detto come devono funzionare le Regioni. Non vorrei che si prendesse ad esempio il funzionamento della Regione siciliana, il cui governo è già venuto qui a domandare quattrini per la carta da scrivere. (Interruzioni Commenti).

Io sono in un'età in cui non diventerò più sindaco. Ma comunque sia, richiamo l'attenzione dell'Assemblea verso i compagni che reggono i Comuni d'Italia e che sono qui numerosi, ed autorevoli, perché preferiti dagli elettori. Essi rappresentano la parte migliore della vita italiana e ne costituiscono la classe dirigente. Rendo omaggio ai sindaci che onorano quest'Assemblea, i quali, forti delle tradizioni dei loro Comuni, affermano una sola volontà, la libertà comunale.

Voi formerete delle Regioni; e vi saranno in esse dei partiti che diventeranno potenti, forse anche prepotenti, ma io, democratico socialista, domando che si mantenga viva la libertà del Comune, perché soltanto con essa si avrà il trionfo della democrazia socialista, che noi abbiamo amato per tutta la vita e per la quale molti, che hanno onorato questi banchi, hanno tanto sofferto. (Applausi).

Presidente Terracini. L'ultimo emendamento è il seguente dell'onorevole Bovetti:

«Sostituirlo col seguente:

«Il territorio della Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

Ha facoltà di svolgerlo.

Bovetti. Sarò telegrafico e non aggiungerò ulteriori argomentazioni a quanto è stato detto egregiamente sul tema dell'autonomia della Provincia. Solo per rispondere ad un interrogativo dell'onorevole Zanardi, mi limiterò a portare all'Assemblea un dato di fatto, collaudato dall'esperienza, di una Regione che ha proprie caratteristiche topografiche, di popolazione e di economia, cioè la Regione piemontese. Noi ci siamo trovati, immediatamente dopo la lotta di liberazione, in una situazione particolarmente avulsa dall'economia nazionale e dalle direttive generali dello Stato. È stato creato in Piemonte il Consiglio economico piemontese, che ha raggruppato, attraverso una attività durata un biennio, le deputazioni provinciali, le Camere del lavoro, le Camere di commercio e di agricoltura; che ha esplicato, non soltanto attraverso una attività di coordinamento, varie iniziative che costituiscono la traduzione in fatto di quanto l'Assemblea sta per elaborare in linea di diritto. Il Consiglio economico piemontese non ha limitato soltanto la sua attività a coordinare norme economiche, ma ha esteso i suoi compiti anche a tutta la vasta gamma di problemi che potevano interessare la Regione: dai problemi dei trasporti, ai problemi ospedalieri e all'attività quasi normativa, attraverso l'elaborazione di un codice delle consuetudini.

Questa attività di fatto — ripeto, collaudata da una esperienza biennale — ci ha portato alla constatazione che l'esperimento regionale può essere fattivo, quando è inteso su norme giuste, su norme confacenti alle esigenze della Regione. Ci ha dimostrato, cioè, la possibilità della coesistenza di un ente Regione, che avrà quell'attività legislativa e normativa che l'Assemblea crederà di demandargli, e di un ente Provincia, inteso come ente autarchico.

Ho sentito dall'onorevole Zanardi paventare il pericolo di una eccessiva burocratizzazione: cioè la conservazione di una burocrazia statale, l'innovazione di una burocrazia regionale e la coesistenza di una burocrazia provinciale. Io credo, invece, che la coesistenza dell'ente Regione con l'ente Provincia possa essere mantenuta senza questo pericolo, perché se noi alla Regione demandiamo compiti legislativi e normativi, possiamo conservare alla Provincia, intesa come ente autarchico, l'attuale attività di decentramento amministrativo, così che al centro regionale potrà aversi un'Assemblea, che ci auguriamo sia ristretta, in modo che non porti alle spese lamentate da qualche settore di questa Assemblea.

Ed anticipando la discussione sull'articolo 120, vorrei invocare dalla Commissione maggiore chiarezza, circa quelli che dovranno essere gli organi rappresentativi della Provincia. A me l'espressione «decentramento» non soddisfa. Una formula così generica, che rimanda alla legge, non può portare la chiarezza, che abbiamo il diritto di invocare da questa Costituzione.

Ritengo — è una idea mia personalissima, ma avvalorata dai voti e dai desideri di unioni di amministrazioni provinciali — che l'Assemblea regionale non debba portare in sé la vivezza delle discussioni politiche, ma debba fermarsi soprattutto su problemi economici ed amministrativi. Ritengo che l'Assemblea regionale non debba essere un Parlamento politico, che possa portare in sé i pregi ed i difetti del Parlamento centrale, ma debba essere composto da persone competenti, collaudate dall'esperienza nella vita provinciale, le quali possano portare non la passione politica, ma l'esperienza nei problemi che più assillano la vita della Regione, della Provincia e del Comune.

Per questo il voto di numerose Amministrazioni provinciali è che la futura Assemblea regionale debba essere eletta in secondo grado, con elezione in primo grado dei Consigli comunali, ed in secondo grado di una Assemblea ristretta, promanazione del voto e della designazione dei Consigli provinciali, delle Camere del lavoro, delle Camere di commercio e dell'agricoltura, di tutti gli organismi, cioè, amministrativi ed economici della Regione.

Presidente Terracini. Non esca fuori argomento, onorevole Bovetti.

Bovetti. Così, o signori, attraverso l'esperienza, che abbiamo collaudata, in perfetta unione di spiriti di vari partiti nella Regione piemontese, abbiamo raggiunto lo scopo di dimostrare che l'organizzazione regionale non significa antagonismo fra Regione e Provincia, non significa distacco della Provincia dallo Stato, ma nobile gara fra le energie delle Regioni, per il benessere e la ricostruzione del Paese. (Applausi).

Presidente Terracini. Penso sia opportuno sospendere la seduta, rinviando il seguito della discussione alle 17.

(Così rimane stabilito).

(La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 17).

[...]

Presidente Terracini. Riprendiamo l'esame degli emendamenti proposti all'articolo 107.

Gli onorevoli Bozzi e Grassi avevano presentato il seguente emendamento:

«Sostituire gli articoli dal 107 al 125 col seguente:

«La Repubblica si riparte in Comuni, Provincie e Regioni. Con legge costituzionale saranno stabiliti i confini delle diverse Regioni, nonché i poteri e la competenza, normativa ed amministrativa, dei Comuni, delle Provincie e delle Regioni e i rapporti fra questi enti e lo Stato».

Gli onorevoli Bozzi e Grassi lo hanno ritirato.

Nobile. Chiedo di farlo mio.

Presidente Terracini. L'onorevole Nobile ha facoltà di svolgerlo.

Nobile. Gli intenti che hanno ispirato questo emendamento sono, per la loro portata chiari, e non avrò bisogno di molte parole per illustrarli.

L'emendamento è pienamente d'accordo con le precedenti deliberazioni dell'Assemblea, che hanno ammesso l'istituzione dell'ente Regione.

Perciò, a mio avviso, anche i fautori più accesi dell'ordinamento regionale potrebbero accettarlo, perché con esso non si pregiudica nessuna delle questioni che ad essi stanno più a cuore. Io non voglio ripetere le argomentazioni che già svolsi davanti all'Assemblea sulla necessità che una riforma così radicale, quale quella che si discute, sia attentamente esaminata.

Ora, discutere seriamente, com'è necessario fare, dei confini, dei poteri e della competenza normativa ed amministrativa del nuovo Ente è cosa che, a mio avviso, richiede molto tempo. Ognuna delle voci elencate negli articoli 109, 110 e 111 implica l'esame di difficili e complesse questioni tecniche. Non meno ampio e profondo dovrebbe essere il dibattito intorno all'articolo 113 che concerne l'autonomia finanziaria. Infine, l'articolo 123 solleva centinaia di questioni complesse, come è provato dalle infinite e contraddittorie manifestazioni che tutti i giorni ci pervengono da ogni parte d'Italia.

Spero, perciò, che i colleghi non vorranno tacciarmi di pessimismo se asserisco che tutta questa complicata, spinosa, controversa materia, richiederebbe mesi e mesi di indagini e di discussioni. Del resto, devo notare che le mie precedenti previsioni in fatto di tempo non sono state smentite dagli avvenimenti. Si dirà che davanti a noi c'è ancora un lungo periodo di tempo per i nostri lavori, ma io non credo che questo tempo sia poi tanto. Il tempo passa presto e l'esperienza ci dovrebbe ammonire che spesso l'Assemblea, in questo difficile momento della vita nazionale, è chiamata a discutere ed a pronunciarsi su altri problemi, che non sono quelli della Costituzione. D'altra parte, credo che non vi sia alcuno fra noi che ritenga che comunque sia necessario fissare ora le attribuzioni, i confini ed i poteri del nuovo Ente. Vi è, se mi è permesso di ricordarlo, un vecchio proverbio, credo napoletano, il quale dice che la gatta per andare troppo in fretta fece i piccoli ciechi. Ora, io non vorrei che questa riforma regionale, la quale è pure cosa seria e dovrebbe essere attentamente esaminata, nascesse morta, gettando così il discredito su tutta la Carta costituzionale.

Procediamo per gradi. Abbiamo sancito e sanciamo, con gli articoli approvati, la creazione del nuovo Ente. Rimandiamo al futuro Parlamento il compito di fissarne il funzionamento. Si tenga anche presente che, a grande maggioranza, l'Assemblea ha deciso che si debba mantenere, anzi potenziare la Provincia. Ed allora direi che, anche per ragioni di euritmia della Costituzione, se si parla di autonomia regionale si dovrebbe parlare, con la stessa ampiezza, di autonomia provinciale e di autonomia comunale; invece, all'autonomia comunale non è dedicato che un solo articolo.

Per queste ragioni, io penso che l'emendamento possa trovare l'accoglimento anche dei fautori più accesi dell'autonomia regionale. Perciò, confido che l'Assemblea vorrà approvarlo.

Zuccarini. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Zuccarini. Desidero precisare che, a mio parere, questo emendamento non può essere posto in votazione.

Presidente Terracini. Le faccio presente, onorevole Zuccarini, che non siamo ancora in sede di votazione; siamo allo svolgimento degli emendamenti.

Zuccarini. Appunto perché siamo in tema di svolgimento degli emendamenti, mi pare che sia il caso di porre questa pregiudiziale: se questo emendamento debba cioè o non debba rientrare nell'articolo 107. Per me la questione la ritengo già superata.

I colleghi Bozzi e Grassi hanno ritirato il loro emendamento, appunto perché presentarono, insieme all'onorevole Bonomi, un ordine del giorno sul quale abbiamo ormai discusso e l'Assemblea ha già votato. Riprendere oggi lo stesso tema mi sembra anche poco riguardoso verso l'Assemblea.

Fuschini. È contro il Regolamento.

Zuccarini. Significherebbe precisamente distruggere quel voto che è stato preso da una Assemblea molto più numerosa di questa e, per la larga discussione fatta, consapevole di ciò che faceva.

Perciò ritengo che questo emendamento, che non riguarda un solo articolo, ma un complesso di articoli, non possa essere messo in votazione. Qui trattiamo ora dell'articolo 107: si propongano pure emendamenti a questo articolo, che si potranno respingere o approvare; ma la richiesta Nobile è tutta altra questione. Mi pare anzi che con essa ci si prenda gioco dell'Assemblea. (Approvazioni al centro).

Presidente Terracini. La prego, onorevole Zuccarini, di limitarsi nei suoi termini e di non aggiungere parole che possono anche colpire dei colleghi.

Persico. Chiedo di parlare per mozione d'ordine.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Persico. Non c'è dubbio, onorevoli colleghi, che essendo passati alla discussione degli articoli, ogni deputato ha diritto di proporre quegli emendamenti che crede sui singoli articoli; ma l'emendamento a firma degli onorevoli Bozzi e Grassi fatto proprio poi dall'onorevole Nobile, non è un emendamento ad un articolo, non incide sulla materia, cioè, dell'articolo 107, ma, riguarda tutto il Titolo V e quindi gli articoli da 107 a 125, con una sola affermazione: che la futura Camera stabilirà i confini della Regione ed i poteri dei Comuni, delle Province, nonché i rapporti fra questi Enti e lo Stato. Cioè a dire, nel concetto informatore di questo emendamento, di questo che prima era un ordine del giorno, come era stato presentato dagli onorevoli Bozzi e Grassi, si voleva accantonare la questione della Regione, fare un'affermazione generica nella Carta costituzionale e rimandare al futuro Parlamento tutta la complessa materia diretta alla costituzione dell'ente Regione.

Tutto questo fu superato in base a quella seconda discussione generale che abbiamo fatto a proposito degli ordini del giorno, che furono ampiamente svolti, discussi e votati.

In quella sede gli onorevoli Bozzi e Grassi, ritirarono il loro ordine del giorno e, d'accordo con l'onorevole Bonomi, proposero un altro ordine del giorno, respingendo il quale si è adottata una determinata deliberazione.

Quindi, a mio avviso, sia l'ordine del giorno Nobile, sia quello che viene subito dopo, dell'onorevole Targetti ed altri, non si possono più discutere, perché non sono più emendamenti all'articolo 107, che dice soltanto: «La Repubblica si riparte in Regioni e Comuni».

Questi due emendamenti possiamo discuterli insieme, se il collega Targetti lo consente: in sostanza, non sono emendamenti, in quanto tendono a riprendere in esame la questione già votata sull'ordine del giorno Bonomi, mentre, d'altra parte, questa mattina è stata approvata la proposta di passare alla discussione dei singoli articoli.

Non si può chiamare emendamento una proposta che tende a sopprimere il Titolo V; ora si possono solo proporre delle modifiche all'articolo 107. Si potrebbe ad esempio proporre questo testo: «La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni», questa è una modifica. Ma gli emendamenti Nobile e Targetti...

Fuschini. Sono un nuovo progetto.

Persico. ...costituiscono appunto un nuovo progetto, in cui rimane soltanto la parola «Regione» come affermazione generica, e rimangono i quattro Statuti autonomi della Valle d'Aosta, della Sardegna, della Sicilia e delle Valli Atesine, che sono già stati approvati.

Quindi, proporrei una mozione d'ordine, nel senso che tanto l'emendamento Targetti quanto quello dell'onorevole Nobile debbano considerarsi fuori del tema della nostra discussione, la quale è limitata soltanto a quegli emendamenti o a quelle modificazioni che attengono al testo dell'articolo 107, che è il solo in discussione.

Noi abbiamo già approvato l'articolo 106; siamo già in pieno nella discussione degli articoli e non possiamo riportare la discussione ad una fase preliminare.

Presidente Terracini. Hanno parlato due oratori a favore della pregiudiziale. Possono parlare due oratori contro la pregiudiziale.

Targetti. Chiedo di parlare contro.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Targetti. Io vorrei chiedere al collega ed amico Persico in qual altro modo si potrebbero avanzare, in questa sede, proposte di modificazione dei vari articoli, se fosse vero che non si potessero svolgere gli emendamenti da noi presentati.

L'Assemblea ha respinto l'ordine del giorno Bonomi, poi ha approvato un ordine del giorno in base al quale si è passati alla discussione degli articoli. Discussione, non approvazione preventiva degli articoli.

Ora, discutere gli articoli vuol dire proporre anche, volta per volta, degli emendamenti agli articoli stessi.

La questione che fa l'onorevole Persico poteva essere fatta e potrebbe essere fatta in sede di votazione, quando il nostro Presidente deciderà come procedere alla votazione di questi emendamenti.

Sarà quello il momento in cui si potrà discutere ed il Presidente deciderà se si possa o meno passare all'approvazione di tutti e quattro gli articoli da sostituire a quelli del Progetto, o se non sia invece più consono allo spirito del Regolamento di mettere a partito articolo per articolo.

Mi pare strano che un deputato, il quale voglia proporre che un determinato articolo in discussione venga modificato in una qualsivoglia maniera, debba sentirsi opporre un diniego proprio perché siamo alla discussione degli articoli, e di ciò non si può più parlare.

Presidente Terracini. Nessun altro chiedendo di parlare contro la pregiudiziale, dobbiamo passare alla votazione della pregiudiziale dall'onorevole Zuccarini nei confronti dell'emendamento fatto proprio dall'onorevole Nobile.

L'onorevole Persico l'ha estesa anche ai seguenti emendamenti presentati dagli onorevoli Targetti, Malagugini, Giacometti:

«Sostituire gli articoli dal 107 al 125 (incluso) con i seguenti:

Art. ...

Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni.

Art. ...

I Comuni sono autonomi nel proprio ambito.

Art. ...

Le Regioni e le Provincie sono Enti di decentramento statale, dotati di autogoverno.

Art. ...

L'ordinamento, le attribuzioni, le circoscrizioni delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni sono stabiliti dalla legge.

Statuti particolari di autonomia per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d'Aosta, le Valli Atesine saranno stabiliti con leggi speciali».

Persico. L'ho estesa al complesso degli emendamenti.

Presidente Terracini. No, onorevole Persico: non si può estendere la pregiudiziale al complesso, in quanto ci troviamo di fronte ad una questione tecnica e non di merito. L'onorevole Targetti presenta quattro articoli, ognuno dei quali può essere contrapposto ad un altro degli articoli del progetto di Costituzione. Mi pare che questo rientri pienamente nelle facoltà dell'onorevole Targetti. E infatti, come l'onorevole Targetti stesso ha tenuto a sottolineare, le sue formulazioni possono essere respinte, ma non possono essere dichiarate a priori non accettabili.

Desidero soltanto, prima di porre in votazione la pregiudiziale, dare un chiarimento per quanto concerne l'emendamento fatto proprio dall'onorevole Nobile. Se si ponesse a raffronto l'ordine del giorno dell'onorevole Bonomi, già respinto dall'Assemblea, con la proposta dell'onorevole Nobile, si vedrebbe chiaramente come fra le due formulazioni non vi sia nulla di comune. La proposta Nobile, se mai, è molto più radicale di quella dell'onorevole Bonomi e questo potrebbe essere, a mio parere, l'argomento da invocarsi.

Nell'ordine del giorno presentato dall'onorevole Bonomi, infatti, non solo era previsto che la Costituzione dovesse sancire l'ordinamento regionale, ma anche che si occupasse della limitazione dei poteri e degli organi del nuovo ente. Esso autorizzava quindi anche lo sviluppo di diecine e diecine di articoli, mentre secondo la proposta Nobile tutto questo dovrebbe sparire.

Ci troviamo, quindi, di fronte ad una proposta, che per la sua radicalità, si distanzia nettamente dall'altra. Tengo a chiarire ciò per spiegare la ragione per cui non ho ritenuto di dover impedire all'onorevole Nobile a priori di svolgere il suo emendamento.

Quanto all'onorevole Targetti, io penso che egli abbia il diritto di presentare la formulazione dei suoi articoli di volta in volta, in contrapposizione a quegli articoli del Progetto che egli designerà.

Pongo pertanto in votazione la pregiudiziale dell'onorevole Zuccarini, in rapporto all'emendamento dell'onorevole Nobile.

(Segue la votazione per alzata e seduta).

Risultando incerto l'esito della votazione, procediamo alla votazione per divisione.

(La pregiudiziale è approvata).

Dobbiamo ora prendere in esame gli emendamenti presentati dagli onorevoli Targetti, Malagugini e Giacometti, di cui è stata data testé lettura. I quattro articoli proposti potrebbero considerarsi come un complesso unico, oppure separatamente in rapporto ai corrispondenti articoli del Progetto. Quale è, in proposito il parere dell'onorevole Targetti?

Targetti. Sarò ingenuo, ma credo poco all'importanza di adottare questa od un'altra procedura. O con l'una o con l'altra, il pensiero dei vari deputati non può cambiare. Non voglio dire cosa poco rispettosa, ma queste schermaglie mi sembrano da museo. Io esprimo il parere del mio Gruppo, su questa questione. Il Presidente deciderà se mettere in votazione un emendamento dietro l'altro o l'insieme dei quattro articoli che noi proponiamo di sostituire agli articoli dal 107 al 125 del Progetto. La modalità della votazione non potrà certo influire sul voto dell'Assemblea. Io sono agli ordini del Presidente.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si potrebbe fare così: l'articolo primo dell'onorevole Targetti: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni» che è stato presentato da una dozzina di altri proponenti può essere trattato ora. Il secondo: «I Comuni sono autonomi nel proprio ambito», non è nuovo, giacché si riferisce a quanto è già considerato all'articolo 121.

Targetti. Non mi fa un complimento ma, per mia fortuna, dice cosa inesatta.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho detto che il suo emendamento sia identico al testo dell'articolo 121; ho detto che il concetto è quello lì.

Targetti. Vi è una sostanziale differenza.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Io non desidero discutere ora: dico che l'autonomia dei Comuni nell'ambito delle leggi come dice il Comitato, o nel proprio ambito, come invece propone Lei (ed io non ritengo accettabile tale dizione), è tema dell'articolo 121.

Troviamo poi: «Le Regioni e le Provincie sono enti di decentramento statale», ed il tema attiene all'articolo 107, e può essere trattato in quella sede. L'articolo Targetti che segue: «L'ordinamento, le attribuzioni, le circoscrizioni delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni sono stabiliti dalla legge. Statuti particolari di autonomia per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d'Aosta, le Valli Atesine saranno stabiliti con leggi speciali» attiene all'articolo 108.

Mi sono limitato ad indicare la corrispondenza di argomento fra gli emendamenti testé presentati e gli articoli formulati dalla Commissione: niente altro. L'insieme delle proposte Targetti, che intende essere in tutto sistematico, implica infine la soppressione di tutte le altre disposizioni sulla Regione; ma sulla questione si è già pregiudizialmente pronunciata l'Assemblea.

Presidente Terracini. Io ritengo che questi quattro articoli che lei, onorevole Targetti, ha presentato debbano essere svolti quando si presentano gli articoli corrispondenti del testo della Commissione. Ora è ben chiaro che nel suo pensiero il Titolo dovrebbe ridursi a questi quattro articoli. Ciò implica tutta una serie di proposte soppressive nei confronti di articoli proposti dalla Commissione, ma il modo con cui si manifesta l'intenzione della soppressione è proprio quello di votare contro gli articoli proposti. Pertanto, man mano che gli articoli del testo, che non vengono considerati per la loro materia nella sua formulazione, saranno posti in votazione, lei voterà, se conserva lo stesso atteggiamento, contro quegli articoli; ed è il modo con il quale manifesterà la sua intenzione di sopprimerli.

Targetti. Osservo che l'ultimo articolo da noi proposto, se approvato, determinerebbe la caduta di tutti gli altri articoli del Progetto.

Presidente Terracini. L'Assemblea poco fa ha votato su una pregiudiziale, la quale non era diretta contro la sua formulazione; ma suppongo che l'onorevole Zuccarini, o altri, nel momento in cui si dovesse votare sopra questi quattro articoli, porrebbero una nuova pregiudiziale, e ci ritroveremmo nella stessa situazione di poco fa.

Targetti. Nel momento in cui l'onorevole Zuccarini o altri ponesse la pregiudiziale anche contro i nostri emendamenti, si dovrebbe rinnovare la votazione.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Se il Presidente lo crede.

Piccioni. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Piccioni. Il Regolamento che disciplina la discussione è alquanto elastico — non si può non riconoscerlo — ma non fino al punto da riproporre articolo per articolo tutto ciò che è stato discusso, votato o respinto precedentemente.

L'articolo 89 del Regolamento — leggo per mia memoria in modo particolare — dice:

«Quando la Camera vi annuisca, si passa alla discussione degli articoli.

«Questa consiste nella discussione sopra ogni articolo del progetto di legge. La votazione si fa sopra ogni articolo e sugli emendamenti che si propongono».

Quindi, discussione e votazione articolo per articolo: non si può, evidentemente, al progetto in discussione contrapporre un altro progetto, sia pure più sintetico o più schematico.

Per conseguenza, gli articoli dell'onorevole Targetti devono essere, come ha già detto l'onorevole Presidente, collocati in corrispondenza dei singoli articoli, ai quali ciascuno di essi si riferisce.

Ma c'è di più. Nell'articolo 89 è detto: «Non si potranno riprodurre sotto forma di emendamenti o di articoli aggiuntivi gli ordini del giorno respinti nella discussione generale, nel qual caso può sempre essere opposta la pregiudiziale».

Ora — mi consenta l'Assemblea — se si dovesse radicare questo costume, che oggi ha avuto un inizio di applicazione, per cui in sede di emendamenti di articoli si ripropongono, in maniera più o meno larvata o mascherata, gli stessi concetti, gli stessi principî, le stesse definizioni, che hanno costituito oggetto di particolari ordini del giorno respinti, noi ci accingeremmo ad un lavoro di Sisifo, veramente inconcludente ed interminabile, perché, ad ogni piè sospinto, si potrebbe riproporre il siluramento di tutto il progetto dell'ordinamento regionale.

Quindi, è bene sia fissata — mi rivolgo in modo particolare, per quanto non ve ne sia bisogno, all'onorevole Presidente — una prassi precisa, che, d'altra parte, si riallaccia a questa norma specifica del Regolamento e ad una prassi costante delle discussioni parlamentari.

Ritengo che in applicazione del Regolamento, sia un preciso diritto dell'onorevole Presidente, se non pure un dovere, non porre in votazione emendamenti che mascherino ordini del giorno veri e propri.

Per quanto si riferisce all'ultimo articolo proposto dall'onorevole Targetti, formulo senz'altro la pregiudiziale già posta dall'onorevole Zuccarini nei confronti dell'emendamento Nobile, non svolgendone i motivi, perché mi pare che balzino agli occhi di tutti dalla lettura dello stesso articolo proposto dall'onorevole Targetti. (Applausi).

Presidente Terracini. Possiamo considerare il primo articolo proposto dall'onorevole Targetti come un emendamento all'articolo 107.

Esso dice:

«Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni».

L'articolo riprende, in sostanza, una formulazione proposta da numerosi altri colleghi.

Onorevole Targetti, intende svolgere il primo dei suoi articoli, in riferimento all'articolo 107 del Progetto?

Targetti. Io mi trovo in un certo imbarazzo a seguire questo ordine di discussione, ma cercherò, come suol dirsi, di fare del mio meglio.

La prima nostra proposta è: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni».

Ma non ci possiamo fermare qui.

Siccome l'articolo 107 del Progetto aggiunge: «Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale», ed in relazione a questa definizione della Provincia, stanno altre disposizioni del Progetto, abbiamo la necessità di spiegare che quando diciamo: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni» intendiamo riferirci ad una determinata specie di Province.

Intendiamo cioè che sia conservata la Provincia come ente autarchico dotato di autogoverno.

Immagino che nessuno avrà obiezioni da fare sopra la nostra facoltà di illustrare, se occorresse, questa parte del nostro emendamento. Ma noi abbiamo la fortuna di non trovare più oppositori alla conservazione della Provincia. Ricordiamo che, nella elaborazione del progetto di Costituzione da parte della Commissione dei Settantacinque, alla povera Provincia fu celebrato un funerale, un funerale di terza classe. A seguire il mesto corteo mi trovai solo con i colleghi Fuschini e Bozzi. Questo mi permetto di osservare, per richiamare l'attenzione di tutta l'Assemblea sopra la necessità di una ponderazione bene approfondita prima di prendere deliberazioni in questa materia. Se si fosse venuti allora ad una decisione, la Provincia sarebbe stata senz'altro soppressa. Oggi tutti la vogliono conservare! Oggi è avvenuta, non una modificazione, ma una conversione della situazione. Rallegriamoci del risultato felice ottenuto. Non indaghiamone le cause, anche per metterci al sicuro da qualsiasi tentazione di malignazioni politiche.

È certo, da quanto ci risulta, che ormai vi è un pieno accordo nella necessità di conservare la Provincia. Non si trova più nessuno che sostenga, come una volta si ripeteva da tante parti, che la nascita della Regione deve portare come conseguenza questa specie di strangolamento della Provincia.

Lussu. C'è la maggioranza.

Targetti. Come l'amico Lussu ricorda, nella Commissione dei Settantacinque per il mantenimento della Provincia rimanemmo soltanto in due o tre. Ho qui il verbale della seduta della seconda Sottocommissione in cui fu discussa la questione. Glielo posso senz'altro passare.

Allora, siamo d'accordo che la Provincia resta così com'è, come ente autarchico. (Rumori Commenti).

Non abbiamo sentito nessuno sostenere una tesi contraria e, se sono bene informato, anche la Commissione (non so se all'unanimità o a maggioranza) è d'accordo per la sopravvivenza della Provincia quale essa è.

Persico. L'onorevole Ruini non l'ha detto.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. L'ho detto più volte nel mio discorso, onorevole Persico.

Targetti. Questo parziale dissenso potrebbe essere per me una istigazione a dire le ragioni che militano per la conservazione della Provincia, ma credo di dover resistere alla tentazione di svolgere innanzi all'Assemblea questo argomento che molto mi ha appassionato, non vedendone più la necessità.

Noi abbiamo proposto di far seguire a questa indicazione che il territorio si ripartisce in Regioni, Province e Comuni, un articolo che affermi l'autonomia dei Comuni. L'onorevoli Ruini è caduto prima in un equivoco...

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. No, onorevole Targetti non ho detto che il suo emendamento sia la stessa disposizione dell'articolo 121; ho detto che è lo stesso tema.

Targetti. Allora ho capito male io. E questo suo concetto, come lo capisco ora, è perfettamente conforme alla realtà, mentre l'articolo 122 parla, sì, dell'autonomia dei Comuni, ma questa autonomia circoscrive nei limiti fissati dalle leggi generali della Repubblica, noi chiediamo all'Assemblea che questa autonomia non sia in relazione e quindi eventualmente limitata da quei principî, e vorremmo che l'Assemblea adottasse una formula generica, perché a noi sembra che con questa formula si assicuri, qualunque sia l'orientamento della futura Assemblea legislativa, quella piena autonomia comunale che abbiamo sempre ritenuto essere una necessità della vita del Paese.

Presidente Terracini. Onorevole Targetti, parleremo di ciò quando esamineremo appunto l'articolo 122.

Targetti. Mi sembra di essere nel vero, dicendo che quando noi, con questo emendamento, proponiamo che l'articolo 107 abbia la dizione testé letta: «Il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni, Provincie e Comuni», intendiamo anche dire che il resto dell'articolo viene soppresso. Delle Province riparleremo nell'articolo successivo.

Rivera. Onorevole Presidente, non essendo stato presente nel momento in cui avrei dovuto svolgere due emendamenti da me presentati, chiedo ora la facoltà di svolgerli.

Presidente Terracini. Onorevole Rivera, data l'importanza dell'argomento, le è consentito di svolgere i due emendamenti:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

«Inserire, dopo il primo comma, il seguente:

«La Regione è costituita e delimitata secondo le tradizioni e la storia antifascista con i capoluoghi tradizionali, salvo variazioni deliberate per referendum popolare, da indire non prima di due anni dalla entrata in vigore della Costituzione».

Avverto che l'onorevole Rivera ha modificato il secondo emendamento, sopprimendo le Province e i Comuni, compresi nella prima formulazione.

Rivera. Sarò molto breve. Mi sembra che la parte spinosa di tutta questa discussione sia rimasta accantonata. Abbiamo inteso, in quest'Aula, accennare un po' vagamente, e qualche volta più distintamente, a questioni gravi che si svolgono tra capoluoghi di Provincia per diventare capoluoghi di Regione. È la delimitazione delle Regioni che costituisce la parte più amara di questo problema. Noi vorremmo domandare che l'Assemblea affronti direttamente, e non rinvii ad una legge del futuro Parlamento questa parte del problema: perché mi sembra che, se noi non affrontiamo questa parte concreta della delimitazione della Regione, facciamo una cosa a metà o per lo meno vaga, perché enunciamo la Regione, e non ci poniamo in condizioni di poterla mettere in esecuzione concreta.

Per questa ragione ho presentato l'emendamento con cui si vuole trovare una soluzione al problema della delimitazione delle Regioni. Veramente avevo indicato il problema complesso della delimitazione delle Regioni, delle Province e dei Comuni, ma mi pare oggi — ed è un emendamento emendato che ho presentato al Presidente — che entrare a discutere sulla delimitazione delle Provincie renderebbe difficile e pesante la soluzione che cerchiamo.

Per questa ragione, vorrei fermarmi alla enunciazione della delimitazione delle Regioni.

Presidente Terracini. Mi permetta, onorevole Rivera. La delimitazione delle Regioni ed anche l'indicazione dei capoluoghi sono previste dall'articolo 123. Ora lei aveva, nella prima redazione del suo emendamento, incluse le Province, e questo giustificava la presentazione dell'emendamento in relazione all'articolo 107, ma poi ha modificato il suo emendamento e si riferisce solo alle Regioni. Allora per le Regioni e per quanto attiene al problema dei confini e dei capoluoghi di essa, vi sono le disposizioni previste dall'articolo 123. Sarebbe quindi opportuno che lei presentasse in quel momento il suo emendamento.

Rivera. Mi rimetto alla sua opinione e chiedo che il mio emendamento venga trasferito all'articolo 123.

Presidente Terracini. Onorevole Ruini, vuole esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti all'articolo 107?

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. L'articolo 107 nella sua prima parte diceva: «La Repubblica si riparte in Regioni e Comuni». Evidentemente se ammettiamo di conservare l'ente Provincia, questa prima parte dell'articolo va modificata nel senso che: «La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

La seconda parte dell'articolo: «Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale», rispondeva all'orientamento anteriore che, pur non conservando la Provincia come ente autonomo, ne riaffermava l'esistenza appunto come ordinamento amministrativo. Ora che intendiamo mantenere la Provincia anche come ente autonomo, nulla vieta di ripetere che è anche organo di decentramento statale e regionale; ma ciò potrà essere più opportunamente veduto, quando si parlerà propriamente della Provincia.

Qui si tratta di una dichiarazione generale; che si limita ad indicare le tre specie di enti in cui la Repubblica si riparte; ed anzi colgo l'occasione per dichiarare — come ha accennato l'onorevole Dominedò — che lo stesso primo comma potrebbe formalmente sparire se, alla fine della discussione di questo Titolo o in sede di coordinamento definitivo, mettessimo ad intitolazione del Titolo stesso la formula: «Le Regioni, le Provincie ed i Comuni», che equivarrebbe alla sostanza del primo comma.

Non occorre che io risponda ai numerosi emendamenti, senz'altro accolti, che aggiungono «Provincie» al testo di prima.

L'emendamento Russo Perez tende ad introdurre il sistema delle Regioni facoltative, a seconda della loro volontà. Con tutto il mio desiderio di andare incontro a forme elastiche, non posso accogliere questo emendamento, sul quale si è pronunciato il Comitato di redazione, ribadendo la conclusione già presa in sede di seconda Sottocommissione, in quanto, come fu detto, un tipo di Regione facoltativo avrebbe ridotto la Repubblica ad «un abito di Arlecchino».

Dell'emendamento dell'onorevole Rivera non occorre parlare, perché egli ha consentito di rimandarlo all'articolo 123.

L'emendamento dell'onorevole Romano insiste su una determinazione più particolareggiata dell'ente Provincia, che definisce autarchico, e vuol collegarvi il richiamo ad una serie di ispettorati, che attengono evidentemente al decentramento burocratico dello Stato. Prescindendo dall'opportunità della proposta, non è materia da considerare qui. Ho già detto che il Comitato pensa di stabilire, in quest'articolo, all'inizio del Titolo, che si conservi l'ente Provincia; salvo poi determinarne i poteri e le attribuzioni, dopo aver configurati i poteri e le attribuzioni della Regione. È un ordine logico che non dovrebbe essere alterato.

Vi è poi l'emendamento dell'onorevole Camposarcuno che affaccia l'idea di istituire Province nuove. Quest'argomento andrà esaminato a suo luogo. Non si comprende la fretta di voler travasare tutt'insieme, sulla soglia del Titolo, questioni che una elementare tecnica di struttura legislativa deve riservare ad una sistematica collocazione.

Vi sono emendamenti che riguardano il circondario, come quelli degli onorevoli Caroleo e Veroni. È sembrato al Comitato che i circondari non possano essere messi sullo stesso piano degli enti autonomi quale la Regione, la Provincia ed il Comune. È sembrato altresì che non sia, quella dei circondari, materia di carattere costituzionale, ma da tener presente e decidere nelle leggi fondamentali sull'amministrazione provinciale e comunale. Si aggiunga che, mettendo nella Costituzione la figura del circondario, potrebbe intendersi come invito ed incoraggiamento a creare — ormai con le Province sono quattro — un quinto scaglione burocratico, sul quale, ripeto, non si vogliono mettere qui dinieghi ed esclusioni, in quanto, in certi casi, può rispondere ad esigenze amministrative; ma si vuol rinviare il tema a sede più meditata ed opportuna.

Altro è del Comune. In questo argomento abbiamo sentito parole vive e commosse dall'onorevole Zanardi. Il Comune è il nucleo naturale e storico della vita italiana; e credo che non vi sia nessuno che non condivida il senso di profondo attaccamento a questo organismo essenziale e vitale per tutti noi. Ricordiamo l'opera che l'onorevole Zanardi ha svolta quando era a capo del Comune di Bologna, non solo per questo, ma simbolicamente ed effettivamente per il Comune in generale. Lo ringraziamo di avere rievocato quello che è per noi, nel senso più nobile, il campanilismo, come forza di vita e di solidarietà della Nazione. Ma anche a lui devo ricordare che non est hic locus; e del Comune parleremo in seguito, quando, fissata la fisionomia della Regione, dovremo affrontare quella della Provincia e del Comune.

Ed ora, dopo aver risposto ai presentatori di emendamenti, debbo dire qualcosa della questione, che ora qui sostanzialmente decidiamo cioè della Provincia. La Commissione dei Settantacinque non intendeva conservarla come ente autonomo, ma come circoscrizione di decentramento amministrativo statale e regionale. Con ciò, onorevole Targetti, non si era fatto un funerale di terza classe. Si era infatti stabilito — spingendosi quasi ad una forma intermedia, se non di autonomia, di partecipazione alla gestione amministrativa — che nelle Province funzionassero Giunte nominate dai corpi elettivi, rimandando alle leggi di fissarne i poteri ed i modi di designazione. L'organismo a lei caro, onorevole Targetti, non era dunque sepolto, anche se non aveva più la tradizionale figura di ente autonomo.

Aprendo una parentesi, dichiaro che io parlo sempre di «ente autonomo» e non di «ente autarchico». Quest'ultima è una categoria scientifica, introdotta dal mio predecessore al Consiglio di Stato, professor Santi Romano; ed io potrei esprimere dubbi e riserve; ad ogni modo, nella Costituzione, non possiamo introdurre formule teoriche, discutibili e controverse, ma attenerci alla designazione classica, che ha le più chiare e continue tradizioni nelle leggi e nella vita pubblica italiana, di enti autonomi.

La Commissione dei Settantacinque, pur mantenendola per altri aspetti in vita, non aveva conservato alla Provincia la natura di ente autonomo. Ma poi si è avuto, in seno all'Assemblea, un diverso orientamento. Abbiamo sentito tanti oratori, in una serie di argomenti diffusi e minuti, richiamarsi alla necessità che la Provincia sia ente autonomo. Non ripeterò quanto è stato detto a questo riguardo. Si sono addotte ragioni storiche, si è ricordata l'esistenza tradizionale, qualcuno ha detto millenaria, della Provincia; mi limiterò a ricordare che un nostro maestro, Orlando, ha scritto, in un suo magnifico studio, che la Provincia è storicamente propria della parte d'Italia ove sono esistiti i Comuni, ed appunto attorno al maggiore di essi si è raggruppata la Provincia, mentre in altre parti, specialmente del Mezzogiorno, dove non ha allignato il Comune, non è esistita storicamente neppure la Provincia; ma — ha aggiunto Orlando — sebbene istituita dovunque in Italia soltanto dal 1860, dopo l'unità nazionale, sebbene dunque non abbia, in certi luoghi, che ottanta anni di età, la Provincia si è ormai fondata, consolidata, ed ha acquistato una sua, pur recente, tradizione storica. È un vivente organismo con attribuzioni un po' magre, che si riducono, oltre che ad una categoria di strade, all'assistenza dei pazzi e dei trovatelli, ed a qualche materia aggiuntiva, sempre prevalentemente assistenziale. Però siffatti organismi hanno uffici solidi e struttura tale da poter adempiere anche funzioni maggiori. Ecco le ragioni pratiche, più ancora che storiche, invocate per la permanenza dell'ente Provincia.

È stato poi accennato, fra gli altri argomenti in favore della Provincia, al timore che, sopprimendola e creando la Regione, si ottenga l'effetto non di decentrare, ma di accentrare funzioni amministrative, che le popolazioni desiderano portate, più che è possibile alla loro porta ed a contatto immediato con chi se ne deve servire. Vero è, debbo notarlo, che con la conservazione della Provincia e la fondazione della Regione, bisogna evitare di moltiplicare eccessivamente i gradini burocratici e le ruote inutili del carro; al che dovremo porre mente con avvedimenti, di cui parleremo sempre qui, a suo tempo.

Vi è infine un argomento di opportunità, del quale io personalmente sento il grande valore: se noi, per creare la Regione, distruggessimo la Provincia, susciteremmo un ambiente di malcontenti, di diffidenze, di gelosie, di urti, entro il quale non conviene che sorga la Regione. Quest'ente nuovo, che la maggioranza dell'Assemblea ha deciso di fondare, deve avere la maggior collaborazione possibile, anche di coloro che vedono nella Provincia il loro nido, la loro tradizione, il loro sentimento. (Approvazioni).

Micheli. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Onorevole Micheli, su che cosa?

Micheli. Sulla questione in votazione, desidererei poter esprimere il mio punto di vista con una dichiarazione di voto.

Se ella crede che io possa avere diritto a parlare, io lo farò; se invece, al punto in cui la discussione è pervenuta, non ho possibilità di esprimere questo mio avviso, io resto persuaso e mi seggo.

Presidente Terracini. Onorevole Micheli, lei ha diritto di fare una dichiarazione di voto. L'Assemblea si rimette a lei perché questa dichiarazione non divenga un discorso.

Micheli. La ringrazio, onorevole Presidente.

Io, veramente, non ho antecedentemente dichiarato il mio voto, perché non ho mai creduto che fosse di tale importanza da renderne necessaria una particolare espressione ai colleghi...

Una voce a sinistra: Troppo modesto!

Micheli. Troppo modesto. Io spero che saranno altrettanto modesti coloro che mi vorranno ascoltare in questo momento nella breve espressione del mio pensiero, sulla dibattuta questione. Complessa è la discussione che si presenta intorno alla più o meno effettiva eliminazione della Provincia nella costituzione della Regione.

Io, i colleghi lo sanno, sono regionalista dei più antichi da quando, nel 1896, con Romolo Murri ed i primi della Democrazia Cristiana che si erano stretti intorno a lui — tanti anni or sono — facemmo le prime note affermazioni di regionalismo.

Oggi, peraltro, dobbiamo non limitarci ad affermazioni, ma provvedere ad una nuova organizzazione dello Stato; nel farlo ci troviamo di fronte alla Provincia, che effettivamente merita tutta la nostra considerazione, perché essa è entrata nella tradizione del popolo italiano. Perché? Perché da 70, da 80 anni, essa ha effettivamente costituito una delle forme di organizzazione dello Stato più vicine al popolo. Questo è sufficiente per fermarci e farci pensare, per vedere se sia possibile che nella grandiosa organizzazione nuova debba essere mantenuta quella vecchia, che effettivamente ha funzionato bene, in modo che anche con la costituzione della Regione possa lasciare alla Provincia una parte di quanto serve a mantenere più agevoli i rapporti fra popolo e Stato, provvedendo nel modo più conveniente alle necessità individuali dei cittadini.

Il centralismo che tutti noi abbiamo deprecato — ed io credo che anche gli avversari dell'ordinamento regionale non possano, in questo momento, non essere del mio stesso avviso — ha portato qui a Roma tutte le funzioni dello Stato, anche per le cose minori e di più scarsa importanza, ed il cittadino, per ogni necessità sua, deve convenire in Roma per trattare con i funzionari degli organi centrali dell'amministrazione. È evidente che parte delle funzioni dello Stato dovranno ancora continuare ad essere discusse e risolte qui; ma un'altra parte che dovranno venire affrontate e risolte localmente, attraverso la nuova organizzazione regionale ed a quella provinciale.

È per questo che io sono oltremodo perplesso di fronte a chi afferma che si possa e si debba eliminare ogni funzione della Provincia.

La tradizione, a suo parere, si è esplicata anche se la sua competenza è stata assai limitata. Di reale importanza vi sono le strade provinciali, perché le altre cose ne hanno assai meno, come i folli, la maternità ed infanzia...

Fuschini. Anche quelli sono importanti.

Micheli. Senza dubbio.

Costantini. Si possono sopprimere le strade provinciali.

Micheli. Onorevole Costantini, o io ho capito male o non ho compreso la sua interruzione che mi sembra non abbia alcun significato; ma, perdoni, onorevole Costantini...

Presidente Terracini. Onorevoli colleghi, l'onorevole Micheli fa già una lunga dichiarazione di voto; se poi lo si interrompe, non si finisce più. Ad ogni modo, da una frase scherzosa non è il caso che venga fuori un discorso così lungo. Onorevole Micheli, non dimentichi che si tratta di una dichiarazione di voto.

Micheli. Io finisco subito, ma lei, onorevole Costantini, qualche volta intervenga con una ragione plausibile. Io capisco le interruzioni perché non sono qui da oggi, ma quando mi si interrompe per dirmi quello che mi ha detto ora il collega (Interruzione dell'onorevole Costantini), mi pare che si farebbe meglio a tacere.

Costantini. Io ho detto semplicemente: sopprimiamo le strade provinciali. Non c'era niente di grave.

Micheli. Effettivamente le strade non si possono sopprimere. (Commenti). Comunque, abbandoniamo l'interruzione e ritorniamo all'argomento.

Il concetto, al quale avevo accennato, quando l'onorevole Costantini ha creduto di interrompermi (Si ride) era questo: è un dato di fatto che la Provincia ha una sua nobilissima tradizione, creatasi sin dal principio della formazione dello Stato italiano che noi non possiamo completamente dimenticare. Ma volendo servirci ancora di essa, nella nuova organizzazione regionale da dare allo Stato, dovremo trovare una strada di mezzo per accomodare la cosa.

Quindi io penso che l'onorevole Ruini, il quale si è momentaneamente appartato, abbia giustamente sostenuta la tesi che la Provincia debba restare come ente precipuo di coordinamento nella nuova organizzazione, non però che possa o debba in alcun modo sostituirsi ad essa.

Ora, consentendo che la Provincia rimanga, mantenendo le vecchie mansioni già indicate, potremo aggiungere, a complemento, parte delle molte pratiche che lo Stato affiderà alle Regioni; quelle particolarmente che rendano necessario un maggior concorso di pubblico.

In fondo, si vuole semplificare ed eliminare quanto succede oggi: il viaggio di tutti i cittadini d'Italia a Roma per qualsiasi piccola faccenda.

Io ricordo, o signori, che nel caso di un piccolo molino che si doveva costruire in una piccola frazione montana a 800-900 metri, c'è voluto un anno per ottenere l'autorizzazione. Ora, effettivamente, quella gente doveva portare sulle spalle il frumento e fare a piedi molti e molti chilometri...

Presidente Terracini. Per favore, onorevole Micheli, è una cosa molto interessante, ma cerchi di parlare della Provincia!

Micheli. Ritengo la cosa molto interessante per quei cittadini che dovevano portare sulle spalle quintali di frumento a quindici chilometri di distanza, fino al molino più vicino.

Per poter ottenere l'autorizzazione di costruire il nuovo molino, sono occorsi più di dieci mesi di continue insistenze personali. (Commenti Approvazioni).

Allora ero ancora Ministro e questo può aver giovato ad ottenere più rapidamente, ma se si fosse trattato di altro semplice cittadino forse avrebbe avuto bisogno di due o tre anni per ottenere che il molino si potesse esercitare.

Ora, io dico che bisogna trovare il modo di semplificare, il che si potrà fare anche ove le Province abbiano alcune di queste facoltà che oggi sono concentrate a Roma. A Roma tutto si perde. Qui abbiamo una gran bravissima gente nei funzionari, ma troppe carte, troppa formalità che non lasciano concludere mai niente. Ecco la vera necessità dei centri provinciali di decentramento, collegati e coordinati coi centri maggiori di decentramento regionale.

Ecco perché mi sembra, senza contraddirmi, di appoggiare per una parte la proposta degli uni e per l'altra la proposta degli altri. Tali proposte non si escludono a vicenda, ma possono e debbono essere coordinate.

Onorevoli colleghi, chieggo venia se ho citato qualche caso pratico, che il signor Presidente a stretto rigore non ha creduto pertinente alla discussione, ma forse era necessario, perché di quei casi, anziché uno, avrei potuto citarne molti e tutti vi avrebbero fatto persuasi come sia opportuno che la Provincia abbia queste facoltà, ma le abbia coordinate e non in contrasto con le Regioni. Quindi la Regione resterà come prima e suprema amministratrice delle facoltà che lo Stato le affiderà per il decentramento, e la Provincia resterà non come ente autarchico vero e proprio, ma come esplicazione locale, come organizzazione locale di uffici regionali, di quella Regione così come sorgerà dalla nostra Costituzione.

Per questo ho chiesto la parola a motivazione del mio voto, in quanto ritengo che la Provincia debba restare in questo modo, senza che si pretenda con ciò di impedire che si costituisca la Regione. La Regione rimane al disopra di tutte le nostre aspirazioni: accetti dallo Stato le competenze tutte che esso le affida, e la Provincia diventi tramite nella pratica esplicazione di esse. E allora il popolo italiano sarà molto più lieto e soddisfatto di avere la possibilità che lo Stato con la nuova organizzazione, senza salti troppo sensibili ma attraverso i Comuni e le Province che restano enti minori collegati colla Regione, possa esplicare nel modo più opportuno e conveniente tutte quelle funzioni, in guisa che sia eliminato una volta per sempre l'accentramento che oggi si verifica in Roma e che contrasta ogni possibilità di vita locale ed ogni agevolazione nel disbrigo delle pratiche. (Commenti).

Lussu. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Lussu. Io mi permetto di richiamare l'attenzione degli onorevoli colleghi su alcune cose che dico adesso, non soltanto a sgravio di coscienza e per dichiarazione di voto, quanto nella speranza di convincere qualcuno in tale questione.

Presidente Terracini. Onorevole Lussu, lei parlerà liberamente, ma la sede in cui si cerca di convincere gli altri è la discussione generale, non la dichiarazione di voto.

Lussu. Infatti, se avessi supposto che la Provincia all'ultimo momento avrebbe avuto tanti sostenitori come ente autarchico, nella discussione generale avrei affrontato soltanto questo problema, che mi pare fondamentale. Io non sono affatto perplesso, come il mio amico onorevole Micheli. Sono invece molto chiaro e dico che se si vuol conservare la Provincia tal quale è, come ente autarchico, sabotiamo la Regione, e tanto vale rinviare la riforma regionale ad un altro momento, dichiarando che ancora non siamo pronti ad affrontarla. (Approvazioni).

La Regione è un organismo, è una personalità, una struttura, qualcosa di nuovo nella vita dello Stato democratico italiano, e noi come tale la concepiamo.

La Provincia è niente. Io mi rivolgo alla esperienza dei colleghi che hanno fatto parte dei Consigli o delle Deputazioni provinciali prima del fascismo. Io ne ho fatto parte dopo la guerra, sino a che il fascismo non ha soppresso i Consigli provinciali, e affermo che i Consigli e le Deputazioni provinciali sono un bel niente nell'organizzazione periferica. (Commenti). E quando si teme che insorgano i capoluoghi attuali di provincia, che si sentirebbero minacciati, si cede a un senso di panico, che non ha nessuna consistenza nella realtà dei fatti. Perché, in fondo, i capoluoghi di provincia rimangono, in quanto sono centri di civiltà sviluppatisi nell'ultimo cinquantennio.

Nessuno può pensare di cambiare Catania, Ascoli Piceno od Arezzo. Le città rimangono. Non si toglie nulla alla loro importanza, ma si fa in modo che vi sia un unico organismo regionale, una unica Assemblea che affronti tutti i problemi della Regione unitariamente e non parzialmente, come fanno i Consigli provinciali per le note questioni delle strade, dei manicomi e dei brefotrofi. Qui si dice, ed è l'appunto maggiore: «se si distrugge la Provincia così come è oggi, veniamo a creare una specie di accentramento regionale». Mi permetto di dire che questo è falso. Infatti, mentre abbiamo tutti i capoluoghi di provincia i quali si sentono minacciati e protestano per questa riforma, non abbiamo affatto la protesta della periferia provinciale. (Interruzioni).

Per esempio, nella provincia di Ancona, vi sono queste cittadine d'importanza locale di primo ordine: Jesi, Fabriano, Senigallia. Nella provincia di Pesaro c'è Urbino; nella provincia di Macerata vi sono Tolentino e Sanseverino. Tutti questi Comuni, che rappresentano gli interessi della periferia, non protestano affatto. Protestano solo Macerata, Pesaro, Ascoli Piceno; protestano solo i capoluoghi che confondono i propri interessi cittadini con gli interessi generali della Provincia.

Non v'è nessuna ragione a sostegno del mantenimento della Provincia. Già dopo il 1919, una generazione democratica aveva distrutto questi campanilismi. Adesso risorgono e sono ridicoli e antidemocratici. Mantenendo la Provincia vi sarebbero quattro sistemi elettorali, quattro sistemi tributari, quattro Assemblee. Ciò non è possibile. Chi non sente che si appesantisce quella burocrazia che noi, con questa riforma, vorremmo colpire nel suo centralismo e nella sua superfluità? Mi si permetta solo di dire che se avessi previsto che la Democrazia cristiana avrebbe cambiato atteggiamento su questo problema, francamente non avrei perduto tanto tempo a discutere questa riforma durante sei mesi, per poi sabotarla in cinque minuti. Io vi dichiaro questo: se voi mantenete la Provincia ente autarchico, mi è perfettamente indifferente continuare la discussione su un fantasma di Regione che esiste solo per rendere ridicola la riforma.

Targetti. Chiedo di parlare per un chiarimento.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Targetti. Vorrei chiarire che quando l'Assemblea approvasse l'emendamento nostro che include la Provincia nella prima parte dell'articolo 107, s'intende che cadrebbe il capoverso di detto articolo. Il capoverso configura la Provincia come un ente diverso da quello che sarebbe stato istituito con l'approvazione del nostro emendamento.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Resta inteso che la collocazione del capoverso in questo articolo era ispirata alla concezione dei Settantacinque. Poiché la Provincia resta, parleremo dopo della sua figura.

Bernini. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Bernini. Onorevoli colleghi, non avrei chiesto la parola, se non avessi sentito proprio oggi ripetere quello che a me pare un luogo comune ed è un errore: che la Provincia esiste da 80 anni.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho detto questo; ho detto che in più luoghi esisteva anche prima.

Presidente Terracini. Se si tratta semplicemente di un chiarimento di carattere storico, onorevole Bernini, le faccio notare che siamo in sede di dichiarazione di voto.

Bernini. Faccio una dichiarazione di voto, che ha come appoggio una valutazione storica.

La «Provincia» non è un organismo creato da Napoleone, come si legge nella maggior parte dei trattati giuridici. (Interruzione dell'onorevole Micheli).

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Nessuno lo ha detto.

Bernini. La Provincia ha una tradizione non di secoli, ma di millenni.

Permettetemi di fare un'affermazione, che non può essere contraddetta, perché, caro Lussu, è il risultato di studi storici incontrovertibili: la Provincia non è altro che il territorio raggiunto dal Comune medioevale nel suo massimo limite di espansione.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ecco perché nel Mezzogiorno il Comune non v'era e non v'era neppure la Provincia.

Bernini. Il Mezzogiorno non ebbe il Comune, ma, e fin dal tempo degli Svevi, ebbe una organizzazione amministrativa intorno alle città. Ecco la ragione, per cui esiste oggi in Italia un senso «provinciale», mentre non esiste un senso «regionale».

Se, poi, noi volessimo esaminare i precedenti storici della Regione, mi permetto di dire che la Regione non ha quasi mai coinciso con lo Stato. Anche in Sardegna, coincise solo per alcuni secoli coi limiti dello Stato.

Ad esempio, esiste un Piacentino, un Parmigiano, un Reggiano, ma non arriverete certo a creare una unità, che possa essere quella dell'Emilia.

Per questa ragione, non per le ragioni addotte dall'onorevole Lussu — non perché noi seguiamo l'incitamento di Province, di Comuni o di grandi città (dalla mia città non mi è mai venuto nessun incitamento) — dichiaro di votare per la conservazione della Provincia, come ente autarchico. Quale che sia il potere che questa Assemblea voglia togliere allo Stato e attribuire ad altri enti, io ritengo che una parte di questo potere debba legittimamente essere attribuito alla Provincia.

Tonello. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Tonello. Difendo calorosamente il mantenimento della Provincia come ente autonomo, non soltanto per le ragioni storiche accennate dal collega che ha parlato prima, ma perché ciò risponde a una necessità. Domanderei ai colleghi che vorrebbero andare tanto celermente verso l'abolizione della Provincia, se sono d'accordo con le loro città capoluogo di provincia, perché desideriamo ad ogni modo pure noi far capire, a quelli che vorrebbero togliere questi uffici provinciali, che essi rispondono a una necessità e che hanno avuto una funzione storica. Quindi si abbia il coraggio di dire: vogliamo abolita la Provincia, ed allora noi vi diciamo apertamente che la vogliamo mantenuta con le sue funzioni meglio precisate e con le sue autonomie meglio date.

De Vita. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

De Vita. A nome mio personale, mi associo alle dichiarazioni fatte dall'onorevole Lussu. La Provincia, espressione dello Stato accentratore, è una creazione artificiale che non corrisponde né ai criteri geografici, né a esigenze umane ed è quindi priva di qualsiasi ragione di vita amministrativa ed economica. Quale funzione eserciterebbe la Provincia? È proprio necessario il suo mantenimento?

Credo che nessuno possa seriamente sostenere che la Provincia eserciti funzioni che non possono essere efficacemente esercitate o dal Comune o dalla Regione.

L'area comunale è certamente troppo piccola per alcuni servizi per i quali quella statale offre maggiori vantaggi. Per altri servizi soltanto la Regione presenta dimensioni necessarie e sufficienti. Quando l'area di offerta propria di pubblici servizi è più grande di quella comunale e più piccola di quella regionale, allora i Comuni potrebbero liberamente riunirsi in consorzi.

Per questi motivi dichiaro che voterò contro la proposta di mantenimento dell'ente Provincia.

Piccioni. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Piccioni. Io debbo un chiarimento in modo particolare al collega Lussu e al collega Tonello. Rilevo che se il collega Lussu avesse partecipato come membro effettivo alle riunioni del Comitato di redazione, si sarebbe reso conto personalmente della evoluzione che il problema della Provincia ha avuto nel corso della discussione. Aggiungo che — e posso anche sbagliarmi — mi pare che si valorizzi eccessivamente il significato di questa parola così largamente di moda: «autarchico» e che ci si spaventi un po' delle varie applicazioni che il senso, non ancora esattamente definito, della parola può lasciare intravedere; ma ragionando pacatamente e richiamandoci a quello che in ordine alla Provincia era già acquisito nel progetto della Costituzione, veniamo a riconoscere che la Provincia, come circoscrizione di carattere amministrativo, con funzioni di decentramento di servizi regionali e statali, era esattamente prevista nel progetto ed era mantenuta perfino — l'onorevole Lussu partecipò alle discussioni in seno alla Commissione — la denominazione di Provincia; non solo, ma era previsto nel progetto che questa circoscrizione amministrativa, denominata Provincia, sarebbe stata amministrata da una Giunta elettiva nominata da un corpo elettivo. In una formula un po' velata, questo voleva dire eletta dai Consigli comunali, se ben ricordo.

Ora che cosa abbiamo? Abbiamo la Provincia mantenuta come denominazione, con attribuzioni di servizi particolari, con una sua amministrazione particolare attraverso questa Giunta elettiva.

Quindi lo stupore manifestato dall'onorevole Lussu in ordine a questa ulteriore fase di precisazione dei compiti della Provincia, cui noi, come gli altri partecipanti al Comitato di redazione, abbiamo aderito, mi sembra veramente eccessivo.

Però devo chiarire per quali motivi noi abbiamo aderito a questa ulteriore specificazione della posizione della Provincia nell'ordinamento dello Stato.

Il motivo è duplice. Anzitutto, a parte la tradizione storica della Provincia, della sua inserzione nella vita dello Stato, si deve tener conto che è un organo che ha funzionato e continua a funzionare, sia pure nella limitata sfera delle sue competenze e per taluni servizi decentrati dello Stato. Ora noi abbiamo sentito che in questa fase di riordinamento di tutta la struttura e di tutta la funzionalità dello Stato, non era opportuno, non era saggio estirpare immediatamente anche questo organismo, che in qualche modo rispondeva a necessità tuttora vive e tuttora vitali per l'ordinamento statale.

In secondo luogo, andando incontro a talune impostazioni che in riferimento alla istituzione dell'ente Regione erano state fatte da varie parti, abbiamo tenuto conto di un altro concetto che, realisticamente, non si può sottacere, ed è che effettivamente nell'ambito della Provincia, alcuni servizi particolari, per la configurazione della Provincia, intermedia fra Comune e Regione, possono trovare una migliore attività funzionale ed esecutiva. Però abbiamo aggiunto tra le attribuzioni della Regione anche quella di coordinare le attività e le funzioni lasciate alle Province, intendendo con ciò che l'attività provinciale, così come era stata prevista fin qui, non si sarebbe più svolta.

Se a ciò si aggiunge la diversità delle attribuzioni riservate alla Provincia, rispetto all'elencazione delle materie e delle competenze attribuite alla Regione, mi pare eccessivo e al di fuori della realtà dire che il mantenimento della Provincia, così concepito, svuoti di ogni senso e significato rinnovatore l'ente Regione. Quando poi a questo paragone tra le competenze dell'uno e dell'altro ente si aggiunge la potestà normativa della Regione per quelle determinate e specifiche materie, il che è qualcosa di profondamente diverso dalla potestà amministrativa propria, evidentemente la funzione, la figura e l'efficienza dell'ente Regione ne escono così complete, così forti ed operanti nel rinnovamento democratico del Paese, che non si può in alcun modo pensare che possano essere manomesse o rese comunque inefficaci dal mantenimento della Provincia, così come è previsto. Per queste considerazioni dichiaro di accettare la formula: «La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

Persico. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Persico. La proposta dell'onorevole Targetti è profondamente diversa da quanto ha esposto ora l'onorevole Piccioni. Se l'onorevole Piccioni avesse formulato in un ordine del giorno od in un emendamento quello che ha detto, noi avremmo votato, senz'altro, a favore. (Commenti).

Presidente Terracini. Onorevole Persico, ma questo non c'entra!

Persico. Tutti hanno spiegato le loro ragioni, ho anch'io diritto di farlo.

Presidente Terracini. Non è ancora detto che si voti sulla proposta dell'onorevole Targetti, che, nella sua formulazione, è evidentemente simile a tante altre proposte che mi sono pervenute.

Persico. Sono perfettamente d'accordo con l'onorevole Lussu. Se lasciamo vivere la Provincia, così com'è, assieme alla Regione, il nuovo ordinamento regionale si rivelerà perfettamente inutile.

Noi vogliamo creare un nuovo ordinamento che sia l'antitesi dell'attuale. È una riforma ardita della Costituzione, l'unica vera riforma di questa Carta costituzionale per cui il nuovo ordinamento statale sarebbe fondato sulle autonomie regionali, per cui le Regioni diventerebbero gli unici enti tra i Comuni e lo Stato. Ora, o noi diamo alla Provincia le caratteristiche e le funzioni a cui ha or ora accennato l'onorevole Piccioni, o noi facciamo vivere la Provincia col Consiglio provinciale e con tutti i suoi organi attuali, senza la Regione. Per ciò dichiaro di votare contro. (Commenti).

Voci. Ai voti, ai voti!

Presidente Terracini. Dobbiamo passare alla votazione del primo comma dell'articolo 107.

Avverto che è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Sicignano, Lombardo, Targetti, Di Gloria, Grilli, Bocconi, Bassano, Porzio, Vernocchi, Canepa, Fioritto, Romita, Rubilli, Mancini, Maltagliati.

Chiederò ai presentatori della richiesta se la mantengono.

Poiché risulta che la maggioranza dei presentatori della richiesta di appello nominale non vi insiste, essa si intende ritirata.

Ricordo che il testo della Commissione, dopo le dichiarazioni dell'onorevole Ruini è così modificato:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

Tra i vari emendamenti presentati per il primo comma, quello che maggiormente si distacca dal testo proposto dalla Commissione, in quanto prevede anche la ripartizione in circondari, è quello proposto dall'onorevole Veroni, così formulato:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie, Circondari e Comuni».

Ritengo pertanto che la votazione debba svolgersi su questo emendamento.

Corbino. Chiedo che la votazione abbia luogo per divisione.

Presidente Terracini. Procediamo alla votazione per divisione.

Pongo in votazione la formula:

«La Repubblica si riparte in Regioni».

(È approvata).

Pongo in votazione la parola:

«In Provincie».

(È approvata).

Pongo in votazione la parola:

«Circondari».

(Non è approvata).

Pongo in votazione le parole:

«e Comuni».

(Sono approvate).

Il comma risulta quindi approvato nella seguente formulazione:

«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

La Commissione ha proposto di sopprimere il secondo comma dell'articolo 107:

«Le Provincie sono circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale».

Pongo in votazione tale proposta.

(È approvata).

L'onorevole Camposarcuno ha proposto il seguente comma aggiuntivo:

«Possono crearsi nuove Provincie con decreto del Presidente della Repubblica, su richiesta del Consiglio regionale e con le modalità che saranno stabilite dalla legge».

Ritengo che la proposta potrà essere esaminata quando si parlerà degli altri articoli riguardanti la Provincia.

Camposarcuno. Sono d'accordo, purché il mio emendamento venga ripresentato in sede di discussione degli articoli relativi all'ordinamento della Provincia.

Presidente Terracini. Resta così esaurita la materia riguardante l'articolo 107 e si intendono assorbiti tutti gli emendamenti presentati.

Dobbiamo ora passare all'articolo 108.

Lussu. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Lussu. Prima di passare all'articolo 108 chiederei al Presidente della Commissione se, dopo che si è trovato l'accordo sul mantenimento della Provincia, si sia concretata qualche norma transitoria per regolare il Consiglio provinciale insieme con l'Assemblea regionale; altrimenti ne viene fuori una confusione. Se la Commissione non ha fatto questo, presenterò un emendamento al riguardo, perché mi pare inconcepibile conservare il Consiglio provinciale, insieme con l'Assemblea regionale.

Presidente Terracini. Il problema diverrà attuale allorché rivedremo il capitolo relativo alla Provincia.

Carboni. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Carboni. Mi sembra che il problema prospettato dall'onorevole Lussu non si possa differire a quando discuteremo della Provincia, e che sia opportuno che l'Assemblea sia messa fin d'ora a conoscenza delle deliberazioni del Comitato coordinatore circa le funzioni da attribuire alla Provincia. Data l'innegabile interferenza tra queste funzioni e quelle della Regione, non si può intraprendere la discussione degli articoli seguenti prima di conoscere le modificazioni che il Comitato coordinatore intende proporre.

Mi pare che questa sia una conoscenza preliminare; perciò vorrei pregare la Commissione di comunicare all'Assemblea le sue proposte prima di affrontare la discussione degli articoli 109 e seguenti.

Presidente Terracini. Chiedo all'onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Comprendo la preoccupazione dell'onorevole Carboni. Ma cosa abbiamo fatto finora? Abbiamo stabilito di conservare l'ente Provincia come ente autonomo: questo è in sostanza il valore delle decisioni finora prese. Quali poi sieno le funzioni della Provincia nel riguardo della Regione, quali le attribuzioni reciproche, come siano istituiti i loro organi, sono tutte materie che verranno determinate, se e come si crederà opportuno, negli articoli seguenti.

Lussu. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Lussu. Ho chiesto se la Commissione ha preparato qualche norma, altrimenti siamo obbligati ad intervenire, perché ci preoccupiamo che altrimenti, ad un certo momento, si determini una confusione.

Presidente Terracini. L'onorevole Ruini ha facoltà di rispondere.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il Comitato ha tenuto conto del problema. Ad ogni articolo proporrà il suo testo, al quale potranno essere presentati gli emendamenti.

Carboni. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Carboni. Vorrei replicare all'onorevole Presidente della Commissione che, negli articoli che noi dovremo ora esaminare, c'è tutta la disciplina della Regione, con la determinazione delle varie materie di competenza della stessa. Questa disciplina era stata ideata dalla Commissione dei Settantacinque nel presupposto che la Provincia non dovesse essere un ente autarchico, ma soltanto una circoscrizione di decentramento.

Invece, la Provincia è stata conservata e mi pare che sia stata conservata come ente autarchico.

Una voce a sinistra. Non è detto!

Carboni. È stata conservata come un ente, al quale devono essere attribuite delle funzioni. Ora, a me pare che queste funzioni potrebbero essere determinate anche a scapito della Regione, potrebbe cioè avvenire che la Commissione o l'Assemblea, in conseguenza della conservazione della Provincia, avvertisse la necessità di rivedere la ripartizione, la designazione delle funzioni attribuite alle Regioni.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si è fatto.

Carboni. Quindi io penso che, prima di affrontare l'esame dell'articolo 109 e dei successivi, l'Assemblea debba esser messa a conoscenza delle deliberazioni della Commissione circa le funzioni della Provincia.

Piccioni. Ma siamo all'articolo 108.

Zuccarini. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Zuccarini. Vorrei far presente che a noi interessa che le proposte del Comitato siano portate a conoscenza dell'Assemblea alcuni giorni prima, e non già nel momento in cui debbono essere discusse e approvate. Questa è la raccomandazione che io desideravo fare.

Dal momento poi che l'onorevole Ruini ha assicurato che queste proposte, in sede di Commissione, sono state già discusse ed approvate, la mia raccomandazione è appunto che esse vengano portate a nostra conoscenza il più presto possibile, in modo che al momento della discussione si possa essere preparati.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Evidentemente, prima che l'Assemblea avesse deliberato la conservazione della Provincia, non si potevano formulare testi nuovi. Ad ogni modo, da otto o dieci giorni, il Comitato si riunisce ogni mattina per definire tali formulazioni, tenendo conto dei numerosissimi emendamenti presentati.

Rispondo poi all'onorevole Carboni che l'articolo 107 non tocca la questione che egli ha sollevata, e così anche l'articolo 108. Prima di passare all'esame degli articoli 109, 110 e 111, speriamo che, dopo il lavoro di Sisifo a cui ci siamo fino ad oggi assoggettati, si realizzi finalmente un testo concordato fra le varie correnti; al quale riguardo sembra che un'ora fa si sia raggiunto l'accordo. Ad ogni modo un testo nuovo, concordato o di maggioranza, sarà presentato.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti