[Il 19 ottobre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull'organizzazione costituzionale dello Stato.]
Il Presidente Terracini informa che si riprende l'esame delle categorie di eleggibili a membri della seconda Camera, iniziato nella seduta precedente. La dodicesima, nella elencazione suggerita dall'onorevole Mortati è la seguente: «Magistrati di grado di appello o superiore». Gli onorevoli Bozzi e Bulloni hanno fatto una proposta analoga, ma in termini più precisi: «Magistrati dell'ordine giudiziario, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, di grado non inferiore al VI.
Ravagnan, premesso che dalle sue parole esula qualsiasi sentimento men che riguardoso verso la magistratura, dichiara di essere contrario all'inclusione di tale categoria, in quanto già esiste la possibilità che magistrati arrivino alla seconda Camera quali dirigenti della rispettiva organizzazione sindacale.
Conti, Relatore, esprime l'avviso — malgrado la sua contrarietà per il sistema in discussione — che i magistrati debbano rimanere fuori dalle organizzazioni sindacali. Essi potranno avere associazioni proprie per la difesa di interessi specifici della categoria, ma non entrare in organizzazioni che li assimilino ad altre categorie che perseguano finalità classiste.
Bozzi concorda, aggiungendo per altro che se si escludesse la categoria dei magistrati dalla seconda Camera si perderebbe l'apporto veramente prezioso di persone eminenti che, per la loro competenza ed il loro senso di indipendenza, sono le più indicate per quella valutazione serena e obiettiva che è necessaria ad una saggia legiferazione. Le stesse ragioni che hanno consigliato di includere i professori, prescindendo dall'inquadramento in organizzazioni sindacali, suffragano l'inclusione dei magistrati.
Ambrosini fa presente l'opportunità di includere fra gli eleggibili alla seconda Camera i magistrati come tali, a prescindere dalla loro appartenenza a categorie organizzate, e ciò per l'abito mentale di indipendenza, serenità ed equilibrio, oltre che per la preparazione tecnica e l'apporto di prim'ordine che i magistrati possono dare alla formulazione della legge.
Einaudi si associa ed esprime solo la sua perplessità rispetto al grado da cui si dovrebbe partire. Posto che la caratteristica della magistratura, da tutti riconosciuta, è appunto l'indipendenza, teme che, consentendo ad un magistrato di grado non elevato — giudice, o referendario del Consiglio di Stato o della Corte dei conti — di divenire membro della seconda Camera, l'avanzamento nella carriera possa subire qualche influenza politica.
Fabbri non trova rilevante l'obiezione dell'onorevole Ravagnan, anche per il fatto che la categoria a cui si è riferito è limitata ai membri direttivi delle associazioni sindacali, e non ai componenti. Quindi anche se — contro il giusto punto di vista dell'onorevole Conti — esistesse un'associazione sindacale di magistrati, solo i dirigenti (che generalmente sono scelti proprio tra funzionari di grado non elevato) sarebbero qualificati per entrare nella seconda Camera.
Nobile osserva che i colleghi che hanno preso la parola sono tutti partiti dal presupposto della maggiore indipendenza dei magistrati, dimenticando che, per il fatto stesso della inclusione in liste di partiti, tale indipendenza viene a cessare.
Bozzi replica che si può conservare la propria indipendenza nell'espletamento del mandato, pur essendo inclusi in liste politiche. Propone di votare il principio, rimandando la precisazione del grado.
Il Presidente Terracini osserva all'onorevole Fabbri che, se mai, sono proprio le sue considerazioni che potrebbero far accedere all'opinione dell'onorevole Ravagnan. Ritiene infatti che si potrebbero trovare elementi idonei a ricoprire la carica di membro della seconda Camera, non solo fra i gradi più elevati, ma eventualmente anche negli inferiori, poiché la selezione è riferita non alla capacità professionale, ma a doti di carattere più ampio.
Fabbri replica che in simili casi potrà soccorrere la categoria dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali citata dall'onorevole Ravagnan; in mancanza, potrà costituire requisito di eleggibilità il grado elevato.
Ravagnan fa presente che sostiene la sua tesi anche per una questione di principio: che, cioè, i rappresentanti di un potere (giudiziario) non possono entrare a far parte di un altro (legislativo).
Il Presidente Terracini, accedendo alla proposta dell'onorevole Bozzi, pone ai voti il principio che la qualifica di magistrato — salvo a determinare in seguito il grado — possa costituire titolo per l'elezione alla seconda Camera.
(È approvata).
Dà lettura della successiva categoria proposta dall'onorevole Mortati: «funzionari dello Stato o degli enti pubblici dal grado I fino al grado IV», alla quale corrisponde quella degli onorevoli Bozzi e Bulloni:
«funzionari dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni di grado non inferiore al IV della gerarchia statale o ad esso equiparati».
Nobile domanda se si intendano compresi anche i generali e gli ammiragli.
Il Presidente Terracini risponde affermativamente, facendo rilevare che non è precisato che si tratti di «funzionari civili».
Pone in votazione la formula Bozzi-Bulloni.
Ravagnan dichiara che voterà contro per i motivi già esposti.
(È approvata).
Il Presidente Terracini dà lettura della proposta dell'onorevole Lussu di includere «i capi della resistenza e della guerra di liberazione compresi fra i presidenti dei Comitati di liberazione nazionale regionali e i comandanti partigiani di formazioni non inferiori alla divisione».
Lussu riconosce che la formulazione può non essere felice, ma per quel che riguarda la sostanza, la sua proposta non è suggerita tanto da ragioni sentimentali, quanto dalla considerazione politica che la consacrazione del principio nella Costituzione serva a riaffermare la grande volontà di rinnovamento democratico del Paese. Si tratta di persone che, oltre ad essere stati eroi ed esempi di vita civica, hanno dato un eccezionale esempio di capacità organizzativa, essendo riusciti, attraverso ad infinite difficoltà, a costituire reparti armati e ad organizzare la vita amministrativa dei comuni. Ritiene che questa categoria debba essere posta in testa alla elencazione, anche per la certezza che ciò può concorrere a far diminuire al di là delle frontiere la diffidenza verso la nostra democrazia, ancora tacciata di fascismo e di monarchismo.
La Rocca è d'accordo nell'avviso che coloro che si sono consacrati alla causa della liberazione e della redenzione del Paese debbano essere considerati quant'altri mai meritevoli di entrare nella seconda Camera e che dar loro una precedenza sugli altri costituisca un'affermazione politica utile.
Cappi è pienamente d'accordo con i colleghi, salvo per quanto riguarda la collocazione della categoria al primo posto, che gli pare accentuerebbe una dolorosa scissione che ha disunito e travagliato l'Italia.
Conti, Relatore, pur riaffermando l'avversione del partito repubblicano alla politica dei Comitati di liberazione nazionale, riconosce che, per l'eroismo dimostrato e per la lodevolissima intenzione di agire nell'interesse della libertà, e spesso anche della repubblica, i componenti del Comitato di liberazione nazionale meritino la qualifica di eleggibili alla seconda Camera, da consacrarsi, se non nel testo della Costituzione, almeno nelle disposizioni transitorie.
Lussu precisa la sua intenzione di riferirsi ai Comitati di liberazione nazionale dell'Alta Italia, escludendo quelli sorti dopo la liberazione.
Fabbri si dichiara favorevole ad una formulazione che includa sia i combattenti regolari che gli irregolari, purché decorati al valore nella guerra di liberazione, evitando qualsiasi altra distinzione pericolosa.
Bozzi conviene con l'onorevole Conti che il principio, essendo legato ad una situazione di contingenza, dovrebbe entrare nel complesso di disposizioni transitorie e non essere cristallizzato nella Carta costituzionale.
Mortati, Relatore, è contrario alla proposta Lussu perché, anche se a questi valorosi organizzatori e combattenti deve andare tutta la gratitudine del Paese, ciò non può costituire titolo sufficiente per far parte di un corpo politico.
Vanoni accetta in linea di massima i criteri dell'onorevole Lussu, ma si preoccupa della distinzione che si pone tra Nord e Sud. Non può, infatti, dimenticare che anche nel Meridione si sono avuti episodi di grande valore, primo tra tutti la insurrezione di Napoli. Ritiene pertanto che occorrerà studiare una precisa formula che tenga conto di questa esigenza.
Concorda sulla opportunità di inserire la norma tra le disposizioni transitorie, senza con questo voler sottovalutare i meriti della categoria.
Il Presidente Terracini è contrario alla formulazione «combattenti regolari e irregolari», suggerita dall'onorevole Fabbri, sia perché ritiene che i capi delle formazioni regolari possano rientrare nella categoria dei funzionari dello Stato, sia perché quella formulazione implicherebbe disconoscimento dei titoli dei capi politici, che nel campo civile hanno dato indiscusse prove di capacità organizzativa, prima della liberazione, e nel periodo immediatamente successivo.
Ritiene inoltre che sia necessario inserire la norma nel corpo della Carta costituzionale, in quanto la categoria del benemeriti della guerra di liberazione non si esaurirà evidentemente con la prima elezione della seconda Camera, ma dovrà essere tenuta presente anche in alcune delle successive. In seguito la norma cadrà in perenzione. Circa il rilievo dell'onorevole Cappi, osserva che non si tratta di accentuare divisioni, ma di assumere ancora una volta una precisa posizione, avallata dalla solennità della Carta costituzionale, nel giudizio di condanna verso movimenti che tanto male hanno fatto al Paese.
Fabbri spiega che, se è vero che, da un punto di vista strettamente giuridico, i capi delle formazioni regolari possono considerarsi inclusi nella categoria dei funzionari dello Stato, lo stesso substrato politico che consiglia la collocazione della categoria al primo posto può indurre a non porre l'accento su una differenziazione tra formazioni regolari e irregolari.
Conti, Relatore, si dichiara convinto dagli argomenti del Presidente sulla opportunità di dare il primo posto nell'elencazione alla categoria in esame.
Lussu non dà peso eccessivo all'obiezione dell'onorevole Vanoni che si ponga una distinzione tra Nord e Sud; né aderisce al punto di vista dell'onorevole Fabbri, osservando che l'esercito regolare ha un preciso dovere da compiere ed il fatto che lo abbia compiuto, anche se egregiamente, non rappresenta un titolo di merito eccezionale. Ricorda che lo stesso criterio ha guidato il Consiglio dei Ministri nella scelta dei membri della Consulta.
Nobile obietta che il ragionamento dell'onorevole Lussu si attaglia ai fatti di guerra normali, ma non alla guerra di liberazione, che aveva piuttosto il carattere di una lotta civile. In questo caso l'atteggiamento dei militari che combattevano, mentre al di là delle linee le loro famiglie erano esposte a tutte le rappresaglie, assume un rilievo politico che è utile sottolineare. Aderisce pertanto alla proposta dell'onorevole Fabbri.
Il Presidente Terracini propone la formula: «I capi delle formazioni regolari e partigiane partecipanti alla guerra di liberazione, che abbiano ricoperto grado non inferiore a comandante di divisione, i Presidenti dei Comitati di liberazione nazionale dell'Italia settentrionale».
Ambrosini non approva il riferimento all'Italia settentrionale.
Einaudi osserva che occorre chiarire fino a qual momento la carica di Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale può costituire requisito di eleggibilità.
Il Presidente Terracini riconosce l'opportunità di precisare: «fino al momento della liberazione».
Ravagnan trova eccessivamente restrittiva la limitazione al solo periodo clandestino, che trascura tutta l'attività svolta subito dopo la liberazione.
Fuschini rileva che la formula proposta escluderebbe i principali attori della resistenza Italiana meridionale e soprattutto di Napoli.
Fabbri pone in evidenza che, anche per non trascurare la gloriosa epopea napoletana, ha preferito porre l'accento sulle decorazioni al valore. Aggiunge che, dal punto di vista dell'importanza numerica dei reparti, il comando di divisione partigiana rappresenta un criterio pressoché inafferrabile.
Lussu ricorda — a giustificare la sua contrarietà alla proposta Fabbri — che personalmente per la resistenza di Roma non ha fatto alcuna proposta di ricompensa e gli consta che anche per Napoli sono limitatissime le pratiche per decorazioni al valore.
Il Presidente Terracini teme che il criterio di dar peso alle decorazioni — che sono a discrezione della sensibilità dei comandanti — possa provocare delle sperequazioni. D'altra parte, di fronte alla difficoltà di identificare i capi della resistenza napoletana che si è manifestata come una forma tipica di insurrezione spontanea, priva di un qualsiasi centro dirigente, propone, accedendo in parte alla proposta dell'onorevole Fabbri, di votare per divisione la seguente formula:
«I capi delle formazioni regolari o partigiane partecipanti alla guerra di liberazione, che abbiano ricoperto grado non inferiore a comandante di divisione; i decorati al valore nel corso della stessa guerra e i presidenti dei Comitati di liberazione nazionale regionali fino al momento della liberazione».
Pone ai voti la prima parte di tale formula e precisamente:
«I capi delle formazioni regolari e partigiane partecipanti alla guerra di liberazione, che abbiano ricoperto grado non inferiore a comandante di divisione».
(È approvato).
Mette ai voti la seconda parte:
«i decorati al valore nel corso della stessa guerra».
(È approvata).
Pone in votazione l'ultima parte:
«e i presidenti dei Comitati di liberazione nazionale regionali fino al momento della liberazione».
(È approvata).
Mette infine ai voti la proposta che la categoria così determinata sia collocata in testa all'elencazione.
(È approvata).
Dà notizia di una successiva proposta dell'onorevole Mannironi: «Si propone che tra gli eleggibili alla seconda Camera siano inclusi anche i membri elettivi dei consigli di amministrazione delle istituzioni di assistenza e beneficenza, che abbiano ricoperto tale carica per almeno 3 anni».
Vanoni è d'accordo nella sostanza — trattandosi di persone benemerite — ma rileva che non esistono membri elettivi delle istituzioni di assistenza e beneficenza, in quanto le designazioni avvengono da parte dei Consigli comunali.
Fabbri propone che il periodo di permanenza nella carica sia portato a cinque anni.
Bulloni vorrebbe che in questa categoria fossero compresi i presidenti degli istituti ospitalieri.
Il Presidente Terracini concorda con l'onorevole Fabbri. Ritiene che gli istituti ospitalieri possano intendersi compresi tra gli istituti di assistenza e beneficenza e non sia necessario nominarli espressamente. Comunque, il verbale di questa seduta potrà servire per l'esatta interpretazione della norma.
Piuttosto, data la eccessiva estensione della categoria — poiché forse non v'è comune in Italia che non abbia un sia pur modesto istituto del genere — ravvisa l'opportunità di introdurre qualche elemento restrittivo, o riferito alle persone (limitandosi, per esempio, ai presidenti dei Consigli di amministrazione) o agli istituti (tenendo presente la loro importanza).
Vanoni, per facilitare l'interpretazione nel senso accennato dal Presidente, suggerisce di togliere le parole «dei Consigli», perché gli istituti ospitalieri non hanno Consigli di amministrazione.
Il Presidente Terracini pone ai voti la seguente formulazione:
«I presidenti delle Amministrazioni di istituzioni di assistenza e beneficenza che abbiano ricoperto tale carica per almeno cinque anni».
(È approvata).
Fabbri ricorda di avere accennato nella precedente seduta alla opportunità di introdurre anche la categoria dei direttori di quotidiani d'importanza nazionale o di importanti riviste politiche, che abbiano ricoperto la carica per un periodo di almeno dieci anni.
Il Presidente Terracini obietta che si tratta di persone organizzate sindacalmente e che non hanno un titolo subordinato ad un riconoscimento, ma spesso soltanto un'ampia disponibilità finanziaria. D'altra parte occorrerebbe fare una classificazione dei giornali a seconda dell'importanza.
Conti, Relatore, concorda, aggiungendo che, ove si accogliesse la proposta, si introdurrebbe un criterio esclusivamente politico in una elencazione di categorie economiche e sociali.
Fabbri non insiste.
Perassi fa presente che l'ordine di approvazione delle varie categorie non dovrebbe considerarsi definito, e perciò alcuni spostamenti sarebbero necessari. Per esempio i sindaci e consiglieri comunali dovrebbero seguire i membri delle Assemblee regionali. Rileva inoltre che non sono stati ancora determinati motivi di ineleggibilità e incompatibilità.
Mortati, Relatore, ricorda a questo proposito che è stata approvata, nei riguardi della prima Camera, una disposizione alla quale potrebbe farsi riferimento.
Tosato prospetta l'opportunità di prevedere incompatibilità per i membri delle Assemblee regionali, in vista della notevole ed impegnativa attività che essi dovranno spiegare in queste ultime.
Il Presidente Terracini concorda con l'onorevole Mortati e lo prega di preparare per la prossima seduta una elencazione completa dei casi di incompatibilità e di ineleggibilità prevedibili.
Perassi ricorda che è ancora in sospeso la determinazione del numero minimo fisso di rappresentanti per ogni regione e del coefficiente per la quota spettante in proporzione alla popolazione.
Mortati, Relatore, ritiene che una decisione al riguardo sarebbe intempestiva, laddove ancora non si conosce l'effettiva configurazione delle regioni. Per esempio, l'esistenza di più regioni di proporzioni modeste potrebbe consigliare un abbassamento del minimo fisso. È altresì del parere che dovrebbe darsi incarico ad un tecnico di fare i calcoli dei correlativi spostamenti dei due elementi.
Il Presidente Terracini conviene per quanto riguarda la quota minima, pur ritenendo che la composizione delle regioni non possa subire modifiche notevoli. Crede anche che la materia richiederà una norma transitoria, perché l'accuratezza delle indagini che occorrerà espletare non consentirà una rapida ultimazione del lavoro.
Ha invece qualche perplessità sulla convenienza di rinviare anche la precisazione del quoziente di proporzionalità, dal momento che si è assicurata ad ogni regione una rappresentanza sufficiente.
Mortati, Relatore, obietta che non si può determinare un elemento e lasciare indeterminato l'altro, perché il numero complessivo dei membri della seconda Camera sarà dato dalla somma dei due fattori e si è già stabilito che dovrà mantenersi inferiore a quello dei deputati alla prima Camera.
Perassi, a puro titolo indicativo, comunica che, adottando la quota minima di 5 e la proporzione di un rappresentante ogni 200 mila abitanti, si avrebbero 85 membri per il minimo fisso e 203 per la quota rapportata alla popolazione (totale 288); facendo invece il calcolo sulla base del numero fisso 4 e di un rappresentante ogni 150 mila abitanti si avrebbero 68 rappresentanti per il primo gruppo e 269 per il secondo (totale 337).
Il Presidente Terracini osserva che le definitive decisioni in merito alla consistenza delle regioni potranno portare spostamenti minimi, tali da non alterare in nessun caso l'equilibrio di forze tra le due Camere. Crede pertanto che potrebbe stabilirsi il quoziente di proporzionalità.
Fuschini insiste sull'opportunità di studiare insieme i due elementi, ad evitare squilibri, rilevando altresì che l'eventuale aumento dell'entità numerica della seconda Camera potrebbe anche consigliare di tornare sulle decisioni prese al riguardo nei confronti della prima Camera.
Il Presidente Terracini si rimette al parere della Sottocommissione, pur esprimendo l'avviso che la quota fissa di 5 e il quoziente di un rappresentante ogni 200 mila abitanti possa rappresentare la base per una decisione di massima, in quanto gli spostamenti in relazione al numero delle regioni non potrebbero alterare profondamente il risultato.
Fabbri considera utile decidere preliminarmente in merito all'altra proposta Perassi, relativa al modesto contingente di membri eletti dalla prima Camera o dalla Assemblea nazionale. Infatti questa eventuale terza fonte di elezione gioca agli effetti della determinazione del numero complessivo dei membri della seconda Camera.
Il Presidente Terracini invita l'onorevole Perassi ad illustrare la sua proposta.
Perassi, premesso che non vede alcuna obiezione pregiudiziale alla possibilità che un gruppo di deputati alla seconda Camera venga eletto da un terzo corpo, in quanto si è esclusa soltanto la nomina da parte del Capo dello Stato, fa presente che il sistema può essere consigliato dalle stesse ragioni di opportunità che potevano giustificare l'elezione da parte del Capo dello Stato. Ma anche un'altra considerazione viene a suffragare la sua tesi: quella che, dati i criteri adottati e data soprattutto la disposizione che richiede come requisito per l'eleggibilità l'essere domiciliati nella regione, un italiano che viva all'estero, non avrebbe la possibilità di essere eletto. Il congegno proposto potrebbe quindi rappresentare il mezzo per far entrare nella seconda Camera personalità rappresentative degli italiani all'estero.
Rossi Paolo avverte che bisognerebbe precisare: «fuori delle categorie indicate».
Perassi è d'accordo, salvi, naturalmente, i requisiti generici.
Bozzi dichiara di essere favorevole in linea di principio alla proposta Perassi, senza però rendersi conto delle ragioni per cui la scelta dovrebbe essere affidata alla Camera dei deputati o all'Assemblea nazionale e non piuttosto esclusivamente alla seconda Camera. Non ritiene opportuna questa derivazione integrativa della seconda Camera da un altro organo con cui collabora con piena parità di funzioni. Propone pertanto la seguente formula: «Il Senato sceglie dopo la convalida dei suoi membri, 15 senatori, anche fuori delle categorie indicate dall'articolo precedente».
Cappi si associa.
Tosato riconosce che la proposta Bozzi risponde ad una effettiva esigenza, perché la seconda Camera potrebbe avvertire qualche lacuna nella propria composizione. Tuttavia non arriverebbe al sistema della cooptazione, che comporterebbe il ritorno alla elezione di terzo grado, che si è voluto escludere. Per conciliare le due tesi, crede si potrebbe stabilire che la seconda Camera faccia la designazione e l'elezione avvenga da parte della prima.
Nobile dichiara di essere contrario al principio e di preferire se mai la proposta Perassi.
Einaudi esprime l'avviso che la cooptazione sia uno dei migliori metodi di elezione. Nasce infatti nell'organo che deve procedervi il desiderio di fare la migliore scelta possibile per arricchirsi di uomini meritevoli, rimasti fuori. Ricorda che le Repubbliche di Venezia e di Genova hanno derivato la loro forza e si sono mantenute in vita per quasi un millennio in virtù di questo sistema, che oggi ancora funziona egregiamente nelle Università.
Lussu non esclude che si possa tornare sulle decisioni già prese, ove sia assolutamente indispensabile; ma tiene a ricordare che si è precedentemente approvato un ordine del giorno, secondo il quale la seconda Camera deve essere eletta su base regionale. Ora, è evidente che, così stando le cose, non si potrebbe attribuire ad un altro organismo la facoltà di nominare deputati alla seconda Camera senza annullare la deliberazione già approvata. Né va dimenticato il turbamento che si arrecherebbe all'andamento delle elezioni.
Trova pure che la preoccupazione che possano essere esclusi elementi notevoli dei nuclei italiani all'estero è apprezzabile, ma non sufficiente a giustificare la proposta, perché costoro potranno sempre essere eletti dai consigli delle regioni in cui sono nati ed in cui avranno conservato le radici naturali.
Mortati, Relatore, richiama l'attenzione sulla opportunità di considerare il problema dal punto di vista delle sue conseguenze politiche. Se si attribuisse alla prima Camera questo diritto di elezione integrativa, evidentemente essa farebbe una scelta politica. È da stabilire se tale elezione debba essere fatta col sistema proporzionale o col sistema maggioritario, ma comunque la maggioranza influirebbe per farla cadere su persone di un suo partito o di tendenza politica vicina, col risultato di spostare la composizione della seconda Camera e di avvicinare il suo colore politico a quello della prima Camera. Ma tutto ciò, anche se potesse rappresentare un fine apprezzabile, è certamente in contrasto col criterio di accentuare l'indipendenza della seconda Camera rispetto alla prima; il che potrebbe consigliare di non operare questi spostamenti di maggioranza. A ciò va aggiunta la fondata argomentazione dell'onorevole Lussu che, una volta ammesso un criterio regionale, bisogna preoccuparsi che la proporzione di forze fra le regioni resti inalterata.
Trae lo spunto da queste considerazioni per osservare incidentalmente che, ove si voglia mantenere sempre l'equilibrio fra le varie regioni, oltre a respingere la proposta Perassi, occorre introdurre nel meccanismo della seconda Camera una disposizione relativa alla supplenza, o ad altro sistema per coprire, senza indugi, le eventuali vacanze che si verificherebbero.
Fabbri accede alla proposta Perassi, in favore della quale ritiene che militi principalmente l'argomento che, in sostanza, si tratta di colmare delle lacune, conferendo la dignità di membri della seconda Camera ad uomini rappresentativi che, per ragioni contingenti, o perché estranei alla lotta dei partiti, o perché risiedano all'estero, rimarrebbero esclusi dalle elezioni.
D'altronde per l'esiguità del numero (che potrebbe anche ridursi ad una dozzina) avrebbe ben scarso rilievo l'obiezione dell'onorevole Mortati, dello spostamento nell'equilibrio delle forze politiche delle regioni.
Premesso che tutti i membri della seconda Camera derivano la loro nomina da una elezione di secondo grado, nota che per ragioni di euritmia l'organo più adatto per l'investitura dovrebbe essere la prima Camera, che trae origine dal suffragio diretto. Tuttavia, riconoscendo il peso degli argomenti dell'onorevole Einaudi, suggerisce di attribuire la nomina all'Assemblea nazionale, cioè alle due Camere riunite, senza preoccuparsi dell'ingerenza dell'una nella composizione dell'altra.
Infine, per garantire la rappresentanza delle minoranze, consiglia di ricorrere al noto sistema di votare col criterio maggioritario soltanto per i tre quarti dei seggi da ricoprire.
Mannironi non ritiene che gli argomenti dell'onorevole Fabbri siano tali da demolire le obiezioni degli onorevoli Mortati e Lussu. Giova tener presente che nella creazione della seconda Camera si è partiti dal presupposto che essa debba essere l'espressione genuina delle forze della regione ed a questo fine si è escogitato un meccanismo che garantisce a tutte le regioni, anche se piccole e poco popolate, una adeguata rappresentanza. Ora questo equilibrio non va turbato, né va complicato e reso più difficilmente comprensibile agli elettori un sistema che è già abbastanza complesso. Che, se si dovesse arrivare ad una elezione di terzo grado, verrebbe sempre più a perdersi la genuinità dell'espressione popolare.
Fuschini pone in evidenza che per la seconda Camera si è escogitato un sistema di elezione di secondo grado e dello stesso tipo sarebbe anche la elezione da parte della Camera dei deputati. Propone quindi che, per non turbare la base regionale, si faccia corrispondere il numero dei senatori da eleggersi in questa guisa a quello delle regioni, in modo che se ne possa nominare uno per ogni regione, oppure — se non se ne vuole aumentare il numero — uno per ogni gruppo di regioni. Così sarebbe salva l'euritmia e non si verrebbe a turbare il sistema elettorale.
Ravagnan dichiara di essere contrario alla proposta Perassi, nella quale ravvisa una forma larvata di designazione dall'alto. Circa l'osservazione dell'onorevole Fabbri, che si tratterebbe di colmare la lacuna di persone che si vogliono mantenere lontane dalla politica, rileva che, ove queste venissero designate, per coerenza, dovrebbero subito declinare l'incarico. D'altra parte, la nomina sarebbe preceduta da una discussione, in cui si delineerebbero una maggioranza e una minoranza, col risultato che il prestigio di uomini eminenti sarebbe discusso e svalutato. Comunque, essendo contrario in linea di principio alla elezione di secondo grado, non può essere favorevole al sistema proposto.
Rossi Paolo è contrario, anche per il fatto che potrebbero essere ammessi nella seconda Camera candidati battuti nelle elezioni; il che sarebbe in contrasto col principio del suffragio universale.
Ambrosini osserva che non vi sarebbe contrasto col principio del suffragio universale. La sorte delle elezioni può essere non favorevole a uomini pur degnissimi; né è pericoloso che questi siano ripresi in considerazione dalla Camera. D'altronde il numero limitato di senatori da eleggersi da parte della Camera esclude ogni turbamento della composizione politica della seconda Camera.
Zuccarini si associa all'onorevole Mortati e ribadisce che il carattere di rappresentanza regionale non deve essere turbato in alcun modo.
Il Presidente Terracini aderisce a tutte le considerazioni dell'onorevole Mortati. Quanto alle persone che non partecipano non solo alla lotta politica ma neanche alla vita collettiva, e che non sentono il bisogno di interessarsi né di beneficenza e assistenza, né della vita comunale, né dei problemi del lavoro, non vede a qual titolo esse potrebbero far pesare il loro pensiero e la loro volontà in una decisione di carattere politico.
A suo avviso, l'unica considerazione degna di rilievo è quella dell'onorevole Perassi: tuttavia il problema degli italiani all'estero va considerato da un altro punto di vista; bisogna, cioè, che lo Stato italiano sia messo in condizione di proteggerli ed aiutarli nel miglior modo; si deve creare una conoscenza della loro vita e dei loro problemi ed, allo scopo, si potrebbe, ad esempio, creare presso il Ministero degli esteri un organo — del genere di quei consigli superiori che spesso fiancheggiano l'Amministrazione statale — eletto dalle stesse colonie italiane all'estero e che assumesse la rappresentanza dei loro interessi. A parte ciò, non v'è motivo perché persone che si sono legate agli interessi concreti di altri paesi conservino il diritto di influire sulla vita pubblica italiana dalla quale si sono estraniate.
In nessun caso poi ammetterebbe il diritto di cooptazione che, se può rendersi utile in condizioni particolari (ad esempio nel periodo della vita clandestina dei partiti: durante il fascismo vi si ricorreva, nell'impossibilità di rivolgersi a basi elettive, per rinnovare gli organi direttivi dei partiti stessi), non ha alcuna ragion d'essere in periodi normali, quando è possibile rivolgersi largamente a tutte le sorgenti di scelta e di designazione. All'onorevole Einaudi osserva che questo sistema può essere giusto per le Università o altri corpi scientifici, in quanto consente la scelta dei migliori elementi, ma non per un'Assemblea politica, ove lo stimolo sarebbe per la scelta non degli uomini più capaci, ma di quelli di determinate correnti politiche. Quindi la cooptazione agirebbe in senso deleterio.
D'altra parte occorre non dimenticare che, al fine di far accogliere con un certo entusiasmo dal popolo italiano il risultato dei lavori per la Costituzione, le norme che regolano i varî istituti debbono anzitutto rispondere alla esigenza della semplicità.
Lussu insiste affinché non sia messa ai voti una proposta che annulla il risultato di una votazione precedente.
Zuccarini osserva che la proposta Perassi potrebbe essere accettata, ove all'elezione di un ristretto numero di deputati alla seconda Camera fosse dato il valore e il significato politico della rappresentanza di una regione ideale, costituita dagli italiani che si trovano separati dalla madre Patria. Gli italiani all'estero ammontano a parecchi milioni e potrebbe essere utile ricollegarli più strettamente alla vita della Nazione; e vi sono poi gli italiani della Venezia Giulia.
Il Presidente Terracini sull'ultimo accenno dell'onorevole Zuccarini, fa presente anzitutto che con ogni probabilità sarà posto come primo requisito per gli eligendi la cittadinanza italiana; e in secondo luogo che occorre tener presenti le ripercussioni internazionali che certi atti potrebbero avere.
A parte ciò, trova che l'obiezione dell'onorevole Lussu va presa in considerazione e si deve in via preliminare decidere se la proposta Perassi prescinda dalla osservanza specifica di una deliberazione già adottata.
Einaudi ritiene che l'obiezione dell'onorevole Lussu non sia decisiva nel caso di elezione fatta dalla seconda Camera, in quanto la forma di nomina proposta si riporta ad un organo già eletto su base regionale: quindi l'equilibrio tra le varie regioni nel suo complesso non verrebbe turbato.
Quanto all'importante osservazione del Presidente, circa eventuali riflessi di carattere internazionale, osserva che la Costituzione non potrà certo menzionare gli italiani irredenti; spetterà tuttavia al corpo elettorale di far cadere la scelta su quegli italiani che manterranno rapporti intellettuali ed economici con la madre Patria.
A cura di Fabrizio Calzaretti