[Il 27 settembre 1946, nella seduta antimeridiana, la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul diritto di proprietà.]
Il Presidente Ghidini dà lettura dei seguenti articoli, risultanti dalla discussione della precedente riunione.
Articolo proposto dall'onorevole Taviani:
«La Repubblica riconosce e garantisce il diritto di proprietà privata. Ciascuno deve potervi accedere col lavoro e col risparmio.
«La legge determinerà le norme che ne regolano l'acquisto e il trasferimento, i limiti e le modalità di godimento, allo scopo di assicurare che la proprietà privata risponda, oltre che ad una funzione personale, alla sua funzione sociale. In conformità agli interessi della produzione, la legge favorirà lo sviluppo della proprietà cooperativa e della piccola proprietà».
Articolo proposto dall'onorevole Corbi:
«La Repubblica riconosce e garantisce il diritto di proprietà privata.
«La legge determinerà le norme che ne regolano i limiti, l'acquisto, il trasferimento, le modalità di godimento, allo scopo di impedire che essa arrechi pregiudizio alla proprietà altrui e contrasti con gli interessi del lavoro e della collettività, per favorire invece la proprietà cooperativa e la piccola proprietà nell'interesse della produzione».
Articolo proposto dall'onorevole Fanfani:
«La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato.
«La legge ne determinerà i limiti di estensione, i modi di acquisto, di uso e di trasferimento, anche a titolo ereditario, allo scopo di farla adempiere alla sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».
Articolo proposto dall'onorevole Lombardo (modificato dall'onorevole Ghidini):
«La proprietà è riconosciuta e garantita dallo Stato nelle forme e nei limiti stabiliti dalla legge.
«Il diritto di proprietà non può essere esercitato contrariamente alla utilità sociale o in modo da arrecare pregiudizio alla libertà e ai diritti altrui, ma dovrà esserlo in conformità all'interesse della collettività».
Tiene a precisare di aver modificato quest'ultimo articolo, in seguito al rilievo fatto dall'onorevole Taviani che in esso erano contenute affermazioni soltanto negative, mentre lo Stato deve intervenire in forma positiva, allo scopo che la proprietà venga esercitata in conformità agli interessi della collettività.
Federici Maria propone di cominciare l'esame dalla formulazione proposta dal relatore.
Taviani, Relatore, rende noto che, tenendo conto delle esigenze sue e degli onorevoli Corbi e Fanfani, nonché avendo rinunziato ciascuno ad una parte delle proprie posizioni, l'articolo potrebbe anche formularsi così:
«La Repubblica riconosce e garantisce il diritto di proprietà privata.
«La legge determinerà le norme che ne regolano i limiti, l'acquisto, il trasferimento e le modalità di godimento, allo scopo di farla adempiere ad una funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, favorendo la proprietà cooperativa e la piccola proprietà.
«L'esercizio del diritto di proprietà privata non potrà essere in contrasto con gli interessi del lavoro ed i programmi economici dello Stato (o della collettività), in modo da arrecare pregiudizio alla proprietà altrui, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana col deprimere il livello di esistenza al disotto del minimo determinato dai bisogni umani essenziali».
Presidente Ghidini, circa il 1° e il 2° comma, gli sembra che la formulazione sia incompleta, in quanto mancante di qualsiasi riferimento alla proprietà collettiva. Per quanto riguarda la 3ª parte, non ha osservazioni da fare. Se non erra, è interamente tratta dalla relazione Pesenti.
Taviani, Relatore, risponde al Presidente che per la proprietà collettiva potrà farsi un apposito articolo. Nel 2° comma sono state concordate le esigenze della funzione sociale e della accessibilità di tutti alla proprietà, mediante le cooperative e la piccola proprietà. Nel 3° comma è stata analiticamente spiegata l'espressione «funzione sociale». Il contenuto di questo comma avrebbe dovuto essere inserito nel secondo, ma per ragioni di forma si è preferito farne un comma a parte.
Giua rileva che l'articolo proposto presenta tutti gli inconvenienti che sono propri di una formulazione concordata. Avrebbe potuto ammettere una formulazione sintetica che comprendesse tutti i vari concetti, ma l'aver preso una parte da ogni articolo, che rappresenta una diversa tendenza, ha portato a creare una formulazione che non può soddisfare né, in particolare, il suo punto di vista, né, in generale, quello giuridico. Quando infatti si dice che lo Stato deve favorire la piccola proprietà e la proprietà cooperativa, si afferma un concetto che domani potrebbe essere in opposizione con l'evoluzione sociale ed attualmente potrebbe dar luogo a contrasti che faranno sentire la loro eco anche in Parlamento.
Come ha affermato nella precedente riunione, non spetta alla Commissione di svolgere idee programmatiche, come sarebbe avvenuto se il suo partito avesse avuto la maggioranza, ma, data la situazione di transizione che attraversa l'Italia, crede che sia invece necessario dare al popolo l'impressione che la Costituzione si basi su principî ben netti che non contrastino gli uni con gli altri. In realtà lo Stato non può favorire contemporaneamente la piccola proprietà e quella cooperativa, che sono due cose antitetiche. Non sarebbe tuttavia alieno dal lasciare ambedue i termini, perché da un lato la piccola proprietà già esiste di fatto e dall'altro, se si arriverà a favorire effettivamente la proprietà cooperativa, sorgeranno tante forme di vere e false cooperative che quella che oggi è l'eccezione, domani diventerà la norma generale.
Preferirebbe perciò adottare la formula proposta dall'onorevole Lombardo, nella dizione modificata dall'onorevole Ghidini, che, per quanto non lo soddisfi interamente, è tuttavia la più sintetica, pur abbracciando tutti i principî che sono emersi negli altri articoli proposti. Può anche errare, ma ritiene che non vi siano differenze sostanziali tra la formula Lombardo e quella di cui ha dato lettura l'onorevole Taviani, la quale, specialmente nell'ultima parte, è troppo estesa e caotica.
Nella dizione dell'onorevole Lombardo vede però malvolentieri l'espressione «è riconosciuta» che è troppo impegnativa e aggiungerebbe alla parola «proprietà» la specificazione «privata».
Il Presidente Ghidini è contrario a parlare specificatamente di proprietà privata. Gli sembra che in sostanza si verrebbe a formulare tutto l'articolo basandolo esclusivamente sulla proprietà privata e cooperativa, trascurando invece la proprietà collettiva.
Giua fa rilevare all'onorevole Ghidini che di fatto in Italia si ha solo la proprietà privata (anche la proprietà cooperativa è in fondo privata), perché quella dello Stato, delle province e dei comuni non può certamente considerarsi collettiva. Si avrebbe quindi nella Costituzione un termine di cui non si conosce il valore.
Taviani, Relatore, non avrebbe nulla in contrario ad iniziare l'articolo con la seguente affermazione: «La proprietà può essere privata o pubblica».
Dominedò, per venire incontro al desiderio dell'onorevole Ghidini, farebbe precedere all'articolo la seguente dizione: «La proprietà può essere individuale, cooperativa e collettiva», ovvero: «La proprietà può essere privata, cooperativa, pubblica».
Taviani, Relatore, ricorda che egli in precedenza aveva proposto di dire: «La proprietà può essere privata e collettiva», ma tale dizione non fu accettata, perché si affermò che il concetto di proprietà collettiva non era ancora giuridicamente riconosciuto.
Giua fa rilevare al Presidente che in regime borghese non può parlarsi di proprietà collettiva nel senso socialista, in quanto anche la proprietà statale o demaniale non può essere considerata collettiva. A tale tipo di proprietà non si potrà giungere fin quando non saranno radicalmente mutate le norme giuridiche che attualmente regolano i rapporti tra produzione e consumo.
Il Presidente Ghidini, come ha già detto, ritiene che la Costituzione non debba consacrare i soli istituti esistenti, ma anche provvedere per quelli che saranno nel futuro. Una Costituzione la quale non facesse che consacrare e difendere quello che è ora in atto, senza preoccuparsi anche di quelle che possono essere le esigenze future, non raggiungerebbe, a suo modo di vedere, il suo vero scopo.
Comprende un tipo di Costituzione che consacri, come quella russa, un regime vigente, in quanto tutti gli ordinamenti hanno subìto profonde e radicali trasformazioni; ma in un periodo di transizione, di mutamenti di istituti sociali, giuridici ed economici come è quello attuale, la Costituzione non può e non deve soltanto consacrare lo stato presente, ma deve intravedere quello che ci sarà nel domani, senza negare la libertà alla volontà popolare del futuro.
Per questi motivi ama parlare di proprietà collettiva, non come qualche cosa che attualmente esiste, ma nel senso invece di una possibilità a venire. D'altra parte non si sente nemmeno disposto a legarsi in modo assoluto al concetto di difesa e incremento della proprietà — a suo giudizio spesso antieconomica — alla quale in vista di una finalità futura preferirebbe la grande proprietà industrializzata e socializzata. Se si accedesse al suo punto di vista, parlerebbe solo di proprietà, senza specificare se privata, cooperativa o collettiva. Se invece si inseriscono le specificazioni di proprietà privata e cooperativa, dovrebbe essere fatto cenno a quella collettiva, perché il primo tipo di proprietà rappresenta l'oggi, il secondo il domani, il terzo il dopodomani.
Giua ripete che attualmente, in un articolo della Costituzione, non si può parlare di proprietà collettiva. L'onorevole Ghidini crede — e questo è il dissidio in famiglia — che formulando una Costituzione elastica si possa giungere, attraverso gradi successivi, alla società socialista. Nega recisamente che attraverso tale elasticità si possa raggiungere questo risultato, anche perfezionando la Costituzione, perché il passaggio tra lo stato presente e la società socialista del domani avverrà solo attraverso un salto brusco, o conato rivoluzionario che porterà ad una Costituzione completamente nuova.
Il Presidente Ghidini ritiene che sarebbe preferibile, se fosse possibile, evitare i salti bruschi.
Dominedò pensa che la preoccupazione dell'onorevole Ghidini trovi risposta negli intendimenti originari della relazione Taviani, la quale snoda tre ipotesi della proprietà: individuale, cooperativa e collettiva.
Desidera chiarire che quando si parla di proprietà collettiva, si intende alludere a qualche cosa di ben diverso dalla proprietà demaniale o sociale. La prima, fra l'altro, si differenzia dalla proprietà collettiva per il fatto di essere formalmente imprescrittibile e inalienabile; la seconda è anch'essa individuale in quanto fa capo ad un ente a cui è riconosciuta una personalità giuridica. La proprietà collettiva deve invece rispondere all'avvento di quel mondo nuovo cui mirano anche l'oratore e il suo gruppo. Non avrebbe quindi alcuna difficoltà ad un'enunciazione con la quale si affermasse che la proprietà può essere individuale, cooperativa e collettiva, intendendosi però che quando si parla di funzione sociale, ci si vuole riferire alla sola proprietà individuale, per la quale appunto sorge il particolare problema di contemperare individualità e socialità.
Chiariti questi concetti fondamentali, ritiene che la Sottocommissione si trovi di fronte a due ipotesi: o premettere esplicitamente la indicazione dei tre tipi di proprietà, ovvero limitarsi ad una enunciazione di principio e poi, nello snodarsi dei singoli articoli, con senso storicistico, vedere quali delle tre ipotesi debbano essere tradotte in norme della Carta costituzionale, in modo da evitare la possibilità di salti bruschi per il futuro.
Fanfani chiede ai colleghi di spiegare che cosa si intende per proprietà privata, cooperativistica e collettiva.
Dominedò spiega che la proprietà collettiva è diversa dalla proprietà demaniale. Si tratta di qualche cosa di nuovo e di diverso rispetto alla tradizionale proprietà di diritto pubblico e alla proprietà demaniale strettamente intesa. Le proprietà demaniali si concretano per loro natura nella destinazione inalienabile di determinati beni dello Stato o dei comuni; per quelle collettive invece non v'è un uguale concetto della inalienabilità. È possibile passare dalla gestione individuale alla collettiva o da quella collettiva a forme miste o addirittura individuali, ad esempio in tema di trasporti, perché in tale caso manca un rigoroso presupposto di inalienabilità; questo è il fatto giuridico differenziale, e occorre trovare una formula rispondente a questo concetto.
Fanfani non è d'accordo: la proprietà collettiva è riservata alla intera collettività e non è alienabile.
Il Presidente Ghidini osserva che una piazza è una proprietà inalienabile; ma se se ne modifica la destinazione può diventare alienabile. Il concetto di inalienabilità è vero solo in quanto glielo attribuisce lo Stato; quindi è valido fino ad un certo momento, ma non lo è in senso assoluto e perpetuo.
Dominedò ha dato un primo concetto della demanialità, ma si avvede che l'idea va approfondita. Non v'è dubbio che la demanialità comporti la non alienabilità e la sua non trasformabilità fino a che duri la stessa destinazione; ma l'essenziale è che questa operi per legge naturale, mentre, parlando di proprietà collettiva, le cose stanno diversamente. Un impianto potrebbe essere ridotto, aumentato o trasformato, e potrebbe avvenire il passaggio dalla gestione collettiva ad un'altra forma, diretta o indiretta; non esiste più il concetto rigoroso della inalienabilità o intrasformabilità; subentra una discrezionalità e una latitudine di manovra ben diversa. Chiede se ci possa essere una maggiore precisazione del concetto. Ritiene che questo sia compito del domani, occorrendo porre l'accento piuttosto sull'aspetto dinamico che su quello statico, essendo l'impresa collettiva quella che meglio esprime il significato di una gestione il cui fine è rivolto nell'interesse diretto della generalità. Si intende forse che questa proprietà collettiva non vada allo Stato? Ritiene evidente che debba andare allo Stato.
Marinaro prega i colleghi di precisare dove si trova determinato il concetto della proprietà collettiva al quale si è accennato.
Dominedò risponde che nel sistema vigente non esiste questa determinazione.
Marinaro afferma che per il momento si conosce la proprietà demaniale e quella di diritto pubblico. Qui si parla di proprietà collettiva, come se se ne facesse menzione nei codici o nelle leggi, mentre non è così. Ed allora ritiene innanzitutto necessario precisare il concetto di tale proprietà sino ad oggi inesistente.
Il Presidente Ghidini risponde che il concetto di demanialità si differenzia dagli altri e un elemento per differenziarlo è quello accennato della inalienabilità. La differenza potrebbe essere in questo: che la proprietà demaniale ha una funzionalità in rapporto al servizio al quale è destinata, mentre la collettiva ha una funzionalità più che altro economica e produttiva.
Il fatto che non ci sia ancora, non vuol dire che non possa esservi in avvenire; ed allora occorre prevedere il domani, se non si vuol fare una Costituzione che si chiuda in quello che vi è già.
Se si stabilisce che la Costituzione deve considerare solo quello che già esiste, è disposto a votare l'articolo proposto dall'onorevole Taviani; ma se si vuole proiettare nel futuro l'efficienza della Costituzione, si può parlare anche della proprietà collettiva.
Taviani, Relatore, fa una dichiarazione pregiudiziale. Rifiuta l'affermazione del Presidente che accetterebbe l'articolo nel caso che si volesse sanzionare solo il passato. Afferma che la sua formulazione è innovatrice. Ricorda che la sua prima formulazione, discussa in una adunanza dei relatori, cominciava con le parole: «La proprietà può essere privata e collettiva». Gli onorevoli Colitto e Marinaro fecero allora le stesse osservazioni che oggi ha ripetuto l'onorevole Marinaro, cioè che non esiste nella legislazione il concetto di proprietà collettiva, ma solo quello di proprietà privata e demaniale. Quindi o si resta alla vecchia formulazione giuridica, e si può benissimo cominciare dicendo: la proprietà può essere privata o pubblica; o si vuole aprire la strada a qualche cosa di nuovo, cioè a questo istituto di una proprietà che non è demaniale, chiamandola proprietà collettiva; ma allora occorre distinguere la proprietà cooperativa da quella collettiva; e a questo non ha nulla in contrario. Si tratterà di intendersi sulla formulazione specifica e precisare che per collettiva si intende quella proprietà che, appartenendo alla società, si prefigge uno scopo sociale.
Ripete che, sia che si parli di proprietà cooperativa e collettiva, sia che si formuli un comma dedicato esclusivamente alla proprietà collettiva, egli, l'onorevole Dominedò e altri sono intransigenti su una proposizione in cui si riconosca e garantisca il diritto di proprietà privata, perché, se così non fosse, si determinerebbe la deprecata divisione della Commissione.
Il Presidente Ghidini nota che la divergenza è sulla premessa, perché sulle altre deduzioni vi sarebbe l'accordo.
Lombardo si dichiara disposto ad accettare la premessa togliendo la parola «privata».
Passando ad esaminare l'articolo nella nuova formulazione proposta dal relatore, punto per punto, trova superfluo dire: «La legge determinerà le norme che ne regolano i limiti, l'acquisto, il trasferimento e le modalità di godimento», perché tutto questo si riferisce alla proprietà privata.
In seguito si dice: «allo scopo di farla adempiere ad una funzione sociale (questa è una limitazione) e di renderla accessibile a tutti», e trova che qui si tratta di cosa che già esiste, e che non occorre ripetere per non accordare, con questa dizione, troppo favore alla piccola proprietà e a quella cooperativa, in quanto nel futuro possono venir modificati i concetti di proprietà da qualche rivolgimento di carattere scientifico.
Personalmente poi, se deve ispirarsi alla sua ideologia, non direbbe «favorendo la proprietà cooperativa e la piccola proprietà»; preferirebbe non specificare, perché il concetto di proprietà si può evolvere attraverso il tempo.
Osserva che invece dell'espressione «in contrasto con gli interessi del lavoro, ecc.» si limiterebbe a dire che la proprietà non può essere in contrasto con l'utilità sociale; così sarebbe detto tutto, perché gli interessi del lavoro rientrano nell'ambito della utilità sociale e, se vengono delimitati con indicazioni precise, possono diventare, ad un certo momento, una beffa, perché l'interesse del lavoro di oggi può essere negato o superato domani.
Poi si dice: «in modo da recare pregiudizio alla proprietà altrui, alla sicurezza»; chiede se si vuol parlare della sicurezza individuale o di quella della proprietà.
Si parla poi di libertà e di dignità umana, ma ritiene che il concetto di dignità umana sia assorbito dal concetto di libertà: non c'è dignità umana, se non c'è libertà.
Infine trova elastica l'espressione «bisogni umani essenziali» perché, se ci si riporta al 1917, ad esempio, 700 grammi di pane al giorno potevano essere sufficienti per pagare un individuo che dovesse provvedere ai suoi bisogni umani essenziali, ma è molto differente se si considerano i bisogni di oggi e quelli assai più vasti di domani.
Quindi gli sembra che l'articolo sia limitativo: la formulazione deve avere il carattere più ampio possibile e permettere di porre a fuoco la situazione di oggi e quella che sarà domani, di procedere verso quelle finalità sociali alle quali il cammino è aperto.
Tornerebbe alla formula del Presidente, che gli sembra possa includere con sufficiente latitudine tutti gli aspetti di quella che è l'interpretazione odierna della proprietà e di quella che sarà nel futuro.
Assennato si dichiara d'accordo con l'onorevole Lombardo. Accetta per la prima parte dell'articolo la formula: «La Repubblica riconosce e garantisce il diritto di proprietà».
Crede che i colleghi saranno d'accordo nel riconoscere l'opportunità di non porre una premessa che definisca la vecchia forma di proprietà.
Seguirebbe poi la formulazione nei seguenti termini:
«La legge determinerà le norme che ne regolano i limiti, le forme e le modalità allo scopo di farla adempiere ad una funzione sociale e renderla accessibile a tutti, attraverso le varie forme.
«L'esercizio del diritto di proprietà privata non dovrà essere in contrasto con gli interessi del lavoro e i programmi sociali ed economici dello Stato, né recare pregiudizio alla proprietà altrui, alla sicurezza, alla libertà e dignità umana».
Marinaro limiterebbe il secondo comma alle parole: «regolerà i limiti, le forme e le modalità allo scopo di farla adempiere ad una funzione sociale».
Certo, lo Stato deve determinare la funzione sociale e ha la facoltà di intervenire per stabilire le norme, acciocché la proprietà adempia a questa funzione sociale, e lo può fare per raggiungere tutti gli scopi previsti nella seconda parte dell'articolo. Ne risulterebbe un articolo più snello che non lega le mani del legislatore, il quale potrebbe intervenire in ogni momento.
Il Presidente Ghidini osserva che l'onorevole Assennato elimina la parola «privata» dalla prima parte, per non escludere la proprietà collettiva. E questo sta bene, perché riconoscere solo il diritto di proprietà privata potrebbe interpretarsi come un'esclusione di altre forme di proprietà.
In seguito però dice: «la legge determinerà le norme che ne regolano i limiti, le forme e le modalità» e si chiede se potrà la legge ordinaria raggiungere la finalità alla quale si aspira, qualora nella Costituzione non venga riconosciuta anche la proprietà collettiva. Un futuro interprete potrebbe dire che per il fatto di non essere riconosciuta dalla Costituzione, non è ammissibile. Per queste ragioni chiede che nella Costituzione se ne faccia un cenno; questo potrebbe trovar luogo là dove si parla di funzione sociale.
Fanfani rileva di non aver ricevuto risposta alla sua domanda, eppure è indispensabile, ai fini di quel cappello al primo articolo, di sapere quale contenuto si dà alle espressioni: «proprietà privata, collettiva, cooperativa». Pensava che dai colleghi che da tre giorni usano queste parole sarebbe potuta venire qualche specificazione chiarificatrice.
Pensa che dire proprietà privata e collettiva abbia un senso molto preciso solo se si tiene presente la finalità per la quale la proprietà privata e quella collettiva vengono attuate, e basterà sfiorare un po' la Costituzione russa per rendersene conto.
La proprietà privata è il contrapposto di quella collettiva non quanto all'estensione o alla appropriazione di beni, ma alla modalità; non a fini produttivi, se mai a fini distributivi; la proprietà privata è un modo di riservare i frutti della produzione ad un privato gestore possessore di beni; la collettiva invece si propone o di non ricavare un profitto, o se profitto ci deve essere per la differenza fra il costo e il ricavo, di non riservarlo a beneficio del gestore, ma di distribuirlo ai singoli partecipanti al processo produttivo.
Detto questo, e se in questo vi è l'accordo, riconosce la necessità di premettere un articolo in cui si specifichi che i beni economici possono essere oggetto di appropriamento da parte di persone private, di comunità di lavoro, della collettività. Ma dato che nella Costituzione italiana, negli istituti italiani e nel diritto italiano questi concetti non sono precisati, anziché con parole che presuppongono una definizione che oggi non c'è e dire «proprietà privata e collettiva», converrebbe adottare una espressione un po' più generica che richiami al fatto della proprietà da parte di questi tre tipi diversi: «I beni economici possono essere oggetto di diritto di proprietà da parte di privati, di comunità di lavoro, della collettività».
Questo primo articolo sgombrerebbe il terreno, e molte delle discussioni fatte sarebbero state evitate, se si fosse partiti da una simile premessa.
Fatto questo articolo, se ne dovrebbero formulare due o più altri diretti a precisare quando e perché vengano ammesse le varie forme. Un articolo va dedicato alla proprietà privata per stabilire che è riconosciuta, ma riconosciuta in vista di determinati scopi e entro certi limiti.
Diceva l'onorevole Lombardo nella sua critica che parlando di limiti e di modalità si veniva a circoscrivere e forse a ridurre a ben poco il diritto di proprietà privata.
Questo sarebbe vero se non si uscisse da un sistema di vita in cui quella forma ha avuto un contenuto pressoché illimitato. Quindi per far risaltare che si esce da questo sistema di vita in cui il proprietario ha avuto libertà di poter fare quello che vuole, è indispensabile precisare che, dopo essere stato riconosciuto il diritto di proprietà privata, esso viene limitato con scopi specifici, per inserirlo come una della tante forme in questo sistema sociale nuovo che si vuol costruire per far sì che non sia il privilegio di un abile o di un fortunato, ma che l'accesso alla proprietà possa essere aperto a tutti.
A questo punto si dichiara nettamente contrario a parlare di piccola proprietà, perché così si limiterebbero le possibilità di sviluppo tecnico, mentre limitazioni non dovrebbero trovar posto nella Costituzione; e anche perché potrebbe sorgere l'idea che l'accessibilità si possa concretizzare solo in una porzione di terreno, mentre si deve non solo pensare alla proprietà del suolo o della casa, ma a tutto quello che può rappresentare un bene economico.
Per questo motivo, nessun accenno all'idea della piccola proprietà. Naturalmente subito dopo bisogna formulare un altro articolo relativo alle altre due possibilità prospettate con l'articolo primo: proprietà cooperativa e proprietà della collettività; e stabilire i motivi per cui si passa a queste altre forme, motivi di utilità collettiva, motivi di giustizia sociale; e stabilire che per questi motivi la legge può rivendicare a tutti gli enti pubblici, territoriali o alle comunità di lavoro la proprietà di alcune energie naturali, di porzione del territorio, di determinati complessi produttivi. In qual modo? In due soli modi: o con una riserva originaria, o, dopo avvenuto appropriamento, attraverso un esproprio contro indennizzo.
A conclusione propone alla discussione i seguenti tre articoli:
Art. 1.
I beni economici possono essere oggetto di diritto di proprietà da parte dei privati, delle comunità di lavoro, della collettività.
Art. 2.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dallo Stato (pensa che si possa anche omettere la parola «garantita»).
La legge ne determinerà i limiti, l'estensione, i modi di acquisto, di uso e di trasferimento, anche a titolo ereditario, allo scopo di farla adempiere alla sua funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
Art. 3.
Per esigenze di utilità collettiva, di coordinamento della attività economica e di giustizia sociale, la legge può rivendicare agli enti pubblici territoriali e alle comunità di lavoro la proprietà di alcune energie naturali, di porzioni di territorio, di determinati complessi produttivi, sia mediante riserva originaria, sia mediante esproprio dei privato contro indennizzo.
Assennato fa notare che dopo quattro giorni la discussione viene completamente spostata.
Fanfani ritiene di avere riassunto la discussione.
Assennato per mozione d'ordine, pur ringraziando il collega Fanfani del contributo che dà alla discussione con il suo schema, non può fare a meno di notare che dopo quattro giorni di discussioni, tale schema rischia di mandare a monte tutto il lavoro svolto precedentemente, spostando completamente i termini della questione.
Dominedò crede invece che lo schema proposto sia il frutto dello sviluppo della discussione, alla quale l'onorevole Fanfani non ha fatto altro che aggiungere un anello della catena, tanto è vero che egli si è ricollegato alle tre tesi fondamentali, indugiando sulla definizione delle finalità economiche inerenti alla proprietà e all'impresa collettiva, nello stesso modo in cui l'oratore si era soffermato prevalentemente sulla definizione dei caratteri giuridici, sottolineando l'esigenza di approfondire la nuova ipotesi. Non ritiene pertanto fondata la mozione Assennato.
Corbi ha seguito con molta attenzione l'interessantissima e complessa discussione; però tiene a mettere in evidenza che si discute da più di tre giorni e, se si continua in tal modo, difficilmente si arriverà a concludere i lavori nel termine fissato, tenendo conto del numero di articoli che la Sottocommissione deve ancora esaminare. Crede che la colpa sia del sistema seguìto, nel senso che la discussione sta scivolando nel bizantinismo, da cui difficilmente si potrà uscire se non dando ai lavori un'impostazione diversa. Propone pertanto che il Presidente scelga un articolo che possa servire come base di discussione per apportarvi tutte le modifiche che saranno ritenute necessarie. Il presentare ad ogni momento un articolo nuovo allontana sempre di più da una conclusione.
Si permette poi di richiamare il Presidente sulla necessità di una maggiore autoritarietà sia nel dirigere la discussione, in modo che non vada fuori tema, sia nel mettere in evidenza tutti gli aspetti che possano far confluire verso un punto di convergenza, per arrivare così ad una soluzione più rapida.
Il Presidente Ghidini risponde all'onorevole Corbi che è difficile poter forzare il proprio temperamento, e del resto non crede che vi sia bisogno di richiami nei confronti di colleghi così sapienti e cortesi. Pertanto più che sulla sua fermezza, farà conto sulla buona volontà di tutti i membri della Sottocommissione.
Fanfani desidera chiarire all'onorevole Assennato che se non ha presentato prima il suo schema è solo perché non rientra nelle sue abitudini di venire alle riunioni con una ricetta pronta in tasca; ma stando a sentire attentamente, cerca di rendersi conto della comune opinione e ne trae le conseguenze.
Non può infine accettare il velato rimprovero rivoltogli dall'onorevole Corbi, in quanto non desidera che i suoi articoli siano discussi nel loro insieme, ma solo dimostrare l'interdipendenza delle tre diverse ipotesi.
Assennato insiste nell'affermare che la formulazione proposta dall'onorevole Fanfani può essere causa di profondo sconvolgimento di tutto il lavoro in precedenza svolto. A tale proposito fa notare che la nomina del relatore ha lo scopo di affidare ad uno dei componenti il lavoro più pesante, di porre le basi della discussione, proponendo una formulazione sulla quale devono convergere tutte le osservazioni per apportarvi le necessarie modifiche. Se ognuno presenta nuove formulazioni, la nomina del relatore risulta inutile.
Il Presidente Ghidini, venendo incontro al desiderio espresso dall'onorevole Corbi, desidera mettere in luce i punti di divergenza e convergenza nelle proposte dell'onorevole Fanfani.
Sull'articolo 1 non trova nulla da eccepire, e crede che sulla sua formulazione possano essere tutti d'accordo. Lo stesso concetto afferma per l'articolo 2, anche per quanto concerne la precisazione relativa ai trasferimenti a titolo ereditario, perché se lo Stato riconosce e garantisce la proprietà privata, deve anche correlativamente assicurare la possibilità di poterla acquistare mortis causa.
Sul 3° articolo riconosce invece che possano sorgere divergenze. Si dichiara innanzi tutto favorevole al verbo «può», benché in altre Costituzioni, come in quella francese, sia usato invece il verbo «deve». Soffermandosi poi sulla frase: «la proprietà di alcune energie naturali, di porzioni di territorio, di determinati complessi produttivi», esprime l'avviso che la dizione usata sia troppo indeterminata.
Domanda se tutti siano d'accordo nel riconoscere queste tre forme di proprietà e che alla proprietà privata possano essere segnati limiti di uso.
Assennato trova strano che proprio a lui, comunista, tocchi di rivendicare il diritto di proprietà delle società, che non è compreso nella formulazione del primo articolo.
Taviani, Relatore, a suo avviso, le società sono anch'esse da considerarsi come private.
Assennato ritiene che allora anche le comunità di lavoro dovrebbero considerarsi alla stessa stregua e perciò sarebbe inutile per esse il riferimento dell'articolo 1.
Premesso poi che gli sembra ambiguo il termine «collettivo», fa presente che la parola «territorio» ha una speciale significazione come parte della estensione del suolo nazionale. Si domanda allora perché si debba escludere dalla espropriazione la proprietà immobiliare costituita da stabili. Nel complesso la formulazione proposta, oltre ad essere incerta e lacunosa, mette in condizioni di non poter più discutere.
Propone di sospendere per qualche minuto la riunione, per cercare di trovare, in una conversazione amichevole, una via di accomodamento.
Giua non è d'accordo con l'onorevole Corbi di limitare le discussioni, ma è anzi d'avviso che debbano estendersi quanto più è possibile, se da esse possa ricavarsi qualche concreta utilità.
In particolare paragona la posizione dei suoi colleghi Corbi e Assennato a quella di Proudhon e Marx, il quale, in opposizione al primo, nel suo libro La miseria della filosofia affermava: «Il voler dare una definizione della proprietà come di un rapporto indipendente di una categoria a parte, come un'idea astratta o eterna, non può essere che una illusione di metafisica e di giurisprudenza».
Si dichiara poi favorevole alla formulazione proposta dall'onorevole Fanfani, sia perché personalmente nega che in regime borghese possa affermarsi una proprietà collettiva in senso socialista, sia perché la dizione usata porta una maggiore estensione non solo al concetto di proprietà privata e cooperativa, ma anche a quello di proprietà collettiva che è assai diverso da ciò che i socialisti intendono.
Taviani, Relatore, per una vota tanto, si dichiara d'accordo col Presidente e lo ringrazia per aver fatto un ulteriore passo verso le posizioni del suo gruppo. Salvo ad integrare l'articolo 3 in modo che siano meglio precisati i beni che possono essere oggetto di espropriazione a favore di enti pubblici territoriali o di comunità di lavoro, gli sembra che tutti siano d'accordo sul principio del riconoscimento della proprietà privata. Del resto anche le formulazioni degli onorevoli Corbi e Lombardo non divergono nettamente e sarà facile giungere ad una intesa. Nel timore però che successivamente, in sede di votazione, sorgano dei contrasti, desidera riaffermare ancora una volta la assoluta necessità che nella Carta costituzionale sia sancito ben chiaro il principio che lo Stato riconosce e garantisce la proprietà privata. Questo principio rappresenta per il suo gruppo un'esigenza imprescindibile, dalla quale è impossibile derogare. Su questo argomento considera quindi inutile continuare la discussione, dichiarandosi disposto, in caso contrario, a presentarsi all'Assemblea con una separata relazione.
Desidera anche precisare che la formulazione ultima che ha proposto era il frutto di un accordo a cui si era pervenuti dopo un'amichevole conversazione svoltasi tra l'oratore e gli onorevoli Corbi e Assennato.
Il Presidente Ghidini, circa l'ultima parte dell'articolo 3, formulato dall'onorevole Fanfani, fa presente che è pervenuta la proposta di sostituire alle parole «contro indennizzo» le altre «con riserva di indennizzo».
Lombardo ha già detto che a suo giudizio l'aggettivo «privata» era una superfetazione, perché la sostanza del dibattito sulla proprietà verte in sede ideologico-filosofica sul concetto della proprietà privata. Dichiara di riconoscere in pieno la proprietà privata, ma nella formulazione accennata dal Relatore gli sembrava che «privata» significasse che fino ad oggi c'era stata un'altra forma di proprietà e che fosse venuto il momento di riconoscere quella privata. Invece questa esiste ed ha costituito l'oggetto di ampi dibattiti attraverso i secoli.
Dicendo soltanto «proprietà» si considera qualunque tipo di proprietà, quella personale, quella di carattere pubblico e quella collettiva.
Oggi c'è la proprietà privata e, per limitarne gli abusi, si debbono assegnare alcune finalità. Quindi non vi è dissenso per quanto riguarda la enunciazione del diritto di proprietà privata; solo non vorrebbe limitare il concetto a quella privata unicamente e non indurre in errore chi leggesse questo testo, che potrebbe immaginare che la Commissione si stia occupando di una cosa che non esiste.
A cura di Fabrizio Calzaretti