[Il 21 aprile 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali». — Presidenza del Vicepresidente Conti.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Bianchini Laura. [...] Il secondo emendamento che proporrò sarà sull'istruzione professionale. La nostra legislazione scolastica è tutt'ora in un momento di incerta evoluzione. Sembra che coloro che hanno preparato gli articoli sottoposti al nostro esame siano stati ancora molto presi dall'ideale di una scuola in funzione solo della coltura. Infatti, gli articoli si iniziano con una battuta solenne: — «L'arte e la scienza sono libere e libero è il loro insegnamento» — che fissa quasi alle funzioni educative e istruttive un esclusivo tono umanistico-intellettuale. Ma il nostro tempo è il tempo della tecnica, e la scuola, se vuol aderire alla vita, deve formare, come in ogni tempo, l'uomo (ed ecco la necessità di una formazione generale umanistica, proporzionata ai vari gradi di scuola), ma anche l'uomo lavoratore, ed ecco la necessità di una preparazione tecnico-professionale. Noi dovremo preoccuparci di dire una parola, una frase, che dica la nostra volontà di inserire le esigenze del lavoro moderno, tra le preoccupazioni dell'educazione italiana. Come abbiamo posto il lavoro nel primo articolo della Costituzione — «L'Italia è una Repubblica democratica basata sul lavoro» — così dobbiamo sottolinearne le esigenze in sede di preparazione al lavoro. Le attuali statistiche sul numero delle scuole e dei corsi professionali e artigianali sono rivelatrici di carenze impressionanti. Nel 1940-41, 41.837 alunni frequentavano i corsi, le scuole tecniche e gli istituti agrari; 165.539 i corsi, le scuole tecniche e gli istituti commerciali; 167.500 i corsi, le scuole tecniche e gli istituti industriali; 4.527 i corsi, le scuole e gli istituti nautici. E questo in una Italia che non ha altra ricchezza che il lavoro. Perché nel mio emendamento chiederò che venga estesa l'istruzione professionale, invece di chiedere che lo Stato apra nuove scuole professionali? Perché questa espressione è più larga e comprende anche quei corsi di vario genere che, in sé, ogni maestro d'arte, ogni tecnico specializzato nel campo agricolo, o commerciale, o industriale, o nautico, o artigianale potrebbe aprire. L'istruzione professionale è la possibilità offerta ad uno stabilimento, ad un'industria, a una zona agricola di avere la propria scuola specializzata anche nei particolari per l'apprendimento delle nuove tecniche; la possibilità offerta a qualunque comunità di lavoratori di avere la possibilità di qualificarsi e specializzarsi.

Credo che anche su questo sarà facile trovare l'accordo, su una formula che accolga le necessità di una più diffusa istruzione professionale in accordo con le esigenze del lavoro.

[...]

Della Seta. [...] Riconosciuta allo Stato la suprema direzione della educazione nazionale, riconosciuta, sulle altre scuole, la preminenza alla scuola di Stato, riconosciuta, salvo le debite garanzie, la libertà della scuola, cioè il diritto di aprire scuole private, non rimaneva alla Costituzione che sancire le norme che, in rapporto alla scuola, sono proprie di un vero regime democratico.

La scuola è aperta al popolo, dice il primo comma dell'articolo 28. Questo comma, forse, è pleonastico, dato che poi si accenna, giustamente, alla obbligatorietà e alla gratuità dell'insegnamento inferiore impartito almeno per otto anni. Non sarebbe stato inopportuno invece uno speciale accenno all'interessamento che lo Stato dovrà avere per talune scuole popolari, come le scuole professionali, le scuole di artigianato, le scuole rurali, ecc.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti