[Il 14 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».]

Presidente Terracini. Passiamo all'esame dell'articolo 43:

«I lavoratori hanno diritto di partecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende ove prestano la loro opera».

A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti. Il primo è quello dell'onorevole Marina, che propone di sopprimere l'articolo.

L'onorevole Marina ha facoltà di svolgerlo.

Marina. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho chiesto col mio emendamento la soppressione dell'articolo 43 così come è stato formulato dalla Commissione, non perché io sia contrario in genere a quelle istituzioni od a quei provvedimenti che hanno lo scopo di migliorare sempre più le condizioni sociali dei lavoratori, ma perché sono persuaso che, per ragioni strettamente obiettive di carattere tecnico, l'articolo 43 tende principalmente a dar vita al consiglio di gestione, che per me e per i produttori nella loro generalità è dannoso all'azienda, anche se ha innegabilmente qualche aspetto che, in via tutto affatto teorica, possa sembrare utile.

La sua dannosità scaturisce principalmente dal fatto che, anziché essere strumento propulsivo e migliorativo della produzione, è quasi sempre ragione di inceppo e spesse volte di disordine, specialmente quando i membri che rappresentano i lavoratori lo usano demagogicamente come arma politica per raggiungere finalità che spesso nulla hanno a che vedere col buon andamento della produzione.

Ho detto che ragioni strettamente tecniche militano a favore della soppressione della attuale formula dell'articolo 43, che statuisce il diritto dei lavoratori di partecipare alla gestione delle aziende ove prestano la loro opera, diritto che non può che esercitarsi attraverso il consiglio di gestione o, peggio ancora, mediante l'inserimento dei lavoratori stessi negli organi di comando dell'azienda.

Non vi è chi abbia pratica di vita lavorativa e di conduzione di impresa che non riconosca come chi dirige un'azienda si avvalga quasi sempre, nel campo tecnico, di tutte le osservazioni, di tutti i consigli che il personale dipendente crede di suggerire nell'interesse e per il miglioramento della produzione, e come questo fatto sia avvenuto ed avvenga quotidianamente.

Ma questo fatto è ben diverso dal dover mettere al corrente i rappresentanti del lavoro di ogni particolare tecnico, amministrativo e commerciale che sono la essenza stessa della vita dell'azienda, la quale si giova e prospera specialmente in forza di questi accorgimenti tecnici, commerciali ed amministrativi che sono spesse volte veri e propri segreti; e non può né deve consentirsi questa conoscenza nell'interesse stesso dei lavoratori, verso i quali il capo dell'azienda, ossia l'imprenditore, ha delle responsabilità morali e materiali che possono paragonarsi a quelle che egli ha verso il capitale.

Perché esso imprenditore possa per intero assumere queste responsabilità, deve essere libero di governare l'impresa, mentre non si può non ammettere che il consiglio di gestione verrebbe a menomare la sua figura di dirigente responsabile dell'impresa, dato che la sua azione di comando sarebbe continuamente inceppata o ritardata dai pareri spesso discordi dei vari membri del consiglio di gestione, anche se essi esprimono pensieri in piena buona fede.

Ciò è perfettamente umano, perché si può certo parafare il detto che per ogni testa si ha un parere più o meno diverso. Viceversa l'azione di comando deve avere tutta intera la sua libertà; l'imprenditore, che per definizione è elemento dinamico, preoccupato più del domani dell'azienda che dell'oggi, è per questo fatto l'elemento propulsivo e direttivo dell'azienda medesima e pertanto sovrasta in lui il pensiero che l'impresa abbia vita lunga continuativa e tranquilla e in sempre crescente sviluppo.

Spesso egli deve prendere delle decisioni fulminee, che qualche volta — ad osservatori che non possono mettersi dal punto della sua visuale panoramica che abbraccia tutto il ciclo produttivo e direttivo — possono sembrare contrastanti e non producenti, così da far rimanere essi osservatori per lo meno perplessi nell'esprimere un parere.

Il lavoro che, di contro, in teoria, ha quasi le medesime finalità ed i medesimi intendimenti dell'imprenditore, è, per sue ragioni strettamente obiettive, più portato a preoccuparsi dell'oggi, ossia del vivere quotidiano e degli assillanti bisogni e piccoli problemi che innegabilmente tormentano i lavoratori di cui egli è l'immagine viva ed operante. Questo suo assillo lo porta quasi con fatalità a dare una straordinaria importanza a problemi che, visti nel quadro generale dell'interesse collettivo dell'azienda, hanno, sì, un posto non disprezzabile, ma non possono né debbono prevalere su quelli che sono la vita e l'essenza stessa dell'organismo aziendale.

Dobbiamo convenire che in tutti i dopoguerra, e particolarmente in questo, per noi italiani i problemi relativi al vivere quotidiano dei lavoratori si sono esasperati, e la duplice invasione di eserciti stranieri li ha ancora maggiormente aggravati. Dobbiamo convenire altresì che questi problemi sono ancora oggi sul tappeto, perché, per varie ragioni, non si è potuto o non si è voluto arrivare rapidamente alla loro soluzione.

Il problema fondamentale sta nell'ingrandire la torta e non nel modo di dividerla.

Il problema sta nel sollecitare tutte le energie produttive del Paese, nell'esasperarne le loro possibilità; e a mio avviso, l'ingerenza del lavoro nella gestione dell'impresa porta fatalmente ad una stasi nella sua vita e non ad una sollecitazione, quindi allontana sempre più la risoluzione del problema italiano, che è quello di produrre di più, consumare di meno ed esportare di più.

Abbiamo avuto purtroppo esempi — anche recenti — che i consigli di gestione, non solo hanno arrecato stasi nelle aziende ma hanno portato al collasso dell'azienda stessa. È a tutti noto che molte ed importanti aziende vivono una vita faticosa e precaria proprio per il fatto che gli organi di comando non hanno modo di operare liberamente.

Sono recenti i continui richiami fatti dalle stesse maestranze perché i vecchi imprenditori abbiano a riprendere il loro posto direttivo.

Io opino che l'azione di comando non si può esercitare a mezzadria, senza svuotarla di ogni significato e senza intralciare ogni attività aziendale; non vi può essere scissione fra la responsabilità, che cade piena ed intera sul capo dell'azienda, e l'azione di comando, che verrebbe così a scindersi se il lavoro fosse immesso nella gestione dell'impresa come è formulato nell'articolo 43.

Dalle esemplificazioni che abbiamo in atto in Italia ho tratto il convincimento che il consiglio di gestione tende ad essere o si presta a divenire organo a carattere prevalentemente politico e, come tale, elemento di continua agitazione e di continuo disordine nella vita dell'azienda che, viceversa, per rendere e progredire, ha bisogno di tranquillità e di continuità nell'azione direttiva.

Per me il consiglio di gestione non rappresenta neppure un elemento di elevazione sociale dei lavoratori, ma soltanto una conquista da parte di pochissimi di essi degli strumenti della produzione.

Nego che, nella generalità, detti lavoratori componenti i vari consigli di gestione possano avere la competenza e la esperienza adatte per manovrare le delicatissime leve di comando, e che le sappiano adoperare utilmente nell'interesse dei lavoratori che essi rappresentano.

Vediamo nella prassi costante della vita quotidiana di lavoro che man mano che un lavoratore si mette in evidenza perché, per doti naturali di intelligenza, di laboriosità e di volontà riesce ad acquisire le qualità necessarie per elevarsi e progredire, passa fatalmente di categoria in categoria, fino a divenire egli stesso imprenditore.

Di fatto le aziende che sono ben dirette e ben gestite hanno sempre modo di far progredire il personale che più si distingue per capacità, per assiduità e per intelligenza lavorativa.

Oserei dire che le aziende hanno sempre sete di personale capace e sono liete di poterlo rimunerare adeguatamente.

È ormai superata da tempo la mentalità che raffigura l'imprenditore intento a formare la propria fortuna sfruttando e danneggiando il lavoratore.

Da quando Ford, che fu certamente uno dei più grandi, se non il più grande industriale del mondo, enunciò e mise in pratica la sua teoria di pagar bene l'operaio, e farlo lavorare poche ore al giorno, affinché egli abbia il tempo e la volontà di godere i frutti del suo lavoro, perché nel contempo esso operaio è produttore e consumatore dei suoi prodotti, si è fatta strada ed è divenuta la universale teoria che il lavoratore è parte inscindibile ed operante nella vita e nella fortuna dell'azienda, pertanto, come tale, deve goderne i frutti attraverso il ben remunerato suo lavoro.

Dobbiamo serenamente riconoscere che alla evoluzione di questa mentalità molto abbiano contribuito nel passato le lotte intraprese dai partiti socialisti in favore dei lavoratori; ma dobbiamo altresì ammettere che ormai la lotta fra capitale e lavoro è superata dal fatale evolversi dei tempi e dal progresso, che è il regolatore supremo della vita economica lavorativa.

Pertanto la concezione moderna del lavoro vuole che i tre elementi della produzione, il capitale, l'idea impersonata dall'imprenditore, ed il lavoro, operino in modo ben distinto nei loro campi, se pur armonicamente fusi nello sforzo comune e con l'intendimento precipuo di dare al lavoratore il massimo benessere che la situazione economica dell'impresa e del Paese consente; ma esclude però che questo possa e debba avvenire attraverso il consiglio di gestione.

Se mi permettete, onorevoli colleghi, vorrei fare un'ultima osservazione politica che ha sapore paradossale, ma che serve anch'essa in certo qual modo a dimostrare che il consiglio di gestione, costringendo l'azione di comando ad operare a mezzadria, rende inefficiente e spesso dannosa l'azione stessa.

Sembra che col 15 maggio sarà abolito il prezzo politico del pane, che ha inutilmente gravato per tanto tempo sul bilancio dello Stato in misura di circa 8 miliardi al mese.

Fin dal passato settembre, nel mio primo discorso all'Assemblea, consigliai di abolire, e subito, detto prezzo politico: si sarebbero così risparmiati ad oggi circa 70 miliardi. Dicono le male lingue che ciò sia uno dei tanti dannosi frutti del comando a mezzadria cui fu costretto l'onorevole De Gasperi nell'amministrare e dirigere il Paese, da quella specie di consiglio di gestione che hanno formato in seno al Gabinetto i rappresentanti socialcomunisti.

In questa mia immagine l'onorevole De Gasperi riveste la funzione dell'imprenditore nella conduzione dell'azienda Stato, che ora funziona purtroppo come noi conosciamo.

Abbiamo da una parte il Paese che si difende magnificamente col suo faticoso lavoro di ricostruzione, con la sua tetragona volontà di produrre sempre più e sempre meglio, onde poter dare ai propri figli quanto basti oggi per una vita biologicamente sana e domani per una vita migliore e più adeguata alla decorosità di un popolo civile e moderno.

È in tutti noi, in tutta la popolazione economicamente produttiva, la persuasione che si possano e si debbano superare tutte le odierne difficoltà, perché la produzione industriale per nostra fortuna tende lentamente a riportarsi nel suo complesso al livello dell'anteguerra, frenata solo dalla carenza di combustibili e di materie prime.

La produzione agricola, pur soffrendo per le condizioni stagionalmente non favorevoli, tende pure a riportarsi alla media del quinquennio anteriore alla guerra.

Dall'altra parte, invece, abbiamo un Governo che non ha saputo e non sa difendere adeguatamente il segno indispensabile per il moderno trasferimento della ricchezza, che è la moneta.

Si deve obiettivamente ammettere che la causa prima di questa grave iattura sia dovuta a quel comando a mezzadria voluto ed imposto per ragioni politiche dai partiti social-comunisti, e che queste ragioni hanno impedito o enormemente ritardato l'azione di drastici provvedimenti che soli avrebbero evitato il concretarsi dell'attuale preoccupante stato delle pubbliche finanze.

Ma, lasciando da parte questo importante argomento e le amare considerazioni che sgorgano spontanee dai nostri animi preoccupati e pensosi, come lo sono quelli di tutti gli italiani che come noi hanno a cuore i destini del Paese, mi sembra di aver esposto, se pur brevemente, le ragioni che m'indussero a proporre l'emendamento soppressivo dell'articolo 43.

Voglio però concludere che, amante come sono del lavoro in tutte le sue manifestazioni, sono pronto ad aderire a quelle norme che permettano la diffusione del benessere materiale e spirituale e la elevazione di tutte le categorie di lavorazione, e pertanto ritiro il mio emendamento e propongo il seguente altro sostitutivo:

«Ai fini del potenziamento dell'attività produttiva delle aziende e della elevazione dei lavoratori, la legge stabilisce le norme per attuare la più efficace collaborazione tra il lavoro ed il capitale».

Con l'articolo così formulato restano aperte tutte le strade che la esperienza passata ed il progresso avvenire ci suggeriranno di seguire con tutte quelle cautele che il delicatissimo problema sociale impone per il sempre maggiore benessere spirituale e materiale della collettività.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Colitto, già svolto:

«Sostituirlo col seguente:

«I lavoratori hanno diritto di partecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende ove prestano la loro opera, per cooperare allo sviluppo tecnico ed economico di esse».

Segue l'emendamento degli onorevoli Corbino, Quintieri Quinto, Colonna e Bonino:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica favorisce le iniziative dirette alla più efficace collaborazione fra il capitale ed il lavoro per il potenziamento della produzione».

L'onorevole Quintieri Quinto, secondo firmatario, ha facoltà di svolgerlo, in assenza dell'onorevole Corbino.

Quintieri Quinto. Ho poche parole da dire. Per noi liberali l'efficienza economica ha la precedenza su tutto. Il nostro Paese è povero di materie prime, di capitali e di territorio. Occorre evitare qualsiasi sperpero di energie e di mezzi. Ecco perché nel nostro emendamento proponiamo che la Repubblica faccia ogni sforzo e prenda tutti quei provvedimenti che possano ridurre la lotta fra il capitale ed il lavoro che rappresenta uno dei maggiori sperperi di forze, e porta con sé una diminuzione di efficienza. Presto o tardi la necessità di ottenere nell'interesse generale il massimo di produzione possibile con il minimo di mezzi s'imporrà al nostro Paese. La guida dell'azienda industriale italiana, con la scarsezza di materie prime nazionali, di capitali e di tutto, è un compito duro e difficile; è una battaglia continua contro ogni specie di difficoltà e di ostacoli che premono da ogni parte. Noi pensiamo che ancora per qualche tempo si debba restare con le nostre organizzazioni industriali sulle vecchie linee, su quei sistemi cioè che hanno assicurato a questo paese, fra tante deficienze e tante avversità, un livello di organizzazione tecnica e produttiva che può stare a fronte di quello degli Stati più progrediti di Europa. Noi pensiamo che la responsabilità di tale azione di guida, dalla quale dipende in larga misura l'avvenire delle aziende, non possa essere frazionata fra diversi elementi che se la palleggerebbero tra di loro. Ciò equivarrebbe ad annullarla ed a paralizzarla. E le nostre aziende vivono tanto per le indiscutibili qualità di intelligenza, di operosità, di abnegazione, dell'operaio, del contadino, dell'impiegato italiano, quanto per la ingegnosità e la capacità dei loro dirigenti. Togliete o limitate uno di questi due fattori e la efficienza economica del paese si abbasserà. Le conseguenze di ciò sono troppo evidenti perché si possa rubare del tempo con l'esporle a questa Assemblea, specialmente in un momento come quello attuale e quando innanzi a noi vi sono tanti compiti, tanti doveri e tanto lavoro da assolvere. Fino a tanto che la nostra ricostruzione e riorganizzazione industriale non avranno raggiunto un grado tale da permetterci senza pericolo ulteriori trasformazioni amministrative, siamo convinti che i consigli di gestione costituirebbero un serio intralcio alla ripresa.

Ecco perché noi voteremo contro i consigli di gestione, mentre siamo favorevoli a qualunque altra disposizione di legge od organizzazione, che valga a diminuire l'attrito e la lotta tra capitale e lavoro, attrito e lotta che non sono inevitabili e fatali, e che giudichiamo un fenomeno dannoso, se pur passeggero, dato che rappresentano una diminuzione della potenzialità economica. Ed anche per un'altra conseguenza ancor più grave e deleteria che essi apportano, cioè per la posizione di dipendenza in cui la suddetta diminuzione di potenzialità finirebbe col mettere necessariamente il nostro paese nel confronto delle altre Nazioni. (Applausi a destra).

Presidente Terracini. L'onorevole Romano ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«I lavoratori partecipano alla vita delle aziende, ove prestano la loro opera, a mezzo di rappresentanti elettivi aventi funzioni consultive, nei modi stabiliti dalle leggi».

Poiché l'onorevole Romano non è presente, si intende che abbia rinunciato a svolgerlo.

L'onorevole Perrone Capano ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La legge stabilisce i modi e i limiti della partecipazione dei lavoratori agli utili dell'attività produttiva».

Ha facoltà di svolgerlo.

Perrone Capano. Ritiro l'emendamento.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Malvestiti, Cappugi, Zerbi, Belotti, Balduzzi, Avanzini, Morelli, Pat, Sampietro, Cotellessa, Bianchini Laura, Benvenuti, Castelli Avolio, Gui, Quarello, Meda, Delli Castelli Filomena, Gortani, Clerici, Baracco, Angelini, Arcaini, Bovetti e Monticelli, hanno presentato il seguente emendamento:

«I lavoratori hanno diritto di compartecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione ed al capitale delle grandi imprese capitalistiche. A tal fine la legge riconoscerà il diritto delle categorie lavoratrici di essere rappresentate nei consigli di amministrazione delle rispettive imprese, a prescindere da qualsiasi partecipazione azionaria: e favorirà l'accesso all'investimento azionario del libero risparmio dei lavoratori».

L'onorevole Malvestiti ha facoltà di svolgerlo.

Malvestiti. Onorevoli colleghi, non mi faccio molte illusioni sulla possibilità che il mio emendamento sia approvato. Vi sono alcuni principî dottrinali che sono difesi addirittura con furore teologico. Vi è anche una realtà parlamentare che non si può negare.

Ho presentato questo emendamento, perché risponde ai postulati ed alla tradizione di tutta la dottrina cristiano-sociale, che è basata sul solidarismo.

Noi riteniamo che anche nel più piccolo baratto ricorra un principio di solidarietà umana, che non si può negare. Riteniamo che un giorno avremo ragione, perché il cuore ha sempre ragione.

Perché ho presentato l'emendamento? Anzitutto, per una ragione logica, direi addirittura grammaticale.

Sull'articolo 43, com'è formulato dalla Commissione, si impone subito una domanda: a favore di chi i lavoratori hanno diritto di partecipare alla gestione delle aziende? E poi si pone un problema preciso: se l'attuale organizzazione sociale risponde a principî assolutamente insuperabili e se, quindi, ogni volontarismo economico sia assolutamente fuori di posto, oppure se dobbiamo almeno tentare di trasformarla e di superarla, perché risponda, non solo al principio della massima produttività, ma altresì a quello della giustizia sociale.

Come superarla? Noi non crediamo nella palingenesi finale, nel rovesciamento dell'economia capitalistica. Non crediamo che l'economia capitalistica si possa rovesciare in un nuovo ordinamento sociale, anche perché temiamo tutto ciò, non tanto perché si rovescerebbe colle sue gerarchie già pronte e colle sue strutture tecniche, ma altresì si rovescerebbe nel nuovo ordinamento collettivistico, col suo spirito faustiano, che è spirito di negazione sostanziale dei beni spirituali dell'uomo.

D'altra parte, c'è una questione di tempo. Se dobbiamo aspettare questa famosa palingenesi, aspetteremo forse dei secoli, certamente dei decenni.

Il lavoratore ha, invece, il diritto di partecipare subito a quello che si è chiamato il banchetto comune. Vi sono obiezioni fatte da tutte le parti. Chi le ha fatte con maggiore efficacia è un grande maestro, Maffeo Pantaleoni.

Egli faceva due osservazioni: prima, che se ciò che si dà all'operaio eguaglia almeno il suo contributo di lavoro, l'azienda può vivere, altrimenti no; la seconda: che egli non riesce a rendersi conto come vi possano essere più impresari in una unica azienda.

Ora a me sembra, con tutto il rispetto per l'insigne maestro, che egli non abbia messo esattamente a fuoco il problema.

Non si tratta di una questione di utilità marginale del lavoro, ma di far partecipare i lavoratori al profitto delle aziende. Quando si dice profitti sembra che si dica una cosa molto semplice; si dice invece una cosa molto complessa, che non è stata neanche esplorata a sufficienza dagli stessi economisti; si dice una cosa misteriosa.

Possiamo analizzare costi, interesse sul capitale, compenso per il rischio, compenso per il lavoro di direzione, ma non basta; vi sono le rendite di tipo marxiano, quelle famose rendite che si formano non si sa come, che non sono dovute all'abilità, al rischio dell'impresario, quanto a una serie di numerosi elementi: popolazione, struttura tecnica e tante altre cose che non dipendono affatto dall'azienda. Ora, quando si domanda di far partecipare il lavoratore a una più equa ripartizione del profitto, si risponde ad una necessità, ad una giustizia che perfino Stuart Mill aveva affermata e nello stesso tempo si accresce la produttività dell'azienda.

Impresario unico. Anche qui ho l'impressione che l'insigne maestro non si rendesse ben conto di quello che si voleva.

Comunque, noi abbiamo detto che «a tal fine la legge riconoscerà il diritto delle categorie lavoratrici di essere rappresentate nei consigli di amministrazione delle rispettive imprese, a prescindere da qualsiasi partecipazione azionaria».

Questo perché vogliamo che il lavoro sia rappresentato al solo titolo di essere lavoro; ma abbiamo parlato prima della gestione e dei capitali delle grandi imprese capitalistiche. Ci rendiamo conto che nelle piccole e medie imprese la figura dell'imprenditore è ancora essenziale. Siamo molto perplessi davanti alla essenzialità di questa grande figura nelle grandi imprese, dove non c'è più l'impresario, l'imprenditore, ma semplicemente azionisti; dove la struttura delle imprese è complessa e diversa di quella delle piccole e medie imprese.

Finalmente abbiamo parlato di favorire «l'accesso all'investimento azionario del libero risparmio dei lavoratori», perché siamo convinti che si dovrà un giorno arrivare all'azionariato del lavoro, a questa collaborazione del capitale e del lavoro, che dovrà portare ad una più equa e più giusta società; perché, ripeto, può darsi che la dottrina di oggi ci dia torto, ma i fatti ci daranno ragione, perché il cuore, la fraternità umana hanno sempre ragione. (Applausi al centro).

Presidente Terracini. L'onorevole Camangi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«I lavoratori hanno diritto di partecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione e agli utili delle aziende ove prestano la loro opera».

L'onorevole Camangi ha facoltà di svolgerlo.

Camangi. Onorevoli colleghi, come probabilmente avrete rilevato dal fascicolo, il mio emendamento è di una semplicità estrema. Io ho semplicemente e puramente inserito nel testo del progetto il principio della partecipazione agli utili accanto a quello della partecipazione alla gestione. Si tratta quindi, direi, di prendere o lasciare; si tratta di porre il problema ed il quesito e di accettarne la soluzione.

Ritengo perciò che non sia necessario né opportuno che io mi dilunghi in una illustrazione di questo principio. Sarebbe, oltre tutto, una pretesa assurda da parte mia voler fare un discorso, un esame approfondito del problema. Il problema è ormai sentito da tutti e non si può pensare di esaminarlo e analizzarlo in dieci minuti.

Nel momento in cui — e soltanto su questo voglio richiamare la vostra attenzione — affermiamo nella Carta costituzionale della Repubblica il diritto dei lavoratori, che in un certo senso diventerebbe una specie di dovere, a partecipare, a contribuire alla gestione dell'azienda presso la quale prestano la loro opera, io ritengo che sarebbe gravissimo errore non affermare contemporaneamente il sacrosanto diritto dei lavoratori a partecipare agli utili prodotti dal loro lavoro, che in questo caso aumenterebbero di valore perché accanto al lavoro puramente manuale, particolare, che danno all'azienda, essi darebbero qualche cosa di più, perché verrebbero a contribuire all'indirizzo della gestione generale dell'azienda stessa. Sarebbe un gravissimo errore ed i lavoratori non ci capirebbero. I lavoratori non capirebbero quella sottile spiegazione o quella sottile distinzione che si fa da taluno per cui la partecipazione alla gestione dovrebbe rappresentare soltanto un avviamento, una preparazione, direi una educazione, per avere domani diritto alla partecipazione agli utili. I lavoratori resterebbero con la bocca amara, perché essi attendono da noi che finalmente venga affermato questo principio. Essi attendono da noi l'attuazione, finalmente, di questa secolare loro aspirazione e noi, onorevoli colleghi, non possiamo deludere questa aspettativa senza mancare, io credo, gravemente al nostro dovere. E dobbiamo fare tranquillamente questo passo sulla via dell'emancipazione del lavoro, anche perché abbiamo fede non soltanto nella giustizia del principio, ma anche nell'utilità della realizzazione, e perché dobbiamo essere sicuri che essa rappresenterà, oltre tutto, un valido contributo al potenziamento, all'aumento della produzione nazionale di cui abbiamo tanto bisogno, ed anche un validissimo contributo alla pacificazione sociale di cui, credo, abbiamo certamente non minore bisogno. Non si commetta, d'altra parte, onorevoli colleghi, l'errore di ripetere le viete e vecchie obiezioni, offensive anche per i nostri lavoratori, circa la pretesa loro immaturità a godere di questo nuovo diritto e circa la generica, direi generale, immaturità del problema per la sua soluzione. Permettetemi, a questo proposito, di sottoporre alla vostra meditazione un ordine del giorno che fu votato nel 16° congresso delle Società operaie affratellate, che si tenne in Firenze il 24 giugno del 1886, ben 61 anni fa! È un ordine del giorno brevissimo, non vi allarmate. Lo sottopongo alla vostra meditazione, anche perché vorrei richiamare la vostra attenzione su di un particolare aspetto dell'ordine del giorno che, come ho detto, si votava 61 anni fa. In questo ordine del giorno non erano contenute, come potrebbe aspettarsi, le solite affermazioni utopistiche, o avveniristiche, ma si affrontava il problema con un senso di concretezza che deve farci riflettere, come deve far riflettere molti scopritori ed inventori odierni.

L'ordine del giorno diceva testualmente così: «Il Congresso dichiara che la partecipazione agli utili del lavoro si può verificare in modo perfetto soltanto con la cooperazione; che però essa deve riconoscersi attuabile e raccomandarsi anche in tutte le altre forme di produzione, come strumento di garanzia dell'armonico svolgimento degli interessi coesistenti del capitale e della mano d'opera, mediante liberi patti fra lavoranti ed imprenditori...». E, badate, si scende anche al dettaglio e si propongono persino soluzioni concrete. «E come provvedimento attuabile, che sfugge all'iniziativa e all'opposizione degli interessati, il Congresso, mentre afferma che per i lavori ordinati dallo Stato, province e comuni e da ogni altro ente che amministra il patrimonio pubblico, sia contemplato nei capitolati di appalto un minimo delle mercedi; afferma pure che per i suddetti lavori i capitolati di appalto contengano il principio della partecipazione dei lavoratori negli utili dell'impresa».

Vi ho pregati, onorevoli colleghi, di meditare sul senso di concretezza e di attuabilità di questo ordine del giorno che i nostri amici di 61 anni fa votarono con tanta consapevolezza e tanto slancio per il raggiungimento delle conquiste sociali. Non aggiungo altro; vi dico soltanto che quel Congresso era presieduto da Aurelio Saffi e che, fra gli organizzatori di esso vi era Antonio Fratti, di cui ricorre in questi giorni il cinquantenario della morte gloriosa. Celebriamo, onorevoli colleghi, questo cinquantenario con un atto di fede, celebriamolo con l'adempimento di quel voto. (Applausi).

Presidente Terracini. L'onorevole Nobili Tito Oro ha presentato il seguente emendamento:

«Dopo le parole: I lavoratori hanno diritto di partecipare, inserire: per mezzo di propri rappresentanti in un comitato paritetico coi rappresentanti dell'impresa».

Ha facoltà di svolgerlo.

Nobili Tito Oro. Mi si consenta, onorevoli colleghi, di manifestare subito la mia profonda sorpresa ed il mio rammarico di fronte alla preoccupazione, alla diffidenza, al senso di paura, da cui una parte di questa Assemblea si è dimostrata pervasa di fronte alla enunciazione dell'articolo 43, che riconosce ai lavoratori il diritto di partecipare alla gestione delle aziende presso le quali prestano l'opera propria.

A me pare che qui non si tenga conto della situazione presente, dalla quale la nostra industria e la nostra economia hanno bisogno di risorgere, e che non si consideri l'impossibilità di riuscirvi fuori della reale collaborazione fra masse lavoratrici e imprese.

A me pare che non si sia tenuto conto nemmeno di altre enunciazioni che abbiamo già approvate, per le quali la Repubblica si è già ormai impegnata, per nostro mezzo, a chiamare i lavoratori alla partecipazione effettiva alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese e a garantire la rimozione degli ostacoli che si frappongono all'attuazione dell'uguaglianza fra i cittadini; noi abbiamo anche fondato il principio che la Repubblica garantisce ai meritevoli ed ai capaci, anche se privi di mezzi, il raggiungimento dei gradi più alti dell'istruzione. E con ciò abbiamo reso operante un principio di eguaglianza potenziale per tutti che garantisce il trampolino di lancio verso la vita e che permetterà a ciascuno, al figlio del diseredato come al figlio del ricco, di partire alla pari verso la conquista della medesima meta. Non possiamo prescindere da questo elemento, pel quale molti figli di operai potranno domani pervenire alla dirigenza delle grandi imprese e a gradi eminenti nella vita politica del Paese. A questa possibilità individualistica deve corrisponderne altra analoga sul terreno di massa: anche alle masse lavoratrici dobbiamo, ormai, concedere quella elevazione cui da tempo giustamente aspirano; e non la concederemo per spirito di liberalità, per puro senso di dovere sociale, ma perché in contraccambio le masse ci assicurano di associarsi allo sforzo delle imprese per lavorare in fusione d'intenti, per garantire il maggiore rendimento e il più esatto sviluppo del lavoro.

Questi sono i problemi che noi affidiamo ai consigli di gestione, tutti problemi che riguardano la produzione, indipendentemente da quelli sindacali, per i quali funzionano da tempo le Commissioni interne. Come dal riconoscimento del diritto di tutti a raggiungere i gradi più alti dell'istruzione dipende per ciascuno la possibilità di farsi il proprio avvenire, di trasformarsi veramente in artefice della propria sorte e della propria fortuna, così, dando alle maestranze il diritto di partecipare alla gestione delle imprese, noi le facciamo arbitre della sorte di questa, cui è legata la loro e quella delle rispettive famiglie, nonché la fortuna delle zone in cui vivono e quella dell'economia del Paese.

Tale è la funzione sociale dei Consigli di gestione; e la proposta di questo istituto non rappresenta alcunché di nuovo e di inesplorato, perché essi sono già stati sperimentati largamente in Europa. In Germania essi funzionano dal 1905 e a nessuno può venire in mente che la Germania non ne abbia tratto profitto e che le industrie tedesche non debbano anche ad essi lo sviluppo raggiunto. E così le industrie inglesi hanno tratto da essi altrettanto profitto: in Inghilterra sono stati attuati sin dal 1921 ed esistono oltre mille consigli di fabbrica e più di 300 consigli distrettuali. In Francia essi sono stati istituiti fin dal novembre 1944 e una ordinanza del 22 febbraio 1945 li disciplina e li potenzia, rendendoli così popolari che con provvedimento del maggio 1946 sono stati estesi anche alle amministrazioni pubbliche.

Ed allora, perché proprio noi dobbiamo paventare la soluzione di questo problema? Io penso che nessuno possa negare a se stesso i risultati che da questa realizzazione sono destinati a svilupparsi: essa trasformerà l'operaio da cieco strumento di lavoro materiale, da leva di comando nelle mani dell'impresa in elemento consapevole del processo della produzione, desideroso di migliorare l'industria nella collaborazione intelligente volenterosa ed assidua colle dirigenze. Ho il piacere di poter riferire sulla recente sperimentazione dei consigli di gestione nell'ambito della Società «Terni», che fin dal 1945 aveva incluso nel proprio Consiglio di Amministrazione, con voto deliberativo, rappresentanze di operai, d'impiegati e di tecnici. Le maestranze di questa Società chiesero poi anche l'istituzione dei consigli di gestione; dopo qualche esitazione, la Società li concesse sulla base di una disciplina accuratamente studiata. Per circa un anno le commissioni interne assistite dalle Camere del lavoro ponderarono la proposta, opposero rilievi e richieste di emendamenti; e finalmente l'accordo fu raggiunto con reciproca soddisfazione su tutti i punti di dissenso. E nel marzo passato, presente anche l'onorevole Pesenti, per la Presidenza dell'I.R.I., fu celebrata in Terni, nel grande e luminoso salone della biblioteca di quelle acciaierie, la cerimonia d'insediamento di ben sette Comitati di stabilimento e del Comitato centrale aziendale. Dopo i discorsi dei Presidenti della «Terni» e dell'I.R.I., ciascun consiglio di gestione ha fatto le proprie dichiarazioni; e sono state tutte dichiarazioni di fede nella istituzione e di fermo proposito di collaborare intensamente e fedelmente con l'industria, nella perfetta consapevolezza che da questa collaborazione si devono sviluppare la fortuna di questa e la rinascita del Paese, nel miglioramento economico e nella elevazione morale e sociale dei lavoratori.

La solennità dell'ora era sentita da tutti; ci furono momenti di profonda emozione; era in ciascuno la convinzione di una illimitata reciproca sincerità. E le previsioni non sono andate deluse: perché l'esperimento, per quanto ancor breve, ha avuto già per risultato un sensibile aumento di rendimento e un più sensibile miglioramento della disciplina. Se un'atmosfera di collaborazione, di comunanza di interessi si sviluppa in tal modo dalla discussa istituzione, per quale motivo essa dovrebbe essere contrastata anziché incoraggiata? Questo, onorevoli colleghi, è, e io ve lo segnalo, terreno fertilissimo dei più insperati, dei più utili risultati economici e sociali: andiamo, con animo fiducioso, con spirito di fratellanza, con amore di bene, in mezzo ai lavoratori, accontentiamoli nelle richieste oneste e ormai mature che essi avanzano, dimostriamo loro la nostra volontà d'innalzarli nella scala sociale, di immetterli nella classe dirigente; apriremo le vie alla conquista di un mondo nuovo, sopiremo le passioni sociali, assicureremo all'avanzata progressiva delle forze del lavoro la valvola di sicurezza contro le discordie intestine.

Il mio emendamento, onorevole Presidente, mirava ad affermare il principio di collaborazione nella rappresentanza paritetica delle maestranze e dell'impresa in seno ai consigli di gestione; ma non voglio con esso causare maggiore divisione in mezzo ad una Assemblea che appare già tanto disorientata e divisa; e perciò lo ritiro e dichiaro fin d'ora che voterò pel testo della Commissione non senza l'augurio che l'Assemblea, nel suo senso di responsabilità, voglia, coll'invocato istituto, conferire ulteriore pregio alla Costituzione che stiamo apprestando, dalla quale l'Italia attende il perfezionamento del conquistato ordine repubblicano e democratico e tutto il popolo, ma specialmente il popolo lavoratore, la garanzia della pace sociale. (Applausi a sinistra).

Presidente Terracini. Segue un emendamento dell'onorevole Villani:

«Sopprimere le parole: ove prestano la loro opera».

L'onorevole Villani ha facoltà di svolgerlo.

Villani. Dice l'articolo 43:

«I lavoratori hanno diritto di partecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende ove prestano la loro opera».

Ora, a me è parso che quest'ultima parte, «ove prestano la loro opera», contenga un concetto restrittivo che sarebbe forse opportuno togliere; un concetto limitativo, che io ritengo inopportuno, perché, se noi crediamo che i lavoratori abbiano diritto di partecipare alla gestione delle aziende, noi dobbiamo anche riconoscere che questo loro diritto non può di necessità limitarsi soltanto ad un intervento in quella che è la sede del loro lavoro.

Questo concetto, ripeto, potrebbe anche essere dannoso in determinati casi; esso finisce infatti con il limitare la cognizione del fenomeno della produzione, anche rispetto a quella che è la Branca della produzione in cui il lavoratore dà la sua opera.

Ritengo, in altri termini, che, se abbiamo fede, come io ho in questa istituzione, abbiamo il dovere di far sì che il consiglio di gestione sviluppi la propria opera in un senso più lato, anche per offrire ai lavoratori una visione più complessiva di quello che è il fenomeno produttivo. Un lavoratore, per esempio, della Montecatini non saprà gran che di quello che è il complesso industriale di tutta l'azienda se partecipa soltanto alla conoscenza del processo produttivo del suo stabilimento.

C'è, d'altra parte, un'esperienza in corso, dalla quale non si può completamente prescindere. Vi sono infatti i consigli di gestione di aziende che si tengono in contatto anche con altre aziende che sono fuori dalla loro sede di lavoro.

Sarà pertanto opera saggia se noi non vorremo limitare l'opera del consiglio di gestione a quella che è l'azienda nella quale il lavoratore dà la sua opera.

Io avrei finito di dire le ragioni del mio emendamento; debbo però aggiungere qualche parola sull'opportunità dei consigli di gestione, perché da più parti è stata qui messa in dubbio l'opportunità di dar vita a questi organi. Io sono convinto che buona parte di quelle diffidenze che si sono manifestate nel nostro Paese, quando sono sorti i consigli di gestione durante la liberazione del Nord, sono dovute al fatto che essi hanno assunto un nome che in una certa guisa può anche spaventare.

Però noi dobbiamo ricordarci, come ha detto poco fa il collega onorevole Nobili, che i Consigli di gestione, sotto altro nome, esistono dappertutto: in Inghilterra si chiamano «Comitati misti di produzione»; negli Stati Uniti «Commissioni paritetiche di produzione»; in Germania e in Austria press'a poco con lo stesso nome; in Francia «Consigli misti». Ora, io non vorrei che si badasse tanto alla parola, quanto alla sostanza del problema. Se noi non teniamo tanto conto del nome che è stato dato a questo nuovo organo, che è sorto spontaneamente durante la liberazione, e che oggi vive — dobbiamo tener conto di questa realtà! — ma guardiamo viceversa alla funzione che deve svolgere, credo che questa diffidenza dovrà venir meno. D'altra parte però ricordo che le stessissime diffidenze che esistono in determinate zone nei confronti dei consigli di gestione, noi le conoscemmo in altri tempi anche nei confronti delle commissioni interne. Quando sorsero le commissioni interne sembrava che dovesse prodursi, a danno del padronato italiano, una vera e propria rivoluzione nell'ordinamento delle aziende, se non una rivoluzione sociale. Nulla di questo è avvenuto, invece, onorevoli colleghi. Le commissioni interne oggi funzionano non soltanto a soddisfazione degli operai che lavorano nelle aziende, ma trovano anche intero e perfetto riconoscimento da parte del padronato italiano.

Ritengo quindi che queste diffidenze non siano giustificate; ragione per cui spero che anche i colleghi della Democrazia cristiana potranno accedere al nostro punto di vista e quindi approvare, nella Carta costituzionale, il riconoscimento dei consigli di gestione; e che questo principio nuovo di democrazia faccia il suo ingresso anche là dove il lavoratore dà l'opera sua e non soltanto nelle altre istituzioni dello Stato.

Presidente Terracini. L'onorevole Puoti ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«La retribuzione tenderà, nei limiti stabiliti dalla legge, ad attuare anche la forma della partecipazione agli utili».

Ha facoltà di svolgerlo.

Puoti. L'onorevole Malvestiti prima e l'onorevole Camangi poi hanno intrattenuto l'Assemblea, ma in modo non deciso, sul concetto di inserire nella nuova Costituzione italiana il principio della partecipazione del lavoratore agli utili dell'azienda, presso la quale presta la sua opera.

Questo è un concetto vecchio per il quale si sono scritti volumi, che sembra giungere nuovo in questa nostra Costituzione o anche strano alle orecchie di alcuni colleghi; mentre, invece, noi sappiamo che tutti i lavoratori italiani attendono da questa Costituzione il riconoscimento di quella loro aspirazione, che da anni essi nutrono, e che peraltro non hanno visto riconoscere da parte delle amministrazioni ufficiali dello Stato e delle organizzazioni sindacali.

Ora, l'occasione è buona per inserire il riconoscimento di questa, che, per me, è una santa rivendicazione dei lavoratori, in quanto che io vedo nelle partecipazioni agli utili dei lavoratori il motivo principale che deve servire a dirimere ogni questione che sorge — e specialmente in questi ultimi tempi è sorta — tra il capitale e il lavoro. Questa è una legittima aspettativa dei lavoratori. Affermato questo principio, debbo dire che è stata una delusione per gli stessi lavoratori il dover constatare che nel progetto di Costituzione non si è parlato affatto di partecipazione agli utili. Ed, anzi, debbo dire che, esaminando i lavori preparatori del progetto di Costituzione, mi sono meravigliato — ma non troppo — nel leggere alcune affermazioni della onorevole collega Teresa Noce, la quale non accettava, a nome del suo Partito, questo concetto che, invece, secondo me, dovrebbe stare a base di tutti i programmi economico-sociali dei partiti che dicono di voler difendere e rappresentare gli interessi dei lavoratori.

Ed ecco che io, da quest'altro settore dell'Assemblea, ho sentito il bisogno di chiedere l'inserimento di questo concetto e l'ho chiesto per primo a proposito dell'articolo 32, perché, secondo il mio concetto, era più opportuno parlare in quel luogo della partecipazione agli utili, inquantochè essa dovrà rappresentare una integrazione della retribuzione base.

Ora, noi vogliamo affermare il concetto della vera partecipazione agli utili. Ecco perché ne parliamo qui allorché trattiamo del Consiglio di gestione. Il Consiglio di gestione è per me qualche cosa di diverso dal concetto che si vuole qui affermare.

Secondo me, il lavoratore che quotidianamente è a contatto con le macchine e che, svolgendo il suo lavoro, acquista una esperienza sul modo di affinare e migliorare la produzione, è il migliore collaboratore dell'imprenditore, allorché si tratta di dover migliorare la produzione. Quindi è giusto dire che il lavoratore può e deve essere chiamato a collaborare con i dirigenti dell'impresa nel campo tecnico.

Ma se vogliamo portare tale collaborazione anche nel campo amministrativo, andiamo incontro inevitabilmente ad inconvenienti. Bisogna procedere per gradi.

Non è opportuno, in un momento in cui tutti siamo tesi verso la ricostruzione, portare innovazioni tali che possono essere dannose alla ricostruzione stessa, perché dannose alla ripresa economica e industriale della Nazione.

Quindi io ritengo che, nella partecipazione del lavoratore all'impresa, bisogna in un primo momento fermarsi alla collaborazione tecnica.

Per la partecipazione alla collaborazione amministrativa c'è un Consiglio di amministrazione, al quale possono accedere anche i lavoratori, qualora si verifichino determinate condizioni. Ai lavoratori dobbiamo aprire la porta, ma non bruscamente e in un modo troppo ampio, al fine di evitare dannosi rivolgimenti per la mancanza della necessaria preparazione.

Una voce a sinistra. Già, la porta di servizio!

Puoti. No, tutt'altro! Una partecipazione del lavoratore all'amministrazione, qualora egli diventi un azionista dell'azienda stessa, sarebbe la perfezione; perfezione, però, che, per ovvi motivi, ci sembra irrealizzabile immediatamente. E allora, il primo gradino per arrivare a questa collaborazione del lavoro col capitale lo dobbiamo vedere nel rendere compartecipe il lavoratore dei benefici economici dell'azienda. Noi dobbiamo tendere al miglioramento costante delle condizioni di vita dei lavoratori, se abbiamo interesse che l'azienda non venga dissanguata senza una contropartita per essa. E quindi è necessario che questo miglioramento si ottenga interessando il lavoratore allo sviluppo dell'azienda e allo sviluppo della produzione. Solamente in questo modo noi possiamo ottenere una ripresa dell'economia italiana, ripresa necessaria e indispensabile dopo una dura guerra, che ha sconquassato il Paese intero.

Noi parliamo dei Consigli di gestione in un modo molto strano, perché c'è quasi uno slogan che si vorrebbe usare: come un tempo si diceva «vogliamo la Costituente perché ci darà pane e lavoro», così oggi si dice: «vogliamo i Consigli di gestione».

Ma bisogna vederci più chiaramente in questi Consigli di gestione, per evitare ancora una volta che il popolo italiano rimanga deluso dalle molte promesse troppo vaghe e troppo demagogiche.

Noi vogliamo fare veramente l'interesse del popolo lavoratore, e vogliamo perciò dire qual è la vera situazione e concedere ciò che è possibile concedere.

Quindi, ritengo che l'emendamento da me proposto, o, comunque, i concetti espressi nel mio emendamento, che è appoggiato dall'emendamento dell'onorevole Camangi e dalla prima parte dell'emendamento Malvestiti, possa trovare accoglimento nell'Assemblea; in questa Assemblea dove tanto spesso si parla a nome e nell'interesse dei lavoratori. E credo che questo sia il momento buono, necessario, ed opportuno, perché una volta tanto si giunga alla realizzazione di ciò che sta a cuore dei lavoratori stessi.

Non sembri strano se da questo settore si leva una voce a chiedere la tutela degli interessi dei lavoratori; perché, come abbiamo più volte affermato, noi ci sentiamo più lavoratori di quanto altri voglia demagogicamente affermare in contrario. Noi sentiamo da vicino qual è il palpito costante di questa categoria, che comprende la quasi totalità del Paese. Perché il popolo italiano non è formato da ricchi, non è formato da grandi industriali, ma da uomini che, lavorando o col braccio o colla mente, tirano avanti la vita a stento.

Per essere il popolo italiano tutto composto di lavoratori, io mi sono levato a chiedere a nome di questi lavoratori, che non vogliono saperne di destra e sinistra, il riconoscimento che è loro dovuto; il riconoscimento di quel diritto a cui essi aspirano da anni e a cui oggi dobbiamo dare la massima realizzazione. Perché, solamente eliminando il motivo principale che oggi è alla base della lotta di classe fra capitale e lavoro, noi possiamo contribuire efficacemente al miglioramento dell'azienda e, di conseguenza, alla ripresa industriale ed economica di tutta l'Italia, di quell'Italia che ha bisogno, oggi più che mai, di concordia interna per poter provvedere alla ricostruzione e per poter riprendere il posto che le spetta nel campo internazionale. (Applausi a destra Congratulazioni).

Presidente Terracini. Gli onorevoli Gortani, Franceschini, Di Fausto e Andreotti, hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere il seguente comma:

«Apposite provvidenze legislative assicurano la tutela e lo sviluppo dell'artigianato».

L'onorevole Gortani ha facoltà di svolgerlo.

Gortani. Onorevoli colleghi, perdonate se con le brevi parole che dirò per svolgere il mio emendamento, io apro una specie di parentesi nella importante discussione in corso. Tuttavia non credo sia inutile che in sede di discussione riguardante le aziende maggiori, si aggiungano alcune parole intorno a quei minori organismi che sono le piccole aziende.

L'artigianato, antica gloria d'Italia, è insidiato dal prepotere della macchina e dalla invadente e prepotente organizzazione industriale moderna. Il suo campo di azione si è venuto man mano restringendo, soffocato dalla concorrenza delle lavorazioni meccaniche in serie, allo stesso modo — se mi è lecito un paragone — allo stesso modo in cui le tradizioni, gli usi, i costumi, i dialetti si sono venuti mano mano contraendo o attenuando sotto il dilagare della modernità livellatrice. Ma l'artigianato italiano ha una sua vitale ragione di persistere e di riaffermarsi, per ragioni essenziali della nostra stirpe; perché è troppo legato alla nostra storia, alla nostra possibilità di lavoro e di produzione, alla nostra economia individuale e nazionale. E deve anche continuare a persistere e prosperare (l'artigianato nostro) per ragioni etiche, onorevoli colleghi: perché l'artigianato consente all'operaio, più che ogni altra forma di lavoro industriale, di conservare e sviluppare la propria personalità; personalità che nelle grandi officine è necessariamente soffocata dallo strapotere della macchina e dalla monotonia del lavoro ultrasuddiviso, che richiede all'operaio un'attività quasi automatica, comprimendone l'iniziativa individuale, e trasformando l'uomo nell'elemento di una macchina gigantesca. Per continuare a vivere e per riaffermarsi e consolidarsi, l'artigianato ha bisogno di essere aiutato: 1°) nella produzione; 2°) nella organizzazione economica e commerciale; 3°) nella libera espansione.

Cominciamo dalla produzione. Nella produzione l'artigianato ha bisogno di essere aiutato sotto un duplice aspetto: dell'insegnamento tecnico-professionale, e delle direttive tecnico-artistiche intese a conservargli la sua originalità, ad assicurarne e migliorarne i pregi tradizionali, e a indirizzarne la produzione verso le esigenze del mercato interno, del mercato estero e dell'industria del forestiero.

Quest'ultimo fine rientra già nel secondo tema: quello della organizzazione economica e commerciale, che deve essere diretta a coordinare le iniziative singole, a stimolare e favorire la cooperazione, ad organizzare le vendite all'interno ed all'estero ed a facilitare il credito artigiano, ridotto oggi a termini addirittura irrisori.

Infine l'artigianato deve essere aiutato per ciò che riguarda la sua libera espansione; sottraendolo agli eccessi del fisco che oggi è sempre pronto a piombargli addosso come una piovra soffocatrice; e facilitando, specialmente nelle zone montane, la concessione di energia a basso prezzo.

Soltanto così l'artigianato potrà risorgere e dare equilibrato sviluppo alle attitudini geniali dei nostri artieri ed efficace apporto alla rinascita del Paese.

Pertanto, proponiamo che l'Assemblea, riconoscendo la funzione sociale ed economica dell'artigianato e venendo incontro alle richieste formulate dagli artigiani di tutta Italia, sancisca nella Carta costituzionale della Repubblica una norma che ne assicuri la tutela; norma che abbiamo concretata nel seguente comma aggiuntivo:

«Apposite provvidenze legislative assicurano la tutela e lo sviluppo dell'artigianato».

[...]

Presidente Terracini. [...] Riprendiamo l'esame degli emendamenti proposti all'articolo 43.

Gli onorevoli Gronchi, Pastore Giulio, Storchi e Fanfani hanno presentato il seguente emendamento.

Sostituire l'articolo 43 con il seguente:

«Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro, ed in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende».

L'onorevole Gronchi ha facoltà di svolgerlo.

Gronchi. Onorevoli colleghi, è questa una delle questioni che esige, da parte di tutti i gruppi e partiti rappresentati in quest'Aula, una piena coscienza della sua importanza al di là di ogni desiderio o preoccupazione di popolarità.

La nostra posizione rispetto ai problemi del lavoro è sintetizzata nella frase che noi siamo risoluti a non mantenere nel vuoto sostanziale delle affermazioni oratorie, ma a riempire di un contenuto di progressive riforme sociali. Intendo dire: «la preminenza del lavoro». Questo, nella sua attuale posizione, è uno strumento della produzione, più che un suo collaboratore. Da una tale inferiorità noi vogliamo elevarlo. Ma in ogni fase della vita economica occorre che noi teniamo realisticamente conto della progressività, attraverso la quale le trasformazioni si attuano. Senza di questa progressività l'inserzione del lavoro nei posti direttivi della vita economica si tradurrebbe in un pericolo per gli stessi lavoratori. Non ci sono che due vie: o il capovolgimento totale e completo di un sistema economico, oppure la sua graduale modificazione che tenga razionalmente conto di certe leggi e di certe esigenze da cui non si può prescindere, in primo luogo per gli interessi del lavoro medesimo.

Il nostro emendamento contiene due concetti. Il primo si rifà esplicitamente alle esigenze della produzione. Noi non siamo di quelli che sul tavolo anatomico della teoria distinguono e separano il processo della produzione in due fasi nettamente distinte e quasi per se stanti: la prima produttiva e la seconda distributiva. Noi siamo però convinti che l'imperativo categorico — come si diceva in tempi che fortunatamente furono — sia in primo luogo, in ogni tipo di sistema economico, quello di produrre di più affinché vi siano più utili, più frutti da distribuire, sia nel senso finanziario che nel senso più largamente economico e sociale. È per questo che noi, finalizzando lo scopo di questo articolo, abbiamo posto in primo luogo la nostra mira di elevare economicamente e socialmente il lavoro; ma vi abbiamo associato anche il concetto dell'armonia con le esigenze della produzione.

Il secondo concetto che abbiamo voluto affermare è quello della collaborazione, la quale, lo diciamo con piena lealtà, non rispecchia soltanto il nostro concetto di una solidarietà che comunque si pensi, nella fase attuale dell'economia dei paesi ancora, chiamiamoli così, capitalistici è anch'essa imposta dallo stesso interesse della classe lavoratrice; ma vuole altresì indicare, per quella progressività di trasformazioni da noi ritenuta necessaria, che debbono essere salvi taluni principî senza dei quali non vi è ordinata e perciò feconda attività produttiva; primo fra tutti quello che potrebbe essere nella unità di comando delle aziende produttive.

Questo non presuppone né un paternalismo anacronistico nella realizzazione di tale collaborante solidarietà, né una subordinazione che menomi il prestigio del lavoro; ma indica una certa posizione gerarchica di compiti e di responsabilità della quale sarebbe assurdo e contrario agli interessi stessi del lavoro non tenere conto nel momento presente.

Una Costituzione non è eterna, e chi la crea non può illudersi di regolare la vita sociale ed economica di un paese per secoli; una Costituzione deve inserirsi soprattutto nella realtà del momento nel quale essa è studiata e promulgata. Ecco le ragioni per le quali noi, al di là di ogni prudenza, di cui sarebbe facile ma ingiusto accusarci, abbiamo creduto di accentrare questi due concetti nel testo della Commissione e proporre l'emendamento che ho avuto l'onore di firmare per primo.

Presidente Terracini. Chiedo all'onorevole Ghidini di esprimere il parere della Commissione sugli emendamenti.

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. Sono certo che l'Assemblea non si dorrà se sarò molto breve rispondendo ai vari emendamenti.

L'onorevole Marina ha dichiarato che rinuncia al suo emendamento di soppressione, ma la rinuncia è più apparente che reale, perché si associa all'emendamento dell'onorevole Corbino.

L'onorevole Corbino propone la seguente formulazione:

«La Repubblica favorisce le iniziative dirette alla più efficace collaborazione fra il capitale ed il lavoro per il potenziamento della produzione».

L'onorevole Marina dice invece: «Ai fini del potenziamento dell'attività produttiva delle aziende e dell'elevazione dei lavoratori, la legge stabilisce le norme per attuare la più efficace collaborazione fra il lavoro e il capitale».

In sostanza il contenuto dei due emendamenti è uguale, ma sono entrambi profondamente diversi dal testo. Infatti gli emendamenti sono generici, mentre il testo specifica l'istituto che s'è voluto creare, senza però indicarne la finalità per l'ovvia ragione che non ne sono determinate le funzioni. La Commissione pertanto respinge i due emendamenti.

Vi è poi l'emendamento dell'onorevole Colitto, così formulato:

«I lavoratori hanno diritto di partecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende ove prestano la loro opera, per cooperare allo sviluppo tecnico ed economico di esse».

Anche in esso è indicato lo scopo pel quale vengono istituiti i Consigli di gestione. Riconosco, ponendo in esso la finalità di «cooperare allo sviluppo tecnico ed economico» delle aziende, che è uno dei più progressivi; ma la Commissione non intende di accogliere alcuna specificazione per le ragioni che ho sopra esposto.

Gli onorevoli Malvestiti, Cappugi e altri hanno formulato il seguente emendamento:

«I lavoratori hanno diritto di compartecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione ed al capitale delle grandi imprese capitalistiche. A tal fine la legge riconoscerà il diritto delle categorie lavoratrici di essere rappresentate nei Consigli di amministrazione delle rispettive imprese, a prescindere da qualsiasi partecipazione azionaria: e favorirà l'accesso all'investimento azionario del libero risparmio dei lavoratori».

Abbiamo inoltre l'emendamento degli onorevoli Camangi e Puoti, i quali parlano invece di una partecipazione agli utili. Avverto che sia dell'investimento azionario, che della partecipazione agli utili, si è ampiamente discusso prima, in sede di Sottocommissione, e penso anche — per quanto non ne sia ben certo essendo stato assente — in sede di Commissione plenaria.

Posso dire che l'opposizione di una parte della Sottocommissione è stata molto viva, ed è questa una delle ragioni per cui abbiamo mantenuto un testo il quale lasciasse ampia libertà al legislatore futuro di fissare al Consiglio di gestione quelle attribuzioni e quelle funzioni che potessero sembrare più opportune in relazione al tempo e all'economia del Paese.

Credo con questo, onorevoli colleghi, di avere risposto anche all'emendamento presentato dall'onorevole Gronchi. Il testo della Commissione reca semplicemente: «I lavoratori hanno il diritto di partecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende ove prestano la loro opera».

È evidente che la parola «gestione» è usata in senso generico, e non nel suo significato letterale. La parola «gestione» vuole avere il significato che convenzionalmente le si attribuisce, tanto vero che è stata accettata da tutti, pure essendo diversi gli orientamenti politici dei componenti la Commissione. Abbiamo detto: «Nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge», perché la partecipazione può essere consultiva, oppure deliberativa; può essere classista, oppure collaborativa; può essere partecipazione all'amministrazione, oppure alla direzione ecc., ecc.

Non abbiamo voluto determinare a priori la forma e il modo di questa partecipazione, e ciò allo scopo di non confiscare a nostro profitto quella libertà di decisione che deve essere lasciata intatta al legislatore futuro.

Per queste ragioni raccomandiamo l'articolo 43, nel testo integrale proposto dalla Commissione.

Vi sono poi gli emendamenti degli onorevoli Gronchi e Villani che concordano nel chiedere la soppressione delle parole: «ove prestano la loro opera». Si è infatti pensato, da entrambi questi nostri colleghi, che sia pericoloso restringere l'istituzione dei Consigli alle singole aziende. Non ripeto le ragioni da loro addotte, poiché le avete ascoltate, e per mio conto mi limito a dichiarare che, se io personalmente posso accedere al loro punto di vista, la maggioranza della Commissione è del parere di non accogliere la proposta modificazione.

Rimane da ultimo l'emendamento proposto dall'onorevole Gortani, nei confronti del quale non posso che ripetere ciò che ho detto in altre occasioni consimili. Che l'onorevole Gortani abbia posto a sussidio del suo emendamento argomentazioni serie ed apprezzabili non lo contesto, ma debbo avvertire che l'artigianato è una figura tipica di piccola impresa individualistica la quale sopravvive o perisce, fiorisce oppure decade, in virtù di fattori che generalmente sono al di fuori delle provvidenze legislative. Ed io non so se sia possibile, ed anche raccomandabile, reagire alle leggi dell'economia.

Ma non è tanto per questa ragione che la Commissione respinge l'emendamento dell'onorevole Gortani, quanto in considerazione che si tratta di una particolare forma o specie dell'economia, e questo scendere ai particolari non ci sembra giustificato, perché dovremmo, allo stesso titolo, occuparci anche del piccolo commercio e così via: ed è evidente che allora non finiremmo più.

Noi diciamo invece che tutto è compreso nel testo dell'articolo 43 che proponiamo all'approvazione dell'Assemblea, per questo insistiamo nel raccomandarne l'approvazione nel suo testo integrale.

Presidente Terracini. Chiederò ai presentatori di emendamenti se intendano mantenerli.

Onorevole Marina, mantiene il suo emendamento?

Marina. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?

Colitto. Lo ritiro.

Presidente Terracini. Onorevole Corbino?

Corbino. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Non essendo presente l'onorevole Romano, il suo emendamento si intende decaduto.

Onorevole Malvestiti, mantiene il suo emendamento?

Malvestiti. Volevo fare soprattutto un'affermazione ideale. Mi associo all'emendamento dell'onorevole Gronchi e ritiro il mio.

Presidente Terracini. Onorevole Camangi?

Camangi. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Villani?

Villani. Lo ritiro e aderisco all'emendamento dell'onorevole Gronchi.

Presidente Terracini. Onorevole Puoti?

Puoti. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Gortani?

Gortani. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Gronchi?

Gronchi. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Passiamo alla votazione.

In realtà i due soli emendamenti sostitutivi dell'intero articolo 43 sono quelli dell'onorevole Corbino e dell'onorevole Gronchi.

Nel primo, escludendosi nettamente ogni accenno alla gestione, si parla semplicemente della collaborazione fra capitale e lavoro; nel secondo si riprende il concetto della Commissione, sia pure sotto alcune considerazioni particolari, specialmente, riguardo ai fini.

Devo, quindi, porre in votazione per primo l'emendamento dell'onorevole Corbino, che si allontana maggiormente dal testo della Commissione:

«La Repubblica favorisce le iniziative dirette alla più efficace collaborazione fra il capitale ed il lavoro per il potenziamento della produzione».

Gronchi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Gronchi. Avendo presentato un emendamento che rappresenta, in forma più organica, la posizione del Gruppo democratico cristiano di fronte a questo problema, è evidente che dovremo votare contro l'emendamento dell'onorevole Corbino, il quale non esprime un concetto diverso dal nostro, ma lo esprime in una forma troppo generica.

Di Vittorio. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Di Vittorio. Il Gruppo comunista vota contro l'emendamento dell'onorevole Corbino. Il Gruppo comunista sarebbe favorevole a mantenere il testo approvato dalla Commissione; però, siccome noi vogliamo ricercare dei punti di incontro con altri Gruppi che rappresentano larghe correnti dell'opinione pubblica e di lavoratori, voteremo l'emendamento sostitutivo dell'onorevole Gronchi, attribuendo al concetto di collaborazione il significato di partecipazione attiva dei lavoratori alla gestione dell'azienda, e quindi allo sviluppo dell'azienda stessa nell'interesse dei lavoratori e del Paese.

Presidente Terracini. Pongo in votazione l'emendamento Corbino.

(Non è approvato).

Pongo in votazione l'emendamento sostitutivo dell'onorevole Marina, che riprende lo stesso concetto di quello dell'onorevole Corbino:

«Ai fini del potenziamento dell'attività produttiva delle aziende e dell'elevazione dei lavoratori, la legge stabilisce le norme per attuare la più efficace collaborazione fra il lavoro e il capitale».

(Non è approvato).

Passiamo alla votazione dell'emendamento sostitutivo Gronchi:

«Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro ed in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende».

Avverto che su questo emendamento è stata chiesta la votazione per appello nominale dagli onorevoli Gronchi, Pastore Giulio, Togni, Storchi, Fanfani, Benvenuti, Franceschini, Codacci Pisanelli, Firrao, Salizzoni, Bianchini Laura, Mannironi, Federici Maria, Saggin e Montini.

Poiché però è stato dichiarato che non si insiste in questa richiesta, pongo in votazione l'emendamento per alzata e seduta.

(È approvato).

Passiamo alla votazione dell'emendamento aggiuntivo proposto dall'onorevole Puoti:

«La retribuzione tenderà, nei limiti stabiliti dalla legge, ad attuare anche la forma della partecipazione agli utili».

Faccio notare che in questo emendamento è ripreso il concetto contenuto nell'emendamento dell'onorevole Camangi.

Camangi. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Camangi. Vorrei far notare che nell'emendamento Puoti si parla di tendenzialità nel senso che vi è detto che la retribuzione «tenderà ad attuare anche la forma della partecipazione agli utili». Per semplicità di discussione, il mio emendamento aggiuntivo potrebbe essere inserito nel testo presentato dall'onorevole Gronchi, subito dopo l'affermazione della partecipazione alla gestione.

Presidente Terracini. Sta bene. Faccio notare un'altra diversità fra i due emendamenti. Per l'onorevole Puoti la partecipazione agli utili deve essere assorbita nella retribuzione; nella proposta dell'onorevole Camangi, la partecipazione agli utili nulla ha che fare con la retribuzione del lavoro dei lavoratori.

Gronchi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Gronchi. Per le ragioni che ho brevemente esposte a sostegno del nostro emendamento, noi non siamo favorevoli alla specificazione delle varie forme di partecipazione, fra cui questa di partecipazione agli utili. Noi vorremmo mantenere a questo articolo della Costituzione il carattere di un principio da attuare poi nelle varie riforme che dovranno essere condizionate dal momento in cui si realizzeranno.

Einaudi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Einaudi. Voto contro questo emendamento dell'onorevole Puoti e credo di essere soprattutto d'accordo con quella parte (Accenna alla sinistra) nel votare contro l'emendamento Puoti, in quanto — se la memoria non mi falla — tutto il movimento operaio del secolo scorso e di questo è indirizzato contro la partecipazione degli operai ai profitti. Le leghe operaie e le associazioni operaie hanno sempre ritenuto che la partecipazione ai profitti fosse il cavallo di Troja introdotto nella loro organizzazione allo scopo di distruggere la solidarietà operaia. Molte altre critiche possono essere mosse contro la partecipazione ai profitti: mi basti ricordare i pericoli che esso presenta per gli operai e per la collettività. Troppi pericoli corre questa, a causa del prepotere dei monopoli; non occorre incoraggiare in aggiunta gli operai ad accordarsi con gli imprenditori per taglieggiare la collettività.

Sono favorevole alla partecipazione al profitto, quando essa sia un fatto volontario, un fatto che sorga dalla collaborazione volontaria da parte degli imprenditori e degli operai, non mai un fatto che sia imposto dalla legge; perché, se fosse imposto dalla legge, si creerebbe uno stato di disuguaglianza e di contrasto fra una categoria e l'altra degli operai. Le maggiori conquiste operaie sono sempre state realizzate sul principio della eguaglianza di remunerazione fra tutti i lavoratori contro i privilegi particolari a favore di gruppi distinti di lavoratori. (Vivi applausi a sinistra).

Presidente Terracini. Pongo in votazione l'emendamento Puoti:

«La retribuzione tenderà, nei limiti stabiliti dalla legge, ad attuare anche la forma della partecipazione agli utili».

(Non è approvato).

Pongo in votazione l'emendamento Camangi:

«I lavoratori hanno diritto di partecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione e agli utili delle aziende ove prestano la loro opera».

(Non è approvato).

Passiamo all'emendamento Gortani:

Aggiungere il seguente comma:

«Apposite provvidenze legislative assicurano la tutela e lo sviluppo dell'artigianato».

Di Vittorio. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Di Vittorio. Il Gruppo comunista vota a favore.

D'Aragona. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

D'Aragona. Dichiaro che il mio Gruppo vota a favore.

Carmagnola. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Carmagnola. Dichiaro a nome del Gruppo parlamentare socialista che voteremo a favore dell'emendamento aggiuntivo.

Corbino. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Corbino. Anche il nostro Gruppo voterà a favore.

Selvaggi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Selvaggi. Dichiaro che voteremo a favore dell'emendamento aggiuntivo.

Angelini. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Angelini. È superfluo dire che il Gruppo democristiano voterà a favore.

Presidente Terracini. Pongo in votazione l'emendamento Gortani.

(È approvato).

L'articolo 43 risulta, nel suo complesso, approvato nel seguente testo:

«Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro ed in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori di collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

«Apposite provvidenze legislative assicurano la tutela e lo sviluppo dell'artigianato».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti