[Il 25 settembre 1946 la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione sul diritto di proprietà.]

Taviani, Relatore, osserva che quasi tutte le Costituzioni contemporanee dedicano più di un articolo all'istituto della proprietà; mentre nelle Costituzioni del secolo scorso tale istituto era soltanto accennato tra i diritti della persona umana. Le Costituzioni contemporanee che non parlano della proprietà sono quelle che non trattano affatto i problemi economici, come quelle dell'Austria, della Turchia, della Lettonia, della Polonia. Altre Costituzioni trattano i problemi economici soltanto di sfuggita, e di conseguenza accennano brevemente al diritto di proprietà. Ha fatto questa permessa per chiarire che quella che può essere ritenuta un'eccessiva estensione dei tre articoli da lui proposti è dovuta al fatto che la Sottocommissione aveva deciso di trattare tutti i problemi economici, sia pure restando sul terreno dei principî. Non si può quindi fare a meno di trattare anche della proprietà, sempre sotto l'aspetto statico, perché trattandolo dal punto di vista del suo dinamismo si uscirebbe d'argomento per entrare nel tema trattato dall'onorevole Pesenti, riguardante più che la proprietà in quanto istituto, l'iniziativa privata o l'impresa.

Gli articoli 1 e 2 del progetto di Costituzione, già approvati dalla prima Sottocommissione[i], affermano che la Costituzione ha come scopo l'autonomia, la libertà e la dignità della persona umana nell'ambito della vita sociale organicamente intesa, ed è per questo che, nel trattare il diritto di proprietà, ha voluto attenersi allo stesso principio ed ha così formulato il primo comma dell'articolo primo:

«Allo scopo di garantire la libertà e l'affermazione della persona viene riconosciuta e garantita la proprietà privata frutto del lavoro e del risparmio».

Si parla di persona e non di individuo; si parla cioè di un diritto della persona organicamente concepita nella società. Sul terreno dell'individualismo si potrebbe anche arrivare alla eliminazione dell'istituto della proprietà privata, mentre invece ne rimane il valore naturale, in quanto tende all'affermazione e alla garanzia della libertà della persona umana. Ritiene che, innanzi tutto, occorra stabilire che la proprietà viene riconosciuta dalla Repubblica italiana, e particolarmente la proprietà frutto del lavoro e del risparmio. Naturalmente su questo ci sarebbe da obiettare che vi sono altre specie di formazione del diritto di proprietà privata. Il Codice parla anche di accessione e di eredità. Per l'eredità il Relatore ha formulato un articolo a parte, ma per quanto riguarda l'accessione fa presente che essa è argomento particolare del diritto civile, e non è il caso di includerla in una Carta costituzionale.

Affermato il diritto di proprietà e la garanzia di tale diritto, bisogna stabilire che cosa debbano sancire le norme della legge ed entro quali limiti il diritto di proprietà abbia una forma e un contenuto. Perché parlare di proprietà privata sic et simpliciter è troppo poco, in quanto la proprietà può essere sia quella assoluta del diritto romano, sia quella, limitata ai beni d'uso, della Costituzione russa. Il diritto positivo di proprietà è costituito dalla legge, dal codice, che stabiliscono le norme e inquadrano positivamente il diritto naturale di proprietà nei diversi momenti della contingenza storica; quindi il Relatore non si è limitato a fissare una garanzia e un riconoscimento del diritto di proprietà, ma ha voluto sancire che tale diritto ha i suoi limiti, e la sua precisazione nella legge. Sorge qui il problema vastissimo della conciliazione dei diritti e degli interessi del singolo con quelli della società.

Se ci si limitasse al primo comma dell'articolo da lui proposto, evidentemente si potrebbe supporre di essere rimasti sulla base individualistica, che invece va superata affermando che la società ha il diritto di regolare i rapporti, allo scopo di garantire quelle che sono le funzioni del diritto di proprietà; e non soltanto la funzione personale, ma anche quella sociale, in quanto è evidente che la proprietà privata non ha il solo scopo della garanzia della libertà del singolo, ma anche quello di servire al bene della società. Altro scopo è la possibilità per tutti di accedere alla proprietà, perché, se si costituisce un diritto di proprietà che elimini tale possibilità, si toglierebbe ogni valore all'affermazione che il diritto di proprietà è garanzia della libertà umana. A tal fine ha formulato il secondo comma dell'articolo nel modo seguente:

«Allo scopo di garantire la funzione personale e la funzione sociale della proprietà privata e la possibilità per tutti di accedervi con il lavoro e con il risparmio, la legge determinerà le norme che ne regolano l'acquisto e il trasferimento, i limiti di estensione e le modalità di godimento».

L'ultima parte del comma non deve essere intesa nel senso che si debba fissare come e in qual modo la proprietà debba essere goduta, perché allora non sarebbe più proprietà privata — in quanto la proprietà privata consiste nel disporre dei beni secondo la propria volontà — ma nel senso che si possano fissare i limiti di queste modalità.

Non è una novità ricordare in una Costituzione la funzione sociale della proprietà, in quanto, a parte le Costituzioni più note, come quella di Weimar basta pensare a quella della Columbia, dove la proprietà è affermata addirittura come una funzione sociale. Anche il progetto di costituzione francese dello scorso anno diceva a proposito della proprietà: «Ciascuno deve potervi accedere col lavoro e col risparmio», e questa enunciazione si integrava con l'altra: «il diritto di proprietà non può essere esercitato contrariamente all'attività sociale». Ritiene l'affermazione del progetto francese lacunosa, perché non basta prevedere dei limiti che impediscano il pregiudizio di determinati diritti altrui; la legge deve anche fissare dei limiti in vista della funzione sociale della proprietà e della possibilità per tutti di accedervi.

Qualcuno ha osservato che desidererebbe l'inserimento della parola «inviolabile», usata in quasi tutte le vecchie Costituzioni. Ma bisogna specificare che cosa si intenda per «inviolabile», perché, con tale parola, nelle vecchie Costituzioni, si intendeva dire che la proprietà era un diritto assoluto che, una volta stabilito, non poteva più essere mutato dalla legge. Preso in questo senso, ritiene che non sia il caso di usare tale termine, in quanto, entro i limiti stabiliti dalla legge, tutti i diritti sono inviolabili. Gli pare che l'inviolabilità si potrebbe riferire con un concetto esposto in un articolo della Costituzione cecoslovacca, che dice: «Soltanto la legge può porre dei limiti alla proprietà privata»; esso afferma che i limiti non possono essere posti dal potere giudiziario o da quello esecutivo, ma soltanto dal legislativo. Ma questo concetto è già chiaro quando si dice: «la legge determinerà le norme che ne regolano l'acquisto ed il trasferimento, i limiti di estensione e le modalità di godimento». Vi potrebbe essere possibilità di violazione da parte dei poteri esecutivo e giudiziario, qualora non vi fosse questa affermazione, e qualora invece si usasse la dizione della Costituzione francese: «Il diritto di proprietà non può essere esercitato contrariamente all'utilità sociale», che lascia aperta una porta all'intervento diretto del potere esecutivo e di quello giudiziario.

Passando a trattare uno dei problemi più gravi, cioè quello dei rapporti fra proprietà privata e proprietà collettiva, dichiara subito che per proprietà collettiva non si intende la demaniale, bensì quella dello Stato, delle regioni e dei comuni o di qualsiasi altro ente di diritto pubblico. Intesa in questo senso, l'espressione di proprietà collettiva imposta il problema in maniera diversa da quella in cui è risolto dalle norme del codice civile. Rileva che tali rapporti non sono studiati esclusivamente nella sua relazione e negli articoli proposti, ma anche nella parte riguardante l'iniziativa privata, dato che della proprietà non si può vedere soltanto l'aspetto statico, ma anche quello dinamico.

Osserva che, rifacendosi al secondo capoverso proposto, la società può indirizzare la proprietà a rispondere alla sua funzione sociale e può determinare la possibilità per tutti di accedervi con il lavoro e con il risparmio. Ora possono non essere sufficienti le norme sul diritto di proprietà privata, e può essere necessario che lo Stato introduca altre norme costituzionali per passare alla proprietà collettiva, allorché l'armonia degli interessi non si realizzi in alcun modo, restandosi nel campo del privatismo. Quando evidenti esigenze lo impongano, è necessario passare alla collettivizzazione della proprietà. Ha creduto inoltre opportuno specificare che, soltanto al fine di evitare situazioni di privilegio o di monopolio privato (qualche cosa di simile faceva il primo progetto di Costituzione francese), la legge può riservare alla proprietà collettiva le imprese ed i beni di determinati e delimitati settori dell'attività economica, per evitare così che essi, invece di essere una garanzia dell'affermazione della persona umana, si trasformino in mezzi di sfruttamento. Pertanto il terzo comma dovrebbe essere così formulato:

«Quando lo impongono le esigenze del bene comune, al fine di evitare situazioni di privilegio o di monopolio privato e di ottenere una più equa e conveniente prestazione dei servizi e distribuzione dei prodotti, la legge può riservare alla proprietà collettiva — dello Stato, delle regioni, dei comuni o di altri enti di diritto pubblico — le imprese e i beni di determinati e delimitati settori dell'attività economica. Sempre in conformità agli scopi indicati la legge può trasferire alla collettività la proprietà di imprese o beni determinati».

Dichiara che dove si parla «delle regioni, dei comuni e di altri enti di diritto pubblico», ha ritenuto necessaria la precisazione, perché sia ben chiaro che per proprietà collettiva non si intende soltanto quella dello Stato, e gli sembra necessario riferirsi a tale decentramento, per evitare il pericolo che la collettivizzazione si trasformi in una burocratizzazione, con tutti i pericoli che ne conseguono. Rileva inoltre che il problema del passaggio dalla proprietà privata alla proprietà collettiva comporta la questione della espropriazione. Quasi tutte le Costituzioni hanno un capoverso analogo a quello da lui proposto: «L'espropriazione si attua solo contro giusto indennizzo». Precisa che, nella sua intenzione, tale capoverso non è esclusivamente riferito al terzo comma dell'articolo ma a qualsiasi espropriazione. Non ha usato il termine «qualsiasi», perché lo riteneva superfluo, dato che il capoverso è a sé stante; ma, qualora si volesse interpretarlo come collegato al terzo comma, sarebbe meglio trovare un'altra parola, in quanto non vi è espropriazione soltanto nel caso di collettivizzazione, ma anche per cessione ad altri o per motivi di utilità pubblica.

Esaurito l'argomento della proprietà visto nel suo complesso, rimane quello della trasmissione ereditaria, che è legata alla proprietà privata. A tal fine propone il seguente articolo:

«Il diritto di trasmissione ereditaria è garantito. Spetta alla legge stabilire le norme e i limiti sia della successione nell'ambito della famiglia, sia quella testamentaria. Spetta pure alla legge determinare la parte che lo Stato preleva sulle eredità».

Passando ad esaminare l'ultimo articolo da lui proposto nella relazione, osserva che esso potrebbe essere considerato superfluo; ma ha ritenuto di dover dire qualcosa sulle possibilità delle condizioni concrete cui si deve aspirare per rendere operanti le affermazioni del primo articolo. In uno Stato povero e in un territorio immensamente popolato come è quello italiano, sarebbe illusorio parlare di possibilità per tutti di accedere alla proprietà. L'articolo è così formulato:

«La Repubblica ha il diritto di controllare la ripartizione e l'utilizzazione del suolo, intervenendo al fine di svilupparne e potenziarne il rendimento nell'interesse di tutto il popolo; al fine di assicurare ad ogni famiglia una abitazione sana e indipendente; al fine di garantire ad ognuno — che ne abbia la capacità e i mezzi — la possibilità di accedere alla proprietà della terra che coltiva.

A questi scopi la Repubblica impedirà l'esistenza e la formazione di grandi proprietà fondiarie. Il limite massimo della proprietà fondiaria privata sarà fissato dalla legge».

Nella prima parte dell'articolo, parlando del controllo dello Stato, ha interferito in quello che è il tema dell'onorevole Fanfani; ma ricorda che mentre l'onorevole Fanfani tratta l'argomento da un punto di vista dinamico, egli lo tratta invece da quello statico. Rileva che i principî enunciati sono già stati praticamente adottati dal Governo italiano, come ad esempio la legge sulle terre incolte, che precorre queste norme costituzionali. La possibilità per il contadino di accedere alla proprietà della terra che coltiva è un principio ormai adottato da tutti i partiti di massa; è pertanto evidente che questa norma deve essere posta come principio generale, pur non essendovi la possibilità di arrivare subito a porla in atto. Tali scopi non saranno realizzabili se non si pongono dei limiti all'estensione della proprietà. Si tratta di una questione assai discussa; molti si domandano: è utile porre dei limiti nella estensione o meglio nel valore imponibile alla proprietà, o non è meglio provvedere con mezzi fiscali piuttosto che con limitazioni automatiche? L'osservazione è importante. Nel campo economico infatti realizzano molto di più le limitazioni poste con mezzi fiscali che non quelle automatiche. Non si tratta però soltanto di un problema di migliore distribuzione del reddito, ma di un problema di distribuzione della proprietà terriera. È possibile che si propenda e si sostenga che tutti possano essere piccoli proprietari, o almeno compartecipi della proprietà, se non si limita la grande proprietà terriera nella sua estensione? Certamente in altri territori, come ad esempio quello brasiliano, l'ultimo capoverso proposto non avrebbe ragion d'essere, data la grande estensione di territorio ancora vergine e aperto alla coltivazione. Ma, nel caso dell'Italia, ritiene che sia necessaria l'esigenza di una norma come quella proposta, in quanto paese povero, piccolo e sovrappopolato.

Osserva che a taluno potranno apparire un po' ardite le ultime espressioni dell'articolo proposto; ma occorre tener presente che esse danno all'economia italiana quell'aspetto di rinnovamento sociale che gli elettori hanno nella grande maggioranza mostrato di desiderare.

Intende rispondere in antecedenza ad alcune obiezioni che gli potranno essere fatte. Si potrebbe osservare, innanzi tutto, che gli articoli sono troppo prolissi. Dichiara subito che ha preferito abbondare piuttosto che essere lacunoso, pensando che sarà poi compito della Sottocommissione ridurre le sue formulazioni a norme più concise, pur lasciando inalterata la sostanza. Per incidenza, fa rilevare agli onorevoli colleghi che in un numero del Giornale d'Italia è stato falsato il concetto delle proposte da lui fatte sul diritto di proprietà. Tale giornale diceva infatti che la sua formulazione garantiva soltanto la proprietà in quanto frutto del lavoro, il che sarebbe esatto, se non vi fosse l'articolo successivo sulla eredità. Ci si trova quindi di fronte ad un tentativo di allarmare l'opinione pubblica.

Altra obiezione è quella che ci sono troppo accenti filosofici. Ciò dipende dalla necessità di inquadrare organicamente questi articoli nel complesso della Costituzione, senza farne delle norme staccate. L'articolo 34 della Costituzione francese dell'anno scorso, che riguardava lo stesso tema, sembrava una norma di codice civile. Ora, non gli sembra il caso di ridurre la Carta costituzionale a semplici norme di diritto civile, ma ritiene che sia necessario fare delle dichiarazioni di principio.

Altra obiezione sarebbe quella che alcuni argomenti sono stati tralasciati. Ribadisce che questi sono da rimandare all'esame di altri problemi.

Ultima osservazione potrebbe essere quella che taluni concetti sono troppo arditi. Bisogna tener presente che le affermazioni non sono fatte per demagogia, ma in quanto ritiene che vi sia la possibilità di una loro pratica realizzazione. Compito della Commissione è quello di preparare i principî umani e sociali necessari per adeguarsi alle esigenze del popolo italiano, che a tal fine ha nominato i suoi Deputati alla Costituente.

Assennato chiede per quale motivo il relatore alcune volte usa la parola «Stato» e alcune altre «Repubblica».

Taviani, Relatore, risponde che dove è detto «dello Stato, delle regioni, dei comuni» è preferibile usare la parola Stato, perché con repubblica s'intende lo Stato nella sua complessa organicità.

Assennato osserva che, mentre da tutti si vuole per il futuro la limitazione delle grandi proprietà, con l'ultimo capoverso dell'ultimo articolo si contribuisce a consolidare le grandi proprietà attuali.

Taviani, Relatore, non ha difficoltà a sostituire il presente al futuro e dire «impedisce»; del resto anche altre Costituzioni usano il futuro e il dire che il diritto di proprietà non potrà essere esercitato non significa che lo possa al presente. In questo caso la Costituzione rimanda alle leggi sulla riforma agraria.

Assennato chiede chiarimenti sulla prima parte dell'articolo 1.

Taviani, Relatore, risponde che la proprietà privata si ammette solo quando sussiste lo scopo indicato.

Giua ritiene troppo generico il primo articolo, dove si afferma che la proprietà privata deve essere frutto del lavoro e del risparmio. È difficile stabilire questa condizione e si corre il pericolo di fare una Costituzione che non fissi norme ben determinate.

Inoltre nelle attuali condizioni della Repubblica italiana, è difficile stabilire che cosa si intenda per proprietà collettiva. Il concetto di proprietà collettiva è per i socialisti diverso da quello che si può fissare oggi nella Carta costituzionale; e se rimanesse questa denominazione, i socialisti dovrebbero trovare un altro termine per esprimere il loro concetto.

Propone pertanto di modificare la dizione nel modo seguente:

«La Repubblica garantisce la proprietà privata acquisita nell'ambito della legge — (senza stabilire se è frutto di lavoro e di risparmio o altro) — la quale determinerà le norme che ne regolino l'acquisto o il trasferimento, i limiti, la estensione e le modalità di godimento».

Verrebbe così tolta l'altra parte dell'articolo che richiama il concetto di proprietà collettiva e si evita anche il grave inconveniente che può derivare dalla espressione «giusto indennizzo». Pensa che si potrebbe stabilire un equo indennizzo, qualora si espropriasse una piccola proprietà; ma quando si consideri il problema delle grandi proprietà, del latifondo siciliano, quando si pensi che il proprietario non conosce nemmeno tutta la sua proprietà, che questa non è stata mai usata, non si trova giustificabile stabilire nella Carta costituzionale il concetto dell'indennizzo per espropriazione.

Colitto ritiene che in una Costituzione, la quale è un documento fondamentalmente giuridico, non sia necessario indicare le finalità che lo Stato si propone nel riconoscere un diritto; basta affermare il diritto. Per le finalità è sufficiente quanto è detto nella relazione.

Sul primo comma del primo articolo, che contiene le parola «frutto del lavoro e del risparmio», è d'accordo con l'onorevole Giua nel chiedere che tali parole siano eliminate.

Il secondo comma dello stesso articolo contiene varie enunciazioni: proprietà collettiva, bene comune, situazione di privilegio, monopolio privato, equità e convenienza di prestazione, equità e convenienza di distribuzione, che non sono facilmente definibili.

È d'avviso che l'articolo 2 possa essere fuso col primo e propone che la Sottocommissione approvi un articolo così redatto:

«È riconosciuto e garantito il diritto di proprietà privata. Il contenuto, i limiti, i modi di acquisto, di trasferimento, fra vivi ed a causa di morte, di perdita, sono stabiliti dalla legge.

«Per motivi di pubblica necessità e di utilità definiti con legge si potrà procedere ad espropriazione contro indennizzo».

Quanto all'ultimo articolo, è d'avviso che, nella sostanza, ciò che vi è scritto debba essere affermato in un documento fondamentale della nostra legislazione, quale è la Costituzione; ma pensa che tutto l'articolo possa essere sintetizzato in poche parole che, ritiene, bastino ad esprimere il concetto del relatore: «Lo Stato favorirà lo sviluppo della piccola proprietà».

Dominedò, al primo comma dell'articolo primo, consente nell'abolizione proposta dall'onorevole Giua, ma per questa ragione: che il riconoscimento del diritto alla proprietà, circoscritto all'ipotesi che questa sia frutto del lavoro e risparmio, eccezionale rispetto al sistema vigente, sposterebbe l'asse del sistema stesso. Non vedrebbe la norma realizzabile, in quanto una disposizione successiva prevede una proprietà di origine ereditaria. Manterrebbe largo lo scacchiere delle fonti della proprietà, accennando sì alle necessità sociali, ma non precludendo il novero delle fonti stesse. Preferirebbe una terminologia diversa, più vicina a quella usata nella Costituzione francese, dove si dice: «Ciascuno deve potervi accedere col lavoro e risparmio». Per rimanere aderente alla realtà, userebbe questa formula generica, allo scopo di introdurre l'affermazione di massima, che dà il tono sociale alla norma, per cui la nostra meta tendenziale è la proprietà fondata sul lavoro e il risparmio.

Quindi accede ai concetti espressi dall'onorevole Colitto e propone che l'articolo sia così formulato:

«Allo scopo di assicurare la libertà e l'affermazione della persona umana, viene riconosciuto e garantito il diritto di proprietà privata. Ciascuno vi potrà accedere con il lavoro e con il risparmio. Allo scopo di assicurare la funzione personale e sociale della proprietà privata e il diritto di accedervi, la legge determinerà le norme che regolano l'acquisto, il trasferimento, i limiti, le modalità di godimento».

Corbi ritiene opportuno, per avere una visione più organica del problema, riferirsi anche alla relazione Pesenti, dove sono trattati vari problemi accennati nella relazione Taviani. Ciò faciliterebbe il compito della Commissione.

Taviani, Relatore, dichiara di aver tenuto presenti la relazione Pesenti e quella Togliatti; quest'ultima però è molto rapida e lacunosa.

Corbi è d'accordo con l'onorevole Giua nel ritenere che nel primo articolo non si facciano affermazioni filosofiche, che possono anche essere omesse. Che la proprietà privata debba essere frutto del lavoro e del risparmio, è un concetto generico e difficile a definirsi. Intanto occorrerebbe stabilire il concetto di lavoro.

Taviani, Relatore, dichiara di accettare le modifiche proposte dall'onorevole Dominedò.

Corbi concorda in quanto è contenuto nel terzo articolo del relatore, perché, a suo avviso, non basta dire che la piccola e media proprietà sono tutelate dallo Stato; così non si risolve il problema della proprietà fondiaria in Italia. Nell'articolo proposto dal relatore si sono considerate le varie facce del problema: occupazione di terre, necessità di potenziare il rendimento delle terre, di garantire l'abitazione a ciascuna famiglia, possibilità di accedere alla proprietà della terra che si coltiva; sono questi concetti che rispondono meglio alle esigenze della Costituzione che viene formulata nel clima attuale.

È necessario dire che si limiterà la proprietà terriera, date le caratteristiche del nostro Paese. Per tutte queste ragioni ritiene che l'articolo vada tenuto in grande considerazione, e non approva la proposta dell'onorevole Colitto, che vorrebbe limitare le enunciazioni.

Giua fa una mozione d'ordine, chiedendo che si discuta articolo per articolo.

Dominedò si associa all'onorevole Giua.

Giua osserva che con la limitazione della proprietà privata si può giungere anche a limitare lo sviluppo delle cooperative.

Assennato si dichiara d'accordo per la soppressione della parte dell'articolo che riguarda la finalità. Quando si afferma che la proprietà privata deve avere per scopo e finalità la libertà e l'affermazione della persona, ci si riporta, come ha notato giustamente l'onorevole Dominedò, all'affermazione corrispondente della Costituzione francese. Tale richiamo è esatto, ma osserva che l'affermazione fatta in quell'epoca ha una funzione diversa, in quanto ogni affermazione di carattere statutario è assoluta, ma anche relativa al tempo.

Dominedò dichiara che l'onorevole Assennato non ha interpretato esattamente il suo concetto, in quanto egli si riferiva al precedente dello schema francese, non per quanto riguarda l'affermazione di principio, ma solo rispetto al secondo punto del primo comma: «ciascuno deve poter accedere alla proprietà col lavoro». Il richiamo, che concerneva soltanto quest'ultima parte, ha determinato l'equivoco.

Ritiene che il primo comma sia importante, in quanto costituisce un corrispettivo al secondo: dalla sintesi nasce l'equilibrio.

Il Presidente Ghidini dichiara di essere nemico delle enunciazioni di carattere generale e filosofico. Si può bene pensare che la libertà e l'affermazione della personalità non dipendano necessariamente dalla «proprietà privata». Si può essere liberi e non disporre di alcuna proprietà. Non dobbiamo vincolare il legislatore futuro a enunciazioni di principî che domani potrebbero essere sconfessati o superati. L'affermazione contenuta nella Costituzione che la «proprietà privata» è condizione di libertà, potrebbe impedire al legislatore futuro di sostituire alla proprietà privata, o di accompagnarvi, altre diverse forme di proprietà.

Se domani il legislatore volesse abolire la proprietà privata, dovrebbe necessariamente rinnegare il contenuto della prima parte dell'articolo proposto dall'onorevole Taviani. Concludendo, preferisce che la prima parte dell'articolo si limiti alla enunciazione proposta dall'onorevole Colitto: «Lo Stato garantisce il diritto di proprietà privata».

Fanfani è d'accordo che tutte le qualificazioni finiscono coll'invecchiare la Costituzione stessa. Ma si domanda se le affermazioni proposte dall'onorevole Taviani possano impedire un razionale sviluppo della legislazione in materia di proprietà privata. Se ci si limitasse al solo primo comma, sarebbe d'accordo con la tesi enunciata dal Presidente; ma ritiene che mettendolo in relazione col secondo sulla funzione sociale della proprietà e col terzo che considera anche la proprietà collettiva, quelle norme non abbiano soltanto lo scopo di rivendicare alla proprietà privata la difesa della personalità umana, ma possono, se mai, acquistare sapore di invito a modificare la proprietà privata tutte le volte che questa non serva a garantire la libertà e il bene, non solo del singolo cittadino, ma di tutti quanti i cittadini. Da qui la necessità di un secondo articolo, il quale, riferendosi alla funzione sociale della proprietà e alla necessità di fare accedere alla proprietà tutti i cittadini, limiti nell'estensione, nell'origine, nei modi di trasferimento, anche a tipo ereditario, la proprietà privata; e infine di un terzo articolo in cui si prende in esame la proprietà collettiva stabilendo i modi e i tempi in cui lo Stato dovrà sottrarre la proprietà all'iniziativa, o al dominio privato per passarla all'iniziativa o al dominio collettivo, per dare a tutti gli uomini il massimo di libertà e di benessere che, in quei determinati casi, la proprietà privata non garantisce.

Non vede alcun pericolo a che in ogni articolo, alla formula prettamente giuridica che afferma il diritto o la possibilità di limitarlo, si stabilisca e si faccia seguire anche un'idea direttrice, che faccia capire il perché di quella affermazione giuridica o costituzionale. Con questo non scende a studiare quale deve essere il tenore della giustificazione; si limita ad opporsi all'idea espressa dall'onorevole Colitto e dall'onorevole Presidente, perché ritiene che, come si è fatto finora a proposito dell'istituto della proprietà privata, qualche messa a fuoco dal punto di vista dottrinario sia necessaria, purché sia condivisa da tutta la Commissione, per illuminare il futuro sviluppo legislativo.

Presidente Ghidini. L'onorevole Fanfani non disconosce che l'enunciazione della 1ª parte dell'articolo potrebbe limitare la libertà del legislatore futuro. Questo pericolo, però, verrebbe corretto dal capoverso che afferma la funzione sociale della proprietà e affida alla legge la determinazione della modalità e dei limiti della proprietà. Ma l'obiezione non gli pare esauriente. Il principio che la proprietà privata è necessaria perché assicura «la libertà e l'affermazione della personalità» non è incrinata dal fatto che le si riconosca una funzione sociale o si assegni un limite alla sua estensione. Quando la legge fosse chiamata a determinare il contenuto della proprietà, allora andrebbe bene la seconda parte. Se si dicesse: «Si garantisce il diritto di proprietà nei limiti che saranno fissati dalla legge», come ha fatto il progetto francese, oppure si dicesse: «La legge garantisce il diritto di proprietà stabilendone il contenuto, i limiti, le modalità, ecc.,» potrebbe accedere alla proposta Taviani.

Taviani, Relatore, chiede all'onorevole Presidente che cosa si debba intendere per contenuto della proprietà.

Il Presidente Ghidini dichiara che la parte «contenuto» può essere ritenuta un termine impreciso. Ma con essa intende significare che la legge potrà liberamente determinare la forma che dovrà assumere la proprietà (privata, pubblica, socializzata, ecc.) secondo le necessità e la volontà popolare del tempo nel quale sarà formata.

Taviani, Relatore, fa una precisazione. Si può discutere sulla opportunità dell'affermazione filosofica nel senso che a tale affermazione si può arrivare da diversi punti di partenza; ma come l'onorevole Presidente ha posto la questione non sarà mai possibile giungere ad un punto d'accordo; sulla richiesta di lasciare una porta aperta alla legge in modo che questa possa un giorno abolire qualsiasi forma di proprietà singola e personale, non può esservi un punto d'accordo tra le sue idee e quelle dell'onorevole Presidente. Si può concordare nel senso di dire che la possibilità di acquisto della proprietà privata potrà essere limitata in forma estrema come in Russia, o potrà avere un più largo raggio di azione; ma da lui non può essere ammessa la possibilità di abolire una qualsiasi proprietà privata. Sia ben chiaro che non dipende dalla legge il fatto dell'esistenza di una qualsiasi proprietà privata. Insiste su questo punto, perché comprende la posizione di altri partiti su questo importante problema: per esempio, del partito comunista. Questi pensano che fra un secolo possa non esserci più alcuna proprietà privata. Afferma però che a suo parere anche i comunisti devono comprendere la posizione dei democristiani, i quali ritengono che almeno un minimo di proprietà privata ci sarà sempre.

Assennato dichiara di non voler fare dissertazioni di carattere filosofico, che forse allontanerebbero dal tema trattato, rendendo il lavoro della Sottocommissione difficile; desidera soltanto far notare che l'esistenza di una Costituzione e la dichiarazione di un diritto vanno valutati in rapporto all'epoca che si vive. Questa stessa dichiarazione si trova come aggiunta dei primi progetti della Costituzione francese. A quei tempi era un concetto innovativo rivendicare la proprietà privata ed era chiaro che quella situazione conteneva qualche cosa in più, in quanto c'era un riferimento non solo al lavoro, ma anche all'abilità.

Desidera porre un quesito di carattere etico ai colleghi democristiani: se credono che senza possedere proprietà non vi sia libertà. Quello che lo preoccupa è l'eccesso di proprietà da parte di alcuno a danno dei molti. Se si dà alla proprietà un carattere finalistico, nel senso che bisogna che la persona sia aiutata in vista della acquisizione della proprietà, chiede ai colleghi democristiani se quando dicono ciò, allo scopo di garantire la libertà e l'affermazione della persona, attribuiscono alla proprietà la capacità di irrobustire la libertà umana. In altri termini essi darebbero ai figli un'educazione rivolta alla acquisizione della proprietà. Sarebbe d'accordo nel dire: «Allo scopo di garantire la libertà e l'affermazione della persona viene riconosciuto e garantito il diritto della gratuità dell'istruzione». Da un punto di vista conservatore si potrebbe ritenere opportuno un controllo e fare il processo dell'origine della proprietà; ma le statuizioni filosofiche potrebbero allontanarci dal vivo del problema e potrebbero essere superate con l'andar del tempo. Il vero principio sul quale la Commissione è d'accordo è che la Costituzione che si sta elaborando non possa essere abolita prima della proprietà, e allora la cosa che deve preoccupare di più è la difesa della società dagli eccessi della proprietà privata. Propone di eliminare ogni affermazione che porti disaccordo nella Commissione. Fa notare che nell'articolo 2, dove si parla della successione, sia nell'ambito della famiglia sia di quella testamentaria, si aggiunge «spetta pure alla legge determinare la parte che lo Stato preleva sulle eredità». Questo riconoscimento allo Stato sul quale tutti sono d'accordo, messo in questa forma, assume un carattere puramente fiscale. Invece, a suo parere, occorre vedere nell'intervento dello Stato nella successione testamentaria una funzione sociale; vorrebbe pregare quindi di introdurre questa affermazione, in modo che si stabiliscano i limiti della successione.

Taviani, Relatore, dichiara rispondendo all'ultima richiesta dell'onorevole Assennato, che tale è la sua intenzione; il riferimento alle sole misure fiscali in materia testamentaria non dovrebbe essere compreso in una carta Costituzionale.

Lombardo desidererebbe che non si dicesse se la proprietà sia una forma di libertà o di schiavitù. Fa osservare che in una Costituzione, che in ultima analisi riguarda un delimitato periodo storico e che, in rapporto al progresso dell'umanità, quale si svolge attraverso i secoli, potrebbe essere considerato ancor più limitato nel tempo, occorre attenersi ad enunciazioni che si riferiscono ai tempi in cui si vive. Quello che dovrebbe preoccupare è il fatto di sancire più o meno se la proprietà sia riconosciuta e garantita, cioè se esiste il diritto di proprietà e se tale diritto possa essere in realtà garantito dalla legge. Se si ammette che la proprietà possa essere garantita e riconosciuta, ci si deve preoccupare che non se ne abusi. Da questi concetti si arriva a dedurre che la proprietà può essere eventualmente sottratta a chi ne abusi, oppure, indipendentemente dagli abusi, se si sono verificate determinate situazioni, questa proprietà può essere, per ragioni di carattere sociale, sottratta a chi la possiede. Per tale motivo ha formulato una proposta in maniera più concisa da sostituire al primo comma dell'onorevole Taviani:

«La proprietà è riconosciuta e garantita dalla legge nei limiti e nelle forme da essa stabiliti».

In altri termini la Costituzione stessa lascerebbe il campo aperto ad uno sviluppo ulteriore, quando successive variazioni permettessero di modificare i limiti e le forme della proprietà.

Taviani, Relatore, fa presente all'onorevole Lombardo che, con la sua proposta, si affianca ai concetti esposti dal Presidente e gli chiede se desideri che sia ben chiaro che la legge riconosce e garantisce il diritto della proprietà privata oppure se ammetta che tale diritto è garantito dalla Costituzione e la legge ne stabilisca le norme e i limiti.

Lombardo, a suo parere, la costituzione è una legge a carattere generale.

Taviani, Relatore, dichiara di essere disposto a discutere purché si dica che la proprietà privata è riconosciuta dalla Costituzione; poiché la legge non può abolire una qualsiasi proprietà privata. Se una legge facesse questo sarebbe anticostituzionale.

Assennato riterrebbe opportuno fare una premessa all'articolo 1 proposto dall'onorevole Taviani, dicendo: «La proprietà può essere proprietà privata, proprietà demaniale, proprietà collettiva, ecc.»; perché nel titolo si parla del diritto di proprietà, mentre nell'articolo si tratta soltanto della proprietà privata.

Taviani, Relatore, dichiara che in un primo momento aveva fatto la distinzione e aveva detto proprietà privata e collettiva, come proposto dall'onorevole Assennato; l'aveva poi tralasciata in quanto la parola «collettiva» non ha, come gli era stato fatto notare da alcuni colleghi, un significato giuridico.

Dominedò osserva non essere esatto neppure parlare di proprietà demaniale.

Fanfani dichiara di non conoscere epoca storica in cui non si siano avute le due forme di proprietà, la collettiva e la privata.

Il Presidente Ghidini fa presente che non si dovrebbe sbarrare la strada a quelle che saranno le future esigenze della società. Egli non nega il diritto alla proprietà privata, ma è anche disposto a riconoscere un'altra forma diversa di proprietà.

Taviani, Relatore, fa presente che il problema è ormai impostato chiaramente. Tutti sono d'accordo che vi possa essere una proprietà privata; il disaccordo nasce quando si dichiara che potrà arrivare il giorno in cui non vi sarà alcuna proprietà privata e che questo giorno possa essere previsto dalla Costituzione. Ritiene che tali previsioni non si possano fare. Finora nella formulazione degli articoli approvati dalla Sottocommissione si è seguito il criterio di concretare. La formulazione proposta dall'onorevole Presidente può impressionare l'opinione pubblica, che, come è già accaduto in Francia, potrebbe, in caso di referendum, respingere la Carta costituzionale. L'onorevole Presidente ha detto di preoccuparsi di quelle che potrebbero essere le violente scosse sociali in un lontano domani; il Relatore si preoccupa ancor più di quelle che potrebbero anche essere le scosse attuali dell'opinione pubblica in un paese come l'Italia, quando essa intravedesse nella Costituzione la possibilità sia pure di un eventuale misconoscimento del diritto di proprietà. Perciò egli insiste che non sia ricondotto alla legge, ma venga affermato nella Costituzione il riconoscimento del diritto di proprietà privata.

Lombardo propone che all'articolo primo sia premessa un'affermazione con la quale si garantisce la proprietà. L'articolo, secondo la sua proposta, dovrebbe essere così formulato:

«La proprietà è riconosciuta e garantita dallo Stato nei limiti e nelle forme da esso stabiliti. Nessuno può esserne privato, se non per cause di utilità sociale, legalmente constatate, e con riserva di indennizzo.

«Il diritto di proprietà non può essere esercitato contrariamente all'utilità sociale o in modo da arrecare pregiudizio alla libertà e ai diritti altrui.

«Le imprese che esercitano attività di servizio pubblico e di interesse generale sono nazionalizzate o socializzate a norma di legge».

Colitto si dice lieto nel constatare che da più parti si è d'accordo nel riconoscere che non è opportuno che nella Costituzione, documento fondamentalmente giuridico, si inseriscano enunciazioni di finalità di ordine filosofico. La proposta dell'onorevole Lombardo, in sostanza, coincide con i suoi concetti. Non è d'accordo che si debba aggiungere la frase proposta dall'onorevole Dominedò, cioè che alla proprietà ciascuno può accedere col risparmio e col lavoro. È una bella frase, ma manca di contenuto giuridico.

Aggiunge che non riesce a comprendere come si possa accedere alla proprietà col lavoro; ci si può accedere quando si utilizzi il risparmio.

Dominedò dichiara di avere escluso la eventualità di una riduzione delle norme ad una semplice enunciazione delle forme di proprietà, per la ragione che poi occorrerebbe disporre norme particolari per ogni singola figura di proprietà.

Inoltre l'onorevole Assennato vorrebbe che fossero depennate le motivazioni di principio dell'istituto della proprietà privata, ma le sue considerazioni non lo lasciano convinto, perché, se la formulazione di principî è mantenuta nei riguardi della funzione sociale, non si comprende perché dovrebbe essere esclusa per gli altri aspetti. Per tranquillizzare l'onorevole Assennato, rileva che quando si pone la premessa che la proprietà è una forma di tutela della personalità umana, non si esclude che vi siano altri mezzi di difesa. Inoltre la formulazione proposta, a chi ben guardi, costituisce una limitazione della proprietà. È vero che già la Costituzione francese del '700 riconosceva il diritto di proprietà, ma allora la formulazione era quasi incondizionata. Oggi, ponendo in evidenza la premessa per cui si connette l'istituto alla personalità umana, l'istituto viene ad essere riferito non al singolo, ma a tutte le persone, e con ciò se ne limitano gli eccessi. Difendendo la personalità come substrato del diritto, il riconoscimento della proprietà è fatto nell'interesse di tutti e di conseguenza gli eventuali abusi del godimento sono colpiti.

Canevari vorrebbe chiarire il concetto esposto dal Presidente. Quando si parla di proprietà, deve essere ben distinta la proprietà bene della persona dalla proprietà che serve al bene sociale, al bene della generalità. Non gli risulta che finora sia stata fatta questa differenziazione; la proprietà è stata considerata sotto un solo aspetto, non è stata considerata anche come un mezzo di produzione e di lavoro. In questo caso può essere oggetto di disposizioni legislative che ne modifichino l'uso — nei limiti e nei mezzi — a beneficio di tutti.

Dichiara di essere favorevole alla proposta dell'onorevole Lombardo.

Assennato fa notare all'onorevole Dominedò che non vi è nulla di più evidente, nel negare l'affermazione della personalità umana, quanto la successione di cui si parla nell'articolo successivo. La ricezione per successione è un atto negativo della propria personalità.

Dominedò dichiara che a suo avviso la successione è una continuazione della personalità umana.

Assennato trova strano sancire l'acquisto della proprietà privata come meta finale della educazione. La democrazia cristiana ha la preoccupazione che attraverso la depennazione proposta si miri ad attenuare o eliminare la proprietà privata dalla Carta costituzionale; ma osserva che non si può consentire in questa epoca di dichiarare che alla proprietà si assegna lo scopo di stabilire la libertà e la formazione della persona, proprio in questa epoca, in cui anche le più reazionarie legislazioni vanno attenuando il significato della proprietà.

Dominedò spiega che qui si tratta di porre in evidenza il significato sociale che nasce dalla formulazione proposta.

Fanfani depreca che per la prima volta, nel corso di questa discussione, sia saltato fuori che si parla a nome dei democratici cristiani o dei comunisti. Prega i colleghi di dimenticare, non le loro opinioni personali, ma le etichette; preoccupazione comune deve essere di formare una Carta costituzionale che rispecchi i desideri pressoché universalmente diffusi tra gli italiani.

Per quanto riguarda la tesi in contrasto fra l'onorevole Dominedò e l'onorevole Assennato, li invita a rendersi conto che la situazione attuale non è quella del 1789, anzi è il contrapposto di quella. Oggi la preoccupazione è di compiere una sforzo, dal punto di vista ideologico e legislativo, per scardinare la difesa della proprietà privata dal principio aristotelico e darle invece una nuova forma di giustificazione, considerarla quasi un modo di affermarsi della persona. Tutte le dottrine economiche aspirano alla formazione di una società in cui l'individuo goda il massimo possibile di libertà e ciascuno possa ottenere quello di cui ha bisogno.

Quando si dice che lo Stato riconosce e difende la proprietà privata quale modo di affermazione della personalità del cittadino, si viene a limitare la proprietà privata e si adotta una norma che inspirerà la legislazione di domani, affinché questa proprietà privata non sia lo schiacciamento della personalità altrui.

Riconosce giusto quanto ha detto l'onorevole Assennato, che non si può porre come obiettivo dell'educazione delle nostre creature l'acquisizione della proprietà; ma non può essere disconosciuto il fatto che l'individuo afferma le proprie qualità costruttive anche attraverso l'appropriazione di ciò che riesce a produrre, ma solo nei limiti che non impediscano la formazione della stessa proprietà privata presso gli altri.

Quando si dice che la proprietà è garanzia elementare della libertà della persona e del suo sviluppo, ci si riferisce a questa epoca storica, anche se si pensa che tutte le epoche si rassomiglieranno, salvo nella quantità di proprietà o di libertà acquisita. Che la proprietà privata sia garanzia elementare della libertà della persona, lo dimostra il fatto delle possibilità diverse che hanno avuto, anche recentemente, uomini che si trovavano in determinate condizioni economiche di fronte ad altri che non le possedevano. Ricorda a questo proposito come gli impiegati di Stato, che non avevano altre possibilità di vita, furono costretti a prendere, anche contro voglia, una tessera; ciò fa pensare che probabilmente se avessero avuto un minimo di proprietà personale si sarebbero sentiti incoraggiati a difendere la loro libertà.

E se questo può affermarsi oggi anche al di fuori della Costituzione, si domanda quale pericolo esista se frasi simili vengono incluse nella Costituzione. Se si potesse dimostrare che tali frasi tendono a riportarci ai principî del 1789 sarebbe opportuno lasciare cadere; ma se esse dovessero servire a limitare la proprietà privata e a sgombrare il terreno con la sua più accentuata limitazione a vantaggio della collettività, è opportuno che siano mantenute. Invita i presenti a chiarire il punto, perché se si dovesse correre il rischio di fare una Costituzione individualistica, le frasi andrebbero tolte.

Corbi constata che dall'ampia discussione svoltasi risulta la preoccupazione di ognuno di superare o ridurre le concezioni individualistiche.

Allo scopo di evitare equivoci ritiene opportuno non far alcuna di queste affermazioni che possono dividere la Commissione.

Dominedò ripete che il suo concetto è di dare significato sociale a tali affermazioni. Ciò sarebbe particolarmente utile, se questo contenuto sociale non dovesse essere poi sviluppato dalle successive disposizioni che la Costituzione conterrà, perché il problema non si conclude col primo comma del presente articolo.

Resta comunque stabilito, e in questo l'accordo è generale, che il diritto di proprietà è garantito, salvo quelle limitazioni che si riterranno opportune. Pensa in proposito che si possa accedere alla proposta dell'onorevole Lombardo la quale, se dovesse suscitare preoccupazioni, potrebbe essere ancora più schematizzata, dicendosi: «Il diritto di proprietà è riconosciuto e garantito dallo Stato. Nessuno può esserne privato, se non per causa di pubblica utilità legalmente constatata e previo indennizzo».

Il Presidente Ghidini rinvia la discussione alla seduta di domani.


 

[i] Gli articoli a cui si riferisce l'onorevole Taviani sono le prime versioni degli attuali articoli 2 e 3.

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti