[Il 18 settembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Presidente Targetti. [...] Prego l'onorevole Segretario di dare lettura dell'ordine del giorno presentato dall'onorevole Gullo Fausto.
Mazza, ff. Segretario, legge:
«L'Assemblea Costituente,
premesso che la divisione dei poteri dello Stato non può significare in un ordinamento veramente democratico se non distinzione delle funzioni armonicamente operanti, nel quadro unitario dei poteri stessi, perché l'attività dello Stato, nei suoi vari aspetti, si esplichi sempre nel rispetto assoluto della sovranità e della volontà del popolo;
afferma la necessità che il potere esecutivo venga organizzato nella Costituzione in modo che esso tragga la sua necessaria autorità soltanto dalla volontà popolare manifestata attraverso la concessione della fiducia da parte della Camera dei Deputati».
Presidente Targetti. L'onorevole Gullo Fausto ha facoltà di svolgere il suo ordine del giorno.
Gullo Fausto. [...] Vi è un'esigenza che noi riconosciamo, una esigenza resa più acuta dagli ultimi avvenimenti della storia non soltanto d'Italia ma di tutte le Nazioni democratiche, quella, cioè, della stabilità del Governo, cui incombe il pericolo delle frequenti crisi, che turbano così profondamente la vita economica, politica e sociale del Paese. Ed è stato giustamente osservato da vari oratori che non è precisamente il mezzo migliore e più efficace di assicurare la stabilità del Governo quello di far ricorso ad accorgimenti, dirò così, esteriori, quasi che essa possa essere il risultato di un meccanismo più o meno ben congegnato. La continuità del Governo, per quanto possa costituire un'esigenza di primo piano nella vita della Nazione, non può non accompagnarsi a quella necessità di cui parlavo poc'anzi, e cioè che il Governo tragga la sua autorità dalla sovranità popolare, perché in tanto il Governo democratico è pienamente legittimo, in quanto nella sua attività non si stacchi mai da essa, che è l'unica fonte da cui trae il suo potere e la sua autorità.
Ora, come il presente progetto ha conciliato questa duplice esigenza? A questa domanda è legata senz'altro la principale questione, che si risolve affermando che il Governo può assicurarsi di avere con sé la sovranità popolare solo attraverso l'ottenuta fiducia da parte dei rappresentanti del popolo, cioè da parte di coloro che sono i legittimi rappresentanti della volontà e quindi della sovranità popolare.
Ma è appunto qui che viene ad inserirsi l'altra grossa questione, quella cioè del Senato. Nel momento in cui si stabilì di accogliere il sistema bicamerale, ci si è trovati di fronte ad una serie di problemi. Ed è proprio nella soluzione di tali problemi che più si nota il compromesso cui ha fatto ricorso la Commissione dei Settantacinque per cercare, come dicevo, di conciliare le contrastanti opinioni.
Superando, e di molto, i limiti segnati dalle norme contenute nel progetto, si è a lungo, in questo dibattito, parlato del Senato. Si è affermato prevalentemente che fosse necessario creare una Camera diversa dalla Camera dei deputati, al fine d'evitare un inutile doppione. Una Camera diversa, una Camera, cioè, che ripeta i suoi poteri da altra fonte da quella da cui li ripete la Camera dei deputati. Ma è intuitivo che questa fonte, per quanto diversa, non può non immedesimarsi anche essa in una manifestazione della volontà e della sovranità popolare.
La Commissione ha pensato ad un ordinamento di carattere regionale, ma anche qui vien fuori il compromesso e un compromesso strano, perché il progetto pensa che sia sufficiente, perché si abbia un'Assemblea elettiva di tipo regionalistico, segnare in una norma che i rappresentanti debbono essere nati o domiciliati nella Regione. Norma quanto mai strana, della quale non si riesce ad intendere il significato.
Quasi non sia concepibile, come invece è nel fatto — che parecchi, per esempio, dei più appassionati meridionalisti non sono del Mezzogiorno d'Italia, ma di altre regioni. Senza dire che, di fronte a quell'esigenza unitaria che deve essere alla base di tutto l'ordinamento dello Stato, non è né opportuno né simpatico porre questa limitazione.
Ma basta poi ciò a creare un'Assemblea politica di tipo regionalistico? E, nel porre tale domanda, ho presente l'altra norma che fissa cinque rappresentanti per ogni Regione, oltre quelli eletti dai Consigli regionali in proporzione degli abitanti.
Come si manifesta questo speciale carattere che si vuole imprimere alla Camera dei Senatori?
È opportuno a questo proposito ricordare che nello stesso progetto è detto che anche i senatori, come i deputati, rappresentano non il collegio che li elegge, ma tutta la Nazione. E allora?
Qualche oratore, ricordo l'onorevole Piccioni, ha parlato della opportunità che si dia al Senato un altro carattere, un carattere di rappresentanza di categorie, a base di interessi. Ma, sia il Senato a carattere regionalistico, sia a carattere rappresentativo di categorie di interessi, sorge qui un problema che non si è affrontato e che è questo: non v'è, in una democrazia parlamentare, possibilità per un'Assemblea politica, quale è la Camera dei deputati e quale si vorrebbe che fosse il Senato, che non sorga dal popolo indiscriminatamente considerato.
Quando si crea una qualche discriminazione e in base ad essa si istituisce un'Assemblea di tipo regionalistico oppure di tipo, diciamo così, corporativistico, si farà tutto meno che una Assemblea politica, si snaturerà il concetto stesso di sovranità, che non può non identificarsi nel popolo indiscriminatamente inteso.
Con ciò non si vuol negare l'esistenza dei contrastanti interessi, i quali hanno il loro proprio campo d'azione al di fuori dell'Assemblea, nelle varie organizzazioni, operaie, padronali, professionali, ecc. L'Assemblea politica, nel momento in cui viene costituita, vuol essere qualche cosa che trascende i singoli interessi, siano essi di carattere regionalistico o professionale. Non è concepibile un'Assemblea politica che si informi a criteri particolaristici. Ma il più grave è che, essendosi voluto fare del Senato, nonostante tutto, un'Assemblea politica, si è riconosciuto anche a questa Assemblea la possibilità e la facoltà di concedere o non concedere la fiducia al Governo. Col progetto, insomma, vengono concessi pari diritti alla Camera dei deputati e a quella dei senatori.
Avendo così disciplinato ed organizzato questa delicata materia, la Commissione si è trovata senz'altro nella condizione di prevedere una continuità di contrasti, una continuità di attriti fra queste due Assemblee fornite di pari poteri.
Mi duole che non sia presente l'onorevole Nitti. Egli non si spiegava, nel suo discorso dell'altro giorno, come mai la Commissione dei Settantacinque avesse organizzato, a fianco di queste due Camere, una terza Camera, l'Assemblea Nazionale. L'Assemblea Nazionale è la risultante necessaria dell'organizzazione delle due Camere, quella dei deputati e quella dei senatori. Nel momento in cui la Commissione ha creato le due Camere con pari diritti, con pari facoltà, è sorta senz'altro la facile previsione del contrasto e quindi del marasma, della stasi nella macchina statale. Da qui la necessità di creare un organo, attraverso il quale comporre e superare il contrasto. Si sarebbe indotti a pensare che col progetto si sia avuto cura di creare i pericoli, per avere la soddisfazione di avvisare nello stesso tempo ai mezzi per ovviarvi.
Create le due Camere, necessariamente doveva venir fuori questa terza che siede fra le due da arbitra, appunto per comporre i ben facilmente prevedibili contrasti.
Ma non è questo soltanto il pericolo: il pericolo è che un Senato così formato, con tali poteri, possa addirittura capovolgere il giudizio dato dalla Camera dei deputati, che è quella che veramente, direttamente rappresenta la volontà e la sovranità del popolo.
Né vale obiettare che nell'Assemblea Nazionale la Camera dei deputati ha la prevalenza del numero.
È un argomento che va fino ad un certo punto, perché appunto può accadere questo: che una considerevole minoranza della Camera dei deputati, può, unita ad una maggioranza di membri della seconda Camera, avere la prevalenza. Ma non si creano in tal modo elementi perturbatori della vita politica dello Stato?
Che cosa accadrà, onorevoli colleghi, quando la Camera dei deputati avrà negato la fiducia al Governo, se, in seno all'Assemblea Nazionale, mediante un piccolo scarto di voti, la fiducia al Governo verrà invece concessa? Potrà allora concepirsi un Governo rivestito dell'autorità e del prestigio che deve assolutamente avere? Che cosa noi pensiamo di potere attribuire, sotto l'aspetto del valore politico e costituzionale, al voto opposto che può venir fuori dall'Assemblea Nazionale, rispetto a quello che è stato dato precedentemente dalla prima Camera? Del voto dato cioè da quella Assemblea Nazionale cui parteciperebbe, ripeto, un Senato improntato, nella sua costituzione, ad un carattere regionalistico o, peggio ancora, ad un carattere corporativistico?
Come può concepirsi che l'unilaterale atteggiamento di interessi particolaristici possa e debba avere un peso decisivo contro il volere della Camera dei deputati, la quale più direttamente rappresenta la volontà di tutto il Paese?
A cura di Fabrizio Calzaretti