[Il 14 gennaio 1947 la Commissione per la Costituzione in seduta plenaria discute sul diritto di sciopero.]
Presidente Ruini. [...] In via preliminare la Commissione è chiamata a risolvere alcune questioni, per le quali si è manifestato un dissenso sostanziale in seno al Comitato di redazione, cioè le questioni concernenti lo sciopero, la famiglia, la formazione e composizione della seconda Camera, la nomina del Presidente della Repubblica ed infine le attribuzioni, specialmente le potestà legislative, della Regione. Quanto allo sciopero, la prima Sottocommissione ha formulato il seguente articolo:
«È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero.
«La legge ne regola le modalità di esercizio unicamente per quanto attiene:
a) alla procedura di proclamazione;
b) all'esperimento preventivo di tentativi di conciliazione;
c) al mantenimento dei servizi assolutamente essenziali alla vita collettiva».
La terza Sottocommissione ha votato il seguente ordine del giorno:
«La terza Sottocommissione, riconosciuto urgente ed indispensabile che una legge riconosca il diritto di sciopero dei lavoratori, abrogando i divieti fascisti in materia, non ritiene necessario che la materia sia regolata dalla Carta costituzionale».
Vi è stata infine, una terza proposta, formulata in sede di Sottocommissione, che ammette il diritto di sciopero senza alcun limite.
Tupini, rileva che l'articolo relativo al diritto di sciopero, da lui proposto e approvato a maggioranza dalla prima Sottocommissione, è il tentativo di accordare le esigenze di chi sosteneva che si proclamasse il diritto di sciopero in senso assoluto, senza alcuna limitazione, né sostanziale, né procedurale, e di chi sosteneva che non se ne parlasse affatto nella Costituzione. La Sottocommissione ha ritenuto che il diritto di sciopero debba essere riconosciuto, in quanto il diritto di offrire il proprio lavoro appartiene alla natura dell'uomo; quindi, non si può impedire all'uomo di negare la propria opera quando vi siano ragioni che giustifichino questo rifiuto. La Sottocommissione si è però preoccupata di disciplinare l'uso nell'interesse stesso di coloro che potranno farvi ricorso.
Si è ritenuto, in sostanza, che l'esercizio del diritto di sciopero è un po' come l'esercizio della guerra fra le nazioni, perché appunto l'attuazione dello sciopero è una specie di guerra portata sul piano sociale. Ora, se ci si è tanto preoccupati di disciplinare persino l'uso del diritto di guerra al punto da strapparlo alla volontà di una persona o del Governo e da affidarlo alla Assemblea Costituente, perché non ci si deve altrettanto preoccupare dell'esercizio del diritto di sciopero?
Lo sciopero è, infatti, un'arma a cui ricorre la classe operaia quando ha esaurito tutte le sue risorse per evitarlo, ma è un'arma che può essere anche produttiva di conseguenze negative e dannose per la stessa classe operaia. Ed allora, per far sì che la classe operaia ricorra allo sciopero in condizioni tali da valutarne nel modo più efficiente possibile tutte le conseguenze, si è ritenuto, col riferimento alla procedura di proclamazione, di eliminare la possibilità che lo sciopero sia proclamato per il capriccio di poche persone. È una preoccupazione di carattere democratico, per cui la stessa classe operaia deve valutare nel suo seno la convenienza di ricorrere o no all'arma dello sciopero.
In secondo luogo, se lo sciopero è la risorsa suprema alla quale ricorre la classe operaia per la difesa dei suoi diritti, non vi si può far ricorso senza avere prima sperimentati tutti quei tentativi di conciliazione ed eventualmente di arbitrato che possano, sul piano della valutazione del mezzo adoperato per la tutela dei propri interessi, rappresentare lo strumento meno dispendioso, meno grave e meno produttivo di conseguenze dannose.
Vi è poi un terzo punto dove si parla del «mantenimento dei servizi assolutamente essenziali alla vita collettiva». Si è voluto, con l'adozione a maggioranza di tale formula, evitare la difficoltà, se non anche il pericolo, di una elencazione delle categorie dei prestatori d'opera ai quali fosse o meno consentito il diritto di scioperare. È parso, ai sostenitori di questa formula, che fosse preferibile un'affermazione di carattere generico, la quale eludesse anche il problema abbastanza grave della distinzione fra servizio pubblico e servizio privato. Il che, implicitamente, ammette anche la possibilità che per taluni servizi, che volta a volta si determineranno in quanto attengono alle esigenze della vita collettiva, si può anche riconoscere il diritto di sciopero. Qualcuno ha opposto che occorre tener conto della maturità della classe operaia, che agisce come auto-limite in circostanze eccezionali.
Malgrado ciò, la prima Sottocommissione ha ritenuto a maggioranza che una disciplina dell'esercizio del diritto di sciopero, anche sotto questo riflesso, fosse necessaria. Resta, peraltro, la possibilità che la Commissione plenaria apporti all'articolo proposto quegli emendamenti che riterrà opportuni, e che si riserva di esaminare se verranno presentati.
Ghidini, rileva che, con l'ordine del giorno proposto, la terza Sottocommissione ha cercato di eludere il contrasto che si era manifestato, in quanto taluni accedevano all'articolo già approvato dalla prima Sottocommissione, magari con specificazioni più precise e, forse, anche più restrittive e gravi, mentre altri accedevano al concetto del diritto di sciopero senza limiti da affermarsi nella Carta costituzionale sic et simpliciter, riservando, se mai, alla legge ordinaria la determinazione dei limiti.
Quanto all'articolo approvato dalla prima Sottocommissione, pur non dubitando affatto delle intenzioni manifestate dall'onorevole Tupini nell'illustrarlo, poiché conosce la sua onestà e quella dei componenti la prima Sottocommissione che lo hanno redatto, avverte però che esso è formulato in modo da costituire un pericolo gravissimo, perché, mentre nella prima parte si afferma incondizionatamente che «è assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero», nella seconda vi sono tali limitazioni per cui questo diritto è non soltanto mutilato, ma può essere praticamente soppresso.
Si dice, infatti: «La legge ne regola le modalità di esercizio unicamente per quanto attiene:
a) alla procedura di proclamazione;
b) all'esperimento preventivo di tentativi di conciliazione;
c) al mantenimento dei servizi assolutamente essenziali alla vita collettiva».
In ordine alla procedura di proclamazione, l'onorevole Tupini afferma che si è voluto sottrarre i lavoratori al capriccio di pochi, o magari di uno solo, che sovrapponesse il suo interesse politico o morale all'interesse della classe lavoratrice. Ottimo scopo; ma si comprende che con una frase di tal genere, coloro che non sono animati dalle stesse intenzioni oneste dell'onorevole Tupini, potrebbero arrivare a rendere non solo difficile, ma addirittura impossibile o intempestiva la proclamazione dello sciopero.
Per quanto riguarda l'esperimento preventivo di tentativi di conciliazione, osserva che non v'è alcun bisogno di farne menzione in un articolo, poiché i tentativi di conciliazione si fanno sempre. I lavoratori non hanno nessuna smania di scioperare; scioperano quando si trovano nella necessità di farlo, perché manca loro il pane, il salario è insufficiente, ecc. In ogni caso hanno una remora in se stessi, nella loro capacità di resistenza necessariamente scarsa. Ora, l'accenno in un articolo della Costituzione all'esperimento preventivo di tentativi di conciliazione sta ad indicare che si richiede qualche cosa di più di quello suggerito dalle esigenze dei lavoratori. Il comma b) appare, peraltro, altrettanto pericoloso.
Per quanto riflette, infine, la lettera c): «al mantenimento dei servizi assolutamente essenziali alla vita collettiva», è evidente l'imprecisione della formula. Quali siano i «servizi assolutamente essenziali alla vita collettiva» è assai difficile stabilire a priori; dipende dalla contingenza, ma soprattutto dall'apprezzamento personale di chi deve giudicare sull'essenzialità o meno di un servizio. Trattandosi, quindi, di un criterio soggettivo, sarebbe pericoloso abbandonarlo, senza limitazioni precise e senza specificazioni, ad un legislatore futuro, il quale, se non fosse animato dalle stesse aspirazioni nobilmente sociali dell'onorevole Tupini, potrebbe dare alla parola «mantenimento» un'ampiezza tale, da negare implicitamente il diritto di sciopero ai lavoratori addetti ai pubblici servizi o a quelli «assolutamente essenziali alla vita collettiva».
Per le ragioni anzidette una parte della terza Sottocommissione ha ritenuto che, mantenendosi le limitazioni di cui al secondo comma dell'articolo, sarebbe, in sostanza, rimasta puramente e semplicemente platonica l'affermazione che «è assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero».
Fra le due correnti si è adottato, pertanto, un compromesso, con l'approvazione del seguente ordine del giorno: «La terza Sottocommissione, riconosciuto urgente ed indispensabile che una legge riconosca il diritto di sciopero dei lavoratori, abrogando i divieti fascisti in materia, non ritiene necessario che la materia sia regolata dalla Carta costituzionale».
In realtà — se ben ricorda — soltanto la Costituzione francese nel preambolo e quella estone parlano del diritto di sciopero; ma, d'altra parte, si è osservato — e giustamente, a suo parere — che, mentre in altri Paesi il diritto di sciopero è ormai talmente entrato nel costume politico che è stato accettato universalmente senza contrasti, in Italia si esce da un periodo ultra ventennale durante il quale era stato vietato e colpito con gravi sanzioni qualsiasi forma di sciopero. Si riteneva, quindi, necessario che fosse inclusa nella Costituzione quest'affermazione, per significare che si ritornava all'antico diritto e si riaffermava questa rivendicazione del lavoro.
Ciò premesso, quale Presidente della terza Sottocommissione e ritenendo che, nel seno della Commissione plenaria, ognuno riprenda in pieno la libertà di espressione del proprio pensiero e del proprio sentimento, personalmente non ha nessuna difficoltà a che si affermi nella Carta costituzionale, sic et simpliciter, che a tutti i lavoratori è assicurato il diritto di sciopero. Non è detto, con questo, che non vi debbano essere dei limiti: essi saranno segnati dalla legislazione ordinaria, secondo che le contingenze consiglieranno. Per conto suo, ritiene che la valutazione di tali limiti — se limiti vi saranno — potrà dipendere anche da quella che sarà la Carta costituzionale. È in tutti il desiderio che la Carta costituzionale sia profondamente democratica, che si ispiri soprattutto alla tutela del lavoro, che è il fondamento della Repubblica italiana; che sancisca ampiamente il Consiglio di gestione, ponendosi così il lavoratore in grado di conoscere esattamente quali sono le condizioni dell'industria nella quale esplica la sua opera, per modo che trovi in questa situazione una remora o un incitamento a fare uno sciopero.
Qualora non si ritenga di affermare puramente e semplicemente il diritto di sciopero in un articolo della Costituzione, preferirebbe che tale affermazione fosse inclusa nel preambolo o consacrata in un ordine del giorno.
Di Vittorio ritiene che la Commissione commetterebbe un gravissimo errore sia se negasse di sancire il diritto di sciopero, sia se cercasse di eludere il problema rinviandolo alla legislazione ordinaria. Una tale decisione sarebbe contraria alle aspettative della grande massa lavoratrice. Pensa, peraltro, che sia necessario inserire nella Costituzione il riconoscimento puro e semplice del diritto di sciopero. L'argomento che questo riconoscimento non vi sia in molte altre Costituzioni non regge, poiché tale dritto è ormai universalmente riconosciuto, mentre l'Italia esce da un regime tirannico che aveva negato il diritto di sciopero e stabilito pene severe contro chi vi facesse ricorso. È necessario, dunque, che la nuova Costituzione si caratterizzi come veramente democratica, e rispondente alle esigenze delle grandi masse popolari italiane, riconoscendo puramente e semplicemente questo diritto.
È del parere che da parte di quei colleghi che tendono a limitare il diritto di sciopero, a controllarlo, a sottoporlo ad una procedura speciale, vi sia una mentalità di carattere un po' paternalistico. Essi pensano che questa povera classe operaia, minorenne, inesperta, che può commettere tanti errori, ha bisogno di un potere superiore, estraneo, che le indichi come essa deve regolare le sue cose, ponendo per conseguenza dei freni e dei limiti alla sua libertà di movimento. Bisogna invece, a suo avviso, riconoscere il diritto di sciopero, come in tutti i Paesi veramente democratici, con la maggiore ampiezza. Il fatto di precisare in qual modo, in quali momenti, con quali procedure, questo diritto debba essere esercitato dai lavoratori, appartiene ai lavoratori stessi, e sono i lavoratori che devono determinarlo. Che qualcuno nell'interno dei sindacati dei lavoratori sostenga che per ricorrere allo sciopero si debba seguire una particolare procedura è legittimo, perché la classe operaia ha il diritto di regolare essa stessa la propria azione; ma non è ammissibile che un potere estraneo, superiore, voglia imporre limitazioni alla libertà delle classi operaie.
Quanto al tentativo di conciliare le tesi opposte, il Presidente della terza Sottocommissione ha accennato agli argomenti trattati. Sta di fatto che, eccettuato qualche caso veramente accidentale, non esistono esempi per cui si possa dire che gli operai si mettano in sciopero senza precisare le loro richieste, e senza aver prima esperito tentativi di conciliazione. Da tutta la storia del movimento operaio europeo e mondiale si rileva che nella quasi totalità dei casi gli scioperi sono preceduti da trattative e da tentativi di conciliazione, e che allo sciopero si ricorre soltanto quando non rimane altra risorsa.
All'onorevole Tupini, il quale ha insistito sul concetto di determinare la procedura di proclamazione dello sciopero per evitare che alcuni possano imporre la propria volontà ai più, osserva che ciò non avviene e non può avvenire. Chiunque abbia un'esperienza diretta di vita in seno alla classe operaia, e in seno alla classe lavoratrice in generale, sa benissimo che in regime di libertà non vi può essere nessuno che possa imporsi a milioni di lavoratori. La verità è che, se lo sciopero è sentito come un bisogno per raggiungere un determinato obiettivo, riesce; ma se non è sentito, anche se è votato da una maggioranza formale, non riesce, e la storia degli scioperi ne registra molti falliti, perché non rispondenti al vero sentimento della maggioranza dei lavoratori.
Bisogna, pertanto, precisare: 1°) che devono essere i lavoratori stessi a determinare la procedura se credono di dover ricorrere allo sciopero. Tutti gli statuti delle organizzazioni operaie prevedono questa procedura. 2°) Che bisogna togliersi di mente che gli scioperi possano essere il risultato delle manovre di caporioni e di mestatori. Quando gli scioperi riescono, essi sono l'espressione di una esigenza profondamente sentita dalla massa lavoratrice.
Quanto poi alle limitazioni che si possono porre per i servizi pubblici o per alcuni servizi di pubblica utilità, pensa che non si possa in nessun caso accettare il concetto di dividere i cittadini in due categorie, ad una delle quali è riconosciuto il diritto di sciopero, mentre all'altra è negato. Una limitazione per i lavoratori di servizi pubblici è, a suo avviso, una mutilazione della libertà personale. Il lavoratore deve avere il diritto di scioperare quando lo crede opportuno.
L'onorevole Tupini dice che la società ha il diritto di garantirsi il funzionamento dei servizi essenziali alla vita collettiva. Ebbene, quante volte non è avvenuto che gli scioperanti abbiano tenuto conto per moto spontaneo della necessità di assicurare questi servizi? I lavoratori italiani, specialmente in questo ultimo periodo, hanno dimostrato un alto senso di civismo, e non vi è stato uno sciopero solo che abbia prodotto danni alla collettività con l'abbandono di servizi essenziali.
Perché tali servizi essenziali siano assicurati bisogna, pertanto, fare affidamento sul senso di civismo dei lavoratori, di cui essi hanno dato amplissime prove. Ma bisogna anche fare affidamento sul senso di responsabilità dei dirigenti di questi servizi. La minaccia dello sciopero deve servire a smuovere le ruote burocratiche di chi dirige e costringerlo a sentire l'opportunità di andare incontro alle richieste dei lavoratori e di giungere alla conclusione delle vertenze, anche senza che i lavoratori ricorrano allo sciopero.
Negare, quindi, il diritto di sciopero agli impiegati statali ed ai lavoratori dei servizi pubblici, significherebbe rispondere con un atto di diffidenza alle innumerevoli prove di alto civismo che essi hanno dato.
Se ci si riferisce alla cronaca degli scioperi in paesi europei dove le condizioni di vita sono incomparabilmente superiori a quelle italiane, si vede come numerosissimi scioperi si siano avuti anche da parte degli impiegati statali e dei lavoratori dei pubblici servizi. In Italia, invece, nonostante le angosciose condizioni di questo dopoguerra, non si è avuto nessun grande sciopero del genere, e non si sono avuti letteralmente scioperi in servizi pubblici, nonostante che molte volte i dipendenti statali abbiano urtato contro resistenze non sempre ragionevoli da parte dello Stato.
A queste prove di alto civismo, di dedizione degli impiegati dello Stato, si vorrebbe rispondere con un atto di diffidenza. Ciò, a suo parere, non è giusto, e starebbe a dimostrare che non si apprezza debitamente un fatto importantissimo: per la prima volta nella storia d'Italia vi è un'adesione libera, spontanea, unanime delle grandi masse lavoratrici allo Stato democratico, e questo fatto fa bene sperare per i destini del paese.
Ora, se nella Costituzione, che deve riassumere le conquiste del popolo italiano, delle grandi masse lavoratrici italiane, si rispondesse con un atto di diffidenza, di paternalismo, di imposizione dall'esterno al libero esercizio di un preciso diritto della classe operaia, non soltanto si farebbe cosa contraria a questo diritto, ma si indebolirebbe la formazione del nuovo Stato democratico repubblicano.
D'altra parte, è bene tener conto che mentre nei partiti, nella stampa, nelle frazioni parlamentari esistono divergenze sul diritto di sciopero, in seno alle masse lavoratrici non vi è nessun dissenso.
Tutte le organizzazioni di lavoratori, a cominciare dagli statali, dalla categoria cioè per la quale l'influenza comunista non è né determinante né decisiva, all'unanimità, compresi i lavoratori cattolici, liberali, e di altri partiti, hanno deciso di domandare alla Costituente di riconoscere il diritto di sciopero. Non vi è un solo sindacato italiano nel quale si sia formata una minoranza fra i lavoratori che chieda limitazioni a questo diritto. Ed è significativo il fatto che, mentre i diretti interessati, cioè i lavoratori appartenenti a qualsiasi partito politico, sono concordi su questo problema, i dissensi si sono manifestati fra i vari partiti.
Conclude affermando che sia un atto saggio, giusto e doveroso da parte della Commissione e dell'Assemblea Costituente di inserire il diritto di sciopero nella Costituzione, adottando la formula che aveva proposto nella terza Sottocommissione, cioè: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero».
Bulloni esprime il parere personale che la legge costituzionale non debba accennare al diritto di sciopero, né nella formulazione proposta dalla prima Sottocommissione, né, per coerenza logica e giuridica, attraverso l'ordine del giorno proposto dalla terza Sottocommissione. Giudica lo sciopero un rapporto di forza che, come tale, non può essere considerato e disciplinato dalla legge, particolarmente dalla legge costituzionale, che è la legge per eccellenza.
La legge interviene per punire la ragion fattasi e solo in via eccezionale si limita a dichiarare non punibile chi ha agito per difendere l'integrità personale o altra diretta ingiustizia minacciata, sostituendosi alla tutela che lo Stato, nel momento, non ha potuto prestare.
Lo sciopero, a suo avviso, è un fatto sociale la cui disciplina deve essere rimessa al libero giuoco delle forze sociali, e che trova il suo limite nel senso di responsabilità di chi lo proclama e la sua sanzione nella stessa coscienza sociale.
Se lo sciopero è un rapporto di forza, ne deriva la ingenuità delle procedure e delle garanzie con cui si vuol circondare. Ad quid, ad esempio, stabilire che lo sciopero dei ferrovieri con la solidarietà delle altre categorie di lavoratori è stato proclamato senza la preventiva sperimentazione dei tentativi di conciliazione ed in contrasto ed in violazione con l'interesse essenziale della vita collettiva, quando la forza si è imposta ed ha travolto ogni resistenza nei confronti della controparte? Lo sciopero non deve trovare nella legge né riconoscimento, né condanna; e dice sciopero genericamente, con la precisa intenzione che nella legge non debba trovare condanna nemmeno lo sciopero politico.
Cappi non condivide il nichilismo giuridico e sociale dell'onorevole Bulloni, che renderebbe vana qualunque legge. Ritiene che il diritto di sciopero debba essere affermato nella Costituzione per le ragioni che anche altri hanno esposto. Siccome la convivenza sociale è una continua ricerca di un equilibrio fra il diritto dell'individuo e il diritto e l'interesse della collettività, pensa che il diritto di sciopero non possa essere disgiunto da una qualsiasi regolamentazione.
Premesso questo, non ritiene che sia opportuno fissare tale regolamentazione nella Costituzione. In proposito giudica che anche in questa materia si è vittime di un certo daltonismo e non comprende questa diffidenza dall'intervento dello Stato nei rapporti sociali. Si ha ancora davanti alla mente, a suo avviso, quello stato patologico determinato dalla degenerazione del potere legislativo e del potere esecutivo rappresentata dal fascismo; ma quando si pensa che domani vi sarà uno Stato veramente democratico, in cui i due poteri, esecutivo e legislativo, rappresenteranno la volontà genuina e gli interessi della nazione liberamente manifestati, non è giustificata questa diffidenza preconcetta dell'intervento dello Stato in una materia come quella dello sciopero, che può dar luogo a gravissime conseguenze. Concludendo, propone che nella Costituzione sia inserito il seguente articolo: «È riconosciuto il diritto di sciopero. Una legge sui rapporti di lavoro ne regola l'esercizio».
Canevari si associa alle considerazioni fatte dall'onorevole Ghidini. Osserva che non vi è dissenso — anche per l'esposizione fatta dall'onorevole Tupini — nel riconoscere il diritto di sciopero a tutti i lavoratori; sorge, invece, il dissenso per quanto si riferisce alle limitazioni. Rileva, in proposito, che ogni limitazione contenuta nella Carta costituzionale sarebbe infranta indubbiamente quando le condizioni economiche o politiche fossero tali da indurre i lavoratori a ricorrere all'arma dello sciopero.
È pertanto favorevole all'approvazione del primo comma dell'articolo proposto dalla prima Sottocommissione; in subordine voterà per l'ordine del giorno proposto dalla terza Sottocommissione.
Fabbri, soltanto per amore di chiarezza, desidera precisare che non ritiene regolabile nella Costituzione il fatto dello sciopero; e dice deliberatamente «fatto» dello sciopero e non «diritto» in quanto allo sciopero corrisponde un rapporto di lavoro bilaterale in base ad un contratto, che sarà di varia natura — giornaliero, settimanale, mensile — ma tale comunque da mettere in essere un vero e proprio stato giuridico, come quello del pubblico impiego. L'interruzione rapida, immediata, violenta, della prestazione di lavoro in moltissimi casi è una rottura di contratto; per ciò solo lo sciopero deve essere considerato un fatto e non può essere definito un diritto; perché nel momento in cui si definisce un diritto dal punto di vista del prestatore di lavoro, si disconosce la posizione del datore di lavoro.
Ritiene, quindi, che si debba evitare qualunque concetto di paternalismo e che ci si possa affidare completamente al senso di responsabilità, all'educazione politica delle organizzazioni sindacali. In nessun caso, pertanto, si può parlare di diritto di sciopero senza mettere in essere una contraddizione in termini, senza adoperare una espressione incompatibile con quelle stesse definizioni che sono state date dall'onorevole Di Vittorio, il quale certamente esclude, per esempio, che i fornai di una grande città possano fare contemporaneamente uno sciopero.
Ed allora si domanda come possa egli qualificare diritto quest'arma quando si preoccupa che possa essere usata in forma contraria al diritto o quando esclude che possa essere usata in determinati casi? Per conseguenza, non si tratta di un diritto, ma di fatto eventuale, la cui attuazione deve essere lasciata alla consapevole responsabilità dei prestatori di lavoro.
D'altra parte, lo sciopero è egualmente riconosciuto qualche volta come sciopero politico e qualche volta come sciopero economico. Le due cose sono così profondamente diverse che ritiene sia un assoluto controsenso parlare di un riconoscimento del diritto di sciopero. Quindi per ragioni analoghe, e in qualche punto soltanto lievemente diverse, a quelle esposte dall'onorevole Bulloni, dichiara di essere personalmente contrario a che nella Carta costituzionale sia riconosciuto il diritto di sciopero.
Togni si limita ad intervenire brevemente come membro della terza Sottocommissione, per aggiungere qualche cosa a quanto ha detto il Presidente onorevole Ghidini. Precisa anzitutto che l'ordine del giorno è stato approvato dalla terza Sottocommissione a grandissima maggioranza (11 voti contro 2) e, quindi, il riconoscimento del diritto di sciopero non era il risultato della volontà della maggioranza di una determinata corrente, ma il risultato di un laborioso esame durato tre giorni. Tutti i componenti della Sottocommissione furono allora d'accordo nel riconoscere l'inevitabilità dello sciopero in determinati casi; tutti erano d'accordo, come lo sono tuttora, nel riconoscere che questo dato di fatto non può essere soppresso, ma che invece deve essere o favorito, o consentito, o tollerato, a seconda dei punti di vista. Ed aggiunge che la grandissima maggioranza fu d'accordo nel riconoscere che, ove questo diritto fosse stato incluso nella Costituzione, si sarebbe dovuto limitare per quanto riguarda l'iniziativa politica e lo sciopero in determinati settori indispensabili alla vita della Nazione.
A proposito di quanto ha detto l'onorevole Ghidini, e per evitare equivoci, tiene a chiarire che non si parlò di consigli di gestione, ma di partecipazione alla gestione, il che è molto diverso.
Ad ogni modo è dell'opinione di non comprendere il diritto di sciopero nella Costituzione, anche per il fatto che esso è in fondo la manifestazione di qualche cosa di dinamico che si trasforma e che, come è da augurarsi, in relazione ai miglioramenti dei rapporti sociali, si potrà arrivare a renderlo, se non impossibile di fatto, almeno limitato, eliminando tante cause le quali oggi lo determinano.
Per questo ritiene che, mentre non si debba comprendere il diritto di sciopero nella Costituzione, si debba provvedere, con un complesso di norme organiche, alla disciplina completa dei rapporti di lavoro, per quanto riguarda sia il contratto collettivo sia la conciliazione e l'arbitrato, evitando il ricorso a quest'arma, a vantaggio dell'economia generale e dei rapporti di vita del Paese.
Dominedò si ricollega all'atteggiamento già assunto nella terza Sottocommissione, che deve ribadire per motivi sia giuridici che sociali.
Pensa che un'arma di fatto, come lo sciopero, che può indubbiamente diventare strumento di lecita difesa del lavoratore, in quanto sia determinato da una situazione di prepotere del datore di lavoro contro la quale nessun altro rimedio risulti possibile, non può, in linea generale, essere configurata come diritto illimitato ed incondizionato. Se pretendessimo di trasformare costituzionalmente un'arma di fatto in istituto giuridico, dovremmo includere una serie di tali specificazioni e limitazioni, inerenti alla esigenza della realtà giuridica sociale, che entreremmo in un campo più propriamente legislativo che non costituzionale: basti pensare alle distinzioni fra sciopero economico e politico, privato e pubblico, relativo a servizi essenziali o accessori, e via dicendo. Ciò che risponde storicamente al fatto che le Costituzioni moderne tacciono di regola in materia.
Resta il punto, su cui ha insistito l'onorevole Di Vittorio nella terza Sottocommissione: cioè il motivo specifico che peserebbe in Italia, dove preesisteva il divieto di sciopero e di serrata definiti come reato. Ma, a parte che il divieto è caduto per una disposizione internazionale, alla cui osservanza l'Italia è tenuta ed è superato nella realtà sociale, appare evidente che il silenzio della Costituzione lascia la via aperta per l'ulteriore disciplina dell'istituto sul piano legislativo, in corrispondenza delle correnti politiche, che si svolgeranno nel prossimo domani: e qui noi pensiamo alla sostituzione graduale di un'arma di fatto con un istituto giuridico, all'avvento di un arbitrato o di una conciliazione delle vertenze di lavoro, da sperimentarsi obbligatoriamente nell'interesse della collettività, secondo l'evoluzione storica di ogni popolo civile.
Tosato dichiara di essere personalmente favorevole al testo della prima Sottocommissione. La ragione addotta dall'onorevole Di Vittorio è determinante. Dopo una legislazione, che ha considerato reato il diritto di sciopero, la nuova Costituzione non può che riconoscerlo. Né può ritenersi valida, a suo parere, l'osservazione dell'onorevole Fabbri che si riconosce in tal modo un diritto essenzialmente antigiuridico. Lo sciopero è fenomeno sociale, che va al di là dei rapporti regolati dal contratto di lavoro.
Ora, nel caso che la Costituzione contenga il riconoscimento esplicito del diritto di sciopero, se ne potrebbe dedurre che, appunto per questo, lo sciopero è un diritto costituzionale, garantito e riconosciuto, e che nessuna legge potrà intervenire per regolarne l'esercizio. Crede che nessuno voglia accettare questa conseguenza, perché, se vi sono diritti della classe lavoratrice, vi sono anche diritti della collettività; e come vi è diritto di autodifesa della parte, vi sarà anche diritto di autodifesa del tutto.
D'altra parte, se la Costituzione riconosce puramente e semplicemente il diritto di sciopero, ed anche se si ammette, in contrasto con la prima ipotesi cui ha accennato, che la legislazione successiva possa intervenire in questa questione, ritiene sia molto più garantita la classe lavoratrice, qualora la Costituzione contenga dei limiti alla futura attività del legislatore, nel senso che questa attività non elimina in pratica il riconoscimento giuridico del diritto di sciopero.
Pensa, quindi, che la Costituzione debba riconoscere il diritto di sciopero; ma, proprio a garanzia dei lavoratori, debba stabilire le direttive al futuro legislatore per regolarne l'esercizio, condizione di carattere obiettivo per evitare qualsiasi discrezionalità non solo della pubblica amministrazione, che sarebbe estromessa, ma del potere legislativo.
Basso ricorda che, nella prima Sottocommissione, votò favorevolmente alla prima parte dell'articolo e contro la seconda parte. Non ritiene si possa affermare che il riconoscimento del diritto di sciopero nella Costituzione, senza specificazioni, tolga al legislatore la possibilità di regolarne l'esercizio; ma che sia normale che la legge regoli l'esercizio dei diritti sanciti dalla Costituzione.
Qualora si accettasse il testo proposto dalla maggioranza della prima Sottocommissione, si sopprimerebbe praticamente il diritto di sciopero, poiché non v'è dubbio che i tre limiti posti dalla seconda parte dell'articolo sostanzialmente uccidono la prima parte.
Il solo fatto di dire che la legge regola le modalità per la procedura di proclamazione dello sciopero, significa che si viene a negare, in radice, la possibilità di abbandono spontaneo del lavoro da parte dei lavoratori, cioè la forma più semplice e più democratica di sciopero.
Voterà, pertanto, contro questa seconda parte. È anche contrario al silenzio della legge, e non ritiene valido l'argomento che lo sciopero è un fatto sociale ed un rapporto di forza, non un fatto giuridico. Tutti i rapporti sociali sono rapporti di forza. Per questo la Costituzione interviene a regolarli, al fine di impedire che vadano oltre un certo segno; altrimenti, si tornerebbe alla legge della giungla.
Considerando appunto lo sciopero un rapporto di forza, si è impedito alla classe lavoratrice l'esercizio del diritto di sciopero.
Ora, se nella Costituzione si vogliono proclamare determinati diritti sociali, il primo e fondamentale è il diritto di sciopero, per cui la classe lavoratrice lotta da un secolo e mezzo.
Conclude affermando che voterà a favore del solo primo comma: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero».
Codacci Pisanelli pensa che, reagendo ad un eccesso del passato, si rischi di cadere nell'eccesso opposto. Si dice: siccome il legislatore precedentemente aveva condannato lo sciopero come reato, si deve ora espressamente sancire questo diritto nella Costituzione. Questo orientamento porterebbe da un estremo all'altro. È d'avviso, invece, che la questione vada considerata da un punto di vista spassionato: tenere conto del diritto di sciopero e degli inconvenienti del suo riconoscimento.
Lo sciopero è reso necessario dalla situazione attuale imperfetta, perché l'organizzazione sindacale è ancora allo stato embrionale. Come nei conflitti fra abitanti di due Comuni sono questi a rivolgersi al magistrato per la risoluzione delle questione, così in uno Stato bene organizzato deve la Magistratura risolvere le controversie fra le diverse categorie partecipanti alla produzione.
Come le controversie fra privati, in una organizzazione sociale completa, non possono essere risolte con la forza, così le controversie sociali, che hanno importanza maggiore, non possono essere risolte dagli interessati, che non hanno l'imparzialità necessaria. Perciò, bisogna risolvere in maniera organica la questione.
Propone, pertanto, che non si pregiudichi con un articolo di Costituzione un più ampio sviluppo del nostro sistema. Ritiene, anzi, che da questo punto di vista, il progetto della Costituzione lasci anche a desiderare, perché non prevede un'organizzazione sindacale adeguata alla nostra posizione, in quanto lascia la necessità di ricorrere a volte a questo estremo rimedio.
In sostanza, propone che non si parli del diritto di sciopero, altrimenti si pregiudicherebbe la possibilità di giungere all'arbitrato obbligatorio, che è la meta cui tendono i sistemi industriali più progrediti: cita quello australiano e quello attuale in America; senza tener conto che lo sciopero non è ammesso in altri sistemi, salvo quello dell'Unione sovietica, dove lo sciopero non si verifica affatto.
Subordinatamente, nel caso in cui non fosse accettata tale proposta, ritiene che non si debba nemmeno pregiudicare la possibilità d'una soluzione delle controversie di lavoro, diversa da quella dello sciopero. Sarebbe come dire al lavoratore: «Se chi ha dato lavoro, non ti paga, puoi farti ragione da te». Questo non si può ammettere.
Lo stesso vale per il lavoratore, che non abbia condizioni di lavoro sufficienti per vivere. Non si può dirgli di ricorrere a questo estremo, ma bisogna dare i mezzi necessari perché lo Stato cerchi di soddisfare le sue legittime aspirazioni.
Pensa che il riconoscimento del diritto di sciopero, e l'esercizio di esso nelle controversie di lavoro, non sarebbe prova di fiducia nella democrazia; anzi starebbe a significare che lo Stato non ha poteri sufficienti per risolvere queste controversie.
Zuccarini desidera precisare l'opinione sua e dei suoi amici su questa particolare questione.
Se il diritto di sciopero non fosse stato nel passato contestato e se non lo fosse ancora oggi — tanto è vero che si parla d'una regolamentazione, che praticamente ne elimina la libertà di esercizio — sarebbe del parere che nella Costituzione non se ne parlasse, tanto esso rientra nei diritti naturali del cittadino. Ma siccome, evidentemente, la omissione presuppone la intenzione o di eliminarlo, o di regolarlo, dichiara di essere favorevole all'affermazione pura e semplice del diritto di sciopero. Pensa, peraltro, che l'esercizio del diritto di sciopero trovi in se stesso, nelle sue conseguenze, tutte le sue limitazioni, in bene come in male.
Se in altri tempi, quando eravamo in una situazione di educazione politica e soprattutto di educazione sociale molto più bassa, il diritto di sciopero ha trovato manifestazioni di eccessi condannabili, e che, in fondo, hanno nociuto agli stessi operai, il fatto che i risultati negativi hanno nociuto ha servito a limitarlo. Né si può dimenticare che lo sciopero, come è stato esercitato, ha costituito non solo un mezzo di educazione e di autodifesa degli operai, ma ha servito anche a dare maggiore sviluppo e perfezionamento al processo produttivo.
Crede che non sia errato dire che molti dei progressi compiuti nel campo della produzione sono dovuti proprio a questi interventi operai. In fondo, era l'espressione dei loro diritti legittimi, della loro aspirazione a trovare, attraverso la retribuzione del lavoro, una migliore soddisfazione dei loro bisogni.
Afferma, concludendo, di essere favorevole alla formula: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero», senza alcuna limitazione, poiché nessun diritto può essere affermato per essere poi negato attraverso la regolamentazione.
Lussu voterà la prima parte dell'articolo: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero». Non condivide totalmente il pensiero della terza Sottocommissione, la quale ritiene che si debba parlare del diritto di sciopero non adesso, ma successivamente. A suo parere se ne deve parlare adesso, poiché il parlarne rientra nell'armonia del testo della Costituzione.
Pensa, peraltro, che lo Stato abbia il diritto di intervenire in materia. Non si tratta di una imposizione dall'esterno. Lo Stato agisce dall'interno, specialmente questo Stato che differisce radicalmente dallo Stato liberale pre-fascista. Questo è lo Stato democratico, imperniato su conquiste sociali, per cui può definirsi lo Stato dei lavoratori.
Circa la questione se impiegati dello Stato abbiano diritto di scioperare, ricorda che venticinque anni fa votò favorevolmente, perché era contro lo Stato monarchico; oggi invece è perplesso, perché pensa che gli impiegati non abbiano diritto di ergersi contro lo Stato repubblicano.
Se, per esempio, un giusto provvedimento, esonerasse il Procuratore Generale della Corte di cassazione, hanno diritto i magistrati di scioperare? Ecco il problema estremamente delicato.
In sostanza sono capovolti i termini dello Stato liberale. Lo Stato democratico repubblicano è lo stato dei lavoratori e, quindi, deve essere difeso contro tutti.
Colitto dichiara che non sarebbe sincero se affermasse di essere favorevole al riconoscimento di un «diritto» in materia di sciopero. È inutile sottolineare di nuovo che la ragion fattasi ha costituito sempre e costituisce un illecito: giova, invece, ricordare che lo sciopero reca sempre danni enormi alla collettività, sia al lavoro, sia al capitale, come appare in modo evidente da quello che è avvenuto non solo in Italia, ma anche in altre parti del mondo. È, quindi, più che sia possibile, da evitare. I rilievi, del resto, che da ogni parte si formulano per circoscrivere l'esercizio di quel diritto, dividendo, come giustamente ha detto l'onorevole Di Vittorio, gli italiani in due categorie, costituiscono la riprova della esistenza in tutti della grande preoccupazione che dallo sciopero non vantaggio derivi alla collettività, ma pregiudizio. Ed è del bene collettivo che bisogna sempre preoccuparsi.
Ora, se c'è in Italia una organizzazione sindacale, la quale va sempre più consolidandosi e perfezionandosi, non comprende perché non possa tale organizzazione intervenire con i suoi congegni arbitrali per comporre ogni vertenza di carattere collettivo nel campo dei rapporti di lavoro.
Non si rende conto, poi, del perché nella Costituzione si debba parlare di un diritto di sciopero e non di un diritto di serrata. Così operandosi, si dividerebbero di nuovo gli italiani in due categorie, con diversi diritti e diversi doveri, il che da tutti si vuole evitare.
Egli è, quindi, dell'opinione che nella Costituzione non si faccia parola del diritto di sciopero.
Molè desidera spiegare rapidamente le ragioni del suo voto. Ammette il diritto di sciopero, come legittimo strumento di lotta nelle competizioni fra capitale e lavoro. Repugna alla concezione di sciopero come violazione di un contratto bilaterale, per cui il prestatore d'opera viene meno all'obbligo assunto verso il datore d'opera.
Non è possibile confondere lo sciopero con la violazione di un contratto individuale. Qui si tratta di un fenomeno collettivo che ha la spiegazione nella necessità di rompere contratti onerosi, che le esigenze mutate della vita economica impongono di rivedere, quando i prestatori si rifiutano alle revisioni; onde la presunzione di equità è per le masse lavoratrici che agiscono in stato di necessità, disertando il lavoro, che è il loro unico mezzo di vita.
Non è perciò possibile disconoscere il diritto di sciopero ai lavoratori, come mezzo di difesa nella lotta fra capitale e lavoro. Ma non può rientrare nel concetto della lotta di classe — cioè nella lotta fra capitale e lavoro — il rapporto che intercede fra lo Stato, che rappresenta la collettività dei cittadini, e quelle categorie dei funzionari che rappresentano ed attuano la volontà sovrana dello Stato, e però s'identificano con lo Stato e la legge dello Stato, di cui sono l'organo esecutivo.
Anche quei funzionari vivono di lavoro, ma non sono di fronte sul piano del contrasto economico. E però il diritto di sciopero, che questo contrasto presuppone, non può essere loro concesso.
Il Magistrato, il Prefetto, il carabiniere, l'agente di pubblica sicurezza non possono scioperare. Se concedesse loro questo diritto, nel formare la sua Costituzione lo Stato sanzionerebbe il diritto di ribellione, cioè la legittimità della rivoluzione contro se stesso, e consacrerebbe il suo suicidio.
Egli voterà perciò la proposta della terza Sottocommissione, di rinviare all'Assemblea legislativa l'esame approfondito della materia. E se tale proposta venisse respinta, voterà la prima parte dell'articolo proposto dalla prima Sottocommissione, che sancisce il diritto generico di sciopero dei lavoratori, nel cui concetto classistico non possono essere compresi i funzionari che attuano la volontà sovrana dello Stato. E non voterà altre formule che accennano a future regolamentazioni legali dell'esercizio dello sciopero, che sembra accennino alle modalità dello sciopero non regolamentabili, o sanciscono divieti indiscriminati di sciopero per addetti a pubblici servizi, dizione troppo ampia e imprecisa, nella quale sono anche comprese gestioni industriali dello Stato che esulano dalle sue funzioni di sovranità.
Mancini è favorevole all'affermazione pura e semplice del diritto di sciopero, come ebbe a sostenere in seno alla prima Sottocommissione, perché le limitazioni non farebbero altro che falsare il contenuto sociale, morale e giuridico del diritto di sciopero e non agirebbero come freno, perché lo sciopero dal suo carattere economico passa a quello politico.
Questo convincimento si basa su una ragione dottrinaria, su una ragione sociale e su una ragione politica.
La ragione dottrinaria è che il diritto di sciopero, a suo parere, non è un rapporto di forze e neanche un rapporto economico, ma un diritto naturale che non può essere vulnerato da nessuno.
La ragione sociale è che il diritto di sciopero non è, come diceva l'onorevole Tupini, l'arma della guerra, ma della difesa, la garanzia dell'organizzazione. Lo sciopero diventa l'arma della guerra, quando passa dal movimento economico al movimento politico; ma quando resta ristretto nei limiti del movimento economico, lo sciopero è difesa ed è diritto sacro del lavoratore e della organizzazione. Senza di esso non si può concepire il sindacato.
La ragione politica è che, in questo momento, le nostre coscienze dovrebbero essere unite, anche se diversamente valutano il diritto di sciopero. Il passato regime ha dichiarato lo sciopero un reato punibile. Questa nuova Italia, sorta sulla catastrofe del fascismo con nuovi intendimenti, deve affermare che lo sciopero non è un reato, ma il diritto invulnerabile delle nuove masse lavoratrici italiane.
Fanfani pensa che, per risolvere questo problema, occorra considerare se nella Costituzione, quale si intravede già dal progetto in via di formazione, un articolo che riconosca il diritto di sciopero sia in armonia con tutto il sistema.
Ora, il progetto, quale finora si conosce, stabilisce che la Repubblica italiana non poggia su una concezione individualistica e, quindi, non aderisce all'idea che l'equilibrio sociale ed economico si raggiunge attraverso una lotta permanente tra i cittadini, ma invece si rifà ad una concezione solidaristica, come si dimostra attraverso tutti i vari articoli che la terza Sottocommissione ha votato quasi sempre all'unanimità e che, in gran parte, sono stati trasfusi nel progetto del Comitato di redazione.
Dal testo del progetto risulta che la Repubblica italiana riconosce ai lavoratori tutti i diritti economici necessari a portarli al primo piano della vita sociale, senza eccezioni e che la Repubblica italiana vuole abolire posizioni di privilegio di ogni genere a favore di qualsiasi cittadino, gruppo, categoria, classe.
Infine la Repubblica italiana rivendica a sé piena capacità di rendere giustizia a tutti i cittadini, anche nel settore economico.
Ora, nel quadro di questa Costituzione, un articolo sul diritto di sciopero potrebbe voler significare una negazione della capacità della Repubblica di rendere giustizia a tutti, anche sul terreno economico.
La rinuncia da parte della Repubblica ad esercitare quella funzione di coordinamento e di armonizzazione di tutti i fenomeni economici contraddittori, in vista di un fine sociale e soprattutto in vista di quella elevazione dei lavoratori, quale è stata affermata esplicitamente in alcuni articoli, che costituiscono, a suo parere, la parte più originale della Costituzione, rispetto a tutte le costituzioni che finora sono state formulate, menoma completamente la facoltà del nostro Stato democratico.
Ma, di fatto, si deve riconoscere che ancora oggi il ricorso allo sciopero è tutt'altro che superfluo come strumento per portare i lavoratori al pieno riconoscimento dei loro diritti. E, per questo, è una concessione alla realtà l'arrivare all'esercizio dello sciopero in base a norme sui rapporti di lavoro, in attesa che i lavoratori stessi possano riconoscere che il mezzo dello sciopero è tra i più dispendiosi. Quel giorno, evidentemente, la evoluzione storica renderebbe anche nel nostro Paese superfluo il ricorso all'arma dello sciopero.
In conclusione, per ragioni di armonia, ritiene opportuno che la Costituzione non parli del diritto di sciopero. Però l'Assemblea potrebbe anche decidere nel senso già accettato alla quasi unanimità della terza Sottocommissione. Tuttavia, nell'ipotesi che si ritenga conveniente, anche per ragioni politiche che giudica fortissime, di proclamare il diritto di sciopero, naturalmente la Repubblica che, in base alla nuova Costituzione, deve armonizzare tutti i fenomeni economici, deve anche armonizzare gli scioperi con il complesso della vita economica nazionale, e, pertanto, si rende indispensabile il rinvio ad una legge che regoli l'esercizio del diritto di sciopero.
Il Presidente Ruini avverte che l'ordine delle proposte da votare dovrebbe essere il seguente. Vi è, in primo luogo, la proposta di non parlare del diritto di sciopero nella Costituzione. Segue la proposta dell'onorevole di Vittorio di approvare il primo comma dell'articolo votato dalla prima Sottocommissione: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero». Vi è poi la proposta dell'onorevole Cappi di aggiungere a questo comma la formula: «Una legge sui rapporti di lavoro ne regola l'esercizio». Infine si dovrebbe porre in votazione il secondo comma dell'articolo approvato dalla prima Sottocommissione.
Bordon, circa l'ordine della votazione, osserva che non è accettabile che la formula proposta dall'onorevole Di Vittorio preceda quella dell'onorevole Cappi, perché la prima ha un valore risolutivo, mentre invece la formula dell'onorevole Cappi è più ampia, e, pertanto, dovrebbe precedere, anche se dovesse votarsi per divisione.
Tupini, osserva che nell'ordine normale dei lavori della Commissione occorre tener conto del regolamento della Camera. Ora, poiché l'onorevole Bulloni ha fatto una proposta pregiudiziale, bisogna votarla per prima. Nel caso che sia respinta, si passa all'esame delle proposte, che più radicalmente si discostano da quelle delle Sottocommissioni.
L'onorevole Di Vittorio ha proposto di approvare un articolo così formulato: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero».
Richiama l'attenzione dell'Assemblea sul fatto che la proposta Di Vittorio corrisponde al primo comma dell'articolo votato dalla prima Sottocommissione; e, poiché in sede di prima Sottocommissione si fece la votazione per divisione, si deve fare lo stesso anche in questa sede.
L'onorevole Cappi ha poi proposto di aggiungere la formula: «Una legge sui rapporti di lavoro ne regola l'esercizio».
Ritiene, quindi, che, qualora sia respinta la pregiudiziale Bulloni, si debba votare prima la proposta Di Vittorio, poi quella Cappi e, infine, il secondo comma proposto dalla prima Sottocommissione.
Presidente Ruini. Resta dunque inteso che si pone ai voti la proposta dell'onorevole Bulloni di non parlare del diritto di sciopero nella Costituzione. Su di essa è stato chiesto l'appello nominale.
Ghidini, dichiara di votare a favore dell'affermazione, pura e semplice, del diritto di sciopero, senza alcuna limitazione.
Canevari si associa.
Conti voterà per la formula: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero».
Lucifero dichiara di votare a favore della pregiudiziale, perché ritiene che questa non sia materia costituzionale. Il diritto di sciopero, anche se lo si vuole intendere come diritto, è una esigenza prettamente liberale. Ritiene che in una Costituzione, come quella che viene proposta, che non è di natura liberale, esso non abbia più ragione di esistere.
Voterà contro la prima parte dell'articolo proposto dalla prima Sottocommissione; voterà a favore di quella disposizione che stabilisca che la legge debba regolare l'esercizio del diritto di sciopero, qualora fosse ammesso.
Bulloni dichiara che la sua pregiudiziale non vuole significare né limiti, né condanna del diritto di sciopero.
Ambrosini vota a favore della proposta Bulloni, perché ritiene che la complessa materia debba essere opportunamente disciplinata da una legge speciale. Subordinatamente, voterà per la proposta Cappi.
(Segue la votazione nominale).
Rispondono sì: Ambrosini, Bulloni, Codacci Pisanelli, Colitto, Dominedò, Fabbri, Fanfani, Federici Maria, Leone Giovanni, Lucifero, Mastrojanni, Marinaro, Molè.
Rispondono no: Amadei, Basso, Bocconi, Bordon, Calamandrei, Canevari, Cappi, Cevolotto, Conti, De Michele, Di Giovanni, Di Vittorio, Dossetti, Farini, Fuschini, Ghidini, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mancini, Mannironi, Marchesi, Merlin Lina, Merlin Umberto, Moro, Mortati, Nobile, Perassi, Pesenti, Piccioni, Rapelli, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Targetti, Taviani, Terracini, Togliatti, Togni, Tosato, Tupini, Uberti, Vanoni, Zuccarini.
Il Presidente Ruini comunica il risultato della votazione nominale:
Votanti............................. 60
Voti favorevoli............. 13
Voti contrari................ 47
(La Commissione non approva).
Pone ai voti il primo comma dell'articolo proposto dalla prima Sottocommissione, fatto proprio dall'onorevole Di Vittorio: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero».
Anche su questo comma è stato chiesto l'appello nominale da parte dell'onorevole Di Vittorio.
Piccioni dichiara di votare favorevolmente a questa proposta, nel concetto che essa sia integrata nella seconda parte.
Terracini in questa sede ritiene che non si tratti tanto di salvare delle apparenze politiche, quanto di andare direttamente alla sostanza. Non è una legge che andrà ad un'Assemblea legislativa: è la Costituzione, e di fronte alle disposizioni della Costituzione, nessuno dovrebbe cercare di trovare, attraverso la votazione, il salvataggio di qualche preoccupazione che non sia quella schietta di dire quello che pensa.
La formulazione dell'onorevole Di Vittorio ha un suo significato e così pure la formulazione della prima Sottocommissione. La prima Sottocommissione ha votato che sia assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero, solo in quanto vi fossero limitazioni nella seconda parte.
La Commissione è in maggioranza di avviso che bisogna parlare del diritto di sciopero ed ora bisogna scegliere fra le due posizioni e cioè: che il diritto di sciopero sia affermato puramente e semplicemente, oppure che sia affermato in condizioni inscindibili. Pertanto, non si dovrebbe dire di votare la formulazione della prima Sottocommissione per divisione. Non è divisibile la formula della prima Sottocommissione. V'è una proposta dell'onorevole Di Vittorio. Chi l'accetta, vota secondo un preciso intendimento; coloro che non l'accettano voteranno poi la formula della prima Sottocommissione. Altrimenti questa votazione non sarà una espressione chiara, com'è necessario invece che sia.
Di Giovanni si rende conto dello scopo politico dell'intervento dell'onorevole Terracini: si vuole entrare nel campo delle intenzioni e ci si vuole costringere a votare quasi contro il diritto di sciopero. Si potrebbe, a suo parere, votare prima sul diritto di sciopero e poi, se la maggioranza accederà, votare sull'emendamento.
Dossetti non accetta il dilemma proposto dall'onorevole Terracini, e si attiene all'articolo formulato dalla prima Sottocommissione, che fu votato secondo la logica, nella prima parte e successivamente nella seconda.
Il Presidente Ruini ritiene che questa chiarificazione di posizioni sia indispensabile ed ottenibile, votando dapprima la formula: «È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero», sulla quale vi potrà essere il consenso di tutti. La chiarificazione avverrà nella seconda parte proposta dall'onorevole Cappi.
Pone pertanto ai voti la prima parte dell'articolo:
«È assicurato a tutti i lavoratori il diritto di sciopero».
Bulloni dichiara che voterà contro per i motivi e con gli intendimenti da altri svolti.
(Segue la votazione nominale).
Rispondono sì: Amadei, Ambrosini, Basso, Bocconi, Bordon, Calamandrei, Canevari, Cappi, Cevolotto, Conti, De Michele, Di Giovanni, Di Vittorio, Dominedò, Dossetti, Fabbri, Fanfani, Farini, Federici Maria, Fuschini, Ghidini, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Leone Giovanni, Lussu, Mancini, Mannironi, Marchesi, Merlin Lina, Merlin Umberto, Molè, Moro, Mortati, Nobile, Perassi, Pesenti, Piccioni, Rapelli, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Targetti, Taviani, Terracini, Togliatti, Togni, Tosato, Tupini, Uberti, Vanoni, Zuccarini.
Rispondono no: Bulloni, Codacci Pisanelli, Colitto, Lucifero, Marinaro, Mastrojanni.
Il Presidente Ruini comunica il risultato della votazione:
Votanti............................. 60
Voti favorevoli............. 54
Voti contrari.................. 6
(La Commissione approva).
Pone in votazione l'aggiunta proposta dall'onorevole Cappi:
«Una legge sui rapporti di lavoro ne regola l'esercizio»,
sulla quale è stato chiesto l'appello nominale.
Lussu voterà contro, pur intendendo che lo Stato ha diritto di intervenire in materia.
Codacci Pisanelli voterà in senso favorevole, pur avendo votato contro la precedente proposizione, perché ritiene che l'aggiunta provochi una modificazione.
Canevari si associa alla dichiarazione dell'onorevole Lussu.
(Segue la votazione nominale).
Rispondono sì: Ambrosini, Codacci Pisanelli, Colitto, De Michele, Dominedò, Dossetti, Fabbri, Fanfani, Federici Maria, Fuschini, Leone Giovanni, Lucifero, Mannironi, Marinaro, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Mortati, Piccioni, Rapelli, Ruini, Taviani, Togni, Tosato, Tupini, Uberti, Vanoni.
Rispondono no: Amadei, Basso, Bocconi, Bordon, Bulloni, Calamandrei, Canevari, Cevolotto, Conti, Di Giovanni, Di Vittorio, Farini, Ghidini, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mancini, Marchesi, Merlin Lina, Molè, Nobile, Perassi, Pesenti, Ravagnan, Rossi Paolo, Targetti, Terracini, Togliatti, Zuccarini.
Il Presidente Ruini comunica il risultato della votazione:
Votanti............................. 59
Voti favorevoli............. 27
Voti contrari................ 32
(La Commissione non approva).
Avverte che resta da votare il secondo comma dell'articolo proposto dalla prima Sottocommissione:
«La legge ne regola le modalità di esercizio unicamente per quanto attiene:
a) alla procedura di proclamazione;
b) all'esperimento preventivo di tentativi di conciliazione;
c) al mantenimento dei servizi assolutamente essenziali alla vita collettiva».
Di Vittorio osserva che, avendo la Commissione respinto a maggioranza l'emendamento Cappi, si rende completamente inutile e superflua la votazione delle limitazioni proposte dalla prima Sottocommissione.
Tupini, rileva che, non essendo stato approvato l'emendamento Cappi, risorge la necessità di votare sulla proposta della prima Sottocommissione, anche perché i membri di essa in certo modo sono impegnati su questo testo e si deve vedere se l'impegno assunto in quella sede verrà mantenuto anche in questa.
Targetti si associa a quanto ha dichiarato l'onorevole Di Vittorio e richiama l'attenzione sulle dichiarazioni fatte dall'onorevole Terracini, che hanno bene illustrato il significato delle votazioni.
Il Presidente Ruini è del parere che la votazione sull'emendamento Cappi non esclude che si possa votare un emendamento che rinvia con particolari indicazioni ad un'altra legge. Deve, pertanto, ammettere la votazione.
Personalmente dichiara che voterà contro, perché mentre era favorevole ad una legge che avesse regolata la materia nel suo complesso, non crede che si debbano determinare i punti particolari.
Anche per questa votazione è stato chiesto l'appello nominale.
(Segue la votazione nominale).
Rispondono sì: Ambrosini, Bozzi, Cappi, Codacci Pisanelli, Colitto, De Michele, Dominedò, Dossetti, Fabbri, Fanfani, Federici Maria, Fuschini, Leone Giovanni, Lucifero, Mannironi, Mastrojanni, Merlin Umberto, Moro, Mortati, Piccioni, Rapelli, Taviani, Togni, Tosato, Tupini, Uberti, Vanoni.
Rispondono no: Amadei, Basso, Bocconi, Bordon, Bulloni, Calamandrei, Canevari, Cevolotto, Conti, Di Giovanni, Di Vittorio, Farini, Ghidini, Grieco, Iotti Leonilde, Laconi, Lami Starnuti, La Rocca, Lussu, Mancini, Marchesi, Merlin Lina, Nobile, Perassi, Pesenti, Ravagnan, Rossi Paolo, Ruini, Targetti, Terracini, Togliatti, Zuccarini.
Comunica il risultato della votazione:
Votanti............................. 59
Voti favorevoli............. 27
Voti contrari................ 32
(La Commissione non approva).
A cura di Fabrizio Calzaretti