[Il 15 novembre 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Presidente Terracini. [...] Ha facoltà di parlare per la Commissione l'onorevole Conti.

Conti. [...] Parliamo dell'indipendenza della Magistratura.

Io faccio questa affermazione: l'indipendenza della Magistratura non si vuole da molti, perché si vuole il magistrato assoggettabile al potere esecutivo! (Approvazioni dei deputati Merlin Umberto e Bertini). Tutti i democratici che per anni e anni sono passati qui dentro — ministri e deputati — hanno parlato di Magistratura libera, indipendente, autonoma, ma ne hanno parlato ipocritamente. Nessuno ha voluto la Magistratura davvero indipendente, neppure e, direi, specialmente, ministri arcidemocratici e radicali.

Indipendenza della Magistratura. Si scherzò! Le sentenze si comandavano anche allora, al tempo dei «sinistri», peggio di prima, peggio del tempo dei «destri». Abbiamo avuto Sottosegretari di Stato che hanno appestato l'amministrazione della giustizia con la loro influenza. In tempo fascista incontrai un giorno al Tribunale di Roma un ex Sottosegretario di Stato, già di etichetta democratica, tutto sdegnato perché doveva davanti alla prima sezione civile del Tribunale discutere una causa avendo avversario Arturo Rocco, il fratello del ministro. «Guarda un po', io devo adesso discutere col fratello del ministro!» esclamò, vedendomi.

Egli credeva che io mi sdegnassi con lui. Lo calmai rispondendo: Non ricordi le porcherie che tu hai fatto qua dentro e altrove quando eri al Governo?

Egli era stato un corruttore, tra i più attivi, della Magistratura!

Indipendenza della Magistratura: la vogliamo! Io sono un difensore tra i più accaniti dell'indipendenza interna ed esterna dei magistrati. Appena ci fu possibilità di dire una parola su questo problema la dissi. Dopo il 25 luglio, essendo stata agitata da un giornale (non ricordo se dal Giornale d'Italia o dal Messaggero) la questione della Magistratura, un mio amico (più personale che politico), l'onorevole Mazzolani, scrisse una lettera per dire che la Magistratura durante il fascismo ne aveva fatte di tutti i colori. Io intervenni con una lettera dicendo: L'indipendenza della Magistratura è sacrosanta e si deve fin d'ora affermare che, nella ricostruzione dello Stato italiano, si deve finalmente creare il potere giudiziario, non riconosciuto e non contemplato dallo Statuto albertino: che si deve creare una Magistratura autonoma e indipendente, liberata dal dominio, sempre invece imposto, del potere esecutivo.

Potere giudiziario, indipendenza della Magistratura! Collochiamo il magistrato sul terreno della responsabilità personale! Vogliamo il magistrato libero e responsabile! (Approvazioni dei deputati Merlin Umberto e Bertini).

Non si può non andare a questa soluzione se vogliamo veramente provvedere agli interessi del Paese!

Vogliamo finalmente costituire in Italia l'organizzazione della Magistratura, l'amministrazione della giustizia. Questo il Paese vuole fortissimamente. Credetemi (ma a chi lo dico? Ai competenti?): oggi se vi è una istituzione non stimata nel nostro Paese, essa è la Magistratura. Ad essa non si crede.

Bubbio. Non è vero.

Conti. È verissimo.

Bubbio. Non bisogna esagerare.

Bertini. Ci sono troppi faccendieri.

Bubbio. Per noi è santa.

Conti. Purtroppo è santa a parole: ma oggi non è così. Se non diciamo parole franche non guariremo mai i nostri mali; se non parleremo con parole franche non ripareremo mai i nostri guai. La Magistratura non è stimata e non è stimata — non mi fate ripetere — perché episodi di tutti i giorni danno anche oggi motivi a non avere fiducia. Nove decimi dei magistrati sono onestissimi; v'è un decimo che diffama tutti.

Un pretore che riceve un sacchetto di farina o un dono qualsiasi è un ribaldo; quel pretore diffama tutta la Magistratura italiana. Un giudice il quale si corrompe, macchia la purezza di tutta la Magistratura italiana. Potrei citare dolorosi episodi. Non facciamo, dunque, storie, onorevole Bubbio. Siamo sinceri e per il nostro amore riscattiamo e onoriamo con l'opera la Magistratura.

Ho sentito tante parole di esaltazione. Sì, signori. Io ho conosciuto magistrati di fronte ai quali mi inginocchierei; grandi magistrati. Io sono ancora in corrispondenza con un uomo, che è al suo novantaduesimo anno di età, che voglio ricordare qui essendo stato ricordato il suo compagno di martirio. Il collega Mancini ha ricordato il sostituto procuratore generale Tancredi, un uomo di alta statura morale. Io voglio ricordare il suo compagno, il magistrato Mauro Del Giudice, presidente della sezione d'accusa di Roma e istruttore del processo Matteotti. Un santo. Fu promosso procuratore generale a Catania per il suo allontanamento dall'ufficio che teneva col polso suo di galantuomo, di austero inflessibile magistrato. Conosco altri magistrati, i quali hanno tenuto la toga durante il fascismo con grande fierezza; magistrati che si sono dichiarati repubblicani fin dai primi momenti del fascismo; magistrati che durante il fascismo sono stati perseguitati, che sono stati esclusi dalle promozioni, che sono stati umiliati. Sì, signori, ma ci sono gli immeritevoli della stima degli onesti.

Ne ho conosciuti, durante l'esercizio della professione, alcuni ai quali ho tolto il saluto con grande mio dolore, perché avevo avuto per molto tempo l'illusione che essi fossero dei galantuomini: dovetti riconoscere che erano dei ribaldi. Mi sono trovato dinanzi ad un alto magistrato di Cassazione il quale, dopo tre sentenze di merito che avevano escluso l'ammissibilità della prova testimoniale in materia di responsabilità civile, regolata dall'articolo 1153, ebbe il coraggio di sostenere davanti alla Suprema Corte l'ammissibilità della prova testimoniale, e un altro alto magistrato ebbe il coraggio di scrivere la sentenza, raccogliendo il fascicolo della causa che il relatore integerrimo, con la solidarietà di tutti i colleghi, aveva rifiutato.

Tanta abiezione per favorire l'amante di quel Teruzzi che fu uno dei peggiori elementi del fascismo. Quei magistrati non esitarono a lacerare le più belle pagine della giurisprudenza italiana. Ma lasciamo questo esame doloroso. La verità è che la Magistratura in Italia bisogna risanarla.

Ma io devo dire una parola di difesa altrettanto ferma e piena di convinzione.

La Magistratura non è colpevole per degenerazione organica. Essa è stata indotta al male. Durante la dominazione della monarchia, il potere esecutivo ha dominato la Magistratura in modo indegno, sempre. E mi rincresce di dispiacere all'amico onorevole Bergamini, agli amici i quali hanno ancora nel cuore un certo affetto — non so se oggi si tratta più di affetto — un certo legame con la monarchia e con la Casa Savoia. Devo dare un dispiacere a questi amici che stimo tanto. È stato proprio il regime sabaudo quello che si è distinto nella corruzione della Magistratura, nella sopraffazione della Magistratura. Bisogna non richiamarsi soltanto ai discorsi di Giuseppe Zanardelli. Ho sentito rievocare quei discorsi sull'avvocatura da tutti gli oratori. Nessuno ha tenuto presente che Zanardelli fu uomo di grandissima eloquenza. Dio ne scampi e liberi dall'eloquenza che è quasi sempre accompagnata dalla retorica. Io sono un nemico degli oratori, specialmente degli oratori politici...

Uberti. Ma è un oratore anche lei!

Conti. Zanardelli era un grande oratore ed è riuscito a far divenire quasi popolari i suoi discorsi. Ma ora basta con la retorica e con le storie addomesticate. Cerchiamo la rude cronaca. La storia ad usum delphini bisogna gettarla via.

Io sto facendo uno sforzo nel parlare così. Per il mio sentimento dovrei dire presso a poco quello che è stato detto coi richiami ai discorsi di Zanardelli: per servire la verità, non debbo incitare i sentimentali.

La Magistratura, o signori, in Italia è stata assoggettata sempre al potere esecutivo. E non soltanto dopo l'unità. Si è cominciato in Piemonte, prima del 1859. E volete un'eresia? Questa scuoterà le fibre di molti devoti a una grande figura che io ammiro per tanti altri aspetti. Ammiro l'economista, l'agricoltore, l'uomo dalle idee chiarissime su tanti problemi, su tante questioni: Camillo Cavour. Ma quanta falsità nelle presentazioni storiche di quest'uomo, posto vicino a Mazzini, a Garibaldi, con un pastrocchio scolastico che bisogna finalmente spastrocchiare, permettetemi il vocabolo!

Cavour è stato uno dei corruttori della Magistratura italiana. Ha imposto procedimenti vessatori della stampa e sentenze di condanna. Egli agì sulla Magistratura nel processo per l'insurrezione genovese del 1857, preparata per assecondare il tentativo di Pisacane nel regno di Napoli. Allora Cavour volle il sequestro quasi quotidiano del giornale L'Italia del Popolo perché quel giornale doveva essere soppresso, doveva morire a tutti i costi. Volle la condanna di Bartolomeo Savi, che era il direttore di quel giornale, volle la condanna a morte di Mazzini.

Vi sono qui onorevoli colleghi di destra, i quali rimproverano poca fierezza dell'Italia d'oggi nella politica internazionale. Oggi questi colleghi fanno dell'irredentismo: tutti i giorni parlano di Trieste. Dimenticano che gli uomini della loro parte furono i più severi repressori dell'irredentismo italiano, quando l'irredentismo in Italia era propugnato dal Partito repubblicano e Trieste e Trento erano nel cuore d'ogni repubblicano.

Il servilismo nella politica internazionale è cosa monarchica. (Interruzione del deputato Perrone Capano). Dovete imparare molte cose; soprattutto dovete imparare a fare ossequio alla verità! (Interruzione del deputato Perrone Capano).

Tutto quello che si è scritto e detto per esaltare la monarchia è falsità. (Applausi a sinistra). Io ho qui uno studio della Jessy Withe, moglie di Alberto Mario, una delle vittime del processo del 1857. Fu in prigione con Alberto Mario, del quale era allora fidanzata. In questo studio si riportano documenti interessantissimi. Si dimostra l'odio di Cavour per Mazzini. Qui c'è una lettera del 3 luglio 1856 della marchesa Pallavicini a suo marito nella quale la marchesa dice, addolorata, che «Cavour detesta Mazzini». La marchesa comunicava al marito che il Cavour voleva la fucilazione «senza pietà» di Giuseppe Mazzini.

Credo che quella della marchesa Pallavicini sia una testimonianza autorevole. «Non potendo per il momento eseguire questo pietoso disegno né contentare l'imperatore che pretendeva l'immediata soppressione dell'Italia del Popolo, non lasciava passare settimana senza che l'intendente di Genova ricevesse da lui incitamenti ad agire contro il coraggioso giornale. E ciò prima che l'attentato di Orsini desse colore all'accusa che gli Italiani miravano ad estinguere la vita dell'imperatore». «Il Governo francese — diceva Cavour — si lagna sulla tolleranza che si accorda ai mazziniani ed alla loro stampa».

Bubbio. Ma non dimentichiamo che era in corso la preparazione del Risorgimento.

Conti. Ma il Risorgimento non si preparava sopprimendo chi voleva l'unità che, nel 1857, Cavour non aveva neppur concepito. Ma proseguiamo: «Onde non perdere la sua amicizia (quella di Napoleone III), la sola sulla quale possiamo fare assegno nelle attuali condizioni dell'Europa, è necessario fare qualche cosa a questo riguardo. Quello che più gioverebbe sarebbe ridurre al silenzio il monitore di Mazzini l'Italia del Popolo. Per raggiungere questo scopo non esiterei a impiegare tutti i mezzi in mio potere. La prego di occuparsene senza indugio, concertandosi con l'avvocato Genne onde vedere se questo alto funzionario credesse potere colpire quel giornale con frequenti e quasi quotidiani sequestri. Se fra gli scrittori del giornale vi sono emigrati, bisogna dar loro immediatamente lo sfratto, qualunque sia la natura degli articoli dovuti alla loro penna. Anche l'appendicista teatrale deve essere cacciato. Il solo fatto di scrivere in quello scellerato giornale, deve rendere l'emigrato indegno della nostra ospitalità. Esso è un'onta ed un pericolo per la società; il distruggerlo è eminentemente patriottico. Se la Signoria Vostra può compierlo, acquisterà titolo grande alla mia particolare riconoscenza».

Ho letto parte di una lettera di Cavour.

«E il degno fisco — dice la Mario — fece quanto stette in lui per secondare le calde istanze dell'intendente. Sequestrò quasi quotidianamente il giornale; mise in prigione un gerente dopo l'altro». Il giornale morì.

Ho voluto mettere questo punto fermo; e mi dispiace di dispiacere a qualcuno, specialmente all'amico onorevole Bubbio.

Bubbio. Io difendo il Piemonte.

Conti. Vedete dove si va a finire con la retorica! Che c'entra il Piemonte? Per non essere da meno io difendo del Piemonte Angelo Brofferio. Finì male anche lui, perché, quando Vittorio Emanuele II, con le sue arti, riuscì a rovinarlo dandogli l'incarico di scrivere la Storia del Parlamento subalpino, cedette.

La corruzione della Magistratura, il dominio per il quale la Magistratura è stata costretta a vivere la sua vita dolorosa e mortificata, sono continuati durante tutto il regno sabaudo nel nostro Paese.

Ricordate i processi scandalosi, organizzati o manovrati dai Governi. Sono tanti. Non voglio di certo fare qui una storia dettagliata di tali processi. Basta ricordarne uno che è espressione di tutta una fase della vita italiana: il processo Lobbia. Contro quel denunziatore delle azioni delittuose di loschi uomini politici nella regìa dei tabacchi fu organizzato l'assassinio. Per salvare i consorti sostenitori del Governo si arrivò ad indurre la Magistratura ad elevare imputazione di simulazione di reato contro il Lobbia, e si impose ai magistrati l'istruzione del processo. Ma in quel momento si ebbero due grandi esempi di indipendenza e di fierezza di magistrati. Nelli e Borgnini, sdegnosi di servire i governanti, gettarono alle ortiche la toga, dichiarando al Ministro di non voler essere strumento della perfidia governativa. Pur troppo quei due integerrimi magistrati furono sostituiti da colleghi i quali ebbero, in premio della loro abiezione, rapida carriera.

Leggiamo pure, onorevoli colleghi, i discorsi di Zanardelli; ma ricordiamo anche questi e tanti altri episodi.

Ma intorno al trattamento della Magistratura si deve riferire il giudizio di uomini di indiscussa probità.

Ecco il giudizio del senatore Adeodato Bonasi.

Egli della sorte disgraziata della Magistratura scriveva, nel 1884, queste lapidarie parole che suffragano le prime parole che ho rivolto all'Assemblea: «Affinché la Magistratura possa compiere l'altissimo ufficio, due condizioni sono indispensabili, e cioè che il mandato affidatole corrisponda alla razionale ampiezza della sua funzione: che la sua indipendenza sia così intera ed assoluta, da sottrarla ad ogni timore e ad ogni lusinga del potere. In Italia le parti politiche che si sono finora conteso il campo hanno entrambe contribuito a sodisfare alla prima condizione, ma purtroppo hanno gareggiato altresì nel disconoscere la seconda. Quanto alla seconda condizione «destra» e «sinistra», o non hanno avuto conoscenza dei mezzi indispensabili per costringere e mantenere la Magistratura all'altezza del suo ministerio, o, avendoli, hanno postergato le esigenze della giustizia agli interessi di parte. La «sinistra», finché era minoranza, declamava contro il servaggio della Magistratura ed accusava il Governo di abusarne a scopo partigiano; la «destra», divenuta a sua volta minoranza, ha rimandato l'accusa ai proprî avversari rincarandola».

Questa è la verità, questa la sorte della Magistratura.

Vi ho parlato del Cavour e delle sue inframmettenze nell'amministrazione della giustizia. Volete conoscere inframmettenze di Ministri di tempo meno remoto? Vedo dinanzi a me uomini a me carissimi. Ho innanzi agli occhi l'amico Porzio, che è un conoscitore delle cose che dico. Egli per i suoi sentimenti non direbbe forse le cose amare che dico io, ma egli sa e mi è testimonio.

Udite che cosa disse in un discorso Napoleone Colajanni, nella tornata del 6 maggio 1904, occupandosi alla Camera dell'amministrazione della giustizia in Italia. Colajanni si occupava specialmente del problema dell'amministrazione della giustizia in Sicilia. Non vi riferisco quello che poté dire di questo problema nella disgraziata Isola, difesa tanto strenuamente, quanto inutilmente da Diego Tajani che, nei suoi discorsi parlamentari, denunziò più volte con sdegno l'azione dei Savoia, peggiore di quella dei Borboni. Occupandosi dell'amministrazione della giustizia Colajanni disse queste parole che leggo sul resoconto stenografico: «All'onorevole Giolitti devo ricordare un altro episodio che dimostra cosa sia talvolta la Magistratura italiana. Un giorno si venne a domandare l'autorizzazione a procedere in giudizio contro l'attuale Presidente del Consiglio. Uno scandalo! Una indegnità, ed io non attesi che l'onorevole Giolitti tornasse al potere per levarmi da questi banchi, anche a costo di provocare l'indignazione del collega Morandi. Ebbene, allora ci fu un Ministro Guardasigilli tanto ingenuo da dire: ma datemi il tempo di formare l'ambiente nel tribunale per farlo condannare.

«Voci (le solite voci che vociferavano anche allora): Costa! (si alludeva al Ministro Costa).

«Mazza. (Era un deputato di allora): Che Costa! Fu Calenda dei Tavani.

«Colajanni. Fu Calenda, che diamine! (Commenti)».

Questa è stata, onorevoli colleghi, la vita della Magistratura, la misera vita della Magistratura. Ho detto prima: vita imposta dai Savoia. Ho avuto occasione altra volta di difendere i Borboni in confronto dei Savoia: è tutto dire! Ebbene, debbo dire che i Borboni hanno avuto della Magistratura un altissimo concetto e l'hanno sempre rispettata. Per i reati politici, tribunali speciali: ma la Magistratura civile e quella criminale nel Regno di Napoli, o signori, è stata la più alta Magistratura che l'Italia abbia potuto ammirare. Ricordate i grandissimi magistrati del tempo borbonico: i Mirabello... gli Arabia,

Porzio. ...e i Niccolini! E i Poerio!

Conti. ...i Niccolini e i Poerio! tanti altri ancora. Ricordatevi soprattutto del carattere autoritario del Re di Napoli. Ebbene, egli fu rispettoso della Magistratura. Io ricordo che nel 1925, innanzi al Senato, il senatore Cannavina, di grande probità e di alto ingegno, in un discorso molto eloquente, ricordò un significativo episodio. Leggo il resoconto stenografico della seduta 14 maggio 1925, del Senato: «Onorevole Ministro, io ho poco altro da dire. Tanti anni fa (io non ero ancora nato, e molto meno l'onorevole Ministro, essendo giovane e certo molto meno innanzi di me negli anni), un principe potentissimo, forse anche per relazioni di parentela presso una delle tante corti che allora infestavano e tiranneggiavano l'Italia divisa, ricevendo la notizia, di ritorno dalla consueta passeggiata a cavallo, della pronunzia di una sentenza che non era quella che egli avrebbe desiderata, si presentò, calzato cogli stessi stivali lordi di polvere e col frustino in mano, nella casa del presidente del Collegio che aveva pronunziato la sentenza, e con fare burbanzoso, gli domandò come mai si fosse pronunciata una sentenza a lui contraria. Quel grande magistrato, perché grande dimostrò di essere anche dopo, con molta dignità rispose alla domanda villana, aver egli emesso la sentenza che rispondeva ai dettami della propria coscienza; quindi, essendo in casa propria, additò, con pari dignità e con altrettanto decoro ed austerità, la via dell'uscita. L'indomani, quel magistrato presentò al re le sue dimissioni motivate. Il principe non ebbe a soffrire, per usare la frase adoperata da chi narra il fatto, neppure un dolore di testa per l'atto villano; i tempi non lo consentivano; ma di quel valoroso e integro magistrato non furono accettate le dimissioni, che anzi, invitato a riprendere servizio, fu promosso da presidente di camera, come allora si chiamavano i presidenti di sezione, a presidente del collegio. Quel principe era il principe d'Ischitella; quel magistrato chiuse la carriera venerato da tutti quale presidente di camera di una delle Corti di cassazione del Regno: era il Niutta. Quel Governo era il Governo dei Borboni, il quale perseguitava, per ragioni politiche, costituendo tribunali speciali, ma rispettava la integrità della Magistratura nella sua altissima funzione».

Io ricordo un altro episodio. Fu condannato a morte, dal tribunale speciale di Sicilia, Francesco Bentivegna. Il povero Bentivegna aveva prodotto ricorso alla Corte Suprema. All'udienza, chiamato il ricorso di Bentivegna, il procuratore generale dice: «L'esame di questo ricorso è inutile: la sentenza è stata eseguita. Bentivegna è morto». Ed il Presidente di rimando: «Per noi Bentivegna è vivo». E la sentenza fu annullata.

Signori, è doloroso, ma di fronte a queste manifestazioni di veramente grandi figure della Magistratura nostra, di fronte a questi esempi di fierezza e di austerità, di altezza morale, noi abbiamo purtroppo visto imposizioni e casi di debolezza e di servilismo. Preferisco di non parlare lungamente di queste cose. Del periodo prefascista qualche cosa ho detto: mi sono limitato ad accenni.

Può interessarci ancora il periodo fascista.

Di quel periodo possiamo ricordare atteggiamenti dolorosi della Magistratura. Ricordo una polemica per un giudizio di Guglielmo Ferrero che, parlando della Magistratura, — eravamo nel 1923-24 — disse così: «Qualche volta la Magistratura è estrosa, isterica, indulgente e feroce, o indulgente a capriccio, che sotto il mantello nasconde falsi pesi e qualche volta sa barattare i buoni coi cattivi, senza che il pubblico, che guarda e non vede, se ne accorga; ogni tanto cede agli intrighi di loggia, di sacrestia o di alcova; è schiava della carta su cui scrive e del privilegio accordato a lei che il suo inchiostro dica su quella carta la verità e non vuole mai, per puntiglio, per odio o per amore, rivedere quello che ha scritto, anche se l'ha scritto in fretta».

Questo era il giudizio molto severo di Guglielmo Ferrero.

Bertini. Eccessivo.

Conti. Eccessivo il giudizio, onorevole Bertini, ma suggerito dalla asprezza dei tempi nei quali fu scritto, e quando v'erano magistrati che avevano il coraggio di pubblicare opuscoli come questo che vi mostro, dovuto al Presidente di sezione della Corte di cassazione Antonio Marongiu.

Bertini. Ricordo che pronunciò sentenze gravissime a carico di persecutori di antifascisti.

Conti. Questo magistrato volle dimostrare che la Magistratura si era «resa conto» del tempo, come aveva voluto il Ministro Rocco.

Egli esibiva, oltre al resto, questa massima della Corte di Cassazione, come una perla: «Non è vietato al cittadino di interessarsi delle cose concernenti la vita pubblica della Nazione...».

Bertini. Aspettava di essere nominato senatore, ma poi non lo fu.

Conti. «...È vietato soltanto — diceva — (quanta finezza) d'intralciare l'opera sapiente del Governo fascista». (Commenti).

Leggo un'altra massima: «La più grande e geniale concezione che nel reggimento degli Stati, registri la storia moderna è l'ordinamento corporativo, nella creazione del quale ha culminato la rivoluzione fascista». Onorevoli colleghi, di fronte a questi documenti non possiamo essere ipocriti sino al punto di dire tutte le cose che sono state dette qui dentro. Basta con le ipocrisie, andiamo avanti con animo forte, compiamo questa fatica che deve essere benefica per il nostro Paese. Noi dobbiamo creare un'organizzazione salda e sicura della giustizia. Essa sarà amministrata dagli uomini, si capisce, ma noi dobbiamo contribuire tutti a dare in questa Costituzione un ordinamento che assicuri l'autonomia e l'indipendenza dell'ordine giudiziario, l'indipendenza dei magistrati che sapranno esserne degni nello Stato repubblicano.

Lo so, onorevoli colleghi, scettici e dubbiosi. Quando avremo la Magistratura autonoma e indipendente, si creeranno filoni, si useranno piccole reti, si apriranno viottoli e stradette per giungere nei luoghi più sacri. Lo so: non sono giunto ai miei 65 anni, per essere tanto ingenuo...

La Repubblica (ho avuto occasione di dirlo altre volte) non può sorgere in un attimo. La sua azione moralizzatrice, educatrice non può svolgersi che lentamente. Ma non mancherà: e con l'educazione degli uomini, con la trasformazione degli spiriti nella libertà si avranno tanti frutti fecondi. L'ordinamento giudiziario dobbiamo crearlo ex novo: risentirà subito effetti restauratori non essendo più sopraffatto dal potere esecutivo.

Una voce a destra. Bisogna pagarli i magistrati!

Conti. Pagarli: brutta parola, ma parlerò anche di questo. Ora dico che la base di tutto è l'indipendenza, è l'autonomia. Il testo della Costituzione progettato dalla Commissione è un testo che si avvicina all'ideale. Con l'ordinamento proposto si può fare molto. Lasciamo i magistrati tranquilli, non diamo loro il pretesto di essere cattivi amministratori di giustizia; rendiamoli liberi con la loro responsabilità. Dobbiamo metterci in condizione (questa è forse una lacuna del progetto e bisognerà provvedervi), mettiamoci in condizione di poter discutere dal di fuori la Magistratura.

Non è vero che il Parlamento debba essere inerte in suo confronto; non è vero che autonomia ed indipendenza significhino l'impossibilità di elevare anche accuse contro la Magistratura.

A questo proposito bisogna chiarire che la funzione, l'organizzazione, l'ufficio, del Ministro della giustizia non saranno ridotte: il Ministero dovrà sempre avere la possibilità di far valere i diritti dell'opinione pubblica, e la forza dello Stato deve intervenire contro l'eventuale tentativo di una deviazione della Magistratura dalle vie giuste. Questo deve essere il nostro proposito. Non mi intrattengo nell'esaminare la portata del progetto a questo riguardo. Sono pratico: al progetto ci avvicineremo man mano che si discuteranno gli emendamenti e tutte le norme che sono proposte dovranno essere discusse opportunamente.

Il progetto dev'essere migliorato anche in questa parte; si ricordi sempre che la Magistratura ha diritto alla sua indipendenza ed alla sua autonomia.

Dio mio, ci sono colleghi, molti colleghi i quali dicono, dicevano, dissero — anche nelle sedute della sezione della Sottocommissione che doveva preparare il progetto — dicevano e dicono: ma Pilotti!? Non ce n'è uno solo di Pilotti, purtroppo!

Sissignore, Pilotti ed altri sono ostili alle istituzioni repubblicane: ma tanti altri magistrati sono repubblicani convinti, tanti altri comprendono che la Repubblica è affermazione del diritto, che la legge davvero è uguale per tutti.

Chi sa quando tutti i magistrati comprenderanno? Ma dobbiamo, possiamo tradire i principî perché la Cassazione vuole essere ostile, perché alcuni magistrati vogliono essere ostili! Dobbiamo forse allarmarci di ciò? Dio mio! noi li bocceremo in diritto costituzionale (Ilarità); diremo che sono dei grandi giuristi; ma che sono asini nel considerare le cose politiche.

[...]

Sì, autonomia, indipendenza della Magistratura. Sì, Consiglio Superiore della Magistratura: sì, e composto anche in maggioranza di magistrati: io vorrei che esso fosse composto in maggioranza di magistrati. Tutta la libertà, tutta l'indipendenza! Ma non pensano neanche essi, i magistrati, che si possa costituire una casta chiusa e impenetrabile! La Magistratura non deve essere una casta chiusa, non può essere una casta chiusa! Bisognerà provvedere con una parola della Costituzione, con leggi opportune, al momento della organizzazione — per via di legge — dell'ordinamento giudiziario, bisognerà provvedere in modo che tra l'organizzazione autonoma della Magistratura, tra il Consiglio Superiore della Magistratura e il Ministro sia stabilito formalmente un rapporto costante, attuata una relazione costante. Bisogna stabilire l'obbligo di rapporti periodici, bisogna stabilire che vi sia la comunicazione di tutti gli atti e provvedimenti del Consiglio Superiore della Magistratura, anche di quelli non necessariamente dovuti; che da parte del Consiglio della Magistratura si senta la sovranità dello Stato, si comprenda, si senta, si voglia che il Ministro di grazia e giustizia deve avere l'alta vigilanza su tutto l'ordinamento giuridico, e diritto di tenere gli occhi sulla Magistratura, che potrà in ogni momento essere esposta al giudizio del Paese.

L'indipendenza e l'autonomia deve consistere nel taglio netto di quel cordone ombelicale per il quale il Magistrato era soggetto all'autorità e al prepotere del Governo. Questa deve essere l'indipendenza; ma, per il resto, deve sempre esservi una grande relazione fra Magistratura e Stato, una grande relazione cordiale, che mi auguro sempre più cordiale, ogni giorno di più cordiale, man mano che la Magistratura capirà che è la Magistratura della Repubblica italiana, non è più un organo esecutivo e subordinato, ma è una voce che dice la parola della giustizia al popolo italiano; man mano che capirà che si tratta di ridare al popolo italiano questo conforto dopo tante ingiustizie: il conforto che la giustizia in Italia è finalmente una cosa seria!

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti