[Il 22 ottobre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo secondo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Capo dello Stato».

Per la prima parte della discussione vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 87 per il testo completo.]

Benvenuti. [...] Secondo (su questo si intratterrà il collega Dominedò al cui emendamento ho aggiunto la mia firma): Problema dello scioglimento delle Camere.

Io penso, onorevoli colleghi, che il mio ottimo amico onorevole Clerici, il quale si è battuto perché dalla nostra Costituente uscisse una Costituzione priva del Capo dello Stato, sarà soddisfatto. Mi consentano gli onorevoli membri della Commissione di dire che i suoi voti sono stati sostanzialmente esauditi...

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Avveniva lo stesso per il Re.

Benvenuti. La cosa era diversa perché il Governo regio era fiduciario e del Re e del Parlamento. Nel nostro sistema, a mio avviso, il governo è fiduciario esclusivamente dell'Assemblea. Quindi il conflitto più probabile non è quello di un tempo, che si verificava fra il Governo del Re e l'Assemblea, ma il conflitto più probabile è quello fra il binomio Governo-Assemblea e quell'«Assemblea delle Assemblee» che è la volontà popolare. È a questo punto che il Capo dello Stato deve poter intervenire: e quando questo conflitto si verifica significa che il Governo e l'Assemblea non rappresentano più la volontà popolare: in questo momento si deve poter consultare il Paese.

La formula sciogliere le Camere non piace a nessuno. Il Presidente deve, a mio parere, poter in qualsiasi momento indire le elezioni, ferme restando in carica le Camere coll'istituto dalla prorogatio. Ma in qualsiasi momento il Presidente della Repubblica dovrebbe essere in condizione di consultare il Paese. E questo non lo potrà mai ottenere colla controfirma del Presidente del Consiglio, qualora fra la maggioranza parlamentare, di cui il Governo è emanazione e la volontà del Paese vi sia conflitto. È in questo conflitto che deve entrare il Capo dello Stato per deferirne la risoluzione al Paese. E per questo deve avere poteri autonomi che non potrebbe mai avere se dovesse preventivamente ottenere la controfirma di quel Governo nei confronti del quale chiede il verdetto della volontà popolare.

[...]

Presidente Terracini. [...] Passiamo all'articolo 84. Se ne dia lettura.

Amadei, Segretario, legge:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere».

Presidente Terracini. Ricordo che l'onorevole Benvenuti ha già svolto il seguente emendamento, in sede di articolo 83:

«Sostituirlo col seguente:

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere.

«Promuove, ogni qual volta lo ritenga del caso, azione di incostituzionalità delle leggi, decreti e regolamenti che vengano proposti alla sua firma.

«Presiede il Consiglio superiore della magistratura e nomina con decreto, su designazione del Consiglio stesso, i magistrati.

«Nomina i funzionari della Presidenza della Repubblica.

«I poteri di cui al presente articolo sono esercitati dal Presidente della Repubblica in via di prerogativa: per la loro validità non è necessaria la controfirma del Primo Ministro, né dei Ministri».

L'onorevole Dominedò ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo la parola: può, aggiungere le parole: in via di prerogativa».

Ha facoltà di svolgerlo.

Dominedò. Eccomi pronto a dare ragione dell'emendamento proposto all'articolo 84. In queste norme del progetto di Costituzione, il potere del Presidente della Repubblica di procedere allo scioglimento delle Camere è contemplato indiscriminatamente, indifferenziatamente, rispetto agli altri poteri del Capo dello Stato contemplati nell'articolo precedente dello stesso progetto.

Penserei allora che in un tema di tale importanza, il quale veramente deve servire a collocare il Capo dello Stato al vertice dell'ordine costituzionale che stiamo costruendo, ponendolo nella sua veste di tutore e custode della Costituzione al di sopra del Parlamento attraverso la potestà di scioglimento, penserei, dicevo, che nell'esercizio di tale funzione debba adottarsi quella particolare configurazione giuridica per cui, in sede costituzionale, convenga parlare di poteri spettanti al Capo dello Stato «in via di prerogativa», nel senso di un potere proprio, esclusivamente pertinente. Se poi, allo scopo di meglio differenziare questa ipotesi dalle mere funzioni di carattere personale, si volesse adottare un'altra formula, in luogo di quella del «potere in via di prerogativa», ripetuta dalla Costituzione estone e da altri testi, si potrebbe forse preferibilmente parlare di «potere autonomo» o «potere esclusivo», inerente all'organo piuttosto che alla persona.

Qualora si riuscisse così a configurare questo potere del Capo dello Stato, esclusivamente ad esso spettante, la conseguenza sarebbe la seguente: che l'atto compiuto dal Capo dello Stato, nell'esercizio del potere conferitogli nella così detta via di prerogativa, non avrebbe bisogno, agli effetti della validità giuridica e costituzionale, della controfirma del Primo Ministro ed in genere del Governo.

La ragione che ispira l'emendamento è pertanto essenzialmente quella di attribuire nella sua pienezza questo potere di risolvere i conflitti con le Camere, nel caso in cui la volontà del Parlamento risulti in antitesi con la coscienza del paese, poiché un potere di scioglimento delle Camere, il quale sia legato agli effetti della sua validità alla necessità essenziale della controfirma dello stesso Governo promanante dalle Camere sciolte, finirebbe per essere mutilato nel momento stesso in cui lo si formula. L'articolo 84 va quindi visto in stretta connessione sia con il primo comma dell'articolo 85, il quale subordina la validità degli atti compiuti dal Capo dello Stato alla controfirma dei Ministri competenti, sia col secondo comma dello stesso testo, relativamente alla materia della responsabilità, sulla quale si dovrà altrove tornare.

È perciò che, laddove l'emendamento proposto dovesse essere accolto, bisognerebbe correggere conseguentemente il primo comma dell'articolo 85 in questi termini: «Gli atti compiuti dal Capo dello Stato, tranne quelli nell'esercizio del potere in via di prerogativa, non sono validi se non controfirmati dal Primo Ministro e dai Ministri competenti». E altrettanto dovrebbe logicamente dirsi per il problema della responsabilità politica, non essendo più invocabile un principio di irresponsabilità per gli atti non coperti dalla firma del Governo.

Pare che queste previe enunciazioni di principio servano a porre in evidenza il significato giuridico da un lato, e quello politico dall'altro, di una proposta mirante in definitiva a quella finalità ultima che può dirsi della elevazione di prestigio e del rafforzamento di potere del Capo dello Stato, onde rendere storicamente attuabile il suo compito di supremo moderatore della Costituzione. Probabilmente, una proposta di tanto rilievo potrebbe essere contemperata da una eventuale delimitazione della potestà di scioglimento. Forse la potestà di scioglimento, spettante in via di prerogativa con le caratteristiche e gli effetti sin qui delineati, potrebbe ad un tempo essere circoscritta, venendo ricondotta a determinate condizioni, collegata a determinati limiti. È perciò che altri colleghi si riservano di studiare questo delicato punto, per sottoporre all'Assemblea possibili emendamenti riguardanti una delimitazione del potere di scioglimento: in questo caso, tali emendamenti costituirebbero quasi la naturale contropartita dell'accresciuto potere presidenziale a seguito della qualificazione in via di prerogativa.

Richiamando, quindi, i precedenti costituzionali testé citati e tenendo presente un complesso di finalità che attengono insieme all'ordine giuridico ed all'ordine politico, oserei ritenere che se l'Assemblea entrasse nell'ordine di idee di valutare l'opportunità di dare nuova configurazione a questo potere centrale di scioglimento, vera chiave di volta della nostra costruzione costituzionale, si riuscirebbe nel duplice intento di rafforzare la posizione del Capo dello Stato, e di inquadrarne insieme la figura in quei principî che abbiamo voluto preservare, muovendoci nell'orbita del Governo parlamentare e non del Governo presidenziale.

Poiché sia ben fermo che, anche configurando il potere di scioglimento nel quadro dei poteri spettanti nella così detta via di prorogativa, non si altererebbe concettualmente la struttura costituzionale che l'Assemblea ha prescelta come la più rispondente in Italia all'attuale momento storico. Noi infatti ci muoveremmo sempre nell'orbita di un regime parlamentare e non presidenziale, se è vero che il Presidente non si sovrapporrebbe all'esecutivo, bensì sarebbe solamente investito di questa funzione centrale, ma delimitata e circoscritta, proprio allo scopo di ristabilire l'equilibrio fra i poteri dello Stato, dimostrandosi così l'autentico moderatore della Costituzione, capace di riavvicinare il Parlamento al paese e di dirimere il conflitto con un Governo non più rispondente alle esigenze della coscienza comune.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Colitto:

Alle parole: sciogliere le Camere, sostituire: sciogliere entrambe le Camere o anche una sola di esse».

Ha facoltà di svolgerlo.

Colitto. Questo emendamento mira a rendere più chiara la dizione dell'articolo.

Io mi sono domandato: può il Capo dello Stato sciogliere anche una soltanto delle Camere? Se a questo interrogativo possiamo rispondere affermativamente, è opportuno formulare la norma in guisa che nessun dubbio sorga in proposito.

Ho perciò proposto la seguente formula: «entrambe le Camere o anche una sola di esse». Non trovo tuttavia alcuna difficoltà ad abbandonare eventualmente questa formula e ad accettarne qualsiasi altra che potrà, secondo la Commissione, rendere meglio il concetto da me espresso.

Osservo peraltro che la formula da me proposta è stata già usata in altre norme di questa Costituzione e si trova adottata anche in molte disposizioni del Codice penale e nelle leggi, che attualmente la Commissione dei Settantacinque sta esaminando, di riforma di alcune parti del Codice penale.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Bosco Lucarelli:

«Aggiungere il seguente comma:

«In tale caso i poteri delle Camere non sono prorogati fino alla riunione delle nuove».

Ha facoltà di svolgerlo.

Bosco Lucarelli. Noi abbiamo, nell'articolo 58 già approvato, stabilito che i poteri delle Camere sono prorogati sino alla riunione delle Camere nuove. Ma questa facoltà noi l'abbiamo vista in rapporto alle Camere le quali si sciolgano per compiuto termine. Qui viceversa l'ipotesi è completamente diversa, giacché qui ci troviamo di fronte a Camere che sono sciolte in virtù di un provvedimento eccezionale.

Ora, se nell'ipotesi dell'articolo 58 ci trovavamo di fronte a Camere che avevano regolarmente svolto la loro azione, per cui sembrava opportuno che ad esse fosse concessa una proroga delle loro funzioni fino alle Camere nuove, viceversa la posizione contemplata dall'articolo 84 è, come ho detto, completamente diversa, perché noi prorogheremmo delle Camere che il Capo dello Stato ha ritenuto non poter funzionare. Quindi abbiamo una contraddizione in termini, perché, da un lato, abbiamo delle Camere che non possono funzionare; dall'altro, abbiamo la proroga dei poteri delle Camere stesse.

Dal punto di vista poi dell'opportunità, io mi domando come si pensa che potrebbero funzionare queste Camere che si trovassero di fronte ad un decreto di scioglimento e quali si pensa che sarebbero i loro rapporti con l'esecutivo. È evidente che non potrebbe determinarsi se non un gravissimo attrito, uno stato di fatto molto pericoloso e molto grave.

Mi sono permesso quindi di presentare un emendamento con il quale, in caso di scioglimento delle Camere, tale proroga non avvenga come viceversa avviene regolarmente per l'articolo 58, quando le Camere abbiano regolarmente funzionato e si siano sciolte per compiuto termine.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Romano:

«Aggiungere il seguente comma:

«Allo scioglimento delle due Camere seguirà l'elezione del Presidente della Repubblica da farsi entro sei mesi dalla elezione delle Camere stesse».

Ha facoltà di svolgerlo.

Romano. Vi rinunzio, onorevole Presidente. Avrei infatti mantenuto l'emendamento se fosse stata stabilita la nomina del Capo dello Stato a suffragio diretto del popolo, giacché scopo dell'emendamento stesso era quello di frenare l'eventuale strapotere del Presidente della Repubblica; ma, dopo l'approvazione dell'articolo 79 nel senso che tutti sanno, non vi è più questa necessità.

Presidente Terracini. Sta bene. L'onorevole Costantini ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l'articolo 84 con il seguente:

«Il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere con il consenso espresso dei rispettivi Presidenti».

Ha facoltà di svolgerlo.

Costantini. Io penso, onorevoli colleghi, che lo spirito che ci anima nel presentare questi emendamenti sia sostanzialmente il medesimo, da qualunque parte essi provengano. In sostanza, lo spirito, che mi ha determinato a presentare l'emendamento testé letto, è quello di evitare pericoli che noi oggi possiamo solo temere, perché l'avvenire è sulle ginocchia di Giove. Per disgrazia, abbiamo il ricordo e l'esperienza del passato che ci inducono a molta prudenza.

Dalla semplice lettura di questo articolo, che siamo chiamati ad approvare, cioè dell'articolo 84, noi rileviamo che il potere concesso, o in via di concessione, al Presidente della Repubblica, è enorme. Badate: il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere. E non si parla — perché non è possibile fare una casistica — delle ragioni che possono determinare o imporre un provvedimento di questo genere. Si dice «può», e non si dice altro, perché altro non si può dire.

E allora, nella tema che in un prossimo o magari lontano avvenire vi sia un Presidente della Repubblica il quale abusi dei suoi poteri e sciolga le Camere, quando le Camere non dovrebbero essere sciolte, che cosa dobbiamo fare? Io penso che, sostituendo — non sarà una formula perfetta — a quel «sentiti i Presidenti», il consenso dei Presidenti delle due Assemblee legislative, noi avremmo, anziché la responsabilità, la iniziativa individuale del massimo rappresentante della Repubblica ed anche quella di coloro che, col consenso delle Assemblee legislative, rappresentano le Assemblee stesse.

È una garanzia che io propongo sia stabilita per tutelare, nelle forme che sono consentite alle nostre umane possibilità, questa democrazia che abbiamo ottenuto con tanta fatica e che dobbiamo custodire con ogni diligenza.

Presidente Terracini. L'onorevole Laconi ha presentato il seguente emendamento, da porre in votazione, secondo il proponente, solo nel caso che l'articolo sia approvato nel testo del progetto:

«Aggiungere il seguente comma:

«Non può usare di tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato».

L'onorevole Laconi non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

Orlando Vittorio Emanuele. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Orlando Vittorio Emanuele. Io mi ero proposto di prendere la parola sull'articolo 85 o sull'articolo 86 ma, per essere interamente sincero, onorevole Presidente, dirò che nel mio proposito vi sarebbe una specie di dichiarazione di voto che vale per tutto il passato e per tutto l'avvenire; quindi, questo riassunto sintetico del mio pensiero di prima e di poi sarebbe tutto a vantaggio del lavoro dell'Assemblea. E volevo scegliere, come ho detto, l'articolo 85 o l'articolo 86, dove si pone un quesito che mi pare insoluto e fondamentale, cioè a dire: questo Governo della futura Costituzione che rapporti avrà con il Presidente, Capo dello Stato? È un problema che credo non risoluto ed è fondamentale, poiché è quello da cui si qualifica la forma di Governo che si vuole adottare.

Dico che avrei preso argomento da uno di questi due articoli per una motivazione di voto verso il passato e verso l'avvenire, cioè per spiegare la scarsa mia partecipazione ai lavori finora diretti alla creazione della nuova Costituzione e quella, temo, egualmente scarsa, ai lavori futuri. Ricordo, dunque, che io nella grande discussione generale manifestai dei concetti di carattere fondamentale che ebbero la sfortuna, o meritarono, diremo più modestamente, la sfortuna, di non essere accolti, di essere radicalmente disattesi. Io ne prendo atto con doverosa modestia, ma spiego la scarsezza della mia cooperazione per il fatto stesso che il dissenso cade su quello che è lo spirito fondamentale, e non riguarda una differenza analitica su questa o su quella espressione, ma su tutte le parti essenziali di questa costruzione di diritto pubblico. In tal caso non ci si può mettere d'accordo! È come parlare due lingue diverse reciprocamente incomprese!

Ora, uno dei punti più gravi del mio dissenso è stata la esautorazione completa di questo futuro Capo dello Stato repubblicano. Si direbbe che si tratti quasi di una specie di sfiducia anticipata, di un sospetto continuo verso l'abuso dei poteri concessi, onde sono considerevolmente ridotte le attribuzioni del Capo di Stato quali spettano ordinariamente nei regimi monarchici. Or, tutti ricorderanno lo spirito satirico onde, precisamente a causa di questa scarsezza di poteri, era stato attribuito ai re costituzionali l'appellativo di «re travicello». E tenete conto che v'era di mezzo il rispetto verso la maestà del re!

Ora, io mi domando quali epiteti saranno riservati a questo futuro Presidente di Repubblica al quale si trasferiscono i poteri che prima erano pertinenti al Capo dello Stato monarchico e per cui quegli era ritenuto «un travicello», ma si trasmettono in una misura ancora più ridotta! Si può dire che non rappresenti più nulla!

Ora, con questa convinzione che io avrei voluto illustrare a proposito del coordinamento della responsabilità di cui all'articolo 85 e dei poteri del Governo o Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 86, non mi sarei però davvero aspettato che mi si fosse data occasione di intervenire per il motivo inverso, cioè per lo scioglimento della Camera per quanto qui si parli di scioglimento delle due Camere, mentre lo Statuto albertino non si riferiva né poteva riferirsi che solo ad una; il quale scioglimento contemporaneo fa una certa impressione, e desta qualche preoccupazione.

Ma comunque è un'attribuzione che è talmente nell'interesse del funzionamento della Costituzione e della politica di un Paese, che non saprei comprendere come si possa prescinderne.

Ma vi è il mio amico e collega (vorrei dire discepolo) a cui ho voluto e voglio tanto bene e verso cui professo tanta stima, l'onorevole Dominedò, che nientedimeno ne farebbe un potere personale! Perché, badiamo bene, la formula è: in via di prerogativa. L'espressione «prerogativa», che ci viene dalla Costituzione inglese, indica un potere non attribuito alla persona, ma attribuito solo in quanto funzionario, sia pure supremo, sia pure organo rappresentante della sovranità dello Stato. Ma l'onorevole Dominedò nello specificare che il potere di scioglimento è conferito in via di prerogativa avverte che si tratta di una ipotesi diversa ed anzi contrastante e cioè come potere autonomo, esclusivo e quindi eccezionale: in una parola, personale.

Ora io mi ricordo che come deputato, ma prima come professore, ho sostenuto quella lotta nel campo scientifico (che poi fu superata perché nessuno più ne dubitò) sulla questione se fossero potute rimanere delle attribuzioni del Capo dello Stato che non avessero carattere di prerogativa, perché tutte le attribuzioni del Capo dello Stato erano prerogative, cioè a dire non erano conferite alla persona ma bensì all'organo come rappresentante la sovranità dello Stato.

La questione fu sollevata da prima dai costituzionalisti francesi della monarchia di luglio, e, per verità, in questa categoria di diritti personali rimasti al re cui si dava il titolo di maiestatici, si comprendeva lo scioglimento della Camera. Ma questa speciale estensione non fu presa molto sul serio; si continuò invece a ridurre siffatti diritti pretesi maiestatici a questi due ordini di attribuzioni: il diritto di grazia e i titoli nobiliari. Questa opinione ebbe qualche rappresentante in Italia, nei primi tempi sotto l'impero dello Statuto albertino, limitatamente dunque alla grazia ed agli ordini nobiliari.

Qualcuno diceva: queste attribuzioni sono ancora di natura personale, residui dei diritti propri dei monarchi, senza alcun concorso di altri organi costituzionali. Quando il re fa la grazia, la fa come persona, non la fa in quanto rappresenta lo Stato e quindi in quanto prerogativa nel loro senso costituzionale. E così pure i titoli nobiliari. Per i titoli nobiliari vi sarebbe stata una maggior ragione, perché quella competenza si collegava con una tradizione secondo cui il conferimento del titolo era atto di personale volontà del Sovrano collo stesso titolo specifico delle monarchie assolute e lo Statuto albertino aveva detto che questo diritto si manteneva nella sua figura storica. Ciò malgrado, noi giuspubblicisti della nuova scuola ci rifiutammo di ammettere queste interpretazioni. E questa era democrazia, come la intendevamo verso il 1890, onde ora dovrei passare per un estremista. Abbiamo detto: nient'affatto; il Capo dello Stato della monarchia, secondo lo Statuto albertino, non ha nessun potere personale; tutti i suoi poteri sono esercitati in quanto rappresentante dello Stato e tutti sottoposti al principio generale della responsabilità ministeriale. E queste tendenza prevalse perché la grazia fu sotto la controfirma del Ministro Guardasigilli e gli ordini nobiliari furono sotto la generale competenza del Primo Ministro e Ministro dell'interno attraverso la Consulta araldica, come ufficio dipendente dalla Presidenza del Consiglio.

Ora dobbiamo fare questo po' po' di passo retrogrado nel senso, che sessanta anni fa ci sembrava antidemocratico, antiliberale, di riconoscere un potere personale, vuol dire un potere per cui non si risponde, non più nel re ma nel Presidente della Repubblica! Per verità a me pare che questa semplice esposizione storica dimostra l'assoluta impossibilità di aderire a quella proposta.

Dominedò. Ma noi ci riserviamo di toccare il problema della responsabilità quando esamineremo il secondo comma dell'articolo 85.

Orlando Vittorio Emanuele. Nelle cose dette dal mio amico Dominedò vi è una parte in cui sono disposto a consentire, cioè in quanto egli trova, quasi come in una extrema ratio, finalmente un mezzo di assicurare l'autorità di questo Presidente: autorità di tanto ridotta se non addirittura demolita. Ben poco gli è rimasto anche in confronto del potere del Capo dello Stato monarchico.

Ha, sì, il comando delle forze di terra e di mare, ma poi, viceversa, l'attività militare ritorna al Governo come Ministero della guerra o comandi di Stato maggiore, che non dipendono da lui o almeno non risulta che dipendano da lui, e ciò anche a prescindere dal particolare prestigio di un re che era pure, o si presumeva che fosse, un tecnico rivestito di gradi militari.

Ora a proposito di un siffatto Presidente della Repubblica, siccome esautorato, l'amico Dominedò trovava che effettivamente non inquadra in questa esautorazione questo potere di scioglimento delle Camere che realmente ha una portata almeno simbolicamente grandissima; onde, per rafforzare sempre più quell'autorità, pensava di attribuirla in quella forma eccezionale.

E, in verità, nel senso di questa tendenza, io potrei consentire, perché penso io pure che eccessiva è stata la riduzione di quell'autorità. Per esempio, gli si è levata l'iniziativa. Or nell'iniziativa si afferma per di più la natura giuridica del Capo dello Stato e si giustifica l'intervento dell'autorità di esso come di colui che stando al vertice della vita di un popolo deve avere la sensibilità più acuta e più pronta di un bisogno nel campo della politica, del diritto, dell'economia del Paese. Gli avete pure tolto la sanzione. Lo avete escluso dal potere legislativo. Non gli appartiene il potere giudiziario, e questo è naturale. Io non so più se gli spetta il potere esecutivo. E quando dovesse discutersi qualcuno degli articoli relativi a questo argomento vi parteciperei, per manifestare, almeno, i miei dubbi. Ed allora è naturale la domanda: cosa ci sta a fare? E si risponde: ha il potere di sciogliere le Camere. E l'onorevole Dominedò acutamente pensa che nel giusto intento di rinforzarne l'autorità gioverebbe di attribuirgli quella competenza come un diritto personale, non in quanto è il rappresentante della sovranità dello Stato, ma si chiami, non so, oggi Enrico De Nicola, o domani non so chi altro, poiché non intendo fare pronostici in questa delicata materia, mentre l'affidarsi a una persona dovrebbe soprattutto dipendere dalla fiducia verso quella data persona. Or, vedete, questo potere che per se stesso è indubbiamente grave, può diventare minaccioso tanto più quanto meno poteri gli avete dato. (Approvazioni).

Abbiamo tutti vissuto questa vita parlamentare d'Italia. Ricordate un caso in cui si sia fatta la grossa questione politica di fronte ad uno scioglimento, come determinato da intenti di sopraffazione politica? Io non me ne ricordo. Io non me ne ricordo e credo di poterlo escludere perché tutto il congegno dei meccanismi parlamentari rendeva poco facile che il potere esecutivo ricorresse a quell'atto violento. Poiché è violento; come negarlo? È un atto di volontà di un individuo che soverchia e dissolve la rappresentanza della Nazione. Ma è tanto meno possibile di negare questa competenza al Presidente della Repubblica, quanto più grave mi appare quella esautorazione. Ma, fermato questo punto, che vi sia da parte della prima Camera della Repubblica d'Italia, che vuole riaffermare la democrazia nel suo senso più ampio, la dichiarazione con cui si attribuisce ad un organo dello Stato un potere personale sottratto alla responsabilità, mi sembra una cosa veramente così straordinaria che per mio conto non saprei prestare il mio assenso, poiché ne resterebbe profondamente turbato tutto lo spirito della Costituzione. Io che mi dolgo che l'autorità del Capo dello Stato sia stata di tanto sminuita, vi dico la verità, di fronte a questo potere che lo fa diventare una specie di sovrano assoluto, resto perplesso. Lasciatelo sotto la responsabilità, ed allora va bene. Non si possono conciliare due cose incompatibili. Se il potere è personale, vuol dire che non se ne risponde. È una forma, sia pure limitata, di potere assoluto e quindi in perfetta contraddizione con quello spirito democratico di cui l'Assemblea si è dimostrata animata. Il pericolo è appunto l'esautorazione del potere esecutivo. Occorre un rafforzamento del potere esecutivo ed io vorrei arrivare all'elezione popolare, appunto per rafforzarlo. Ma, tornando al punto di partenza, credo, ciò malgrado, che sia radicalmente contrastante con lo spirito democratico il riconoscere un potere personale. (Vivi, generali applausi).

Clerici. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Clerici. Onorevoli colleghi, mi trovo confuso di dover parlare dopo un maestro come l'onorevole Orlando, alle cui osservazioni dichiaro subito di acconsentire pienamente. Parlo però anche per dichiarazione di voto, per aggiungere, mi illudo, una postilla (non è che una diretta conseguenza, postilla, dicevo, e corollario di quello che ha già prospettato l'onorevole Orlando). Chiedo all'onorevole Dominedò, al caro ed illustre collega Dominedò, come mai può congegnare il suo emendamento che, in sostanza, porterebbe all'assurdo di un Presidente della Repubblica che senza, ed eventualmente contro, il parere del Primo Ministro e dei Ministri, scioglie le Camere. Ed allora io gli chiedo come mai si può inquadrare giuridicamente questo fatto con le due disposizioni, che sono nell'articolo 85, per cui da una parte il Presidente della Repubblica non deve rispondere dei suoi atti; e dall'altra ciascun suo atto non è valido se non è controfirmato dai Ministri.

Qui invece avremmo un atto non controfirmato da alcun Ministro e del quale quindi nessuno dei Ministri risponde, mentre non ne risponderebbe del pari neppure il Presidente della Repubblica. E allora pongo quest'altro interrogativo all'onorevole Dominedò: E se, come può avvenire, il Paese, nella duplice elezione dei senatori e dei deputati, decidesse poi contro il Presidente della Repubblica che sciolse la Camera, che cosa succederebbe? Normalmente succedeva, secondo l'antica prassi, che era vera legge costituzionale, questo: il Presidente del Consiglio e il Consiglio dei Ministri, che avevano sottoscritto e assunto la responsabilità dello scioglimento della Camera, rispondevano essi dell'atto politico e davano le dimissioni. In questo stava la sanzione per l'atto disapprovato dal Paese. Secondo l'emendamento Dominedò, invece, avremmo il Presidente della Repubblica che non risponde non solo alle Camere ma neppure al Paese sovrano, che lo ha sconfessato. Allora capiterebbe con ogni probabilità quel fatto, straordinario, che si è verificato in Francia nel 1878, allorquando il Presidente Mac Mahon sciolse la Camera sul parere del Duca De Broglie, Presidente del Consiglio; ed il popolo rispose rimandando al Parlamento coloro che erano stati sciolti e che si erano coalizzati fra loro. Si arrivò così al famoso dilemma di Leone Gambetta: sottomettersi o dimettersi; ed a seguito di ciò Mac Mahon dovette dare le dimissioni, benché istituzionalmente ciò fosse escluso dalla Costituzione di recente votata. Il fatto fu talmente grave che da allora nessun Presidente della Repubblica sciolse più la Camera. Quindi, e, meglio ancora, nessun Presidente del Consiglio osò più chiedere il provvedimento. E con la disposizione dell'onorevole Dominedò noi introdurremmo nella Costituzione un principio assurdo, perché avremmo un Presidente della Repubblica che non risponderebbe di ciò che esso facesse di sua testa e quindi con la sua esclusiva ed espressa responsabilità; un principio per di più che sarebbe fomite di disordini.

Dominedò. C'è la riserva. Il problema resta aperto.

Presidente Terracini. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 11 di domani.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti