[Il 13 maggio 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».]
Presidente Terracini. [...] Passiamo all'articolo 38:
«La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati.
«La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
«Sono per legge stabilite le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle eredità.
«La legge autorizza, per motivi d'interesse generale, l'espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo».
L'onorevole Bruni ha già svolto il seguente emendamento:
Sostituire gli articoli 38, 39, 40, 41, 42 e 43 coi tre seguenti:
I.
«Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale.
«Lo Stato e gli altri Enti pubblici rientrano in questo esercizio limitatamente alla loro funzione di difesa e di coordinamento del bene comune».
II.
«I lavoratori di un determinato ciclo produttivo acquistano il diritto di gestire la loro azienda. A seconda dei settori economici esso viene esercitato col concorso, più o meno diretto, dello Stato, delle Regioni, dei Municipi, dei Sindacati o di altri Enti più direttamente interessati.
«Nell'ambito del bene comune le piccole gestioni a tipo individuale e familiare potranno assumere carattere vitalizio con diritto di successione».
III.
«La proprietà dei beni d'uso è assicurata dalla Repubblica a tutti i lavoratori, proporzionalmente alla quantità e qualità del lavoro di ciascuno, e con riguardo delle persone a carico».
L'onorevole Colitto ha già svolto il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La proprietà privata è garantita entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi che l'ordinamento giuridico stabilisce anche allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Può essere espropriata per motivi di interesse generale, dichiarati con legge, contro indennizzo».
L'onorevole Marina ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La proprietà è pubblica o privata.
«La legge autorizza, per motivi di interesse generale, l'espropriazione della proprietà privata, salvo l'indennizzo».
Ha facoltà di svolgerlo.
Marina. Il mio emendamento ha lo scopo di rendere più raccolto l'articolo 38 anche in relazione a quanto si è fatto per l'articolo 37, che riassume quanto è detto nell'articolo 39.
Dice l'articolo 38, nella seconda parte del primo comma, che «I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati». Se si ammette, come assioma, che la proprietà è pubblica o privata, a me sembra che sia, in un testo costituzionale, inutile specificare che i beni che costituiscono la sostanza della proprietà appartengano allo Stato, ad enti od a privati, e pertanto questa specificazione, a mio avviso, dovrà trovare posto nella legge che regolerà la proprietà.
È perciò altrettanto pleonastico, anzi oserei dire un rafforzativo inutile, il dire che la proprietà privata è riconosciuta e garantita, perché ammesso nella Costituzione che la proprietà, oltre che pubblica, è anche privata, è ovvio che questa sia riconosciuta e garantita.
Pare al proponente semplicemente assurdo il pensare che se si ammette la proprietà privata questa abbia ad essere garantita. Dire successivamente che la legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, è pure inutile. Che la legge, parlando di proprietà privata, abbia a determinarne i modi di acquisto e di godimento, mi sembra ovvio, perché la legge non può non fare oggetto dell'esame e della specificazione di questi modi per cui il privato acquisisce e può godere questa proprietà.
Ma dove l'articolo in esame pone il principio del limite e della funzione sociale, per renderla accessibile a tutti, occorre fare alcune considerazioni. Si è detto, approvando l'articolo 37, quali dovrebbero essere le funzioni della proprietà privata. Ripeterlo nell'articolo 38 mi sembra pleonastico. Circa i limiti, quali possono essere? Essi possono essere di grandezza massima e di grandezza minima. Per la grandezza massima, a me pare che, poiché l'articolo 38 dice che «la legge autorizza, per motivi di interesse generale, l'espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo», una volta che il limite di grandezza sia tale per cui si abbia un danno alla collettività, si possa adoperare l'arma dell'espropriazione per limitare questa grandezza di proprietà. I limiti minimi possono essere, ad esempio, quelli della proprietà terriera, la quale può essere polverizzata da limiti troppo ristretti. D'altra parte, come possiamo noi stabilire oggi un limite alla proprietà terriera se questa proprietà non è operante, essendo troppo ristretta? Ecco perché col mio emendamento tolgo l'espressione: «i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti» perché l'espressione è troppo vaga.
Anche l'espressione: «Sono per legge stabilite le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle eredità» mi sembra pleonastica, perché sarà la legge che dovrà stabilire norme al riguardo.
Presidente Terracini. L'onorevole Perlingieri ha presentato il seguente emendamento:
«Sostituirlo col seguente:
«La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati.
«La proprietà privata è riconosciuta e garentita. La legge regola i modi di acquisto e l'esercizio del diritto in conformità alla sua funzione sociale ed allo scopo di favorirne la diffusione.
«La legge regola altresì la successione legittima e testamentaria.
«La legge autorizza, per motivi di interesse generale, l'espropriazione della proprietà privata contro giusto indennizzo».
Ha facoltà di svolgerlo.
Perlingieri. Poche considerazioni, in forma breve. Sul primo comma: è quello del testo e non c'è nulla da aggiungere. C'è una proposta soppressiva dell'onorevole Mortati, alla quale io potrei prestare in anticipo la mia adesione, ma faccio considerare che noi abbiamo fino ad oggi scritto una Costituzione, che — sia detto senza irriverenza — è una specie di Divina Commedia alla quale «han posto mano e cielo e terra», e quindi nessuna difficoltà che venga inserita nel testo una dichiarazione che non è meno significativa di altre precedenti dichiarazioni inserite.
Sul secondo comma: questo è stato da me considerato in maniera particolare.
Dice il testo: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti». Si pone così una relazione fra la legge e la proprietà, nel mentre deve porsi fra la legge (jus agendi) e il diritto di proprietà (facultas agendi).
Giacché, se è vero che il «diritto di proprietà» è il diritto per eccellenza, assoluto, e, come tale, finisce per identificarsi con la cosa, è pur vero, sul terreno giuridico, sul quale noi muoviamo, che la «proprietà» non è altro che una relazione, che intercede fra la persona e la cosa, ossia un rapporto giuridico espresso esattamente dal termine «diritto». Ecco perché io propongo di sostituire la dizione del testo: «La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti», con quest'altra: «La legge regola i modi di acquisto e l'esercizio del diritto in conformità alla sua funzione sociale ed allo scopo di favorirne la diffusione».
Seconda osservazione: quando il testo demanda al futuro legislatore il compito di determinare il godimento della proprietà, a mio avviso demanda un compito impossibile, a cui non potrà assolversi.
Perché, se c'è un diritto il cui contenuto è indeterminato e indeterminabile, questo è appunto il diritto di proprietà; il quale per la sua caratteristica di «elasticità» può ridursi alla espressione minima, se compresso, ed espandersi nuovamente allo stato primiero di assolutezza, cessata la causa della compressione.
La legge, quindi, può statuire quello che il proprietario non può fare, non quello che il proprietario può fare, perché altrimenti si entrerebbe in una casistica innumerevole ed infinita, e come tale impossibile. D'altra parte, anche a voler considerare il contenuto del diritto di proprietà, non è possibile considerarne un solo aspetto, ossia soltanto la facoltà di godimento perché attributi del diritto di proprietà sono e la facoltà di godimento ed il potere di disposizione. E poiché la legge tutela non soltanto la possibilità in astratto di godere e di disporre della cosa, ma anche l'effettivo godimento e l'effettiva possibilità di disposizione della cosa, nel che si concreta l'esercizio del diritto, a me pare che la dizione più esatta ed appropriata che prescinde anche da qualsiasi definizione del diritto di proprietà (che le fonti romane si guardarono bene dal tramandarci) sia quella da me proposta, nel senso che si debba sostituire alla dizione: «La legge determina i modi di acquisto, di godimento, ecc.» l'altra: «La legge regola i modi di acquisto e l'esercizio del diritto, ecc.».
Potrebbe preoccupare qualche collega la soppressione del termine «i limiti» racchiuso nel testo del progetto. È soppresso il termine, ma resta la sostanza.
I limiti sono impliciti: quando si parla di regolamento è implicita la limitazione. Infatti la legge regola l'esercizio concorrente del diritto, ponendo limiti e nell'interesse privato e nell'interesse pubblico. Altro limite si desume dalla funzione sociale che noi conferiamo al diritto di proprietà. La funzione sociale rappresenta appunto il limite estremo di applicabilità della tutela giuridica. Infatti, se il diritto viene esercitato in maniera antisociale, non riceve più tutela giuridica. Esistono dunque limiti che agiscono sulla sfera esterna del diritto e limiti inerenti al suo intimo contenuto. Nessuna preoccupazione dunque può derivare dalla soppressione della parola «limiti». A me pare inoltre che non si possa far luogo ad osservazioni di altro genere sulla parola «limiti». L'articolo 38 contempla infatti la proprietà in genere, mobiliare e immobiliare, e non può quindi trattarsi, puramente e semplicemente, che di limiti giuridici. I limiti di estensione alla proprietà terriera sono posti dal progetto all'articolo 41 e di essi sarà discusso nella sede opportuna.
Un'altra osservazione debbo fare a proposito di questo secondo comma. Nella formulazione del testo della Commissione troviamo affermato lo scopo di rendere la proprietà accessibile a tutti. Ora, a me pare che questa affermazione, in sostanza accettabile, sia troppo generosa e irreale. «La proprietà a tutti», «tutti proprietari» è uno slogan che non ritengo realizzabile.
E pertanto, pur accettando lo spirito del testo, vorrei adottare la formula più realistica: «allo scopo di favorirne la diffusione».
Sul terzo comma. Dice il testo:
«Sono per legge stabilite le norme ed limiti della successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle eredità».
Anche qui, nel mio emendamento, è soppressa la parola «limiti», ma anche qui sarebbe infondata qualsiasi preoccupazione di carattere sociale, essendo sempre nel campo giuridico. Valgono le considerazioni precedenti. Se la legge regola la successione, nel regolamento della legge è implicita la limitazione.
L'altra soppressione» che ha luogo nella formulazione da me proposta riguarda l'espressione «e i diritti dello Stato sulle eredità». Che cosa significa questa espressione? Se la legge regola la successione legittima e testamentaria, è ovvio che essa la regolerà nei rapporti di tutti i soggetti aventi diritto alla successione e quindi anche del soggetto Stato.
Già dalla nostra legislazione vigente è riconosciuto allo Stato il diritto alla successione dopo un certo grado; nessuna preoccupazione quindi di tale genere.
Ma, se per diritti dello Stato sull'eredità si dovesse intendere il diritto da parte dello Stato di compiere un prelievo in natura sull'eredità, io debbo dichiarare francamente e chiaramente il mio aperto dissenso. Le conseguenze di una tale ingerenza dello Stato sarebbero infatti incalcolabili nel campo economico, in quanto le eredità, nel loro complesso omogeneo ed unitario, verrebbero ad essere frazionate, a tutto danno dell'economia.
Quale necessità avrebbe, d'altra parte, questo intervento? Lo Stato può intervenire altrimenti sul valore dell'eredità; attraverso l'imposta successoria, proporzionale o progressiva, con la quale si compie ugualmente un prelievo, sia pure non in natura, ma in denaro. E il denaro è il comune denominatore dei valori, è l'equivalente del bene, nel quale ogni bene si può commutare. Se quindi questa frase dovesse intendersi in tal senso, io manifesto apertamente il mio dissenso e la mia preoccupazione per le conseguenze economiche a cui una simile affermazione potrebbe condurre. Questa è la ragione del mio emendamento soppressivo del comma.
Ultimo comma:
«La legge autorizza, per motivi d'interesse generale, l'espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo», dice il testo. Io vorrei aggiungere e modificare: «contro giusto indennizzo». Faccio in proposito pochissime considerazioni. Leggendo i verbali della Commissione ho rilevato che si è proposto di abolire la parola «giusto», in quanto la proprietà dovrebbe essere indennizzata con moneta riportata al suo valore prebellico. Il che significherebbe che se si dovesse espropriare un bene del valore di 50 mila lire prebelliche, e attuale di un milione, l'indennizzo sarebbe determinato sulla base di 50 mila lire e non di un milione. In questo caso, potremmo dire più lealmente che la proprietà verrebbe espropriata senza indennizzo. Siamo sinceri! Se questa poi non fosse la ragione della proposta, è evidente che l'indennizzo deve essere commisurato al valore attuale del bene, al momento cioè in cui si compie il trasferimento coattivo, in cui si determina la stima, si fa cioè la commisurazione in denaro. Questa è la ragione del mio emendamento.
Se, d'altra parte, la Commissione potesse rassicurarmi che la soppressione della parola «giusto» non è dovuta alle considerazioni suesposte, ricavate dalla lettura dei verbali della Commissione stessa, non avrei nessuna difficoltà a ritirare l'emendamento.
Non ho altro da aggiungere. (Approvazioni al centro).
Presidente Terracini. L'onorevole Mortati ha proposto di sopprimere il primo comma. Non essendo presente, si intende che abbia rinunciato a svolgere il suo emendamento.
La stessa proposta è stata fatta dall'onorevole Mazzei, che, non essendo presente, s'intende abbia rinunciato a svolgerla.
Gli onorevoli Nobili Tito Oro e Tega hanno presentato il seguente emendamento:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«La proprietà è pubblica, privata e di uso civico. (Diritti e usi civici, demani popolari, ademprivi, vagantivi, ecc.)».
Gli onorevoli Nobili Tito Oro e Tega hanno dichiarato di mantenere il loro emendamento, ma di rinunciare a svolgerlo.
Seguono gli emendamenti degli onorevoli Barbareschi, Carmagnola, Mariani, Vischioni, Costantini, De Michelis, Merlin Lina, Merighi:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«I beni economici possono essere di proprietà privata o collettiva».
«Al secondo comma sostituire la parola: garantita, con la parola: tutelata».
«Sostituire il terzo e quarto comma col seguente:
«Le successioni legittime e testamentarie e le espropriazioni per motivi di interesse generale sono regolate per legge».
L'onorevole Barbareschi ha dichiarato di ritirarli.
Gli onorevoli Corbino, Quintieri Quinto, Perrone Capano, Condorelli, Lucifero, Bonino hanno presentato i seguenti emendamenti:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«I beni economici appartengono allo Stato, ad enti ed a privati».
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«La proprietà privata è riconosciuta e garentita. La legge ne determina i modi di acquisto e ne regola i limiti di godimento e di uso, anche allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla più facilmente accessibile a tutti».
«Sostituire il terzo comma col seguente:
«La legge stabilisce le norme della successione legittima e testamentaria».
«Fare del quarto comma un articolo a sé».
L'onorevole Corbino ha facoltà di svolgerli.
Corbino. Illustrerò molto brevemente gli emendamenti da me presentati congiuntamente ad altri onorevoli colleghi.
Il concetto del primo emendamento è in sostanza quello di sopprimere il primo periodo del primo comma, in cui viene data la classificazione della proprietà, in quanto dice che la proprietà è pubblica o privata. A mio avviso, è inutile un'affermazione di questo genere.
Il secondo ha un contenuto un po' più importante, perché con esso si tende a spostare il significato della parola «limiti» che nel testo proposto dalla Commissione si vorrebbe riferire allo scopo di assicurare la funzione sociale della proprietà privata, mentre noi proporremmo che i limiti si riferissero al diritto di godimento e di uso oltre che allo scopo.
Il terzo concorda quasi con quello dell'onorevole Perlingieri, in quanto propone la soppressione della parte che concerne il diritto dello Stato, rimettendosi alla legge.
Col quarto emendamento, che concerne il quarto comma dell'articolo, per l'espropriazione per pubblica utilità, si propone di farne un articolo separato. Infatti è questa una materia così complessa che dovrebbe formare, a mio giudizio, un articolo a sé: si tratta quindi di un problema di collocamento.
Il fine animatore dei tre emendamenti è quello di togliere dalla Costituzione tutto ciò che può influire decisamente sulla formazione del risparmio come effetto di una situazione psicologica del risparmiatore. Non si tratta di risolvere qui il problema più generale dei limiti della proprietà privata, ma di affrontare invece il problema dell'interesse che ha la società a non ostacolare la formazione del risparmio. Evidentemente poi diventa un problema di tecnica finanziaria la scelta del punto in cui l'interesse privato si armonizza con l'interesse generale in materia di imposizione di tributi.
Presidente Terracini. L'onorevole Bibolotti ha facoltà di svolgere il suo emendamento, che è del seguente tenore:
«La proprietà è pubblica, cooperativa e privata. I beni economici possono appartenere allo Stato e agli Enti pubblici, alle cooperative, ai privati individualmente o collettivamente».
Bibolotti. Onorevoli colleghi, noi stiamo prendendo in esame in sede costituzionale il problema dei vari tipi di proprietà.
Permettete che io mi soffermi un po' e che richiami la vostra attenzione su un tipo di proprietà che nella situazione di fatto già da vari decenni è una realtà che nessuno contesta. Tuttavia è nei nostri occhi ancora, è nelle nostre menti il ricordo dell'accanimento col quale le prime azioni dello squadrismo fascista si abbatterono contro la proprietà cooperativa. Noi ricordiamo che le prime azioni di violenza, di saccheggio contro le istituzioni dei lavoratori presero come bersaglio precisamente le cooperative dei lavoratori, vale a dire un tipo di proprietà che era il frutto del risparmio, dell'iniziativa e dello spirito solidaristico dei mutualisti italiani, di quei mutualisti e cooperatori, che inseguendo un loro sogno ideale avevano creduto che nell'Italia dei primi decenni di questo secolo fosse possibile avviarci verso una forma superiore di convivenza civile creando spontaneamente e con il loro sacrificio le istituzioni cooperative. Quella proprietà trovava la sua consacrazione giuridica in una legislazione ancora imprecisa ed imperfetta. Ma nessuno pensava allora di contrastare ai lavoratori italiani, operai, contadini, impiegati ed artigiani, questa magnifica realizzazione che faceva, ad esempio, di Torino, la culla della mutualità italiana, la culla dell'Alleanza Cooperativa Torinese, un fortilizio di emancipazione dei lavoratori. Vi erano grandi edifici, stabilimenti destinati alla produzione dei generi di consumo, dai medicinali al pastificio, al panificio, al laboratorio enologico. E poi ancora le cooperative della Venezia Giulia, le grandi cooperative operaie di Trieste e del Friuli, le grandi realizzazioni del molinellese, le grandi realizzazioni del reggiano! Tutta l'Italia al lavoro sulla via della cooperazione aveva quindi creato una realtà, la realtà di un tipo nuovo di proprietà, di una proprietà collettiva sui generis ma di una proprietà indivisibile, di una proprietà che i cooperatori classici affermavano essere ormai un patrimonio indivisibile di tutti i lavoratori ed artigiani. Era la consacrazione di un principio cooperativistico che anche in quest'Aula aveva avuto i suoi pionieri e i suoi assertori di grande valore: cito fra tutti il nome di Luigi Luzzatti. I cooperatori italiani videro allora abbattersi sui loro fortilizi e sulle loro istituzioni la furia fascista. Il fascismo divenuto Governo non lasciò la preda. Distrusse la cooperativa trasformandola in società anonima, in associazione puramente commerciale, dedita soltanto a fini di speculazione. Ora noi assistiamo al pullulare di molte iniziative nel campo della cooperazione. Purtroppo in questo campo — come da altri è stato posto in rilievo — si fa del nome cooperativa e cooperazione un uso indebito ed oggi possiamo affermare esservi una cattiva stampa sul nome della cooperazione e dei cooperatori, ma i veri cooperatori, quelli che videro appunto distrutte le loro organizzazioni nel 1920 e nel 1921, affermano la loro volontà di ridar vita a quelle libere istituzioni che segnano un notevole apprezzabile progresso nella via del lavoro sociale e nella via del lavoro cooperativo. È quindi, onorevoli colleghi, direi quasi una giustizia che noi rendiamo ai lavoratori italiani consacrando in un articolo della Costituzione come tipo di proprietà la proprietà cooperativa. Quando si discuterà l'articolo sulle funzioni delle cooperative, noi troveremo modo, onorevoli colleghi, e speriamo con largo consenso, di ben definire e precisare le funzioni della cooperativa e le sue attribuzioni. Ma intanto io invoco da parte dei colleghi di accettare questa nostra formulazione che vuole essere appunto la codificazione e la consacrazione in un articolo costituzionale di una realtà incontestabile e su scala nazionale e su scala internazionale. Questa proprietà cooperativistica che oggi risorge, che oggi deve avere restituiti i beni che le vennero violentemente e fraudolentemente sottratti dal fascismo, è una realtà che deve trovare la sua consacrazione in questo articolo e nell'emendamento che io presento alla vostra approvazione.
Io non mi diffondo di più perché so che in questa Aula vi sono molti amici della cooperazione in quanto il problema va al di là dei diversi settori e dei diversi partiti e penso quindi che questo emendamento, anche se patrocinato da questi banchi e da un deputato comunista, debba essere accolto come espressione di una volontà e di una aspirazione di tutti i lavoratori italiani che vedono nella cooperazione uno strumento della loro emancipazione e che vedono nella proprietà cooperativa una forma più avanzata della proprietà così come l'abbiamo conosciuta fino ad oggi. (Applausi).
Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Dominedò e Moro:
«Sostituire il primo comma col seguente:
«I beni economici appartengono allo Stato, ad istituzioni, a privati».
L'onorevole Dominedò ha facoltà di svolgerlo.
Dominedò. Onorevoli colleghi, il mio emendamento concerne il primo comma dell'articolo, a proposito del quale ha già parlato l'onorevole Bibolotti, sottolineando l'opportunità che tra la proprietà privata e pubblica sia fatta menzione della proprietà cooperativa.
Ed in realtà, io ricordo dai lavori della terza Sottocommissione che nella stesura originale del progetto si contemplava appunto questo trinomio: proprietà privata, proprietà cooperativa, proprietà pubblica. In tal caso l'articolo avrebbe avuto un senso specifico, poiché la mera menzione «proprietà privata e pubblica» non pare la più confacente ad un testo costituzionale. Dice poco concretamente, quando rivanghi una distinzione secolare che ci viene dal diritto civile e romano; dice troppo genericamente, quando pretenda esprimere qualche cosa di nuovo.
Tuttavia, secondo me, oggi la proprietà cooperativa non è ancora raffigurabile giuridicamente come un vero e proprio «tertium genus», rispetto alle figure tradizionali di proprietà. Io penserei che la sede più opportuna per venire incontro a tali esigenze, giuridiche, sociali e politiche, sia quella dell'apposita disciplina del fenomeno della cooperazione: mi pare l'articolo 43. Se là si credesse di inserire un inciso, nel quale si parlasse dei caratteri e della struttura della proprietà cooperativa, domani raffigurabile come nuova figura di proprietà collettiva, la norma sarebbe costituzionalmente più appropriata e più aderente alle esigenze così della realtà speciale come della sistematica generale.
È questo il motivo per cui si propone di depennare dal progetto la prima parte del comma. Con il duplice vantaggio di eliminare ogni definizione, che in sede costituzionale mal si addice, e di superare l'ulteriore obiezione per cui, posta una menzione della proprietà privata e pubblica nel primo comma, non si spiegherebbe, o mal si spiegherebbe, come poi nel secondo si riconosca e si garantisca solamente la proprietà privata.
Per quanto riguarda la seconda parte del comma, siamo dinanzi ad una formulazione casistica e descrittiva che lascia perplessi: «i beni economici appartengono allo Stato, agli enti o ai privati». A tacere che gli enti possono essere anche privati e che i privati possono essere anche enti, come è dimostrato da tutta la gamma degli enti oggi concepibili, converrebbe forse adottare una terminologia più significativa. E si potrebbe scegliere fra due vie: o rinunciare del tutto alla prima parte del comma, ovvero sostituire all'espressione «enti» una formula che possa rappresentare un punto di partenza per l'evoluzione giuridica e politica della materia.
Se allora si parlasse di «istituzioni» anziché di enti, si otterrebbe il risultato di contemplare, dal punto di vista giuridico, ogni organizzazione sociale che abbia carattere superindividuale, costituendo una sfera a sé di diritto obiettivo. La dottrina della pluralità dell'ordinamento giuridico si ricollega infatti, col Romano, al concetto di istituzione.
Inoltre, dal punto di vista economico, se si consideri la forza espansiva dello stesso concetto di «istituzione», recentemente estesa dal Greco anche alla nozione di impresa, potremmo, sotto tale profilo, venire incontro alle nuove esigenze, ritenendo implicitamente inclusa nella menzione costituzionale la stessa ipotesi della impresa cooperativa. Ammessa la riconducibilità dell'impresa al concetto di istituzione, noi inseriremmo nella Costituzione un termine, che potrà essere il fulcro su cui lavorare nel futuro, allo scopo di inquadrare sistematicamente le nuove ipotesi che appare opportuno tener presenti, se si vuole che la nostra Costituzione, pur esprimendo la volontà comune, sia sanamente proiettata nell'avvenire, come da più parti sembra invocarsi.
Queste sono le ragioni ispiratrici dell'emendamento, che qui si sottopone al giudizio dell'Assemblea. (Approvazioni al centro).
Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Gabrieli:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«La proprietà privata è riconosciuta e garantita.
«Essa è accessibile a tutti. La legge ne determina i modi di acquisto e ne assicura il godimento nei limiti compatibili con la sua funzione sociale».
Poiché l'onorevole Gabrieli non è presente, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
Segue l'emendamento degli onorevoli Targetti, De Michelis, Mancini:
«Al secondo comma, sopprimere le parole: «e di renderla accessibile a tutti».
L'onorevole Targetti ha facoltà di svolgerlo.
Targetti. Rinunzio all'emendamento.
Presidente Terracini. Seguono gli emendamenti dell'onorevole Perrone Capano:
«Sostituire il terzo comma col seguente:
«La legge stabilisce le norme per la successione legittima e testamentaria».
«Sostituire il quarto comma col seguente:
«La legge autorizza l'espropriazione della proprietà privata per motivi di pubblico interesse, contro giusto indennizzo».
L'onorevole Perrone Capano ha facoltà di svolgerli.
Perrone Capano. Vi rinunzio, associandomi a quelli dell'onorevole Corbino.
Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Nobili Tito Oro e Tega:
«Dopo il terzo comma, aggiungere il seguente:
«Ovunque il bisogno delle popolazioni rurali lo richieda, saranno ricostituite, nei modi da stabilire con legge speciale, le soppresse proprietà collettive destinate al soddisfacimento delle più essenziali necessità di vita e di lavoro nei naturali, sotto la disciplina di Dominî collettivi, Università, Comunanze, partecipazioni agrarie, nonché di Cooperative di lavoro ed agricole».
Non essendo presente l'onorevole Nobili, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.
L'onorevole Grassi ha proposto di sopprimere il terzo comma.
L'onorevole Grassi ha facoltà di svolgere l'emendamento.
Grassi. Se l'Assemblea permette io farei una proposta molto semplice: sopprimere il terzo comma dell'articolo 38, il quale si riferisce esclusivamente ad uno dei modi di acquisto della proprietà, ossia alla successione legittima e testamentaria, quella che tecnicamente si dice successione mortis causa. Non mi rendo conto in maniera sufficiente perché la Costituzione debba considerare in forma particolare questo modo di acquisto della proprietà, quando nel comma precedente è detto che la legge determina tutti i modi di acquisto e i limiti, allo scopo di assicurare la funzione sociale della proprietà privata.
Se fra le varie e molteplici forme d'acquisto che il diritto ha regolato e disciplinato nel Codice civile c'entra anche quella della successione mortis causa, bisogna considerare che ce ne entrano anche altre, e siccome la legge stabilirà i modi di acquisto della proprietà in tutte le varie forme, non si comprende la ragione, per la quale dobbiamo fare un precetto particolare per la successione legittima e testamentaria.
In questa forma di trasferimento della proprietà non è considerata un'altra forma, che non è a titolo oneroso, ma a titolo liberale, ma si avvicina nello scopo, ed è la donazione: perché le donazioni e le successioni formano un complesso, per cui in occasione della morte o per contratti tra vivi, vengono trasferiti i beni mobiliari e immobiliari.
Ora, non mi rendo conto della necessità che la Costituzione si occupi soltanto di una parte, ossia soltanto delle successioni legittime e testamentarie e non delle donazioni. Vi fo rilevare che nessuna Costituzione si è occupata di questa questione, all'infuori di due. Una — e questo è logico — la russa che con l'articolo 10 ha disposto che la successione è garantita: ma questa è una conseguenza del sistema economico, in quanto nel sistema economico russo non è consentita la proprietà privata se non nei limiti stabiliti dall'articolo 10. L'articolo 10 della Costituzione russa stabilisce la possibilità di un risparmio individuale in casi limitatissimi ed è logico che si occupi della successione di questo risparmio. Se n'è occupata anche la Costituzione di Weimar, quella Costituzione razionalista a cui spesso facciamo riferimento. Anch'essa si è trovata in una posizione tutta particolare. Ha stabilito di garantire il risparmio in un momento in cui poteva essere dubbio se il risparmio accumulato dall'individuo, potesse essere trasferito, e quindi ha voluto affermare questo diritto, che non si sente il bisogno di affermare nelle Costituzioni che hanno come base il rispetto della proprietà privata. E nella Costituzione di Weimar è riconosciuto il diritto di successione, in quanto è affermato con l'articolo 154 il diritto dello Stato ad un prelievo sulle eredità.
L'onorevole Ghidini ha risposto a diverse preoccupazioni che ho visto manifestate da diversi settori dell'Assemblea. Gli emendamenti presentati da altri non sono soppressivi come il mio; essi stabiliscono che la legge deve occuparsi della successione legittima e testamentaria, togliendo la parte che si riferisce ai diritti dello Stato. Ora io dico che è meglio non parlare delle successioni, sopprimendo l'intero comma. Dal momento che l'onorevole Ghidini ha detto che non si intende che il diritto dello Stato consista in un prelievo, ma nel diritto di successione oltre il sesto grado e questo la legge civile prevede, non capisco perché la Costituzione debba parlarne in questa occasione. Né comprendo perché dobbiamo occuparci dei diritti fiscali dello Stato sulle eredità, quando lo Stato interviene in tutti i trasferimenti della proprietà. D'altra parte vi lascio considerare quale pericolo sarebbe se il fisco dovesse diventare coerede nelle successioni; noi faremmo entrare il fisco nei rapporti familiari più stretti. Non vi parlo delle grandi successioni, che sono statisticamente poco numerose, ma delle innumerevoli successioni di modesti patrimoni. Volete fare intervenire il fisco in questi rapporti familiari? Lo Stato si mantenga come terzo, richieda dei prelievi sul valore dell'asse ereditario; ma non come compartecipe: aumenteremmo i dissidi e le divergenze, in occasione delle successioni, e scompagineremmo l'unità della famiglia.
Penso sia molto più semplice sopprimere senz'altro il comma e lasciare al legislatore il compito di regolare le successioni ed i diritti fiscali dello Stato sulle eredità.
Presidente Terracini. Prego l'onorevole Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione, di esprimere il parere della Commissione per la Costituzione sugli emendamenti presentati all'articolo 38.
Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. L'onorevole Colitto col suo emendamento propone di sopprimere la prima parte dell'articolo 38. Inoltre l'onorevole Colitto propone:
«La proprietà privata è garantita entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi che l'ordinamento giuridico stabilisce anche allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Può essere espropriata per motivi di interesse generale, dichiarati con legge, contro indennizzo».
L'espressione: «anche allo scopo di assicurarne la funzione sociale» ha uno scopo. Mentre nel testo la funzione sociale della proprietà ha un posto di primo piano ed è l'obiettivo principale, invece stando all'emendamento l'interesse privato appare preminente sopra la funzione sociale. In ciò non siamo d'accordo, perché tutto lo spirito del testo è informato a diverso concetto: che cioè l'interesse sociale è o alla pari o preminente sull'interesse individuale e particolare. L'emendamento dice inoltre: «La proprietà privata è garantita entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi che l'ordinamento giuridico stabilisce».
In esso, come in altri di cui dirò dopo, il concetto di limite è riferito agli obblighi, che la legge impone, mentre nel testo della Commissione il concetto di limite è riferito alla proprietà. La cosa è profondamente diversa e non è necessario che lo dimostri. Quindi si tratta di una modificazione di carattere sostanziale, in contrasto col concetto informatore del testo accettato, salvo rare eccezioni, dalla Commissione dei settantacinque indipendentemente dai particolari orientamenti politici dei suoi componenti.
Per questa ragione la Commissione è del parere che non debba essere accolto l'emendamento Colitto.
Viene successivamente l'emendamento dell'onorevole Marina: «La proprietà è pubblica o privata». E qui si sopprime l'inciso: «I beni economici appartengono allo Stato, ad Enti od a privati».
Il che può essere un male o un bene; ma di questo diremo dopo.
«La legge autorizza, per motivi di interesse generale, l'espropriazione della proprietà privata, salvo l'indennizzo».
L'emendamento non parla di modi di acquisto, né di modi di godimento; ma sopratutto non parla di «limiti», abolendo in tal guisa ciò che l'articolo aveva di caratteristico; abolendo anzi la ragione stessa della sua esistenza. Rimane soltanto l'ultimo inciso, quello che si riferisce alla «espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo per motivi di interesse generale», che lascia immutata la situazione legislativa esistente la quale consente, colla legge del 1865 e successive, l'espropriazione per ragione di pubblica utilità.
Vi è poi un emendamento che per verità precede ma che avevo dimenticato. È l'emendamento sostitutivo degli articoli 38, 39, 40, 41, 42 e 43, presentato dall'onorevole Bruni.
Sono tre articoli costituenti un unico emendamento. Mi limito a leggere solamente il primo:
«Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale».
Ci troviamo di fronte alla proposta di una rivoluzione completa dell'ordinamento economico del nostro Paese. Non è il comunismo statale, che vi si propone, ma il comunismo delle associazioni, il comunismo delle collettività.
Io non voglio dire che il pensiero dell'onorevole Bruni non sia un pensiero elevato e non possa in un domani, più o meno prossimo, diventare una realtà, ma devo dire che noi non abbiamo inteso col progetto di Costituzione di mutare essenzialmente il sistema economico vigente.
Diamo atto che l'attuale è una situazione di transizione, ma non è tale da consentire una rivoluzione così profonda, come questa che egli ha suggerito nel suo emendamento.
È per questa ragione di acronisticità che la Commissione non ritiene di potere accogliere l'emendamento dell'onorevole Bruni.
C'è un emendamento dell'onorevole Perlingieri, del seguente tenore: «La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad Enti od a privati».
E questo lascia intatto il primo comma del testo. L'emendamento continua: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita. «La legge regola»... (invece che «determina», che secondo noi è dizione più esatta) «...i modi di acquisto e l'esercizio del diritto in conformità alla sua funzione sociale ed allo scopo di favorirne la diffusione». Secondo l'onorevole Perlingieri la frase che propone è più propria ed accenna a qualcosa che praticamente si può meglio raggiungere. Io penso che si tratta di una modificazione di carattere formale e ritengo che il testo della Commissione sia migliore anche dal punto di vista letterario. La proposta di Perlingieri è manchevole inoltre perché esclude i «limiti» mentre è proprio questo il punto centrale, caratteristico e innovativo della disposizione. Per questo credo non potersi accogliere l'emendamento.
«La legge regola altresì la successione legittima e testamentaria». E questo rientra nell'ambito di altri simili emendamenti di cui parleremo dopo. «La legge autorizza, per motivi di interesse generale, l'espropriazione della proprietà privata contro giusto indennizzo». Abbiamo eliminato l'aggettivo «giusto». C'è stata su questo attributo «giusto», prima in seno alla terza Sottocommissione e dopo in sede di coordinamento e poi di Commissione plenaria, una lunga discussione. Abbiamo eliminato l'aggettivo «giusto» perché il concetto di giusto è implicito nel concetto di indennizzo. Anche la più recente giurisprudenza è di questo avviso: l'indennizzo, perché sia tale, non può essere ingiusto. Siamo d'accordo che la Costituzione non è un telegramma per doversi risparmiare le parole; ma il superfluo lo dobbiamo eliminare.
C'è poi l'emendamento degli onorevoli Mortati e Mazzei che propongono di sopprimere il primo comma. L'onorevole Mortati, mi dice il signor Presidente, non era presente al momento di svolgerlo. Ad ogni modo la Commissione mantiene il testo. Personalmente potrei avere una qualche simpatia per questa soppressione, ma qui non debbo esprimere opinioni personali.
C'è poi un emendamento degli onorevoli Nobili Tito Oro e Tega: sostituire il primo comma col seguente: «La proprietà è pubblica, privata e di uso civico». Osservo che non ci sembra utile l'aggiunta «e di uso civico» perché non si tratta di una specie particolare di proprietà ma di una forma di godimento o di uso della proprietà pubblica. Ritengo cioè che con «il diritto di proprietà pubblica e privata» si esaurisce tutto quello che può essere detto in proposito.
C'è poi un emendamento dell'onorevole Corbino: «I beni economici appartengono allo Stato, ad enti ed a privati», sopprimendo la prima parte del secondo comma. La Commissione mantiene il testo perché ritiene utile l'enunciazione, sia pure di carattere elementare, che la proprietà è pubblica o privata. Non sarà necessaria, ma neppure nuoce, e può giovare in quanto porge un addentellato ai commi che seguono.
Segue l'emendamento dell'onorevole Bibolotti che dice: «La proprietà è pubblica, collettiva e privata».
Nel testo abbiamo detto che la proprietà è pubblica o privata, non «collettiva», perché la parola, dal punto di vista giuridico, ci sembra impropria. Con l'espressione «collettiva» si coglie l'aspetto economico dell'istituto della proprietà, piuttosto che l'aspetto giuridico. E poiché noi facciamo un testo giuridico ci sembra più esatto il dire soltanto che la proprietà è «pubblica o privata».
Dice ancora l'onorevole Bibolotti che «I beni economici possono appartenere allo Stato e agli Enti pubblici, alle cooperative, ai privati individualmente o collettivamente». La dizione proposta non ci sembra tecnicamente esatta. Come giustamente osservava l'onorevole Dominedò, non si può ancora dire che la cooperativa rappresenti un tertium genus nel campo del diritto di proprietà. È bensì un qualche cosa di intermedio fra la proprietà pubblica e quella privata sotto il profilo economico, ma non sotto il profilo giuridico. Indiscutibilmente la cooperativa è di diritto privato. Ad ogni modo, siccome la cooperazione ha una funzione importantissima, tanto importante che noi abbiamo dettato per essa un apposito articolo, vuol dire che potremo tornare allora sull'argomento. Non credo che l'onorevole Bibolotti possa avere ragioni per non aderire a questa proposta. Quindi, la Commissione si riserva di prendere in esame la proposta dell'onorevole Bibolotti, per quanto attiene al diritto di proprietà nei riguardi delle cooperative, quando si discuterà dell'articolo 42.
L'onorevole Gabrieli si è associato all'emendamento dell'onorevole Corbino, che così dice:
«Sostituire il secondo comma col seguente:
«La proprietà privata è riconosciuta e garentita. La legge ne determina i modi di acquisto e ne regola i limiti di godimento e di uso, anche allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla più facilmente accessibile a tutti».
Qui ricordo le osservazioni che ho fatto dianzi, a proposito dell'emendamento Colitto. In questi emendamenti il concetto di «limite» è riferito in modo chiaro, espresso e preciso all'uso e al godimento, mentre invece il testo lo riferisce alla proprietà. La cosa è diversa, e noi non possiamo accogliere l'emendamento che è in contrasto con lo spirito del testo come è stato elaborato e approvato dalla Commissione.
Vi è poi l'emendamento Barbareschi, del tenore seguente:
«Al secondo comma sostituire la parola: garantita, con la parola: tutelata».
Osservo che la tutela è qualcosa di più della garanzia. E se di tutela si può parlare nel caso della piccola e media proprietà (come è già detto nell'articolo 41) non ci sembra che sia il caso di parlarne a proposito di quella che eccede i limiti della media. Anche per questa ragione noi manteniamo il testo con la parola «garantita» invece che «tutelata».
L'onorevole Corbino propone di sostituire il terzo comma col seguente:
«La legge stabilisce le norme della successione legittima e testamentaria».
Nello stesso ordine di idee vi è un successivo emendamento a firma dell'onorevole Barbareschi ed altri così formulato:
«Le successioni legittime e testamentarie e le espropriazioni per motivi di interesse generale sono regolate per legge».
Tutti questi emendamenti hanno di comune che parlano di successioni legittime e testamentarie, senza far cenno ai diritti dello Stato.
L'onorevole Grassi a sua volta chiede la soppressione completa del terzo comma.
Io debbo rispondere a tutti che la menzione del diritto successorio è stata fatta per volontà e desiderio espresso di coloro che volevano fosse messo l'accento sul diritto di proprietà privata appunto perché tale diritto trova la sua espressione più caratteristica nel diritto successorio.
Ma dove l'opposizione è più generale è per quanto riguarda i diritti dello Stato. A questo riguardo debbo dire che è verissimo che nella legislazione civile attuale, come in quella precedente, il concetto era contemplato in duplice forma: sotto la forma dello Stato legittimario (nel caso che non vi siano parenti sino al 6° grado), come sotto il profilo della tassa di successione (che non è una vera e propria tassa ma è piuttosto un prelievo sul capitale).
Con questa disposizione, che potrebbe apparire ultronea, la Commissione ha voluto lasciare adito alla possibilità di innovazioni anche nel campo del diritto successorio, specialmente per quanto riguarda lo Stato. La Commissione non ignora che vi è una tendenza diretta ad aumentare i diritti dello Stato sulle eredità ed il meno che potevamo fare era di lasciare aperta la strada ad eventuali innovazioni.
Resta ancora l'emendamento degli onorevoli Dominedò e Moro, i quali hanno proposto di sostituire il primo comma col seguente: «I beni economici appartengono allo Stato, ad istituzioni, a privati».
Io ricordo — e lo ricorderanno certamente anche gli onorevoli Dominedò e Moro — che, a proposito della parola «istituzioni», vi è stata una vivace discussione, prima in seno alla prima Sottocommissione e poi in sede di commissione di coordinamento; discussione alla quale ho partecipato io stesso da un lato e colleghi democristiani dall'altro.
Che con la parola «istituzioni» si possa significare tutto quello che ha dianzi spiegato l'onorevole Dominedò, nessun dubbio. Ma le parole non hanno soltanto il significato che si legge nel dizionario; esse hanno anche un significato che si desume dalle intenzioni che animano coloro che le usano.
Qual è infatti lo spirito e lo scopo di questa modificazione? Non vi è bisogno di possedere un particolare spirito di penetrazione per capirlo. Mi basta ricordare le discussioni che avvennero prima davanti alla prima Sottocommissione fra gli onorevoli Moro e Dossetti da un lato e l'onorevole Togliatti dall'altro, e dopo fra me e l'onorevole Dossetti in sede di coordinamento.
Con la parola «istituzioni» si è voluto affermare il diritto di proprietà delle congregazioni religiose. Ci fu chi ha parlato (l'onorevole Togliatti se non m'inganno) di manomorta. Intervenne allora, per placare gli animi, l'onorevole Tupini e dobbiamo a lui se alla parola «istituzioni» fu sostituita la parola «enti».
A me pare insomma che questa parola «istituzioni», secondo lo scopo che si propone l'emendamento, rappresenti una pretesa eccessiva.
Io vorrei pertanto suggerire ai democristiani di abbandonarla. Abbiamo già in questa Carta costituzionale molto che possa soddisfare il loro amor proprio di parte: vorrei dire, anche troppo!
Con questo ho inteso d'esprimere la mia opinione personale, persuaso che sia conforme a quella della maggioranza della Commissione.
Presidente Terracini. Chiederò ai presentatori di emendamenti se, dopo le dichiarazioni della Commissione, intendano mantenerli. L'onorevole Bruni ha presentato un nuovo testo integrale che dovrebbe sostituire sei articoli del testo. Intende mantenere, onorevole Bruni, la sua proposta?
Bruni. La mantengo.
Presidente Terracini. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento?
Colitto. Non lo mantengo.
Presidente Terracini. Onorevole Marina?
Marina. Lo ritiro.
Presidente Terracini. Onorevole Perlingieri?
Perlingieri. Ritiro il mio emendamento relativo al quarto comma, perché mi dichiaro soddisfatto delle dichiarazioni del Presidente della terza Sottocommissione.
Per quanto riguarda l'emendamento relativo al secondo e al terzo comma, insisto, e ne chiedo la votazione.
Presidente Terracini. Poiché gli onorevoli Mortati e Mazzei non sono presenti, i loro emendamenti si intendono decaduti.
Onorevole Nobili Tito Oro, mantiene i suoi emendamenti?
Nobili Tito Oro. Li ritiro.
Presidente Terracini. Onorevole Corbino, mantiene i suoi emendamenti?
Corbino. Li mantengo.
Presidente Terracini. Onorevole Bibolotti, mantiene il suo emendamento?
Bibolotti. Lo ritiro.
Presidente Terracini. L'onorevole Dominedò mantiene il suo emendamento?
Dominedò. Non avrei difficoltà a rinunciare alla formulazione proposta, a patto di tener fermo e di porre nella dovuta evidenza che il concetto ispiratore dell'emendamento non poteva né doveva ricondursi — mi consenta il Presidente Ghidini — a quegli schemi circoscritti e impropri, da lui richiamati con interpretazione all'atto personale.
Ciò è comprovato, se occorresse, anche dal fatto che le discussioni sorte nella prima Sottocommissione e nel Comitato di coordinamento in relazione agli aspetti richiamati dall'onorevole Ghidini, riguardavano non tanto questo testo, quanto quello dell'articolo 15 della Costituzione.
Riaffermando così la vera portata dell'emendamento, nella latitudine del suo significato giuridico e sociale, non insisto in una formulazione che pur ritengo teoricamente e praticamente ineccepibile.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo fare una breve e semplice dichiarazione. L'onorevole Ghidini ha riferito sugli sviluppi di una discussione che si è svolta in seno ad una Sottocommissione esattamente nel senso che egli ha detto. Aggiungo — e sono certo di concordare col suo pensiero — che l'atteggiamento della Commissione in questo momento di fronte all'emendamento dell'onorevole Dominedò, che, accogliendo la nostra preghiera, egli ha ritirato, prescinde dalle considerazioni svolte allora, e si basa soprattutto sul criterio di non entrare in specificazioni particolari che, qualunque caso si prevedesse, sarebbero sempre incomplete e non esatte.
Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. Ho già dichiarato che ho inteso di esprimere il mio pensiero, nella fiducia che sia tale anche il pensiero della Commissione.
Presidente Terracini. Non essendo presente l'onorevole Gabrieli, il suo emendamento si intende decaduto.
Onorevole Grassi, mantiene il suo emendamento?
Grassi. Per le ragioni che ho esposto, dovrei mantenerlo, ma se si intende che, con le dichiarazioni fatte dal Relatore, quelle preoccupazioni non hanno più ragione di sussistere, posso anche ritirarlo, associandomi a quello proposto dall'onorevole Perlingieri ed altri.
Presidente Terracini. Pongo in votazione l'emendamento dell'onorevole Bruni:
«Sostituire gli articoli 38, 39, 40, 41, 42, e 43 coi tre seguenti:
I.
Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale.
Lo Stato e gli altri Enti pubblici rientrano in questo esercizio limitatamente alla loro funzione di difesa e di coordinamento del bene comune.
II.
I lavoratori di un determinato ciclo produttivo acquistano il diritto di gestire la loro azienda. A seconda dei settori economici esso viene esercitato col concorso, più o meno diretto, dello Stato, delle Regioni, dei Municipi, dei Sindacati o di altri Enti più direttamente interessati.
Nell'ambito del bene comune le piccole gestioni a tipo individuale e familiare potranno assumere carattere vitalizio con diritto di successione.
III.
La proprietà dei beni d'uso è assicurata dalla Repubblica a tutti i lavoratori, proporzionalmente alla quantità e qualità del lavoro di ciascuno, e con riguardo delle persone a carico».
Questi articoli rappresentano un complesso che non è possibile suddividere in parti corrispondenti alle disposizioni dell'articolo 38.
Occorre perciò che io chieda all'Assemblea se accetta di assumere i tre articoli proposti dall'onorevole Bruni come eventuale base di una discussione sui problemi che abbiamo esaminato in quest'ultima ora e su quelli che dovremo esaminare prima di concludere l'esame del Titolo III. Pongo pertanto ai voti questa questione generale di principio.
Nel caso che la proposta fosse accettata dall'Assemblea, dovremmo esaminare nel loro complesso tutte le disposizioni dei sei articoli considerati dall'onorevole Bruni; altrimenti riprenderemo la strada che abbiamo percorsa fino ad ora.
(Non è approvata).
Pongo in votazione il primo periodo del primo comma dell'articolo 38, che è soppresso nel primo emendamento Corbino:
«La proprietà è pubblica o privata».
(È approvato).
Pongo in votazione il secondo periodo del primo comma che è identico al primo emendamento Corbino:
«I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati».
(È approvato).
Passiamo al secondo comma: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».
Per questo secondo comma è stato mantenuto l'emendamento sostitutivo dell'onorevole Perlingieri, del seguente tenore:
«La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge regola i modi di acquisto e l'esercizio del diritto in conformità alla sua funzione sociale ed allo scopo di favorirne la diffusione».
È stato anche mantenuto l'emendamento sostitutivo dell'onorevole Corbino:
«La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto e ne regola i limiti di godimento e di uso, anche allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla più facilmente accessibile a tutti».
La prima proposizione è uguale al testo della Commissione:
«La proprietà privata è riconosciuta e garantita».
La pongo in votazione.
(È approvata).
Dei due emendamenti ritengo che si allontani maggiormente dal testo della Commissione quello dell'onorevole Corbino, per l'espressione: «anche allo scopo».
Pongo in votazione la prima parte del secondo periodo dell'emendamento dell'onorevole Corbino poiché la seconda parte si discosta meno dell'emendamento Perlingieri dal testo della Commissione:
«La legge ne determina i modi di acquisto e ne regola i limiti di godimento e di uso, anche allo scopo di assicurare la sua funzione sociale».
(Non è approvata).
Pongo in votazione la prima parte del secondo periodo dell'emendamento Perlingieri:
«La legge regola i modi di acquisto e l'esercizio del diritto in conformità alla sua funzione sociale».
(Non è approvata).
Pongo in votazione la prima parte del secondo periodo nel testo della Commissione:
«La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale».
(È approvata).
Pongo in votazione la seconda parte del secondo periodo dell'emendamento Perlingieri:
«ed allo scopo di favorirne la diffusione».
(Non è approvata).
Metto in votazione la seconda parte del secondo periodo dell'emendamento Corbino:
«e di renderla più facilmente accessibile a tutti».
(Non è approvata).
Metto ai voti la seconda parte del secondo periodo del testo della Commissione:
«e di renderla accessibile a tutti».
(È approvata).
Passiamo al terzo comma:
«Sono per legge stabilite le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità».
Vi sono due emendamenti sostitutivi. Il primo, dell'onorevole Perlingieri, è del seguente tenore:
«La legge regola altresì la successione legittima e testamentaria».
Il secondo, dell'onorevole Corbino, dice:
«La legge stabilisce le norme della successione legittima e testamentaria».
Ritengo che sia da votare in precedenza l'emendamento Perlingieri.
Cappi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Cappi. Parlo a nome strettamente personale. Voterò l'emendamento Perlingieri soppressivo della frase «ed i diritti dello Stato sulle eredità».
Non ripeto le ragioni già esposte da altri. E, contro facili accuse che sono state mosse, mi conforta il pensiero che anche da parte socialista era stato proposto questo emendamento soppressivo delle parole «ed i diritti dello Stato sulle eredità».
Ai colleghi del mio Partito ricordo che nel congresso del partito popolare di Napoli del 1920 un uomo che non può essere certo accusato di conservatorismo, Don Luigi Sturzo, insorgendo contro un ordine del giorno estremista proposto da due persone, una delle quali finì gerarca fascista (questi movimenti pendolari non sono rarissimi) Don Luigi Sturzo dichiarò che, sia pure nei limiti della funzione sociale, il diritto di proprietà e il diritto di trasmissione ereditaria dovevano intendersi essenziali alla dottrina sociale cristiana. Fermo il diritto dello Stato di succedere oltre un certo grado di parentela e il diritto dell'imposta di successione, il di più sarebbe un esproprio senza indennità.
Per queste ragioni io dichiaro che voterò l'emendamento soppressivo dell'onorevole Perlingieri.
Taviani. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Taviani. La maggioranza del Gruppo democristiano ha aderito al testo della Commissione proposto da commissari democristiani come espressione del pensiero cristiano sociale.
Certo, vi possono essere delle differenze di interpretazione che, a parer mio, riguardano dei particolari tecnici e punti di vista di dettaglio.
Nel complesso non si può mettere in dubbio che con questo terzo comma, mentre si stabilisce chiaramente il diritto naturale all'eredità sia nella successione legittima sia in quella testamentaria, si stabilisce anche che quella parte, che lo Stato preleva sotto forma di imposta di successione, ha uno scopo sociale oltre che fiscale. Un pensiero di questo genere è sancito dal Codice sociale di Camaldoli che dichiara esplicitamente:
«Nei casi in cui motivi di giustizia sociale esigano di correggere la riparazione dei beni privati, una conciliazione di interessi di ogni singolo proprietario con l'interesse sociale può essere ottenuta rinviando tale correzione al momento in cui la proprietà dei beni si trasferisce per successione o donazione. Molteplici elementi legittimano quindi il trasferimento alla comunità di una parte dei beni che sono oggetto di trapasso a titolo gratuito».
Per questi motivi noi riteniamo, votando il terzo comma dell'articolo 38, di essere sulla linea integrale del pensiero sociale cristiano.
Corbino. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Corbino. Rinunzio al mio emendamento per associarmi a quello Perlingieri.
Presidente Terracini. Pongo in votazione la formulazione proposta dall'onorevole Perlingieri alla quale l'onorevole Corbino ha dato la sua adesione:
«La legge regola altresì la successione legittima e testamentaria».
(Non è approvata).
Pongo in votazione il testo della Commissione:
«Sono per legge stabilite le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle eredità».
(È approvato).
Sull'ultimo comma vi è la proposta dell'onorevole Corbino di farne un articolo a sé.
Corbino. Chiedo di parlare.
Presidente Terracini. Ne ha facoltà.
Corbino. Trasformo la mia proposta in raccomandazione perché se ne tenga conto in sede di coordinamento.
Presidente Terracini. Sta bene. Pongo in votazione il quarto comma nel testo della Commissione:
«La legge autorizza, per motivi d'interesse generale, l'espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo».
(È approvato).
L'articolo 38 risulta, nel suo complesso, così approvato:
«La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti od a privati.
«La proprietà privata è riconosciuta e garantita. La legge ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
«Sono per legge stabilite le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle eredità.
«La legge autorizza, per motivi d'interesse generale, l'espropriazione della proprietà privata salvo indennizzo».
A cura di Fabrizio Calzaretti