[Il 3 maggio 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Cortese. [...] Un altro emendamento mi permetto di presentare in rapporto all'articolo 36.
Noi liberali vogliamo in questa sede costituzionale affermare che riconosciamo il diritto di sciopero come un diritto fondamentale della libertà dell'uomo. Senza il diritto di sciopero vi è la schiavitù del lavoro. Vogliamo però... (Commenti). Capisco i vostri commenti: del resto in ciò che sto per dire si riflette un po' tutto quel che si è detto nei lavori preparatori di questo progetto. Come è noto, diverse sono state le opinioni anche nelle Sottocommissioni; e se si è inserito nel progetto il riconoscimento di questo diritto, non si può dimenticare che una delle Sottocommissioni aveva stabilito di non inserirlo.
Inseriamo pure questo riconoscimento; ma teniamo presente che noi non abbiamo una definizione dello sciopero. Leggendo i lavori preparatori del progetto mi sono incontrato nella lucida definizione dell'onorevole Togliatti, che definisce lo sciopero come l'astensione collettiva dal lavoro affinché i lavoratori possano strappare migliori condizioni economiche. Ora, se avessimo una definizione anche nella Carta costituzionale, in certo modo avremmo dei limiti che configurerebbero questo diritto. Ma abbiamo invece nell'articolo 36 semplicemente l'affermazione che tutti i lavoratori hanno il diritto di sciopero. E poiché si è discusso se si debba o no rimandare al futuro legislatore la definizione della materia, di fronte all'articolo 36 che non rimanda alla legge, potrebbe sorgere il dubbio che al futuro legislatore sia inibito di disciplinare l'esercizio di questo diritto. Il che, onorevoli colleghi di tutti i settori, sarebbe assurdo.
Non è in questa sede che noi vogliamo disciplinare il diritto di sciopero, che vogliamo fare la discussione se lo sciopero debba essere inteso soltanto come un mezzo dato ai lavoratori per ottenere il miglioramento delle condizioni economiche, se sia ammesso lo sciopero politico reclamato dall'onorevole Di Vittorio, se sia consentito lo sciopero nei pubblici servizi. Io voglio però dichiarare che in un paese che si regge col regime parlamentare fondato sul suffragio universale, lo sciopero politico è inammissibile, perché può diventare un'arma di coazione adoperata dalla minoranza. Il lavoratore esprime la sua volontà, la sua scelta politica — come ogni cittadino — col voto. È assurdo, per esempio, che un'organizzazione di lavoratori possa, attraverso lo sciopero, far opera di pressione perché sia sostituito un governo che è invece sorretto dalla maggioranza parlamentare: si avrebbe allora la violazione evidente di uno dei principî fondamentali della democrazia, che è governo di maggioranza.
Dicevo che non è questa la sede per stabilire le norme e i limiti, che vanno rimessi al futuro legislatore. Una delle Costituzioni più progressiste, quella francese, adopera la formula che io mi sono permesso di sottoporre all'Assemblea: «Il diritto di sciopero è riconosciuto nell'ambito delle leggi che lo disciplinano».
Il nuovo legislatore risolverà i vari quesiti: dirà se occorra che vi sia una procedura conciliativa o no; dirà se lo sciopero possa essere consentito nei pubblici servizi, se sia ammissibile lo sciopero politico. E lo dirà dopo un esame approfondito di tutti i problemi che si presenteranno nella libera discussione democratica.
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Colitto. [...] 5°) In contrasto con l'affermazione che tutti i cittadini hanno il dovere di lavorare, sembrami l'affermazione dell'articolo 36 che tutti i cittadini hanno il diritto di sciopero. In una società bene organizzata la tutela dei diritti, compresi quelli dei lavoratori, deve essere assunta dal corpo sociale, il quale deve perfezionare la propria legislazione e le proprie istituzioni in modo che venga progressivamente abolita ogni difesa privata. Un articolo della Costituzione, che decretasse libertà incondizionata di sciopero, paralizzerebbe perciò il progresso legislativo verso la tutela collettiva dei diritti. Non si dimentichi, poi, che l'esercizio dei diritti individuali o di classe debbono sempre rimanere subordinati alle esigenze del bene comune. Ora gli scioperi non conferiscono affatto al bene comune, come ciascuno, che sia in buona fede, deve riconoscere sol che per un istante si ripieghi su se stesso e consideri un po' quello che quotidianamente accade.
I giornali annunziano che molte fabbriche italiane si trasferiranno in Brasile ed in Argentina, aggravando la già pesante situazione dei nostri operai. Perché accade ciò? Perché le industrie, per prosperare, hanno bisogno di ordine — primo e necessario presidio di tutta la vita civile — e di tranquillità, non di scioperi permanenti. In un clima avvelenato da scioperi non si produce. Lo sciopero è sempre elemento di disordine, distruttore od almeno ritardatore di ogni possibilità di ripresa. Scioperi vi sono stati che in breve tempo hanno soppiantato l'organizzazione statale, il che ha fatto e fa venir meno la fiducia della Nazione nell'opera del Governo. Finché ora, per via della scioperomania dilagante, lo Stato apparirà sempre meno il Paese fatto legge e sempre più il gruppo fatto sopruso, è inutile parlare di quell'incremento della produzione che, come diceva giorni fa l'ambasciatore degli Stati Uniti a Milano, costituisce la terapia sovrana per l'economia italiana.
In sostituzione dello sciopero occorre costruire un sistema giuridico ben congegnato, attraverso il quale possano le controversie collettive essere risolte. L'arbitrato obbligatorio, a cui gli Stati più evoluti dal punto di vista sociale sono già pervenuti, è forse l'unico sistema veramente concludente, che possa evitare, con utilità di tutti, gli scioperi.
A mio avviso, pertanto, l'articolo 36 va soppresso. Ove non lo si volesse sopprimere, si dovrebbe riconoscere anche il diritto di serrata, perché l'un diritto non può andare disgiunto dall'altro, intimamente connessi essendo sciopero e serrata nel libero agone dei contrasti sociali, e si dovrebbe altresì attenuarlo, condizionando l'esercizio dell'uno e dell'altro al bene della collettività, come ha fatto la recente Costituzione francese, più accurata e più guardinga del nostro progetto in questo punto particolarmente delicato per la tranquillità e l'armonia sociale.
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Maffioli. [...] All'aberrante statomania, al furore settario e totalitario del titolo III, fa poi riscontro una sostanziale carenza logica strumentale.
Non si può concepire il diritto di sciopero, riconosciuto a una classe di lavoratori, senza che sia riconosciuto anche quell'altro diritto di sciopero che è il diritto di serrata, all'altra categoria di lavoratori datori di lavoro. Non si può concepire maggior contraddizione in termini di quella di coloro che mentre si danno l'aria di riconoscere e garantire la legittimità della libertà privata e dell'iniziativa economica privata, statuiscono fin d'ora l'annientamento della proprietà a profitto del così detto Stato che noi, ancora sanguinanti da tragiche esperienze, sappiamo essere lo Stato totalitario, lo Stato etico, lo Stato vampiro, lo Stato assolutista, rappresentante di una minoranza armata, senza scrupoli, che nel campo delle energie produttrici della Nazione, si muove come un toro impazzito in un negozio di gingilli.
A cura di Fabrizio Calzaretti