[Il 12 settembre 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo».
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Rubilli. [...] Si è detto da parecchie parti e con plauso che la nuova Costituzione si è preoccupata molto di circondare di cautele l'eventuale voto di sfiducia. E così si ritiene che si sia risolto un grande problema, purtroppo di assai difficile soluzione; si sia riusciti cioè a garentire più o meno la stabilità del Governo.
Che la Commissione abbia fatto qualcosa al riguardo non lo saprei negare. Ma molto poco in verità, poiché non sono affatto convinto che quello che si è stabilito riesca davvero a produrre quella stabilità che tanto si desidera pel Governo. Riconosco però che nulla si poteva concretare di meglio nel campo legislativo per raggiungere uno scopo che deriva da ben diversi fattori.
Le norme proposte riescono quindi di scarso valore ed in pratica si riveleranno inefficienti o del tutto inattuabili.
In fondo, cosa c'è nel progetto? Che il voto di sfiducia deve venire da una mozione motivata. La motivazione non mancherà mai anche se debba essere scritta e non orale. Inoltre deve essere firmata da un quarto dei componenti di una delle due Camere.
Ora io mi domando: qual è il Governo che in un'Assemblea non ha un quarto di oppositori? Sarebbe una grande fortuna se esistesse un Governo di tal genere, ma forse non esiste nel mondo; tanto meno poi in Italia ho notizia che sia mai esistito un Governo, sia pur forte, o diretto da uomini d'indiscusso valore personale e politico, che non avesse neppure un quarto di oppositori e raggiungesse la quasi unanimità di consensi.
Quindi non sarà certo difficile trovare in una delle Camere un quarto dei componenti che firmino la mozione pel voto di sfiducia ad un Governo. Ed allora che si è concluso di serio? Si può essere così ingenui da credere che con tali mezzucci si possa davvero concorrere a garantire la stabilità del Governo?
Ma vi è molto di più e di meglio, si aggiunge, nella Costituzione.
Infatti, una Camera potrà arrivare al voto di sfiducia. Ma sin'ora, con un simile voto, il Governo era obbligato a dimettersi; obbligato, si capisce, fino ad un certo punto, poiché si trattava sempre di una questione di carattere morale e politico, anziché di carattere giuridico; ma certo, secondo la tradizione e le consuetudini, e le norme quasi costantemente seguite, il Governo non poteva fare a meno di rassegnare le sue dimissioni. Adesso le cose possono andare anche diversamente, perché il Governo, se condannato, diremo così in prima istanza, dal voto di sfiducia di una delle due Camere, può produrre appello, può fare una specie di ricorso a sezioni unite, convocando insieme le due Assemblee parlamentari. È bocciato, a mo' d'esempio, dalla Camera dei deputati? si rivolge anche al Senato dove vede se può racimolare i voti che mancano per formare comunque una maggioranza. Ma questa è teoria non è pratica; si può scrivere in una legge, il che non è difficile, ma non risolve nulla nella realtà. Non riesco a comprendere come mai un Governo possa reggersi e tenersi in piedi, se non ha più appoggio in tutte e due le Camere. Il sussidio di una Camera coi pochi voti racimolati non permette alcun serio funzionamento di fronte all'ostilità dell'altra Camera. Perciò dicevo che si tratta di norme assolutamente inattuabili; questo ricorso a sezioni unite non potrà mai far sì che il Governo acquisti quella stabilità che ha completamente perduta in una delle due Camere. Il Governo è stabile solo se ha una vera, effettiva maggioranza, altrimenti ha perduto qualsiasi autorità, ed anche se non nel senso strettamente giuridico, per tradizione, per buona norma politica deve dimettersi, e non può regolarsi diversamente. I correttivi a cui ora si vuol ricorrere dimostrano ad esuberanza le giuste, gravi preoccupazioni sorte da un pezzo, specialmente in Italia, per questa instabilità deplorevole e produttiva di enormi danni per la Nazione, ma non le elimina e non le attenua affatto.
[...]
La Rocca. [...] Il nocciolo del problema, che è il nocciolo della scienza politica, sta qui: nei vitali rapporti fra il Parlamento e il Governo, tra il legislativo e l'esecutivo, che il sistema, nel suo fondamento, tiene separati e distinti, assegnando i due poteri ad organi sovrani di legislazione e di esecuzione, i quali, pure compenetrandosi e controllandosi, possono essere contrastanti.
Tra i due, chi ha la prevalenza?
Questo è il punto.
Abbiamo, dunque, due Camere, con eguale potestà, che si attua e si esaurisce nel momento solenne della formazione della legge.
Sul piano politico, oltre un'azione di critica o un controllo in senso generale, esse, come organi distinti, non possono, in concreto, nulla.
Il voto contrario di una Camera non determina le dimissioni del Ministero, che, alla stregua del progetto, rimane in carica, se vuole, non ostante sia stato posto in minoranza in un ramo del Parlamento; e si presenta all'Assemblea nazionale, cioè alle due Camere riunite, per la fiducia o la sfiducia.
[...]
E tanto meno è vero che, nel testo proposto, si è abbassato, depresso, mortificato l'esecutivo, come Gabinetto.
La Commissione, nella sua maggioranza, ha creduto di adottare una forma di Governo parlamentare, con dispositivi costituzionali atti a superare la così detta crisi di autorità e ad ovviare agli inconvenienti del parlamentarismo.
Si è cercato, innanzitutto, di assicurare la stabilità e l'unità governativa, di creare un Governo forte e durevole, che non sia una «Commissione parlamentare», un «Comitato dell'Assemblea», e, corretti, con mezzi meccanici, i difetti del sistema relativi alla debolezza dell'esecutivo, si è cercato di evitare gli eccessi del parlamentarismo, nel senso di un'invadenza dei membri delle Camere nella sfera governativa.
Da queste intenzioni e da questa volontà è nata l'Assemblea Nazionale come un coronamento del sistema parlamentare, per compiti ed atti di singolare importanza.
Quest'Assemblea, cioè il Parlamento a Camere riunite, non serve a correggere un bicameralismo bastardo per la trattazione dei problemi fondamentali; ma è chiamata, sostanzialmente, a dare la maggiore stabilità possibile al Governo.
Lo affermano, senza equivoci, il Presidente della Commissione, onorevole Ruini, e il relatore sull'argomento, onorevole Tosato.
L'Assemblea elegge il Presidente della Repubblica, delibera la mobilitazione generale e l'entrata in guerra, l'amnistia e l'indulto, ecc.; ma, in primo luogo, esercita quel controllo politico che è proprio delle Camere rappresentative: conferisce la fiducia al Governo, nominato dal Capo dello Stato, o gliela nega.
Per superare le imboscate parlamentari del vecchio tempo, per eliminare, al possibile, dalla vita politica il corto circuito delle crisi ministeriali a catena, non si ammette che una sola Camera provochi la caduta del Governo; e si stabilisce che la fiducia e la sfiducia siano espresse, con una procedura particolare, dal Parlamento raccolto in Assemblea Nazionale.
Si sarebbe tentati di pensare che la Camera dei senatori sia stata istituita, da un lato, come contrappeso a quella dei deputati, nella funzione legislativa, e dall'altro, per accrescere di trecento membri l'Assemblea che deve decidere dell'indirizzo della politica generale e creare più facilmente una base di solidità e di durata al Gabinetto, con a capo un Primo Ministro, il quale regge veramente il timone e può condurre, come vedremo, la nave dello Stato nei mari o nelle secche che vuole.
Non compromesso, dunque, fra i sostenitori della Camera unica e i sostenitori delle due Camere, con la conclusione che i primi avrebbero messi nel sacco gli altri, sotterrando la bicameralità sotto il coperchio di un'Assemblea convenzionale, totalitaria:
L'Assemblea, come si è visto, serve principalmente a tenere in sella il Governo e a consentirgli di... cavalcare.
L'onorevole Orlando si duole, a ragione, del procedimento singolare, per il quale un Ministero, in minoranza in una delle due Camere, e non ostante i ripetuti voti contrari di essa, non si dimette e continua a governare.
E vede, in questo, un modo di fiaccare le reni al Governo, mentre si tratta di rafforzarlo con espedienti tecnici, di consolidarlo con una formula costituzionale, di là dalla realtà politica.
Qui sorge, in maniera fondata, il dubbio se poniamo mano a costituire un regime parlamentare, o non costruiamo, invece, un edificio di tipo intenzionalmente parlamentare, ma con tali innovazioni nella struttura, da imprimergli un carattere diverso e farne un'altra cosa.
Per motivi opposti, si arriva alla conclusione dell'onorevole Orlando.
Il regime parlamentare dovrebbe, nella sua essenza, annullare la separazione dei poteri, sostituendo ad essa una distinzione di funzioni tra organi diversi, legati da stretti rapporti di connessione e di dipendenza reciproca.
Così afferma l'onorevole Mortati nella sua relazione.
L'onorevole Orlando, a proposito del sistema, e dal punto di vista astratto, parla di un orologio, di cui il Gabinetto rappresenta il bilanciere.
È un vivere insieme, egli dice, del Parlamento e del Governo: cioè, di organi sovrani, ognuno dei quali partecipa all'altro, «in maniera da determinare una collaborazione e da impedire la sopraffazione».
Nel Progetto, si divide manifestamente il potere, che è uno, e dev'essere uno.
Si crea un distacco tra il legislativo e l'esecutivo; si scavano solchi e si levano muri tra l'uno e l'altro, e, senza condizioni di sorta, nel silenzio assoluto della norma costituzionale, sulla possibilità di contrasti, di conflitti tra i vari organi, che adempiono a funzioni diverse, ma appaiono poteri distinti, sta sospesa la mazza dello scioglimento ad libitum, ad arbitrio di Sua Eccellenza, come nelle grida manzoniane.
C'è l'Assemblea Nazionale, il Parlamento nel suo insieme, che si riunisce per deliberazioni solenni e in circostanze eccezionali: principalmente per dare, con il suo voto, il crisma dell'autorità al Governo: ciò che l'onorevole Orlando definisce la «nomina» effettiva.
Assolto tale compito, se non è all'ordine del giorno l'accusa di alto tradimento contro il Capo dello Stato o la mobilitazione o la guerra, l'Assemblea si scioglie, cioè si divide nei due rami originari, che si controbilanciano e sono chiamati a provvedere all'esercizio della funzione legislativa: alleggeriti dal peso di troppe discussioni politiche per non essere distratti dalla loro attività fondamentale.
Così, è spazzato il campo da quelle «bucce di limone», su cui i Governi di una volta cadevano all'improvviso, per gl'intrighi di qualche esperto manovratore; e gli onorevoli Ruini, Mortati, Tosato e altri possono star contenti e dormir sereni.
Allo scopo di rendersi conto, di là dalla lettera del testo, dello spirito con cui si è inteso creare un sistema parlamentare sui generis, non è male risalire alle fonti del dibattito, ai verbali della Commissione.
Non entro in dettagli. Mi restringo all'essenziale.
Secondo una tesi, sostenuta da molti, il Governo, dopo la nomina da parte del Capo dello Stato, si presentava all'Assemblea, per la fiducia: ottenutala, restava in carica per un periodo fisso, almeno due anni: per governare, si diceva.
La proposta, in questi termini, cadde.
Ma, in un certo senso e in una certa misura, si è raggiunto il medesimo obiettivo, per altra via, con accorgimenti tecnici, con inciampi di procedura.
Poiché, per un canone del regime parlamentare, il Gabinetto non può vivere senza il consenso del Parlamento, si è salvata la forma, per decenza.
Il testo dice: «Entro otto giorni dalla sua formazione, il Governo si presenta alla Assemblea Nazionale per chiederne la fiducia».
Ora, il credere possibile una levata di scudi contro il Gabinetto, entro un così breve termine dalla nomina fatta dal Capo dello Stato, mi sembra veramente un'ingenuità.
Il Governo, voluto e designato al Parlamento dal Presidente, afferra le redini e le tiene.
E, per levargliele di mano, se guida male, o troppo a modo suo, ci vuol fatica assai, come diceva il poeta.
La sfiducia, rinnovata, ripetuta, di una Camera, di quella dei deputati, ad esempio, non provoca, necessariamente, la crisi di un Governo che abbia la pelle dura, o non l'abbia fine e delicata come la giovane principessa della novella di Andersen, che sentiva la durezza di un pisello, posto sullo schienale del letto, attraverso montagne di materassi di piume.
Gladstone, ricordato dall'onorevole Orlando, si dimetteva, per veder ridotta, alle elezioni, la sua maggioranza.
Da noi, si può governare contro il popolo con una trentina ed anche con una ventina di voti in più.
A buttar giù il Governo, si richiede un... terremoto parlamentare. Occorre una mozione di sfiducia, motivata, e con una coda lunghissima di firme, con le firme di un terzo dei componenti di una Camera; sì che, alla stregua degli attuali rapporti di forza, in una Camera come questa, oltre il democratico cristiano, nessun altro partito potrebbe da solo, presentare una mozione di sfiducia.
Poi, occorre che l'Assemblea Nazionale si convochi e si pronunzi.
Ed è probabile che una maggioranza contraria al Governo in una Camera sia annullata da una maggioranza in senso opposto nell'altra.
Ecco il fondamento vero e la reale missione dell'Assemblea.
Altro che accordi di corridoio tra unicameralisti e bicanieralisti!
Lo confessano gli onorevoli Ruini, Tosato e altri: il complicato procedimento per l'espressione della fiducia, dopo la costituzione del Gabinetto, o della sfiducia, in sede di appello, tende ad imporre una seria «riflessione» ai rappresentanti del popolo, a richiamarli «al più alto senso di responsabilità», cioè, alla considerazione della realtà, per le conseguenze che possono nascerne.
Esso è un modo, come scrive, con garbo eufemistico, il Presidente della Commissione, di «regolare il pluralismo dei partiti»; e la Assemblea esiste per mettere più facilmente insieme una maggioranza, per impedire che il Governo sia scosso dalle tempeste e rovesciato.
L'istituto dell'Assemblea Nazionale, che non garba all'onorevole Orlando per il timore del totalitarismo, è stato creato, insomma, perché funzioni da parafulmine del Governo o da campo trincerato.
A cura di Fabrizio Calzaretti