[Il 4 gennaio 1947, nella seduta pomeridiana, la prima Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul potere esecutivo.]
Il Presidente Terracini apre la discussione sull'articolo 17:
«Responsabilità. — Il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per violazione della Costituzione.
«In questo caso, su accusa dell'Assemblea Nazionale, sarà giudicato dalla Corte costituzionale».
Bozzi risolleva una questione già discussa in seno al Comitato di redazione, osservando che con questo articolo si ammette la irresponsabilità del Presidente soltanto per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, di modo che non sarebbe coperto da alcuna garanzia se, per esempio, commettesse un reato, laddove invece i membri delle due Camere sono esenti da perquisizioni domiciliari e non possono essere arrestati, senza l'autorizzazione a procedere della Camera di cui fanno parte. Se non si stabilisce qualche cosa del genere anche per il Presidente della Repubblica, egli avrà un trattamento di immunità inferiore a quello dei membri del Parlamento.
Tosato, Relatore, fa presente che non si è inclusa nell'articolo alcuna disposizione riguardante la responsabilità penale per i reali comuni del Presidente della Repubblica, per ragioni di opportunità e convenienza.
Il Presidente Terracini rileva che tra le due ipotesi non v'è una perfetta analogia, in quanto per i membri delle due Camere l'autorizzazione a procedere viene concessa dalla Camera di cui l'accusato fa parte, mentre per il Presidente della Repubblica occorre determinare l'organo competente a concederla.
Perassi cita il seguente articolo della Costituzione cecoslovacca, in cui il reato, compiuto a titolo privato dal Presidente, gode di un trattamento speciale: «Il Presidente della Repubblica non ha alcuna responsabilità politica per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni. La sua responsabilità non è impegnata se non in quanto egli si renda colpevole di alto tradimento o di violazione volontaria della Costituzione e delle leggi penali, ed è giudicato dal Senato costituito in Corte di giustizia».
Tosato, Relatore, dà notizia della formula che ha sottoposto al Comitato e che questo non ha approvato: «Il Presidente non può essere sottoposto a procedimento penale, senza previa autorizzazione dell'Assemblea Nazionale».
Bozzi preferirebbe stabilire che, durante l'esercizio delle sue funzioni, il Presidente della Repubblica va esente da procedimento penale. Ritiene opportuna questa forma di esenzione processuale, ad evitare che il Presidente della Repubblica possa essere costretto a sedere sul banco degli accusati, sia pure in seguito ad autorizzazione dell'Assemblea Nazionale.
Mortati informa che il Comitato ha omesso intenzionalmente ogni regolamentazione della responsabilità ordinaria del Presidente. Si tratta quindi di una lacuna volontaria della Carta costituzionale.
Il Presidente Terracini si rende conto delle ragioni politiche che possono aver consigliato a seguire questo criterio, ma personalmente è contrario a lasciare questa lacuna nella Costituzione, in quanto ritiene che il Presidente della Repubblica, come ogni altro cittadino, debba essere sottoposto, sebbene con certe cautele, alla legge. Né crede che il fatto che venga evitato il procedimento giudiziario possa essere sufficiente a salvaguardare il prestigio della carica, quando sulla persona del Presidente grava un'accusa o un sospetto di colpevolezza. Consiglia, pertanto, una disposizione del seguente tenore:
«Le norme previste nei confronti dei membri delle Assemblee legislative... ecc., sono applicabili al Presidente della Repubblica, sostituendo l'Assemblea Nazionale alle singole Assemblee».
Lussu ricorda che in seno al Comitato egli è stato uno di quelli che hanno maggiormente sostenuto l'opportunità politica di tacere su questo argomento, per quanto si possa essere tutti d'accordo che il Presidente della Repubblica, qualora commetta un reato, debba essere chiamato a risponderne come qualsiasi altro cittadino.
Bozzi conviene con l'onorevole Lussu; ma fa osservare che, oltre all'ipotesi di reati dolosi, bisogna considerare anche quella dei reati colposi e dei reati perseguibili a querela di parte. È necessario, pertanto, circondare di garanzie la figura del Presidente della Repubblica anche in questi casi, mentre la questione non sorge per i reati che investono la sua figura morale, per i quali sarà travolto dall'opinione pubblica.
Fuschini concorda con coloro che sostengono che la Costituzione debba mantenere il silenzio sull'argomento.
Fabbri, premesso che i reati di lieve entità potrebbero essere coperti dalla prescrizione durante il periodo di durata in carica del Presidente, mentre quelli di una certa entità, per i quali l'azione non si prescriverebbe, potrebbero essere perseguiti quando il Capo dello Stato avesse cessato dalle sue funzioni, propone la seguente formula:
«Durante l'esercizio delle sue funzioni, il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedure penali, tranne che per violazione della Costituzione, nel qual caso, su accusa dell'Assemblea Nazionale, sarà giudicato dalla Corte costituzionale.
«La deliberazione di accusa dell'Assemblea Nazionale implica decadenza dalla carica».
Così nell'ipotesi, per esempio, di omicidio colposo — a meno che non sia di tale natura da intaccare la personalità morale del Presidente — il Procuratore della Repubblica potrebbe tenere in sospeso il procedimento fino alla cessazione dalle funzioni presidenziali.
Ritiene che al Presidente della Repubblica non si possano accordare le immunità concesse ai Deputati, senza alterare l'essenza di queste, che sono guarentigie inerenti ad una funzione sostanzialmente diversa da quella di carattere eminentemente rappresentativo del Capo dello Stato.
Il Presidente Terracini dichiara di preferire una lacuna ad una disposizione che conferisca un privilegio troppo grande al Presidente della Repubblica, il quale è sempre un cittadino fra i cittadini, anche se ricopre il più alto ufficio politico. Non ammetterebbe, infatti che per sette anni il Presidente della Repubblica non rispondesse alla giustizia del suo paese.
Nobile propone la seguente dizione:
«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto, durante il tempo che è in carica, a giudizio penale senza l'autorizzazione dell'Assemblea Nazionale».
Fabbri ripete che non gli sembra che possa giovare nei confronti del Capo dello Stato il principio che vale per ogni parlamentare. Occorrerebbe che l'Assemblea Nazionale pronunciasse contemporaneamente un giudizio di revoca — il che è da escludere, dato che non può essere revocato un mandato a termine — in quanto è inammissibile che un Capo dello Stato resti tale, pur essendo posto nella condizione di imputato.
Lussu ricorda la dizione dell'articolo 59 della Costituzione francese: «Il Presidente della Repubblica non è responsabile che nei casi di alto tradimento. Egli può essere messo in istato di accusa dall'Assemblea Nazionale e rinviato all'alta Corte di giustizia, nelle condizioni previste dall'articolo 43».
Questa disposizione, tratta da una Costituzione ricca di esperienza, dovrebbe, a suo avviso, consigliare di accogliere la formula proposta dal Comitato.
Fabbri obietta che la Costituzione francese, con l'espressione «non è responsabile che nei casi di alto tradimento», copre il Presidente dalla responsabilità per reati comuni.
Nobile osserva che l'eventuale procedimento penale nei confronti del Presidente della Repubblica, potrebbe essere considerato come uno di quegli impedimenti che comportano la sua sostituzione.
Fabbri insiste sul concetto che alla messa in stato d'accusa debba seguire la decadenza dall'ufficio, in quanto è inammissibile — data la speciale figura dall'imputato — che il Presidente dalla Repubblica continui ad esercitare le sue funzioni, o ne venga semplicemente sospeso, mentre è pendente contro di lui un procedimento penale.
Mortati propone di sopprimere l'inciso: «per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni». In conseguenza il primo comma dell'articolo 17 risulterebbe così concepito:
«Il Presidente della Repubblica non è responsabile tranne che per violazione della Costituzione».
Fabbri preferisce la sua formula, che per i reati comuni implica soltanto una sospensione della procedura e l'archiviazione dagli atti fino a quando il Capo dallo Stato non decada dalla sua carica. Fa notare che, in sostanza, la sua formulazione è quella che conferisce minori privilegi al Capo dello Stato.
Nobile, aderendo ad uno dei concetti espressi dall'onorevole Fabbri, modifica la sua proposta originaria come segue:
«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a giudizio per reati comuni, senza autorizzazione dell'Assemblea Nazionale.
«Egli non è responsabile per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per violazione della Costituzione.
«In ambedue i casi, su accusa dell'Assemblea Nazionale, decadrà dalla carica e sarà giudicato dalla Corte costituzionale».
Il Presidente Terracini, riepilogando, avverte che la Sezione si trova di fronte a quattro diversi testi: quello del progetto del Comitato, in cui non si parla di responsabilità penali per reati comuni, ma si stabiliscono soltanto le responsabilità in cui il Presidente della Repubblica può incorrere politicamente nell'esercizio delle sue funzioni; quello dell'onorevole Nobile, a tenore del quale, il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a giudizio per reati comuni senza la previa autorizzazione dell'Assemblea Nazionale; quello dell'onorevole Fabbri, per una sospensione del procedimento penale; e quello dall'onorevole Mortati, con cui si sopprime l'inciso: «per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni».
Perassi nota che, secondo la proposta dell'onorevole Nobile, la messa in stato di accusa produce la decadenza dalla carica. Non vede perché, una volta decaduto dalla carica, il Presidente della Repubblica debba essere sottratto al giudice comune e giudicato dalla Corte costituzionale.
Fuschini replica che è il reato (violazione della Costituzione) che implica la giurisdizione speciale.
Il Presidente Terracini obietta che in questo caso, se mai, non è la natura del reato, ma quella del reo che determina il ricorso alla giurisdizione speciale, perché, se così non fosse, tutti i cittadini colpevoli di violazione dalla Costituzione dovrebbero essere chiamati a comparire di fronte alla Corte costituzionale. Aggiunge che quanto ha osservato l'onorevole Perassi vale anche per la proposta Fabbri.
Fabbri spiega che, secondo il suo testo, la decadenza consegue unicamente alla violazione della Costituzione. Insiste, quindi, sulla sua formula, rilevando che non è concepibile la qualità di imputato, nei confronti del Capo dallo Stato, se non dopo decaduto dalla carica e nello stesso tempo non è giusto farlo decadere, se il suo reato non è tale da impressionare l'opinione pubblica. D'altro canto, non trova nemmeno logico che debba comparire per i reati comuni al cospetto della Corte costituzionale, anziché dinanzi al giudice ordinario.
Il Presidente Terracini è contrario alla formula dell'onorevole Fabbri, in quanto crede che dia l'impressione che il Presidente della Repubblica sia immune da ogni azione penale. Qualora la Sezione accogliesse il concetto dell'onorevole Fabbri, consiglierebbe di tradurlo in una formula più comprensibile, in cui si precisasse che il Presidente della Repubblica risponderà degli atti non attinenti alle sue funzioni una volta cessato dalla carica.
Comunque, rilevato che il dissenso dei colleghi verte sull'opportunità di ritenere il Capo dello Stato responsabile anche per i reati comuni, ovvero di sospendere la relativa procedura per tutto il periodo della sua durata in carica, pone ai voti la proposta dell'onorevole Fabbri:
«Durante l'esercizio delle sue funzioni il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedure penali, tranne che per violazione della Costituzione, nel qual caso, su accusa dell'Assemblea Nazionale, sarà giudicato dalla Corte costituzionale.
La deliberazione di accusa dell'Assemblea Nazionale implica decadenza dalla carica».
Personalmente dichiara che voterà contro, perché ritiene che il Presidente della Repubblica in un regime democratico vada considerato come un cittadino fra i cittadini, e come ogni altro debba osservare le leggi e rispondere alla giustizia del proprio Paese.
(Con 5 voti favorevoli e 5 contrari, non è approvata).
Pone in votazione la prima parte dell'articolo proposto dall'onorevole Nobile:
«Il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a giudizio per reati comuni senza autorizzazione dell'Assemblea Nazionale.
Egli non è responsabile per gli atti compiuti nell'esercizio delle suo funzioni, tranne che per violazione della Costituzione».
(Non è approvata).
Pone ai voti il testo del primo comma dell'articolo 17, con la soppressione dell'inciso: «per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni». Tale testo risulta, quindi, così formulato:
«Il Presidente della Repubblica non è responsabile tranne che per violazione della Costituzione».
(È approvato).
Bozzi domanda che cosa si intenda per «Costituzione»; se la Carta costituzionale soltanto o tutto il complesso delle leggi costituzionali.
Tosato, Relatore, risponde che si allude a tutte le disposizioni aventi valore costituzionale, anche se non contenute nella Costituzione.
Mortati, a proposito del capoverso, prospetta l'opportunità di stabilire che la decisione di porre in stato di accusa il Presidente della Repubblica debba esser presa con una maggioranza qualificata dell'Assemblea Nazionale, anziché a maggioranza semplice. Ciò costituirebbe una maggiore garanzia nei confronti di un'Assemblea desiderosa di sbarazzarsi del Presidente della Repubblica.
Il Presidente Terracini nota che una certa garanzia è già data dal fatto che si tratta di una deliberazione dell'Assemblea Nazionale e non di una Camera sola.
Mortati fa rilevare che per l'elezione del Presidente della Repubblica è richiesta una maggioranza qualificata; la stessa procedura dovrebbe quindi seguirsi per deliberarne la decadenza.
Bozzi si associa.
Tosato, Relatore, propone l'espressione: «dichiarata a maggioranza assoluta dei suoi componenti».
Fabbri insiste sul concetto che non si può ammettere che un Presidente della Repubblica resti in carica, nonostante che sia stato posto in stato d'accusa dalla maggioranza dell'Assemblea Nazionale. Ritiene che la deliberazione dell'Assemblea debba corrispondere ad un atto di revoca.
Bozzi fa rilevare che l'espressione «violazione della Costituzione» è piuttosto vaga, in quanto la violazione potrebbe riferirsi ad una norma secondaria, anche di carattere procedurale, della Carta costituzionale. In questo caso la disposizione diverrebbe di una gravità eccessiva.
Il Presidente Terracini risponde che anche la violazione di una norma procedurale è una grave mancanza quando è intenzionale.
Pone ai voti il secondo comma dell'articolo 17, così modificato:
«In questo caso, su accusa dell'Assemblea Nazionale, dichiarata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, sarà giudicato dalla Corte costituzionale».
Einaudi, in quanto non ha fiducia nell'efficienza della Corte costituzionale, formula le sue riserve su tale disposizione.
(È approvato).
A cura di Fabrizio Calzaretti